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La Grande Bugia di William Gladstone

Posted by on Set 23, 2024

La Grande Bugia di William Gladstone

Nel dicembre del 2023, Vincenzo Giannone pubblica, presso Alelio Editore, un’importante ricerca su Carceri e Carcerati a confronto nel Regno di Napoli e negli altri Stati nel XIX secolo.  L’argomento intorno a cui ruota il volume è la pubblicazione, nel 1851, da parte di William Gladstone, di due lettere a Lord Aberdeen. Esse hanno dato origine a più dibattiti nel Parlamento inglese e sono state tradotte in varie lingue. In Piemonte, le ha tradotte Giuseppe Massari, esule napoletano a Torino e futuro relatore della Commissione d’inchiesta parlamentare sul brigantaggio.

Gladstone sostiene che ci sono, nelle Due Sicilie, due movimenti politici in violenta contrapposizione, quello che si batte per la libertà e quello che si batte per la difesa dell’ordine costituito. Il governo, secondo Gladstone, è considerato dai sostenitori dell’obiettivo della libertà come “la negazione di Dio eretta a sistema di governo”. I motivi sono spiegati nella lettera: i prigionieri politici gli sono stati stimati tra 15.000, 20.000 e 30.000, ed egli propende per ritenere che la stima corretta sia 20.000. Su di questi viene usata la tortura, vengono legati a due a due con catene, subiscono lunghi periodi di carcere prima del processo, etc. Infine, il governo manderebbe in prigione anche persone, come Carlo Poerio o Luigi Settembrini o Sigismondo Castromediano, che non avrebbero commesso reati penali, ma solo reati di opinione.

Giannone analizza sia il dibattito nel Parlamento inglese sulle prigioni duosiciliane del 1851, sia quello sulle prigioni italiane, del 1863, e riferisce le molte smentite delle affermazioni di Gladstone che portano quest’ultimo a ritrattare parte delle proprie affermazioni.

Giannone compara i sistemi carcerari europei prima delle lettere di Gladstone, nel corso del primo dibattito nel Parlamento inglese e dopo la costituzione dell’Unità d’Italia quando i Sabaudi riempiono le prigioni di Meridione e Sicilia di decine di migliaia di prigionieri politici, molti di più del numero stimato da Gladstone.

Da queste comparazioni, emerge con evidenza che quella di Gladstone è un’operazione politica tendente a mettere in cattiva luce il governo dei Borbone con l’accordo di Lord Palmerston e l’aiuto del fratello di questi, ministro inglese a Napoli. Quest’ultimo gli presenta gli oppositori al governo borbonico e lo fa parlare solo con questi. Giannone ci mostra come le condizioni delle carceri inglesi (e di altri Stati Europei, tra cui il Regno di Sardegna) non fossero diverse, essendo forse anche peggiori, di quelle duosiciliane. Particolarmente significativa la rivelazione che, sotto il governo del “liberale” Palmerston, la tortura fosse legalizzata in India e utilizzata per riscuotere le imposte.

Il volume non si limita a trattare in modo esaustivo, con dovizia di documenti, il problema della verità e delle motivazioni delle dichiarazioni di Gladstone, perché i documenti e le testimonianze raccolte affrontano anche il ben più rilevante problema del liberalismo degli Inglesi e degli Italiani.

Tanto per incominciare il liberalismo di Palmerston è molto discutibile, oltre che per il motivo già accennato, per il fatto che, quando Luigi Napoleone compie il colpo di Stato che scioglie l’Assemblea Nazionale Francese, autorizza arresti illegali di repubblicani, indice un plebiscito e si proclama Presidente della Repubblica per 10 anni, Gladstone gli invia una lettera privata di congratulazioni per il trionfo. Venutosi a sapere della lettera, la Regina Vittoria e il Parlamento lo costringono a dimettersi da ministro degli esteri.

Analizzando la corrispondenza dei protagonisti italiani e inglesi della vicenda Gladstone, Giannone ipotizza che questa non ci sarebbe mai stata se i Borbone avessero liberato il primo o tutti i moderati, Poerio, Settembrini, Castromediano, che erano il volto presentabile della setta unitaria che li scavalcava ad ogni rivolta (nel 1848 e nel 1860) e che comunque avrebbero facilitato la manovra trasformista, nel caso di vittoria (cosa che poi è successa nel 1860). Palmerston e Gladstone erano, infatti, consapevoli che i settari erano una minoranza e non avrebbero mai vinto senza i legami trasformisti dei Poerio e degli altri moderati. E Palmerston vuole una Sicilia sottratta al dominio dei Borbone per poter tornare ad accedere allo zolfo siciliano ai bassi prezzi di cui avevano fino al 1835 goduto, prima dell’entrata in gioco dei Francesi.

Questa conclusione di Giannone rafforza le conclusioni a cui anche io sono arrivato con il volume Senza tocco di campane. Qui mostro che: 1) i Mille non erano mille perché, con i continui sbarchi arrivano ad essere 45.000, tra cui ci sono solo poche decine di esuli meridionali (tra le migliaia di fuoriusciti) e a cui si aggiungono (dopo Calatafimi) massimo 18.000 meridionali: 2) molti di questi 18.00 sono gabellotti dei latifondisti e, di fatto, saranno il primo nucleo di quella che diventerà, poi, la mafia (É  stato Rocco Chinnici [il primo magistrato del pool antimafia ucciso dalla Mafia] a sostenere che la mafia prima dell’unità non esisteva, nacque dopo l’unità ed è ancora lì); 3) Vincenzo Padula dichiara, a proposito dei tantissimi trasformisti, che “non mancano impiegati che, liberali furiosi, ma di bugiardo liberalismo, prima di ottenere un posto, ora si mostrano, come furono sempre, cagnotti preti, commettendo atti discordi da libere istituzioni ed incredibili in tempi civili”.

Questi tre punti smentiscono i presupposti su cui si basa il volume di Carmine Pinto, La guerra per il Mezzogiorno, nel quale si narra di: 1) fratture tra liberali e assolutisti risalenti al 1792, anno in cui la flotta francese arriva nel Golfo di Napoli (fratture che hanno espresso elevati livelli di brutalità nella storia meridionale); 2) liberali meridionali molto più numerosi dei resistenti nelle prigioni militari e dei briganti stessi; 3) una forma di guerra civile endemica che, ogni tanto, esplodeva in rivolte con i suddetti livelli di brutalità.

Queste e altre sono affermazioni false e contradditorie: la prima perché i settari erano minoranze e i livelli di brutalità sono stati simili a quelli di tutta Europa; la seconda perché solo i trasformisti e i camorristi sono stati molto più numerosi di resistenti e briganti; la terza perché non può essere definito “guerra civile” alcun fenomeno endemico.

Giuseppe Gangemi

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