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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (IV)

Posted by on Ago 28, 2024

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (IV)

IL NUOVO REGNO D’ITALIA

NELLA CAMERA DEI DEPUTATI

(Pubblicato il 14 marzo 1861).

Quante ere nuove abbiamo noi? Fin dal 1848 ci annunziarono che una nuova era incominciava: ed oggidì il conto di Cavour, presentando alla Camera il disegno di legge che costituisce il Regno d’Italia, ci dice che una nuova era incomincia!…

Il conte di Cavour presentò l’11 di marzo alla Camera dei Deputati la legge già approvata dai Senatori ?colla quale il Re nostro augusto Signore assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia?.

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L’onorevole Conte nella sua relazione disse una bugiuzza, affermando che il Senato del regno avea già sancita la legge con unanime voto. Tutti sanno che due Senatori votarono contro, epperò è falso che vi fosse unanimità. è una cosa da nulla, ma mostra sempre più con quale lealtà suole procedere il nostro Presidente del ministero, e quanto vale la sua parola.

Il conte di Cavour ha chiesto ai Deputati che confermassero con la stessa concordia di suffragi la costituzione del nuovo Regno d’Italia ?affinchè il nuovo Regno possa presentarsi senza maggior indugio nel consesso delle nazioni?. Ciò vuoi dire che il nuovo regno fin qui non si è ancor presentato.

I Deputati, il 12 di marzo, fecero vacanza, e si radunarono negli uffici. E qui mossero di molti appunti al disegno di legge, appunti che sono riepilogati nel Diritto del 13 di marzo. Si criticò che il Governo si fosse fatto promotore di questa legge; si criticò che l’avesse presentata prima in Senato, ossia a quella parte del Parlamento che è creatura sua; si criticò che non abbia abbandonato le tradizioni feudali ?e siasi ostinato a designare il Re col numero di II° mentre egli è innegabilmente il I° Re d’Italia?. Alcuni volevano che si dicesse: Vittorio Emanuele II primo Re d’Italia. Ai più questo primo e secondo non garbava.

Finalmente si criticò che la legge dicesse essere il Re che assume ?quasi fosse, osserva il Diritto, per forza di conquista, il titolo di Re d’Italia?. Molti volevano che si dicesse che questo titolo gli era conferito per volere dei popoli.

Dopo queste osservazioni gli uffizi della Camera passarono alla nomina dei loro rispettivi Commissari, e vennero scelti Bellino Ricasoli, Cipriani, Paternostro, Pepoli Gioachino, Giorgini, Macciò, Audinot, Natoli, Baracco. Questi incaricarono il Giorgini di scrivere la relazione del disegno di legge.

Ma il Giorgini disse di non poter avere in pronto la relazione prima delle tre pomeridiane del giorno tredici. Del che la Gazzetta del Popolo lo sgrida alquanto t poiché la relazione dovendo essere brevissima e sgorgare dal cuore, non richiede molta lambiccatura di cervello?.

All’ora in cui scriviamo, non si sa se il Giorgini abbia potuto terminare la sua relazione, né se potrà oggi costituirsi il Regno d’Italia e proclamarsi domani.

Proclamato il Regno d’Italia, dovrà pensarsi alla Capitale. Il signor Casati in un opuscolo stampalo a Parigi proponeva che la Capitale del nuovo Regno d’Italia fosse Firenze. Quest’idea viene approvata e sostenuta da Massimo d’Azeglio in un suo opuscolo stampato or ora a Firenze col titolo Questioni urgenti, pensieri di Massimo d’Azeglio.

Il d’Azeglio premette, che in Italia dobbiamo ?avvezzarci gli uni a parlare, e gli altri a lasciar parlare; gli uni a dir ragioni, e gli altri a risponderne, senza voler soffocare la voce di nessuno con filze d’aggettivi e spauracchi d’impopolarità?.

E su questo punto Massimo d’Azeglio insiste assai e sogghigno: ?Bisognerà pure alla fine risolversi ad essere un popolo libero ed indipendente davvero, ed a prenderne gli usi, la lingua, il modo di trattare e di vivere; ad assumere quella dignitosa indipendenza di carattere, che è la più nobile proprietà di un uomo:

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proprietà che nessun decreto può dare, nessun tribunale guarentire, se non sa ognuno possederla e difenderla per virtù propria: proprietà che innalza l’uomo alla giusta stima di se stesso, per la quale non giura né in verbo magistri, né in verba populi; non è del parere né di chi più grida, né molto meno di chi minacciasse: non prende infine le opinioni bell’e fatte da nessuno, ma cerca farsele da sé coll’intelletto e colla coscienza propria; ed una volta fatte, le manifesta senza timidità, come senza arroganza, non occupandosi punto se siano seguite da molti o da pochi; se piacciano o dispiacciano, e se possano procurare a chi le professa applausi o fischi, utile o danno?.

Noi l’abbiamo capita fin dal 1848, e in questi tredici anni ci siamo presa quella libertà, che molti non ci volevano accordare, e con virtù propria abbiamo cercato di sostenere o mostrare quella indipendenza, che proclama le verità religiose e sociali ?non occupandoci punto se sian seguite da molti o da pochi?. Vorremmo che la capissero egualmente i nostri amici dell’Italia centrale e meridionale.

Massimo d’Azeglio dopo tutto questo preambolo passa a sostenere, come abbiamo detto, che bisogna eleggere Firenze a Capitale del nuovo Regno d’Italia. Roma, a suo avviso, non offre tutte quelle qualità che si richiedono ad una città per addivenire Capitale d’una nazione; e i fatti del 1848 potrebbero far temere mal sicura la rappresentanza nazionale nella città eterna.

Le quali idee del d’Azeglio sono affatto contrarie a quelle del conte di Cavour, che nella Camera dei Deputati l’anno passato voleva Roma per Capitale; e attirarono al d’Azeglio un fiero carpiccio della Nazione di Firenze.

Questo giornale nel suo N. 70 dell’11 di marzo chiama inopportuno il libro del d’Azeglio, perché ?può seminare senza volerlo germi di divisione e di malcontento?. La Nazione giunge perfino a chiamare il libretto del d’Azeglio un novello pomo di Paride.

?Non c’illudiamo 1 Esclama la Nazione di Firenze. Ove i destini che l’autore ci profetizza potessero avverarsi, le gelosie municipali si risveglerebbero, e le primarie città del Regno che di fronte alla grandezza di Roma s’inchinano riverenti, mal saprebbero sottostare alla città nostra. Milano, Napoli, Torino stessa ne muoverebber lamento; tutte più o meno potrebbero o crederebbero potere contenderci quella supremazia, che nessuno a Roma vorrà seriamente

Non sappiamo quale accoglienza sarà fatta dagli altri giornali alle idee e proposte di Massimo d’Azeglio. Questo sappiamo, che tutti gli uomini non ancora pienamente accecati guardano con ispavento la questione di Roma, e vorrebbero eliminarla lasciandola al Papa. è un sentimento interno di cui molti non si sanno forse rendere ragione, ma che prepondera nei più, e venne rivelato dallo stesso Journal des Débats, di cui ieri citammo le parole.

Massimo d’Azeglio non ha mica una maggiore predilezione per Firenze su Roma. Egli vede che togliere al Papa la sua città è una cosa impossibile; che se si conquistò Ancona, Capua, Gaeta; se si conquisteranno Messina e Civitella, sarà difficilissimo conquistare e ritenere Roma; e quindi cerca di persuadere gl’Italiani che non ne hanno bisogno, e che possono contentarsi di Firenze.

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Alla guardia di Venezia sta l’Austria col suo formidabile esercito, l’Inghilterra colle Note minacciose di lord Russell, la Francia cogli inesorabili comandi di Napoleone III. Alla guardia di Roma ci sta qualcheduno più potente della Francia, dell’Inghilterra e dell’Austria, e dice guai a chi la tocca!

E questo guai suona terribile nell’animo di molti, e come scrive il Journal des Débats ?a misura che si approssima l’istante, in cui si dovrà andare a Roma, l’ardore si raffredda e cede ad una specie di vaga apprensione?.

La vaga apprensione è il sentimento dell’anima naturalmente cristiana; è il santo ribrezzo che inspira la città eterna, e che non può venire soffocato nemmeno nel cuore dell’incredolo; è la voce della storia che grida agli assalitori: Badate bene che fatale è Roma: Ricordatevi che Dio l’ha fatta pel successor del maggior Piero.

LEGGE CHE STABILISCE IL REGNO D’ITALIA

La Gazzetta Piemontese divenuta, dopo le annessioni, Gazzetta Ufficiale del Regno, domenica, 17 marzo 1861, compariva col titolo di Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, e nelle ultime notizie, parte ufficiale, pubblicava la seguente legge controsegnata da otto ministri:

VITTORIO EMANUELE II,

RE DI SARDELLA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME, ECC.

Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato;

Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

Articolo unico.

Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia.

Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserta nella Raccolta degli Atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Dato a Torino, addì 17 marzo 1861.

VITTORIO EMANUELE.

C. CAVOUR — M. MINGHETTI— G. R. CASSINIS — F. S. VEGEZZI —

M. FANTI. — T. MAMIANI — T. CORSI —U. PERUZZI.

PROTESTA DEL GRANDUCA DI TOSCANA

CONTRO IL REGNO D’ITALIA

Dresda, 26 marzo 1861.

Per due anni il Piemonte ha proseguito in Italia la sua opera sovversiva, non rifuggendo da alcun mezzo, e servendosi alternativamente della violenza e dell’intrigo.

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Calpestando i più sacri diritti, dimenticando il rispetto dovuto alla Maestà del Pontefice, attentando agli augusti interessi della Religione Cattolica, disprezzando i legami di parentela, ricompensando il tradimento, portando la guerra negli Stati vicini senza previa dichiarazione, o senza aspettare la scadenza dei termini stabiliti pel corso delle trattative diplomatiche, rendendosi complico di una privata aggressione, da esso disapprovata pria che s’avverasse, ma da esso glorificata subito che vi fu da trarre un profitto dalia medesima, il Piemonte ha espulso i Principi legittimi ed ha violato l’integrità dei loro territorii.

La proclamazione del Regno d’Italia sancisce per ciascuno Stato della Penisola la distruzione dell’individuale autonomia indispensabile al benessere e alla tranquillità d’Italia. Fondata sopra antiche abitudini, sulla profonda differenza dei caratteri, sulla diversità degli interessi locali, ed infine sulle belle ed antiche tradizioni che fan la gloria d’Italia; cotesta autonomia, che è altrettanto cara quanto necessaria alle popolazioni, poteva e doveva conciliarsi colla grandezza d’Italia ricostituita sopra un piano federativo.

La proclamazione del Regno d’Italia rovescia ogni organizzazione politica della Penisola; viola i diritti delle legittime dinastie, distruggendo ad un tempo i trattati fondamentali, ai quali parteciparono tutte le Potenze europee; ed infine è in contraddizione flagrante colle stipulazioni di Villafranca, le quali confermate a Zurigo col concorso del Re di Sardegna, dovevano gettar la base del nuovo diritto pubblico italiano.

Nell’interesse dei diritti imprescrittibili della nostra dinastia ed in quello della vera felicità dell’amata nostra Toscana e di tutta Italia, mentre ci riferiamo alle proteste anteriori del nostro amato Padre e di noi stessi, crediamo debito nostro di protestare, come protestiamo, nel modo più solenne contro questo nuovo atto del Governo del re Vittorio Emanuele. Abbiamo la ferma fiducia che le Potenze europee, molte delle quali diedero a più riprese al Governo sardo pubblici segni della loro disapprovazione, non vorranno riconoscere un titolo, che è l’espressione dell’illegittima condizione in cui trovasi momentaneamente l’Italia.

FERDINANDO.

PROTESTA DI FRANCESCO V

CONTRO IL REGNO D’ITALIA

(Dalla Perseveranza di Milano)

Noi FRANCESCO V, Arciduca d’Austria, Este, Principe Reale d’Ungheria e Boemia, per la grazia di Dio Duca di Modena, Peggio, Mirandola, Massa, Carrara, Guastalla, ecc. ecc. ecc.

Il Re di Sardegna, essendosi fatto dare il titolo di Re d’Italia da un’Assemblea composta in gran parte di sudditi ribelli ai loro legittimi Sovrani, ha messo il suggello alla lunga serie di atti di usurpazione, contro i quali protestammo già in data 14 maggio e 22 giugno 1859, non che in data 22 marzo 1800.

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Questo nuovo oltraggio fatto alle sovranità legittime in Italia, e per conseguenza anche alla nostra, c’impone il dovere di nuovamente ed altamente protestare per la conservazione di diritti, che nessun atto estraneo al voler nostro potrebbe mai pregiudicare od indebolire.

L’Europa vorrà rammentarsi che quegli, il quale conculca si indegnamente ed opprime lo Stato che ereditammo dai nostri maggiori, è lo stesso Sovrano che, mantenuto sul suo vacillante trono dal generoso vincitore di Novara, raddoppiò d’allora in poi le mene rivoluzionarie non solo contro di esso, ma ben anche contro tutti gli altri governi d’Italia, con cui simulava d’altronde le più amichevoli relazioni.

Incapace dapprima d’intraprendere conquiste, non fu che coll’aiuto di un’armata straniera, da esso attirata in Italia, ed a cui devesi intieramente il successo, ch’egli potè impadronirsi dei paesi, ai quali agognava da tanto tempo. Eravi fra questi il nostro Stato, che, perduta la propria autonomia, divenne d’allora in poi una provincia semplicemente contribuente agli oneri sempre crescenti d’imposte e debito pubblico; e non conobbe oltre a ciò i dominatori attuali che per le vessazioni, le perquisizioni domiciliari, gli arresti arbitrarii, i sequestri dei beni, e le raddoppiato coscrizioni militari.

E se tutto ciò non bastasse ancora a qualificare il governo che si è imposto al nostro Stato, rammentano che esso è quel medesimo, che, in mezzo alla riprovazione generale degli uomini onesti, procedendo di sorpresa all’invasione delle Marche e dell’Umbria, sopraffece i pochi, ma prodi soldati, accorsi dai diversi paesi cattolici in aiuto del Sommo Pontefice: è quello stesso governo, che dando mano ad una banda di facinorosi d’ogni nazione che stava per soccombere, irruppe slealmente nello Stato del nobile e valoroso Re delle Due Sicilie.

I feroci proclami, le crudeltà inaudite commesse in quel regno contro quanti, per sentimento di fedeltà al loro legittimo Sovrano, rifiutarono di sottomettersi all’usurpatore, sono fatti d’incontestabile notorietà.

A tante nequizie non va disgiunto il più perfido sistema tendente ad abbattere la religione ed a corrompere la pubblica morale, sistema sotto il quale, non meno che gli altri popoli d’Italia, gemono i nostri sudditi, che si distinsero sempre nella grande loro maggioranza per ossequio alla fede cattolica e per attaccamento al loro legittimo Sovrano.

Profondamente dolenti di un tale stato di cose, sentiamo l’obbligo in noi di alzare di bel nuovo, anche in nome di questa stessa maggioranza, la nostra voce contro il recente atto dal re Vittorio Emanuele commesso in opposizione diretta a tutti i principii di onestà ed a tutti i trattati internazionali comprensivamente quello di Zurigo; e facciamo un nuovo appello alle Potenze amiche, le quali, vogliamo esserne certi, finiranno col vendicare tante ingiustizie.

Conscii finalmente della validità dei nostri diritti sullo Stato affidatoci dalla Divina Provvidenza, ed ereditato dai nostri maggiori, e penetrati del pari di quanto dobbiamo ai nostri successori, ci dichiariamo risoluti di cogliere ogni occasione che ci si presenti propizia per rientrare al possesso, e ricondurvi coll’ordine il nostro legittimo governo; cosi richiedendo l’onore ed il dovere,

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non meno che il sentimento d’affezione la più sincera che serbiamo sempre al nostro paese nativo, ed ai nostri amatissimi sudditi, un gran numero dei quali non cessa di darci, con costanza veramente ammirabile, prove di fedeltà e di devozione.

Vienna, 30 marzo 1861.

FRANCESCO m. p.

PROTESTA DELLA DUCHESSA DI PARMA

CONTRO IL REGNO D’ITALIA

Noi Luigia Maria di Borbone, reggente degli Stati di Parma pel duca Roberto I.

Per le nostre dichiarazioni datate da S. Gallo il 20 giugno 1859 e da Zurigo il 28 marzo 1860, abbiamo protestato contro l’usurpazione degli Stati del nostro annuissimo figlio il duca Roberto 1, usurpazione commessa da S. M. il Re di Sardegna e che si voleva far credere provocata dal libero voto delle popolazioni.

Quest’usurpazione essendosi estesa a quasi tutta la Penisola, il Re di Sardegna ha assunto il titolo di Re d’Italia.

Contro quest’ultimo atto, che conferma tutte le usurpazioni compiutesi nel breve giro di due anni, a danno dei legittimi Sovrani d’Italia, e che ha lesi nuovamente i diritti sovrani del nostro figlio, principe italiano, noi abbiamo il dovere di. protestare, come solennemente protestiamo, facendo così un nuovo appello ai sentimenti di giustizia, delle Potenze amiche, le quali certo non possono vedere con occhio indifferente gli oltraggi ripetuti alla fede dei trattati. Dal castello di Wartegg, in Isvizzera, addì 10 aprile 1861.

Firmata: LUIGIA.

PROTESTA DELLA SANTA SEDE

CONTRO IL REGNO D’ITALIA

(Dalla Perseveranza di Milano)

Roma, 15 aprile 1861.

Un Re cattolico,Rolex Replica ponendo in obblio ogni principio religioso, sprezzando ogni diritto, calpestando ogni legge, dopo avere spogliato a poco a poco il Capo augusto della Chiesa cattolica della più grande e florida parte de’ suoi legittimi possedimenti, oggi assume il titolo di Re d’Italia. Con ciò egli vuoi porre il suggello alle usurpazioni sacrileghe da lui già compiute, e che il suo governo ha già manifestato di completare a spese del patrimonio della Santa Sede.

Quantunque il Santo Padre abbia solennemente protestato ad ogni nuova impresa con cui recavasi offesa alla sua sovranità, e’ non è meno in obbligo oggi di fare una nuova protesta contro l’atto col quale si prende un titolo, lo scopo del quale è di legittimare l’iniquità di tanti atti anteriori.

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Sarebbe superfluo il ricordare la santità del possesso del Patrimonio della Chiesa ed il diritto del Sovrano Pontefice su questo Patrimonio, diritto incontestabile riconosciuto in ogni tempo e da tutti i governi, e da cui deriva che il Santo Padre non potrà mai riconoscere il titolo di Re d’Italia, cui si arroga il Re di Sardegna, giacete tale titolo lede la giustizia e la sacra proprietà della Chiesa. Non solo non può riconoscerlo, ma ancora protesta nel modo più assoluto e più formale contro una simile usurpazione.

Il Cardinale segretario di Stato sottoscritto prega V. E. di voler portare a cognizione del suo Governo questo atto fatto in nome di S. S. , tenendosi certo ch’esso ne riconoscerà l’assoluta convenienza, e che, associandosi ad una tale determinazione, contribuirà, colla sua influenza, a por fine allo stato di cose anormale che da sì lungo tempo desola la sventurata Penisola. Coi sentimenti, ecc.

Cardinale ANTONELLI

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_01_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html

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