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Gaetano Cingari e il metodo comparato diacronico

Posted by on Ott 21, 2024

Gaetano Cingari e il metodo comparato diacronico

Se si confronta la tesi di laurea di Gaetano Cingari (Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799) e il successivo volume (Problemi del Risorgimento meridionale che narra del 1860 in Calabria) si riscontra che sono scritti in parallelo, a parte un intermezzo nel secondo volume (“Un utopista dell’Ottocento: Giuseppe Corvaja”). In sostanza, Cingari ha realizzato una comparazione diacronica, confrontando due successivi periodi di sollevazioni popolari: il 1799 e il 1860 in Calabria. Il confronto gli ha permesso di individuare gli elementi di continuità e quelli di discontinuità.

Nel 1799, i Giacobini si erano formati in modo del tutto astratto perché non avevano alcuna conoscenza dei reali bisogni di quanti, nelle periferie, li sostenevano; essi chiedevano la costituzione solo perché riecheggiavano esperienze storiche francesi e non vedevano che le periferie prestavano “più interesse alle lotte municipali che alle grandi questioni che agitavano il Regno”; spesso borghesi e possidenti aderirono alla Repubblica e poi passarono al sanfedismo solo per posizionarsi al meglio nella competizione per i beni degli appartenenti alle altre fazioni; quanti si dichiararono repubblicani all’arrivo dei Francesi, spesso non erano Giacobini e, di conseguenza, all’arrivo dei Sanfedisti, molti di essi non ebbero difficoltà a passare dalla parte del cardinale; più che essere interessati alla rivoluzione, erano interessati a difendere i propri interessi o aumentare le loro ricchezze; più determinante dell’apporto al sanfedismo di veri e propri briganti fu l’apporto dei galantuomini.

Nel 1848, i Democratici che avevano partecipato o appoggiato i moti popolari si erano formati sulla strategia di usare la carta costituzionale come strumento di penetrazione nell’apparato politico e amministrativo; solo una cinquantina tra i circa duemila esuli partirono con Garibaldi; molti dei cosiddetti “attendibili” sorvegliati dalla polizia per aver partecipato ai moti del 1848, all’arrivo dei Garibaldini erano rimasti incerti sulla strategia da usare.

Nel 1860, i più attivi e determinati a cambiare regime erano stati quel rilevante numero di famiglie della borghesia terriera che, negli anni Cinquanta, era passato nel campo liberale per reazione alla politica di Ferdinando II in tema di usurpazioni dei territori silani; molte famiglie che erano sempre state fedeli alla dinastia dei Borbone hanno sostenuto Garibaldi perché avevano maturato l’aspettativa di ottenere guadagni economici e sociali dalla caduta dei Borbone; queste famiglie furono molto attive nel convincere le loro reti di relazioni a salire, a vittoria ottenuta, sul carro del vincitore. È stato questo loro attivismo che ha posto, concretamente, le condizioni per il successo del moto insurrezionale.

Cingari concluse che vi è stata discontinuità tra i repubblicani napoletani del 1799 e il movimento democratico del 1848 e tra questo e il movimento antiborbonico del 1860.

È solo la tesi di uno storico, importante, ma non l’unico. Altre tesi sono state avanzate. All’opposto della posizione di Cingari si pone, per esempio, Carmine Pinto che sostiene che una continuità c’è stata nei movimenti antiborbonici dal 1792 al 1860.

Quello che, a mio avviso, rende molto più valida la tesi di Cingari è il fatto che essa sia stata argomentata nel modo logicamente più corretto possibile, usando la comparazione diacronica che altro non è che l’applicazione nella ricerca storiografica di uno dei canoni logici di John Stuart Mill: il canone della differenza.

Questo metodo è poco praticato dagli storici accademici italiani. Eppure, è il modo più credibile che esista per affermare l’esistenza di continuità o discontinuità tra gli attori sociali di due diversi periodi storici. Cingari questo lo aveva capito per via della sua laurea in Scienze matematiche, fisiche e naturali. In questi studi ha potuto conoscere i canoni della logica sperimentale che sono alla base dell’argomentazione nelle scienze naturali e in fisica. Per quanto Mill fosse convinto che non si potessero usare nelle scienze dell’uomo, in primis nella biologia, la ricerca scientifica successiva ha mostrato che i suoi canoni logici possono e debbano essere applicati anche nelle scienze non sperimentali.

Ha cominciato per primo Charles Darwin a smentire Mill in biologia. Darwin ha posto alla base della propria argomentazione due canoni di Mill (quello della differenza e quello della concordanza) e ne è uscito fuori una grande lezione di argomentazione logica: L’origine della specie. Poi, si sono prodotti altri testi che hanno esteso alle scienze dell’uomo l’uso dei canoni (cfr. Il metodo delle scienze storico-sociali di Max Weber).

Mentre il metodo comparato si diffondeva in tutta Europa, in Italia è avvenuto il contrario: sui pochi che si battevano per prendere da Darwin soprattutto il metodo argomentativo (Andrea Verga, Paolo Mantegazza) prevalsero quanti, come Cesare Lombroso, generalizzavano da un solo caso (Giuseppe Villella) a un’intera popolazione (i Meridionali atavici). Questo produsse una debolezza della dottrina positivista che ha favorito l’affermazione del neoidealismo crociano e gentiliano, filosofia che considerava matematica e scienze naturali come discipline che producevano pseudo conoscenza. E della rivoluzione logica operata da Mill, Darwin, Weber si parlò sempre di meno.

Solo con il rinascere dell’empirismo neopositivista la cultura italiana si è finalmente agganciata al treno europeo della riscoperta del metodo comparato e ha ritrovato il principio che tutte le scienze umane debbano aspirare ad acquisire il rigore logico delle scienze sperimentali.

Da ciò un revival per la logica di Mill. Nel 1957 è uscita la prima traduzione, mutilata, del Sistema di logica. Significativo il titolo: Come si ragiona. Nel 1968, il Sistema viene tradotto e pubblicato in versione integrale. Nel 1971, Giambattista Impallomeni parla dell’applicazione del metodo comparato nel diritto e, nel 1972, Giovanni Sartori pubblica un saggio sulla comparazione per lo studio della politica. Etc.

Ai miei occhi di storico formatosi alla lezione di Cingari e, col tempo e con gli studi, divenuto esperto di metodo comparato, fa molta impressione la debolezza delle argomentazioni logiche negli scritti degli storici più agiografici nello studio del Risorgimento o più denigratori nei confronti degli sconfitti. Di chi siano questi storici e dei loro metodi argomentativi, dirò in successive occasioni.

Giuseppe Gangemi

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