L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie
Al servizio segreto di Sua Maestà: lo sbarco dei Mille Tratto da libro: “L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie di Erminio De Biase
I fuochisti, cioè coloro che dovevano dar fuoco alle polveri, di certo non mancavano: bastava trovarli tra i fuoriusciti, tra gli esiliati e gli scontenti che ogni regime ha sempre generato. Costoro, poi, alle soddisfazioni, diciamo così, ideologiche avrebbero aggiunto in seguito anche benefici materiali quali, ad esempi carriera politica, posti di comando, agiatezza economica e sarebbero stati, al momento, affiancati nella loro opera da agenti inglesi che, sull’isola, si annidavano tra i numerosi addetti alle industrie dello zolfo e del vino di cui gli inglesi, da generazioni, detenevano, in pratica, il monopolio; come già detto, come punto di sbarco per i garibaldini sarà scelto, molto opportunamente, proprio il porto di Marsala, quell’angolo remoto e mezzo barbaro della Sicilia che pullulava di sudditi britannici.
Uno di questi prezzolati arruffapopoli, il cui compito era quello di favorire la missione di Garibaldi, si chiamava Giacomo Lacaita, ex procuratore della legazione britannica a Napoli, che successivamente, naturalizzato inglese, diverrà Sir James Lacaita, segretario privato prima di Lord Landsdowne e poi dello stesso Gladstone, per i servigi resigli al tempo delle famose lettere, alla cui stesura collaborò attivamente. Nell’estate del 1860 fece da mediatore presso Lord Russell, per convincerlo a premere su Napoleone III perché rinunciasse al progetto di impedire con la forza l’attraversamento dello Stretto di Messina a Garibaldi. Fino al 26 luglio, infatti, non era noto che il Governo Britannico si sarebbe rifiutato di unirsi a Francia e Piemonte, nel loro piano congiunto, di fermare Garibaldi e di far accettare al Borbone la perdita della Sicilia. Fino a quella data, Luigi Napoleone aveva sperato che Cavour avrebbe concluso un’alleanza con Napoli e che le grandi potenze sarebbero intervenute per fermare Garibaldi, pronto ad attraversare lo Stretto per dirigersi a Napoli. Poiché era a Londra, e solo a Londra, che si decideva ogni cosa (all’insegna dell’ormai più che collaudata neutralità nelle vicende italiane), l’intervento del Lacaita (che per i suoi meriti speciali, rientrato in Italia, nel 1876 fu nominato senatore) spianò, in pratica, al Generale la strada per Napoli, accelerando il suo passaggio dello Stretto.
Un altro illustre esule, nell’estate del 1859, lasciava Londra per la Sicilia ; egli era in possesso di un passaporto a nome di Manuel Pareda, negoziante, aveva folti baffi, larghi basettoni ed un paio di occhiali scuri. Il suo vero nome era Francesco Crispi, e il 26 luglio sbarcava a Messina, debitamente trasformato nell’aspetto in modo da sembrare un turista argentino ma, in realtà, proveniente da un paese in cui solamente un’organizzazione di un certo livello e non certo Mazzini e la sua sgangherata Giovine Italia potevano organizzargli un rientro clandestino così accuratamente congegnato: la Massoneria , nel cui programma politico era preminente il disegno della distruzione delle monarchie cattoliche, o lo stesso governo inglese, comunque due teste della stessa Idra. Era Francesco Crispi, dicevamo, nell’occasione sedicente combattente per la libertà; in futuro, massima espressione del più arrogante autoritarismo di regime. Verso fine secolo, infatti, ritornato al potere come primo ministro, egli sarà il promotore delle leggi più coercitive ed antilibertarie che siano mai state emanate dopo l’unità d’Italia.
La Massoneria , per definizione associazione, in parte segreta, di persone legate da comuni interessi, ha sempre accompagnato la storia dell’Inghilterra, paese in cui venne ufficialmente alla luce, nella sua accezione moderna, il 24 giugno del 1717. Andando, però, molto più indietro nel tempo, le sue origini risalirebbero, addirittura, all’epoca della costruzione del Tempio di Salomone in Gerusalemme. Soci fondatori sarebbero stati i muratori che vi lavoravano e da ciò deriverebbe la denominazione di ‘Fratelli muratori”. La stessa simbologia della setta, inoltre, si rifà agli strumenti utilizzati per le costruzioni edilizie, quali la squadra, il compasso, la livella ed il filo a piombo. Altro emblema allegorico dell’ordine è una piramide tronca, in mattoni, sovrastata dall’occhio onniveggente del Grande Architetto dell’Universo: lo stesso che è riportato sul retro della banconota di un dollaro degli Stati Uniti d’America e che è riprodotto nella Sala della Meditazione del Palazzo dell’Onu a New York. Massoneria, Capitalismo e Sionismo, si fondono, dunque, in un’unica simbologia del potere; quello stesso potere che ha sempre dominato il mondo e che, nella sua essenza, è sempre arrogante perché avoca a sé ciò che nessuno gli ha mai dato; sempre prepotente perché esercita una potenza antecedente all’esercizio di libertà dell’individuo; sempre mistificatore in quanto camuffa lo schiacciamento delle persone che governa come servizio autorevole per il bene dei cittadini deprivandoli dell’autogestione, diritto inalienabile dell’uomo.
Ufficialmente la finalità dell’Ordine è la ‘Fratellanza Universale” attraverso l’evoluzione spirituale dell’essere, da raggiungere non solo mediante iniziative filantropiche, ma anche mediante l’impegno per una giustizia vera, sana e non settaria a beneficio dell’umanità intera. Nobili intenti, senza dubbio, ma che, tuttavia, non riescono a disperdere quella nebbia di mistero e di segretezza che avvolge tutti i suoi riti, le sue iniziazioni, la sua simbologia. Per non parlare poi delle cosiddette logge segrete o, da più parti definite, deviate. Chi non ricorda la scandalo della “P2”? E’ il nome di una loggia fondata nel lontano 1877 (nella sigla, la lettera ‘P’ sta per Propaganda) che si distinse subito per un cedimento a interessi di natura squisitamente profana dei suoi adepti, molti dei quali furono coinvolti nello scandalo della Banca Romana del 1892. Dopo la caduta del Fascismo, che aveva spazzato via la Massoneria , la Loggia risorse aggiungendo la cifra 2 alla sua vecchia sigla e, nel rispetto delle antiche tradizioni, abbastanza recentemente ha dato il meglio di sé con i molteplici coinvolgimenti di un suo venerabile maestro, più volte agli onori della cronaca. Sarà un caso, ma quella era la stessa Loggia a cui era appartenuto, oltre a Francesco Crispi, anche lo stesso Garibaldi.
Torniamo, però, alla ormai prossima spedizione dei Mille: le cose dovevano essere organizzate con estrema cura al fine di garantire l’assoluto successo dell’impresa: Garibaldi non voleva ripetere i suoi tragici fallimenti. Egli era disposto a correre qualche rischio ma solo se c’era una chance, anche una su cento. Egli prese, perciò, la sua decisione solo dopo essersi assicurato che l’insurrezione fosse stata riaccesa sulle montagne attorno a Palermo. I moti che scoppiarono dal 3 al 18 aprile a Boccadifalco, Palermo, Monreale e Carini esaudirono la sua richiesta. Crispi, da sempre un mazziniano dei più violenti e, in questa occasione, a tutti gli effetti un agente inglese, aveva lavorato bene. La rivolta fu prontamente sedata ma essa era servita a non dar pretesto ad eventuali ripensamenti del Generale. Per la cronaca, Garibaldi, leggendo un dispaccio del suo corrispondente da Malta, Nicola Fabrizi, che lo informava del fallimento dell’insurrezione, avrebbe esclamato con le lacrime agli occhi: “Sarebbe pazzia andare” e a Genova, dove -nel frattempo- erano cominciati ad affluire numerosi volontari, cominciò a diffondersi la voce che non si sarebbe più partiti; mentre qualcuno già cominciava a smobilitare, si sentivano i partigiani di Mazzini esclamare: “Garibaldi ha paura”.
A Torino, più o meno contemporaneamente a questi eventi, Garibaldi, che si diceva stesse meditando una sortita a Nizza per riportare al Piemonte la sua città natale (da poco ceduta alla Francia così come previsto dagli accordi di Plombières), dove, con duecento uomini, avrebbe sfasciato le urne in cui erano state deposte le schede del “SI” del plebiscito di annessione e sparpagliate le carte in modo da rendere necessario un nuovo ballottaggio, era più volte ricevuto dall’ambasciatore britannico sir James Hudson che, rassicurandolo delle simpatie dell’Inghilterra, gli garantiva ampia protezione per la riuscita della missione in Sicilia.
E a questo punto della storia che compare, all’improvviso, l’ambigua figura di un personaggio che incoraggerebbe il velleitario Garibaldi a credere nel successo del suo inverosimile piano. Lo sconosciuto, misterioso, eccentrico e divertente avventuriero, nell’aprile del 1860, seguirà Garibaldi in ogni suo spostamento, viaggiando negli stessi scompartimenti, dimorando negli stessi alberghi e sedendogli sempre accanto nel convivi; presentato come giornalista inglese e considerato da Garibaldi e dal suoi seguaci un esperto in procedure costituzionali anche di paesi stranieri con diverse istituzioni, egli era, in realtà, un agente segreto al servizio di Sua Maestà Britannica ed il suo nome era Oliphant, Laurence Oliphant, ottocentesco omologo di James Bond. Proprio come il mitico personaggio dei romanzi di lan Fleming, infatti, egli aveva girato il mondo in lungo e in largo e, stranamente, la sua presenza era sempre segnalata laddove era imminente una guerra o una sommossa che interessasse particolarmente la sua madrepatria. Non era quella la prima volta (e non sarebbe stata nemmeno l’ultima) che viaggiava in Italia: c’era già stato da giovane, all’inizio del 1848, strana coincidenza, proprio in concomitanza dei primi tumulti di quell’anno…
La sera del 13 aprile 1860, mentre egli stava cenando con Garibaldi, in una stanza dell’Albergo della Felicità, a Genova, insieme con un’altra ventina di commensali, il Generale gli disse di essere dispiaciuto di dover abbandonare il progetto di Nizza perché cose ben più importanti bollivano in pentola. Egli spiegò che i gentiluomini a tavola erano tutti siciliani venuti ad incontrarlo per dirgli che ormai era tempo di invadere la Sicilia. Nonostante fosse innamorato della sua città natale, Garibaldi non poteva sacrificare per questo quelle più grandi speranze d’Italia.
Le tracce del misterioso personaggio scompaiono, altrettanto improvvisamente, alla vigilia della partenza dei Mille. Laurence Oliphant, comunque, riportato dall’Enciclopedia Britannica come british author (18291888), rimarrà in Italia o vi tornerà dopo un paio d’anni, per conto dell’Intelligence Service, per tenere sotto controllo lo sviluppo del Brigantaggio e per seguire gli avvenimenti, se non per sostenerli, che impedirono il ritorno di Francesco II sul suo legittimo trono. Tra i vari Confidential Reports, da lui inviati a Londra, ce n’è uno spedito da Foggia il 19 aprile 1862, in cui relazionando al Conte Russell sullo stato del brigantaggio nelle province degli Abruzzi e Capitanata, egli descrive le situazioni di Napoli, di Avellino, di Ascoli di Puglia, di Candela fino alla Sicilia, a Chieti e a Rionero. Annota fatti ed avvenimenti del Mezzogiorno d’Italia, all’indomani della sua annessione al Piemonte esattamente nello stesso periodo in cui risulta essere ufficialmente in Giappone nella qualità di primo segretario di ambasciata.
A meno di tre settimane dalla partenza da Quarto, nessuno poteva realisticamente credere a un’improvvisa quanto estemporanea spedizione a Nizza: in realtà tutto era già stato predisposto ed organizzato, per l’avventura nell’Italia Meridionale. Già la sera del 16 febbraio precedente, infatti, quasi tre mesi prima dello sbarco, il cavalier Martini, Ministro Plenipotenziario dell’Imperatore d’Austria a Napoli, riceveva un dispaccio telegrafico: “Una spedizione partirà prossimamente da Genova e da Livorno per Napoli.” Il largo anticipo e l’accurata precisione con cui il controspionaggio austriaco informava Napoli di quanto si stesse progettando in suo danno, fanno cadere ogni dubbio circa la veridicità dell’ipotetico sbarco in Costa -Azzurra. Nessuno, oltretutto, nemmeno l’Inghilterra poteva correre il rischio di uno scontro, anche se solo diplomatico, con la Francia , incoraggiando -attraverso i suoi agenti segreti – una missione palesemente improponibile. Se una qualsiasi azione ai danni della Francia fosse stata solo ipotizzabile, già da molto tempo gli acuti occhietti d’avvoltolo del Cavour avrebbero preso di mira la Corsica , isola che politicamente appartiene alla Francia ma che geograficamente è italiana, come fino a pochi lustri fa si leggeva nel libri di scuola.
Le cose dovettero andare in maniera diversa da quanto si vuol far credere: l’agente britannico, molto più verosimilmente, era venuto a dare il via libera del suo governo all’unica, vera invasione da tempo progettata, quella della Sicilia. Un tipo come Garibaldi, tutto Sturm und Drang, così come ce lo hanno dipinto gli storici, non avrebbe mai abbandonato l’ardito progetto di liberare la sua città natale (anche se irrealizzabile) sol perché alcuni fautori dell’invasione siciliana l’avevano persuaso a cambiare idea. Egli stava per eseguire degli ordini: della Massoneria o del Governo Inglese; in ogni caso, disposizioni provenienti da Londra ed accompagnate da un milione di piastre turche (oltre quindici milioni di dollari attuali!), più che rilevante somma consegnatagli proprio durante la sua breve permanenza a Genova…
L’ottocentesco antesignano di 007, dunque, oltre alla consegna dell’argent, era venuto per ripassare gli ultimi dettagli e a comunicare le disposizioni finali; molto probabilmente, era venuto a consegnare armi e a fornire i codici di collegamento con le navi britanniche che avrebbero garantito, con la loro ininterrotta presenza, il buon esito della missione. Già… perché, proprio per avere certezza di successo, l’entirely neutral english government aveva da tempo spedito nelle acque del Tirreno un imponente squadrone navale, circa la metà di tutta la Mediterranean Fleet , la flotta inglese nel Mediterraneo, agli ordini del Gran cavaliere George Rodney Mundy, ammiraglio di Sua Maestà Britannica.
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