Francesco Crispi: un leader garibaldino e un capo di governo che divide ancora
In conclusione della novella Quarantotto, in cui si narra anche del 1860, Leonardo Sciascia si inventa un colloquio tra Ippolito Nievo, l’eroe garibaldino puro e senza macchia, e Giuseppe Garibaldi e fa dire a Nievo che crede nei Siciliani che parlano poco, nei poveri che salutano con un gesto stanco e nel colonnello Carini (personaggio inventato), ma non nel Barone Garziano (anch’egli inventato come prototipo di trasformista) e nemmeno in Francesco Crispi (proprio lui, quel Crispi di cui Cingari sottolinea che era indifferente al tema della democratizzazione del sistema finanziario).
A confermarci che Crispi è pieno di retorica, interviene Paolo Mantegazza per un episodio vero accaduto in Parlamento. Mantegazza, appartenente alla Destra storica, chiede la parola e argomenta con rigore logico circa il perché non occorra discutere l’indirizzo della Corona al Parlamento, ma solo approvarlo o bocciarlo (18 dicembre 1865). Crispi si sente chiamato in causa e si indispettisce: “agitando telegraficamente le sue braccia con violenza chiedeva ai vicini chi io fossi. E tutti mi guardavano – rispondendo a lui che non mi conoscevano – E quell’ignoto, quel quidam, osava mettersi di contro a un Crispi, al capo potente di tutto un partito!” (la Sinistra Storica). Due giorni dopo, Mantegazza, in un colloquio con il capo di stato maggiore dell’esercito, capisce che l’incidente con Crispi non è stato gradito.
Crispi piace ai poteri forti: imbattibile nella retorica, nei fatti, sa come e quando adeguarsi o fermarsi. Nel 1863, la Destra Storica approva la Legge Pica. Crispi non la vota, ma la maggioranza ha i numeri per imporla. La legge è palesemente incostituzionale in due punti: è valida solo per una parte del territorio nazionale e, quindi, viola il principio che tutti sono soggetti alla legge, a tutte le leggi; istituisce tribunali speciali (le Giunte Provinciali con Presidente il Prefetto) e, quindi, viola il principio che ognuno deve essere giudicato dal giudice naturale.
Scaduta la Legge Pica, l’imminenza della guerra all’Austria rende necessaria una legge per il domicilio coatto di ogni sospetto oppositore. Il 17 maggio 1866 la Camera approva la legge 2907 che Crispi definisce indispensabile. Ne sostiene la necessità con tanta decisione che non pochi si riferiranno a questa legge come alla Legge Crispi. La nuova legge toglie, ma solo sul piano formale, non su quello sostanziale, gli elementi di incostituzionalità della Legge Pica. Peggiora, per molti versi, la situazione in quanto colpisce il sospetto ancora più alla cieca.
Alla fine della seconda guerra d’indipendenza, durante la rivolta del Sette e Mezzo a Palermo, Crispi si guarda bene dall’andare in Sicilia. Era stato il capo dell’ala politica del movimento risorgimentale siciliana e aveva convinto Garibaldi a iniziare l’impresa dei Mille. I due capi dell’ala militare del movimento (Rosolino Pilo e Giovanni Corrao) erano finiti male per ‘Fuoco amico”.
Pilo, con circa 1.000 superstiti della rivolta della Gancia, si unisce ai Garibaldini dopo Calatafimi. Concordano di attaccare insieme le truppe borboniche a San Martino delle Scale. Qui, Pilo, mentre avanza alla testa dei suoi, viene ucciso con una pallottola alla nuca.
Corrao segue fedelmente Garibaldi fino alla fine, si guadagna i galloni di generale, entra nell’esercito italiano e lo abbandona per seguire Garibaldi in Aspromonte. Quest’ultima scelta gli viene fatta pagare: nei mesi successivi, viene continuamente arrestato con pretesti e, siccome non demorde, nel 1863, finisce ucciso da due carabinieri in borghese, probabilmente uomini dei servizi segreti.
Crispi, dopo il ritiro a Caprera di Garibaldi, diventa il leader riconosciuto della Sinistra Storica. Fino al 1876 la sua retorica non viene messa alla prova. Come presidente della Camera (1876-1877) non può fare molto. Come ministro dell’interno (1877-1878 e 1887-1888) si mostra poco garantista. Come presidente del consiglio (1887-1891) dichiara retoricamente di voler realizzare la riforma agraria, solo una versione minimalista della distribuzione di terre ai contadini siciliani che aveva firmato a Palermo il 2 giugno 1860. Non si impegna con troppa energia per superare le resistenze dei grandi proprietari terrieri. La sua riforma non avrà alcun effetto concreto.
Per i suddetti atteggiamenti, vari compagni di lotta cambiano opinione nei suoi confronti. Giuseppe Zanardelli lo apostrofa duramente dopo una richiesta di Crispi di interventi energici per ripristinare l’ordine: “Lei sta facendo un discorso di Destra. Vada a sedere sui banchi della Destra!”.
Al tempo dello scandalo della Banca Romana, dopo le dimissioni da capo del governo di Antonio Giolitti nel dicembre 1893, si aprono due candidature alternative contrastanti per occupare il ruolo di presidente del consiglio: Zanardelli favorevole a una posizione garantista e Crispi propenso alla repressione violenta dei Fasci Siciliani. Su Zanardelli pongono un veto i vertici militari. Questo spiana la strada a Crispi. Dopo di che, il nuovo presidente del consiglio paga il conto ai militari utilizzando l’esercito per reprimere la rivolta dei suoi corregionali.
L’ultima sua impresa è quella coloniale. Ad Adua, nel 1896, la sua carriera politica viene stroncata con la sconfitta, la più grave che un esercito europeo abbia mai subito in Africa.
Gaetano Cingari ci ha presentato Crispi come indifferente, ma anche incapace di capire l’utopista Giuseppe Corvaja e, con questo, la rilevanza sempre maggiore che hanno le banche con il continuo aumento del PIL. Crispi sa utilizzare il sistema bancario, ma al modo di Zanardelli a Brescia, come strumento per industrializzare il territorio, bensì per ottenere risorse per sé e per i propri amici: durante lo scandalo della Banca Romana, Giolitti si deve dimettere perché non ha rivelato i nomi dei politici corrotti. Tra questi nomi, pare fosse in prima linea soprattutto quello di Crispi. Non essendo stato rivelato questo coinvolgimento, Crispi può sostituisce Giolitti a capo del governo. Non certo per moralizzare (cioè democratizzare) il sistema finanziario.
Per la legge sul confino del 1866, per avere esibito una mano troppo leggera contro i proprietari terrieri e una mano troppo dura contro i Fasci Siciliani e, infine, per la politica coloniale, il fascismo lo glorificherà e lo considererà un precursore.
Giuseppe Gangemi