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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (VII)

Posted by on Set 6, 2024

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (VII)

LA FESTA NAZIONALE DELL’UNITA’ D’ITALIA E DELLO STATUTO (Pubblicato l’8 e l’11 maggio 1860).

Questione Atmosferica.

Nel N. 109 dell’armonia abbiamo riferito la legge del 5 di maggio 1861, là quale, in nome d’Italia-e della libertà, obbliga tutti i Municipii del Regno a festeggiare nella prima domenica del mese di giugno di ogni anno una Festa Nazionale per celebrare l’Unità d’Italia e lo Statuto del Regno. Ora gioverà discorrere alquanto di questa festa, della cui istituzione parlerà certamente la storia. Ma non è libero ad un giornalista il censurarla, giacchè quando ?il Senato e la Camera dei Deputati hanno parlato?, la lite è finita. Ci sarà permesso tuttavia di metterci davanti gli Alti Ufficiali del Parlamento e ripetere altalenera ciò che dissero i Deputati ed i Senatori.

Noi giudichiamo della massima importanza il registrare certe confessioni degli onorevoli legislatori. Il 5 di maggio del 1851 pubblicavasi in Piemonte una legge che imponeva al nostro popolo di celebrare la festa dello Statuto. Questa legge diceva all’articolo 2?: ?Tutti i Municipii dello Stato celebreranno la festa nazionale, presi gli opportuni concerti colle autorità ecclesiastiche per la funzione religiosa?. Nelle discussioni che ebbero luogo in Parlamento si era ripetutamente dichiarato che quest’articolo non obbligava il Clero a cantare, né a festeggiare. Tuttavia, nel 1860, Cardinali, Vescovi, Vicari generali, Parrochi vennero imprigionati, processati, condannati perché non vollero celebrare la festa dello Statuto.

Il Governatore delle Romagne, il 4° di febbraio del 1860, avea decretato: ?Si manda pubblicare la legge 5 maggio 1851 relativa alla festa dello Statuto?. Venuto il giorno di questa festa, l’egregio Vicario Generale di Bologna Monsignor Rata non si sentì in coscienza di poterla celebrare, e fu arrestato, e fu processato, e fu condannato il 4 di luglio del 1860 a tre anni di carcere ed alla multa di lire duemila,

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?considerando, diceva la sentenza, che le autorità tutte ecclesiastiche e municipali debbono prestarsi alla celebrazione della funzione religiosa per la festa dello Statuto?. Il primo frutto della libertà che entrasse in Romagna fu d’imprigionare chi non volea festeggiare la libertà!

Ora si riconosce che quelle condanne non andavano bene. Il ministro Minghetti non potè biasimare nelle Camere que’ Vescovi e que’ Parrochi, alla cui coscienza ripugnava ?di offerire preghiere a Dio in favore di un Governo, e per la conservazione di un ordine di cose, al quale forse nell’intimo del loro cuore ripugnavano?. Anzi il Ministro dovette riconoscere che i processi fatti per ciò contro quei Vescovi e contro que’ Parrochi produssero conseguenze deplorabili sotto il punto di vista morale, e che ferivano la coscienza di molti cittadini (1). Per la qual cosa propose una nuova legge, che, tolta ogni obbligazione al Clero, la lasciasse intera ai Municipii.

Questa legge fu discussa primieramente dal Senato del Regno nella tornata del 20 di aprile 1861. La discussione fu breve. Il Senatore Chiesi parlò il primo e disse: ?Il silenzio del Clero nel progetto di legge fa sì chela festa nazionale non sia obbligatoria per le autorità ecclesiastiche? (Atti Ufficiali del Senato, N. 36, pag. 118). Però il Senatore Chiesi voleva che la legge fosse obbligatoria per la Guardia Nazionale e per gli studenti. Ecco le sue parole.

?lo credo che importi il dichiarar francamente ed esplicitamente che tutte le autorità sì civili che militari, la Guardia Nazionale, i corpi dell’esercito ed in special modo il corpo insegnante e gli studenti debbano concorrere a questa festa nazionale. Dico che importa che anche il corpo insegnante e gli studenti concorrano a questa festa nazionale. La scolaresca è il fiore e la speranza dei popoli, e lo è molto più la scolaresca italiana che, nelle sante guerre della nostra indipendenza, diede sì luminose prove di abnegazione, di carità patria, di eroismo?.

Ma la festa cessando di essere religiosa non si sapeva che cosa fosse, e dove dovesse consistere. Il senatore Alfieri notò che in alcuni luoghi ?le feste non saranno altro che un’illuminazione o qualche cosa di simile. Che cosa s’intenderà allora per questo concorso di tutte le autorità, della Guardia Nazionale, ecc. ? Che debbano andare in giro a visitare l’illuminazione??

Né parve giusto al senatore Montanari che i magistrati nella festa dell’unità italiana e dello Statuto andassero vestiti in toga a passeggiare per la città e a contare i lumi delle finestre. Il Montanari diceva:

?II Ministero nella sua relazione indicava che sarebbe una festa civile-politica; indicava che poteva questa festa consistere in riviste di truppe, in tiro al bersaglio, in mostre di belle arti, od in mostre d’industria; quindi gli pareva che essendo di tal natura la festa, e variando secondo i luoghi ed i Municipii, non si potesse richiedere che i magistrati ed i professori intervenissero in toga a manovre militari, esercizi di tipo militare, o simili; né sapeva intendere come i magistrati in corpo ed in toga potessero partecipare ad una mostra di belle arti, di industrie, o che so io?. A queste poche parole si ridusse tutta la sostanza della discussione di quel Senato, in cui sono raccolti i lumi dell’intero regno d’Italia una ed indivisibile.

(1) Atti Uff. della Camera dei Deputati, N” 106.

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Non fu l’atta variazione di qualche importanza al disegno ministeriale, e venne approvato con 72 voti favorevoli e 7 contrari su 79 Senatori votanti.

Di maggior momento fu invece la discussione che ebbe luogo il 7 di maggio nella Camera dei Deputati, dove, a proposito del Regno d’Italia, si parlò molto del vento e della pioggia. Il Fischietto del 7 di maggio trasse argomento da quella tornata d’un suo primo-Torino e compendiò la tornata ?nella quale trattandosi di festeggiare l’unità d’Italia e lo Statuto del Regno, si convenne dalla maggioranza nel desiderio lodevolissimo d’essere meno bagnati?.

Il timore del bagno fu un argomento che potè assai sull’Assemblea. La discussione si può dividere in tre parti, parte atmosferica, parte politica e parte religiosa. Riservandoci a dire in un prossimo articolo delle ultime due parti, in questa discorreremo della prima. Per una fatalità che diè molto a pensare, tutti gli anni il giorno della festa dello Statuto, e principalmente nel momento della funzione religiosa, veniva giù l’acqua a scrosci. I giornalisti che avevano preparato un articolo sui bel sole d’Italia, si trovavano in fin dei conti con un pugno di mosche.

Un anno gli accorsi alla festa dello Statuto essendosi molto inzaccherati, l’Armonia ne fe’ cenno in un suo articolo, e s’ebbe un processo con multa e prigionia; e i nostri avversari ci appiccarono il titolo di giornale di Fango. Pazienza! Da quel giorno in poi, noi parlando della festa dello Statuto, dicevamo sempre che v’era stato qualche onorevole bagnato, ma che l’avea bagnata il sole!

Intanto cotesta faccenda della pioggia seccava i precordi agli italianissimi, ed era già stata presentata alla Camera una petizione, perché togliesse la festa dello Statuto dalla seconda domenica di maggio, affine di provare se il mese di giugno volesse mostrarsi un po’ più italiano. Colta questa opportunità della festa sull’unità d’Italia, il mese di maggio fu esautorato, e trasportata la festa al giugno successivo. L’onorevole Deputato Mauro Macchi, il 3 di maggio, così parlava della pioggia reazionaria, secondo gli Atti uff. della Camera, N. 106, pag. 390:

?Il fatto costante ha provato che in quella seconda domenica di maggio in questi paesi piove (Ilarità). è un fatto costante, e siccome vi sono dei nemici maligni e superstiziosi, ad ogni anno bisognava sentirsi ripetere: Ha piovuto! Ha piovuto 1 (Ilarità generate}.

?La cosa avvenne con una costanza tale, che coloro i quali hanno tenuto dietro alle discussioni dell’antico Parlamento subalpino devono ricordarsi come buona parte dei Deputati, nell’occasione in cui fu sporta al Parlamento una petizione in proposito, ne fece soggetto di grave discussione. Tuttavia fu deciso che, malgrado la pioggia, non conveniva scegliere un altro giorno; perché, si disse, se mai per disavventura cambiando il giorno della festa avvenisse che in quel giorno piovesse pur sempre, ciò darebbe maggior ansa ai superstiziosi nemici nostri di far troppe risa e di annoiarci con troppo grossolani sarcasmi.

Per il che, se io fossi stato allora deputato, avrei anch’io votato contro quella proposta.

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?Ora però il Governo non è vincolato da questo precedente, esso vuole fare una festa nuova; non è più una festa subalpina, è una festa italiana. Essendo libero, esso ha scelto un altro giorno. E poiché sappiamo che nella seconda domenica di maggio di solito cadono le piogge primaverili, fu scelta la prima domenica di giugno. Certo è che eziandio in questa prima domenica di giugno può piovere, ma scema il pericolo a misura che noi ci scostiamo da quell’epoca impropizia?.

Questa ragione della pioggia, questa esperienza di tredici anni fu pur toccata dalla Giunta che esaminò il progetto di legge, Giunta composta dei deputati Acquaviva (nome significante trattandosi della pioggia!), Menichetti, Leopardi, Mureddu, Atenolfi, Negrotto, Barracco, Ferrari e Macchi. Questi onorevoli dissero così:

?Le antiche provincie subalpine usavano festeggiare nella seconda domenica del maggio quello Statuto, di cui esse prime ebbero la fortuna di godere i beneficii, e che ora divenne la legge fondamentale della già emancipata Italia.

?Ma un’esperienza di tredici anni provò tale stagione meno propizia a feste popolArt. Per il che, potendo ora gl’Italiani festeggiare, non soltanto Io Statuto che li fa liberi, ma eziandio que’ mirabili fatti che complessivamente concorsero a raccoglierli quasi tutti in una sola famiglia, il Governo stimò più opportuno stabilire per tale solennità la prima domenica del giugno?.

Tuttavia il mese di maggio ebbe un difensore nella Camera, e questi fa il deputato Chiaves che si dichiarò contro il mese di giugno. Ecco la sua apologia del mese di maggio.

?Si portò la ragione, e l’ho veduta citata dalla Commissione, la ragione meteorologica, atmosferica; si dice: in maggio piove (Ilarità), o minaccia di piovere; ma potrà piovere anche in giugno; ma piove in maggio più facilmente, sembra dire l’onorevole Marchi nella sua relazione (Si ride).

?lo a questo riguardo debbo osservare-che negli anni scorsi si è sempre temuto che le vicende atmosferiche si sarebbero opposte all’effettuazione di questa festa, ma non vi si sono opposte mai, e tutto ciò che si doveva fare si è sempre fatto; vi è stata qualche minaccia di pioggia, ma ciò poco monta. e poi non è questa una ragione per cui si debba festeggiare l’unità d’Italia alla prima domenica di giugno, quando in questo giorno non vi è alcun fatto speciale che debba essere commemorato, e l’unità non è compiuta. Piova adunque, o minacci di piovere, preferirei sempre, allo stato delle cose, il nulla innovare a questo proposito?.

Tra il deputato Chiaves e il deputato Macchi che battagliavano l’uno pel mese di maggio, e l’altro pel mese di giugno, sorse il deputato Bruno e propose che la festa dell’unità d’Italia e dello Statuto non si accordasse né a maggio, né a giugno, ma al mese di marzo. ?Propongo alla Camera, disse egli, il deferimento di questa solennità all’epoca di marzo?. E il deputato Bruno esponeva alla Camera le seguenti ragioni in favore del suo marzo prediletto:

?O signori, conveniamo che, se la parte settentrionale dell’Italia trova utilissimo che nel mese di giugno si faccia questa festa, ricordiamoci che abbiamo

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nelle estremità meridionali della Penisola terre quasi africane, dove nel mese di giugno vi è un caldo da morire (Ilarità}. Ricordiamoci che a Roma dove noi dobbiamo andare ed andremo, nel mese di giugno l’aria non è al certo balsamica?.

Così mentre si vuole istituire una festa per celebrare l’unità d’Italia, ne’ trecento sessantacinque giorni dell’anno non si trova un giorno solo, in cui l’Italia sia una, perché quando fa caldo in un luogo, fa freddo nell’altro; quando il cielo è sereno di qua, piove di là; e le stagioni in Torino hanno un corso diverso dalle stagioni di Roma e di Napoli.

Intanto il mese di giugno sbaragliò i mesi di marzo e di maggio, e la questione atmosferica fu vinta dal primo. Tratteremo domani della questione politica.

II.

Questione politico-religiosa.

Il primo Parlamento d’Italia, ricco di tanti ingegni, di tanti politici e di sì profondi pensatori dopo d’aver lungamente disputato se la festa dell’unità d’Italia si dovesse stabilire in maggio, in giugno o in marzo, e in quale di questi tre mesi piovesse meno, passò a considerare l’istituzione della festa medesima sotto il rispetto religioso e politico.

Il deputato Chiaves parlò il primo, e alcune parti del suo discorso vogliono essere riferite secondo gli Atti ufficiati della Camera. ?Signori, disse il Chiaves, l’unità d’Italia non è perfetta, e non si sa il perché noi dovremo celebrarla? (Atti Uff. N. 105, pag. 388).

Abbiamo letto or ora una bella definizione di quest’unità d’Italia, di cui venne istituita la festa. Il signor Guerrazzi in un discorso detto a Quarto, il 5 di maggio, nella festa anniversaria della partenza di Garibaldi per la Sicilia, diceva così: ?Questa, che adesso comparisce unita, non è Italia, bensì aggregato di popoli simile affatto al cumulo del grano su l’aia della villa, dove gli uccelli beccolano, e le formiche portano via? (Diritto, N. 129, 10 maggio). E quanti uccelli beccolano, quante formiche portano via in questa nuova Italia! L’uccello Bastogi, che ci ha l’aria d’uno sparviero, porta via a 700 milioni per volta!

Il Chiaves non sapeva capire la legge che stabilisce la festa dell’unità d’Italia: e Una leggo, diceva egli, la quale venga a stabilire una festa nazionale in un determinato giorno, al qual giorno non si riporti, né uno speciale voto, né un sentimento, né un affetto del popolo, mi sembra, mi si perdoni, di vedere una legge, la quale comandi una manovra, anziché stabilire una festa popolare; ond’è ch’essa non è punto nel vero e nel ragionevole.

?Il signor ministro probabilmente, pensando di fare una festa nazionale, ha preso il calendario tra le mani, l’ha percorso, e, giunto alla prima domenica di giugno, gli sarà balenato un pensiero color di rosa, ed avrà detto fra sé: questo è appunto il giorno in cui voglio si stia di buon umore dalle Alpi al Lilibeo (Ilarità)? (Atti Uff. N. 106, p. 289).

E qui sopraggiunse nella Camera una seria disputa se la pace di Villafranca fosse avvenuta in giugno od in luglio. Raccogliamo dagli Atti Ufficiali quest’importante discussione.

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Chiaves. e Se non vado errato, nel mese di giugno ebbero luogo i preliminari del trattato di Villafranca.

Voci. Noi no! In luglio.

Chiaves (Rivolto ad alcuni deputati}. In luglio il trattato, ma i preliminari ebbero luogo in giugno.

Presidente. La prego di parlare alla Camera.

Foci. No! no! Non è in giugno.

Chiaves. Sbaglierò; ad ogni modo non credo che vi sia in ordine a questo mese di giugno un fatto, al quale possano tutti i popoli d’Italia annettere un concetto che rechi la necessità di questa festa della prima domenica del mese?.

Del reato la legge non accenna a nessuna festa religiosa. E di ciò fortemente lagnavasi il deputato Chiaves.

?Si vuole che non s’accenni in questo progetto di legge ad una funzione religiosa? E come si può comprendere che le popolazioni d’Italia diano una importanza essenziale e quale si merita a questa festa, non accennando pure nella legge ad una funzione religiosa?

?Si vuole che in un determinato giorno tutto il popolo si concentri con una certa solennità nel concetto dell’indipendenza nazionale ricuperata. Ma, signori, non è una stilata di Guardia Nazionale, non è un fuoco artificiale, e non è una corsa di cavalli ove il popolo potrà raccogliersi, concentrarsi a quel modo e riflettere a tutto che vi è di solenne in questa commemorazione, ma tutti i suoi sentimenti si sentiranno scossi nell’affetto di patria, quand’egli assisterà ad una funzione religiosa? (Atti Uff. I. e.)

Il sig, Gallenga trovò un po’ di contraddizione nel conte di Cavour, che una volta supplicava il Papa Pio IX perché abolisse una parte delle nostre feste, ed ora ne stabilisce delle nuove, e lagnossi che le feste abolite sieno tuttavia in molti luoghi ancor celebrate per rendere omaggio al Papa che ne dava il consiglio. Udite il Gallenga:

?Uno dei difetti gravi degl’Italiani è quello di amare soverchiamente le feste. Abbiamo memoria di tempi non remoti in cui in Italia, ed anche al giorno d’oggi in alcune parti d’Italia, tra le feste religiose e le altre, restava assorbito un terzo dell’anno. In Piemonte si sono abolite, di consenso colla Chiesa, alcune feste religiose, per cui si è ridotta la cosa ad una condizione comportevole; io domando, a coloro che conoscono il paese, se l’abolizione delle feste religiose in tutte le parti del Piemonte sia stata messa in esecuzione. Nel Piemonte si onorano le feste che il Governo permette, ma in altre parti dello Stato, e sopratutto nella Liguria, bene spesso si celebrano quelle feste le quali furono abolite? (Atti Uff. N. 106, pag. 390).

Il deputato Michelini non seppe capire in che cosa consisterebbe la festa dell’unità d’Italia, e trovò la legge incongruente.

?Esaminiamone gli articoli, disse egli. Il primo dice che si farà una festa; ma in che cosa consisterà questa festa? Il dire unicamente che si farà una festa, secondo me, è dire niente; è locuzione priva di senso. L’articolo 2° dice che i municipi del regno festeggeranno questo giorno, presi gli opportuni concerti colle autorità governative. Domando anche qui in che cosa consisterà questo festeggiamento. Quale sarà la norma secondo cui si giudicherà se i comuni avranno adempiuto al precetto?

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E quale opinione potremo noi formarci di una prescrizione legislativa che è mancante di sanzione, che non puossi nemmeno sapere se sia stata violata o no? Finalmente l’articolo 3″ dice che si stanzieranno fondi ne’ bilanci comunali per celebrare la festa. Ma anche questo è dir niente, finché non si stabilisca quali somme debbano essere stanziate da ogni comune, sia dividendoli in categorie, sia in altra guisa; perché altrimenti pochi soldi basterebbero per soddisfare al prescritto della legge?.

E poi il deputato Michelini venne fuori con un argomento cornuto che merita d’essere riferito, ed è il seguente:

?Del resto, il desiderio dell’unità e l’amore allo Statuto sono radicati nel cuore o nonio sono. Nel primo caso le feste sono inutili, nel secondo non giovano a far nascere quell’amore e quel desiderio! Forse che le famose feste di luglio hanno prolungato di un’ora il regno di Luigi Filippo in Francia? Per altra parte la libertà durò inconcussa in Inghilterra dopo la rivoluzione del 1688 senza la necessità delle feste. Conchiudo dicendo doverci respingere ogni festeggiamento obbligatorio; ma doversi lasciare agli individui ed ai comuni la libertà di celebrare la festa se, quando e come vogliono?.

Finalmente il deputato Alfieri fe’ qualche buona osservazione sull’obbligazione di celebrare una festa in onore della libertà. Ecco le sue parole:

?Le feste, o signori, non si creano, esse sono l’espressione dei sentimenti popolari, e perciò io credo che, se vi ha una violenza veramente inqualificabile fatta contro la libertà degl’individui, è quella d’imporre loro un sentimento a giorno ed ora fissa. Se ho veduto con rammarico in molte circostanze vincolata la manifestazione del pensiero, finora non aveva ancor veduto imporre che in un tal giorno gl’individui debbano pensare ad una tal cosa, e pensarci con allegria e manifestarvi il loro giubilo (Bisbigli).

?Certamente, trattandosi di una festa pubblica, sarebbe più naturale che si stabilisse di comune consenso un giorno, ma se si riguarda al principio, credo non si sia mai portato tant’oltre la violazione della libertà; perciò io credo che violare la libertà del sentimento sia la maggiore delle infrazioni delle libertà umane?.

E noi conchiuderemo quest’articolo riassumendo le considerazioni degli onorevoli. Dalle quali risulta:?,

1° Che si celebra la festa dell’unità d’Italia senza che l’Italia sia unita;

2° Che la festa dell’unità d’Italia è una festa libera, ma una festa obbligatoria;

3° Che coloro i quali non osservano e non fanno osservare le feste della Chiesa, votano leggi per istabilire feste politiche;

4° Che si reputa necessaria una legge per obbligare il popolo d’Italia a festeggiare ciò che si dice essere il suo voto e le sue aspirazioni di tanti secoli;

5° Che in nome della libertà si comanda perfino l’allegrezza; e si viola la libertà del sentimento;

6° Che, come diceva il deputato Michelini ?le famose feste di luglio non hanno prolungato d’un’ora il regno di Luigi Filippo in Francia?.

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LA FRANCIA E IL REGNO D’ITALIA

(Pubblicato il 14 giugno 1861).

Fu detto e ridetto dai giornali e dal telegrafo che Napoleone III è presso a riconoscere il regno d’Italia. Questa notizia sarà? può essere? E desiderabile che sìa? Ecco alcune domande, a cui daremo una breve risposta.

Il cosi detto regno d’Italia ha Roma per capitale, come fu definito in tre tornate dalla Camera di Torino. Se Napoleone III riconosce il regno, riconosce anche la capitale, e deve ritirare le sue truppe da Roma. Ma questo sarà? A noi sembra di no. Se Napoleone lo volesse, la Francia non lo permetterebbe. Dopo il richiamo delle truppe francesi dalla Siria, il Bonaparte sarebbe spacciato se lo richiamasse anche da Roma.

Di poi la ricognizione del regno d’Italia da parte della Francia trarrebbe con sé l’aperta distruzione dei preliminari di Villafranca e del trattato di Zurigo. Or bene Napoleone III avrà dei colloqui a Plombières, dei convegni coi Pepoli, coi Cipriani, coi Nigra, darà delle licenze a Farini ed a Cialdini in Ciamberì, ma cercherà sempre di mettersi al coperto, e di poter dire nel Moniteur. — Io non ho fatto nulla; sono stato fedele alla mia parola; e deploro tutto ciò che è avvenuto. —

Inoltre la ricognizione del regno d’Italia servirebbe ad emancipare gl’Italiani dalla Francia, e Napoleone III non vuole, perché desidera d’avere in pugno le sorti della penisola, ordinarvi i ministeri, prescrivervi le leggi, comandarvi a bacchetta, e ora dire alla rivoluzione: Ti abbandono. — Ora minacciare all’Europa di scatenarle contro la rivoluzione.

E finalmente il Bonaparte nella sua accortezza è stato il primo a richiamare da Torino il suo ambasciatore, e vorrà essere certamente l’ultimo a farsi rappresentare nel Regno d’Italia, dopo la Russia, dopo la Prussia, dopo la Spagna, è diremmo quasi, dopo l’Austria. Possiamo andare errati ne’ nostri pronostici, ma non crederemo che Napoleone III riconosca il regno d’Italia, se prima noi veggiamo riconosciuto dal Governo austriaco. è possibile che questo avvenga?

Il regno d’Italia non si è trovato mai in termini così deplorabili come presentemente, senza danari, senza uomini, con tante reazioni e tanti disordini a Milano, a Firenze, a Pisa, a Napoli, in Sicilia. E volete che Napoleone III colga appunto quest’occasione per riconoscerlo? In tal caso egli direbbe chiaro e tondo: ecco l’opera delle mie mani. E il Bonaparte non l’ha mai detto, e noj dirà.

La Francia non si è trovata mai in condizioni così pericolose come oggidì: dissesti finanziari, malcontento generale, l’opposizione che leva il capo dappertutto, le passioni scatenate, i partiti pieni di speranze e di ardimenti, l’Europa sospettosa e colla mano sull’elsa della spada. E volete che il Bonaparte cresca ancora questo cumulo d’impicci, riconoscendo il nuovo regno?

Finché il regno d’Italia non è riconosciuto dalla Francia, questa può sempre sperare un ingrandimento simile a quello di Nizza e Savoia.

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E queste speranze Napoleone II I non le vuole distruggere, perché lusingano l’amor proprio dei Francesi, e gli servono molto pei suoi fini.

L’Inghilterra ha riconosciuto il Regno d’Italia per imbrogliare la Francia, perché gl’Inglesi fanno sempre tutto l’opposto dei Francesi; e se Napoleone III si piegasse a riconoscere egli pure il nuovo Regno, sarebbe tenuto in conto di una seconda disfatta nel campo diplomatico, simile a quella toccata nella questione della Siria.

Per tutte queste ragioni può dirsi che il Regno d’Italia non sarà tanto presto riconosciuto dal Buonaparte. E se lo fosse non sarebbe poi un gran danno pei conservatori, giacché allora si saprebbe cho cosa pensa e che cosa vuole Napoleone II I; e certe persone cessano di essere formidabili quando sono conosciute.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_01_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#Senato

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