STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (VIII) (VOL. III)
CHE COSA HA FATTO NAPOLEONE III PER SALVARE PIO IX?
(Pubblicato il 20 febbraio 1861)
Il signor del La Gueronière nel suo libello La Francia, Roma e l’Italia dice che Napoleone III fé’ di lutto pf. r salvare il Papa, e il Papa invece s’è gettato in braccio di coloro che fecero di tutto per perderlo. Badate un po’ questo Pio IX come conosce male i suoi amici, e come osa cospirare contro se stesso!
Esaminiamo ciò che il Bonaparte fece por salvare il Papa. Troviamo nella sua vita per prima cosa ch’egli s’è battuto a Forlì ed entrò in una vasta cospirazione contro il potere temporale della Santa Sede. E questo fu per salvare il Papa. Troviamo di poi no’ primi giorni della Repubblica francese, quando non si conosceva ancora l’opinione pubblica della Francia riguardo alla Repubblica di Mazzini, che il Bonaparte oppugnava la spedizione di Roma a favore di Pio IX, E questo fu per salvare il Papa.
Oeuvrés complètes de Voltaire, édition de Kehl, publiée par Beaumarchais, t. 89, pag. 12 e t. 82, pag. 317.
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Troviamo in terzo luogo la lettera che Luigi Napoleone nel 1849 scriveva ad Edgardo Ney, in cui voleva dettare la legge a l’io IX prima ancora che fosse ritornato a Roma, e imporgli la secolarizzazione, il liberalismo ed il Codice di suo zio. E questo fu per salvare il Papa.
Troviamo ancora che nel 1856 il primo ministro di Napoleone III nel Congresso di Parigi si levò accusatore del Romano Pontefice, e poi die’ pubblicità a quelle accuse fatte in assenza del rappresentante di colui che n’era l’argomento. E questo fu per saltare il Papa.
Troviamo che Luigi Bonaparte chiese al conte di Cavour una memoria sulle Legazioni, e il conte, non sapendone nulla, ricorse al bolognese Marco Minghetti che gli preparò la sua famosa Nota verbale, come raccontò Angiolo Brofferio ed altri. E questo fu per salvare il Papa.
Troviamo che Napoleone III protesse suo cugino Napoleone Pepoli, il quale, abusando della polente parentela, mise in rivoluzione le Romagne, e fé’ abbassare a Bologna lo stemma Pontificio. E questo fu per salvare il Papa.
Troviamo che Napoleone III nel 1859 entrato a Milano disse, l’8 di giugno, a tutti gli Italiani, e in conseguenza anche ai sudditi di Pio IX: «Volate sotto le bandiere di re Vittorio Emanuele Non siate oggi che soldati, domani sarete liberi cittadini di un grande paese». E questo fu per salvare il Papa.
Troviamo che, sottratta Bologna al Governo Pontificio, chi ne piglia in mano l’amministrazione e la direzione politica è un còrso, intimo confidente di Luigi Bonaparte, e vissuto sempre con lui a Parigi. Né mai gli fu detta una parola di rimprovero, se pure non ne udì molte di approvazione e di conforto. E questo fu per salvare il Papa.
Troviamo che il conte di Cavour disse e ripeti1 nella Camera dei Deputati, che se il Piemonte era andato nelle Romagne, fu per aver ceduto Nizza e Savoia alla Francia, e significava ch’egli avea invaso le Romagne col permesso del Bonaparte. E il Bonaparte lo permetteva per salvare il Papa.
Troviamo finalmente nei documenti pubblicati testé dallo stesso Governo francese, che Cialdini entrò nella Marche e nell’Umbria dopo averne conferito a Chamberì con Napoleone III, il quale approvò la invasione. E questo fu per salvare il Papa.
Oh l’Imperatore dei Francesi fé’ proprio di tutto per salvare il Papa! Ha tenuto il celebre colloquio di Plombières per salvare il Papa. Ha soppresso l’Univers e spezzato l’eloquente e terribile penna di Luigi Veuillot per salvare il Papa, . Ha mandato a monte il Congresso europeo del 1860 e proposto di convenire il Vaticano in un convento per salvare il Papa. Ha proibito il Danaro di San Pietro per salvare il Papa. Non permise che tardi la pubblicazione in Francia del prestito Pontificio per saltare il Papa. Vietò ai giornali di pubblicare le pastorali dei Vescovi per salvare il Papa. Impedisce l’ingresso in Francia dei preziosi volumi che contengono il suffragio del mondo cattolico in favore del Principato civile dei Romani Pontefici, e tutto per salvare il Papa.
Per salvare il Papa, il principe Napoleone obbligò gli Austriaci ad abbandonare le Ramagne, ed ora nel Senato dell’Impero tuona in favore della rivoluzione. Per salvare d Papa, il Sièele e l’Opinion Nationule a Parigi possono liberamente calunniare Pio IX e il suo Governo.
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Per salvare il Papa, Edmondo About scriveva nel Moniteur appendici bugiarde contro Roma, e pubblicava libelli famosi contro il Cardinale Antonelli. Per salvare il Papa Napoleone III proclamava il non intervento eminentemente assurdo quando trattasi dei cattolici e del Romano Pontefici, ossia dei bisogni del padre e del dovere dei figli.
L’Imperatore fe’ proprio di tutto per salvare il Papa. Disse a Pio IX di abbandonare le Romagne, e mai al. Piemonte di restituirle; lasciò stampare a Parigi le proposte scismatiche del signor Cayla; fe’ compilare il dramma la Tireuse de Cartes che offendeva la Santa Sede, e assistè alla sua rappresentazione; ordinò a’ suoi ministri di scrivere le famose circolari contro i Vescovi, e licenziò finalmente lo stesso La Gueronièrc a pubblicare il suo opuscolo che desta tanta letizia nei rivoluzionari, e negli empi di tutti i paesi. Tutto questo fu fatto per sal«are il papa.
Ma il Papa non volle essere salvato. D’onde il Siècle di Parigi tira la seguente conclusione: «Abbandoniamo questi uomini in delirio; Dio li ha abbandonati il primo». E sotto la frase questi uomini, il Siecle intende puramente e semplicemente Pio IX; e vuole che Napoleone 1Il l’abbandoni, perché Dio l’ha già abbandonato.
Dio ha abbandonato Pio IX! Ma non ha detto a’ suoi predecessori: «Io sono con voi fino alla consumazione de’ secoli?» E Dio non muta come i figli degli uomini egli dorme presso alla poppa della barca di S. Pietro; ma non è Pio IX che lo risveglierà colla diffidente domanda: Signore, non vi preme di me che sto per perire? Pio IX sa che Dio non lo ha abbandonato, che non può abbandonarlo; e questa certezza è quella che gli ispira coraggio, forza, costanza, resistenza ai potenti, e una celeste letizia nelle sue ineffabili amarezze.
Dio ha abbandonato Pio IX! E pareva che Dio avesse anche abbandonato Pio VII quando gemeva in prigione, e il suo custode vinceva a Wagram: ma in ultimo il Dio delle vittorie abbandonò il conquistatore, e ricondusse trionfante in Roma il suo Vicario.
Ah! Dio non ha abbandonato mai nessun Pontefice in diciannove secoli; egli li assistè tutti ducentocinquantasette, in mezzo alle più terribili persecuzioni; e oggidì abbandonerà Pio IX, e mancherà alla sua parola, ed alla sua Chiesa?
Napoleone III abbandoni pure Pio IX. Farà un gran male a stesso, ma nessun danno al Papato. Abbandonerà la nave che conduce al porto, abbandonerà la pietra che sostiene ogni edifizio, abbandonerà il proprio padre e darà un terribile esempio alla Francia. La Chiesa non soffrirà del suo abbandono, perché non ebbe mai bisogno di nessun Imperatore.
E forse Iddio ne’ suoi decreti imperscrutabili aspetta che il Bonaparte abbia abbandonato totalmente Pio IX, perché vuoi dimostrare al mondo che sebbene tanti cattolici indegni l’abbiano abbandonato, che sebbene tanti Sovrani paurosi l’abbiano abbandonato, che sebbene ogni mezzo umano l’abbia abbandonato. Iddio non l’abbandonò e non l’abbandonerà.
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I BONAPARTE E I FRAMASSONI
(Pubblicato il 29 e 30 ottobre 1861).
I.
Sul cominciare di questo secolo Chateaubriand scriveva un celebre libretto intitolato Bonaparte e i Barboni. Noi scriveremo alcuni articoli sui Bonaparte e i Framassoni, e così i Bonaparte si troveranno in più degna compagnia.
Da un ministro di Luigi Bonaparte i Framassoni hanno ricevuto di questi giorni un segnalato benefizio. Il signor di Persigny ha fatto il panegirico della Framassoneria, e nella sua circolare del 16 di ottobre ha conchiuso che il ne peut étre que avantageux d’autoriser et de reconnaitre san existence.
Nello stesso tempo il ministro del Bonaparte toglieva ai Framassoni un potente avversario nella Società di S. Vincenzo de’ Paoli, e così il benefizio era duplice, negativo l’uno rimuovendo i nemici, positivo l’altro accrescendo le forze della Framassoneria.
Perché tanta benevolenza verso i Framassoni? Quali furono e sono le relazioni tra i Bonaparte e la Framassoneria? Queste ricerche non mancheranno ai giorni nostri di opportunità e di utilità, epperò occupiamocene alquanto.
La Framassoneria ha generato la rivoluzione francese, e da questa è nato il primo dei Bonaparte. Il ministro Persigny ha detto nella sua circolare che la Framassoneria fu stabilita in Francia nel 1725, ed è vero. La Framassoneria francese fu un’importazione anglicana.
Nel 1725 la Grande Loggia inglese fondò una Loggia in Francia, ma questa non lavorò che per dieci anni. Nel 1736 essa costituì la loggia di Aumomt, dove Ramsey introdusse il sistema dei Templari d’Herodom. Poco dopo erano a Parigi quattro Loggie ed eleggevano un Gran Mastro nella persona d’Harnouester, conte inglese (1).
Luigi XIV minacciò la Bastiglia a qualunque Gran Mastro dell’Ordine in Francia: tuttavia fu eletto il Duca d’Àntin e la minaccia restò senza esecuzione. Allora la Framassoneria si stese per tutta la Francia, e furono convocali a Parigi tutti i Mastri delle Loggie per costituire una Gran Loggia che prese il nome di Grande Loggia inglese di Parigi.
Nel 1756 questo nome, che sapeva troppo di forestiero, venne mutato, e la Gran Ix>ggia fu detta Grande Loggia nazionale di Francia, e allora sorse l’autorità massonica suprema e indipendente in tutto il regno. Nel 1772 la Grande Loggia di Parigi si costituì in Grande Oriente di Francia, e da quel punto la Framassoneria si consolidò sulle rive della Senna (2).
Vedi Eckert, La Framassoneria nella sua vera significazione, tom. II, pag. 55, Liegi 1854.
Abbiamo documenti da cui risulta che la Frammassoneria in quel turno s’introdusse anche in Italia. Nella stessa Venezia furono i Franchi Muratori, e scoperta nel 1785 quella segreta società, gli statuti, il rituale e tutti gli arnesi rinvenuti nella Loggia vennero dati alle flamine per ordine supremo nella corte del Ducale palazzo. Vedi Carte segrete e atti ufficiali della polizia austriaca in Italia, voi. 1, Capolago. 1851, pag. 78 e seg.
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Il Duca di Chartres, che divenne più tardi Philippe Egalitè, fu eletto Gran Mastro della Framassoneria nel 1778. A que’ dì nella sola Parigi contavànsi 129 Loggie, e ve ne aveano 247 nelle provincie. Tutte riconoscevano il Grande Oriente come suprema autorità.
I Framassoni e i così detti Filosofi si collegarono. Gli uni cercavano addetti alla Framassoneria, gli altri propagavano le dottrine del filosofismo. La missione della Framassoneria era allora «d’infiltrare progressivamente sui diversi punti della Francia, e di deporre misteriosamente in seno delle popolazioni i principii filosofici del tempo (1)».
Framassoni e Filosofi si accordarono, dice Condorcet, che se ne intendeva «prendendo per grido di guerra: ragione, tolleranza, umanità». Facevano allora come fanno oggidì col Locatelli: «Ordinavano in nome della natura ai re, ai guerrieri, ai magistrati, ai preti di rispettare il sangue degli uomini (2)».
Luigi XV col suo vivere aiutava i Filosofi e i Framassoni. Quando Luigi XVI salì sul trono, Voltaire scriveva a Federico II: «Io non so se il nostro giovine re camminerà sulle traccie del suo predecessore; ma so che non ha scelto per suoi ministri che quasi tutti Filosofi (3)».
Il 15 di febbraio del 1785 un gran congresso si tiene a Parigi «collo scopo essenziale di distruggere gli errori e di scoprire le verità massoniche o intimamente collegate colla Massonerìa», come dice il proclama diffuso in quell’anno (4). Quattro anni dopo scoppia la rivoluzione.
Il conte di Haugwitz, l’uno dei capi della Framassoneria tedesca, ha dichiarato: «lo acquistai la ferma convinzione che il dramma cominciato nel 1789, la rivoluzione francese, il regicidio con tutti i suoi orrori, non solamente erano stati decisi nel seno delle Loggie, ma furono realmente il risultato delle associazioni e dei giuramenti massonici (5)».
Da tutta questa confusione sorse la dinastia dei Bonaparte. Napoleone I era framassone? Besuchet, nel 1829, sostenne che il primo Bonaparte fu iniziato nell’Isola di Malta in occasione della spedizione d’Egitto. Abraham, nel suo Specchio della verità, cita parecchie poesie, nelle quali Napoleone è chiamato fratello. L’Ape Massonica dichiara che Napoleone fu ammesso al segreto delle Loggie. Molti però negano che il primo Bonaparte fosse framassone.
Certo è che Napoleone stesso ha detto: «La Franc-Maconnerie depend de moi». Egli governava la Framassoneria, e fe’ creare Gran Mastro suo fratello Giuseppe, il quale, essendo divenuto più tardi Re di Spagna, si unì Cambacérès col titolo di primo Gran Mastro aggiunto a S. M. il Re di Spagna.
Tutto ciò che apparteneva al primo Bonaparte, parenti, servitori, uomini e donne, era tutto Framassoneria. Parli un framassone italiano, Giuseppe La Farina, nella sua così detta Storia d’Italia dal 1815 al 1850:
Cosi nel proemio degli Statuts etreglements de l’Ordre maconique, pubblicazione officiale dell’oriente di Parigi, 1839.
Condorcet, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’ésprit humain, Paris, 1797, pag. 262.
Voltaire, lettera del agosto 1775.
Fu pubblicato nel Giornale Massonico di Vienna, anno II, 2a dispensa.
Echert, loc. cit. tom. II, pag. 179.
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Giuseppe, fratello di Napoleone fu Gran Mastro dell’Ordine, l’Arcicancelliere Cambacérès, primo Gran Mastro aggiunto, e Gioachino Murai, secondo Gran Mastro aggiunto. L’imperatrice Giuseppina, stando nel 1805 a Strasbourg, presiedè la festa di adozione della Loggia dei Franchi Cavalieri di Parigi; ed in quel tempo Eugenio Beauharnais era venerabile d’onore della Loggia di Sant’Eugenio in Parigi: di poi venuto colla dignità di Viceré in Italia, il Grande Oriente di Milano lo nominò Gran Mastro e Sovrano commendatore del supremo Consiglio del XXII grado, onore altissimo secondo gli onori dell’ordine (1)».
Ogni vittoria del primo Bonaparte fu un trionfo della Framassoneria. Le parole d’ordine che questa sceglieva erano sempre allusive alle gesta napoleoniche. Eccone un saggio.
Nel 1800 scienza e pace erano le parole della Framassoneria francese. Nel i802 dopo le vittorie di Marengo e di Montebello: unità, riuscita. Nel 1804 alludendo all’impero ed all’incoronazione: elevazione, contento.
La battaglia di Friedland produsse i nomi di Imperatore, confidenza; quella d’Austerlitz: Napoleone, confidenza; il matrimonio con Maria Luigia: felicità, imperatrice; la nascita del Re di Roma: nascila, allegrezza; la spedizione di Russia: vittoria e ritorno.
Come Dio volle il primo. Napoleone cadde e fu rilegato nell’isola d’Elba. Allora lo veggiamo patteggiare coi Framassoni italiani. Questo è un punto assai importante della storia nostra che merita d’essere rischiarato. Ecco alcune citazioni.
Un anonimo che si confessa settario pubblicò un libro intitolato: Del governo austriaco, Società segrete e polizia in Lombardia. A pag. 100 e 101 narra così: «Molte società eransi formate a favore del caduto Napoleone, come quella dello spillo nero, de’ Patrioti, degli Avoltoi di Bonaparte, de’ Cavalieri del Sole, dei Patrioti europei riformati, della rigenerazione universale ed altre varie di forma queste società aveano per iscopo comune di formare una lega di popoli contro la tirannia, acquistare la libertà a mano armata: pegl’iniziati poi restava come intento unico, e forse solo come mezzo, il rimettere sul trono Napoleone.
E s’intrapresero trattative su questo proposito. Continuiamo la citazione: «Affiliatitisi tra loro alcuni principali, spedirono messaggi in varie parti per intendersi con coloro che avessero egual sentimento. Torino, Genova, Mantova furono luoghi dove più caldamente si operò. Ne’ congressi furono posti in campo i soliti problemi: se preferire il governo repubblicano, o il monarchico costituzionale; se ridur l’Italia una o stingerne solo le parti con un nodo federale; ma tutti convennero che tali questioni erano a rimettersi a stagione più matura, per allora doversi cercare una cosa sola, che Napoleone si mettesse a capo dell’impresa. Pertanto a questo diressero un dispaccio, ove gli chiedevano il suo nome e la spada per costituire un impero italiano, al quale egli sarebbe capo».
(1) Abbiamo sodo gli occhi una lettera, in data di Milano, 9 dicembre 1806, scritta durante il fogno d’Italia dal ministro per il culto al Vescovo di Treviso, in cui si rimprovera quel Vescovo per «avere date istruzioni segrete agli ecclesiastici della sua diocesi contro i Franchi Muratori». Vedi la lettera nelle Carte Segreti e atti ufficiali, ecc. vol. I, Capolago, 1851, pag. 83.
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La lettera a Napoleone I portava la data del 19 di maggio 1814 ed era «firmata da quattordici Italiani: arrivò a Napoleone, che accettò i patti come uomo che nel naufragare vede una tavola e l’afferra disposto a gettarla al fuoco dopo toccata la riva. Si conoscono i lontani effetti di quelle trame, cioè la fuga di Napoleone dall’Elba, e il suo regno di cento giorni».
Sulla Fuga di Napoleone dall’isola d’Elba abbiamo un libro di un rivoluzionario e framassone italiano, intitolato così: Delle cause italiane nell’evasione dell’imperatore Napoleone dall’Elba. Questo scrittore che mostrasi ben addentro nei misteri massonici, si esprime ne’ seguenti termini:
L’episodio storico dei cento giorni è conosciuto dal mondo intero, ma pochissime persone sanno come fosse preparato e quale impulso determinasse quell’avvenimento. L’opera che noi presentiamo al pubblico è destinata a sollevare un lembo del velo che nasconde la verità. Noi avremmo potuto strapparlo interamente, se la morte avesse colpito tutti gli autori dei documenti che ci furono comunicati. Due soli scesero nella tomba: noi crediamo poterli nominare. L’uno è quell’illustre Melchiorre DelGeo, già consigliere di Stato a Napoli, l’altro è il conte Luigi Corvetto di Genova».
Sebbene non conosciamo tutti i nomi, ci sono noti i paesi dei quattordici Italiani che sottoscrissero un trattato con Napoleone I, perché, liberato dall’isola d’Elba, venisse a costituire l’impero d’Italia. Essi erano due Còrsi, due Genovesi, quattro Piemontesi, due del già regno d’Italia, quattro degli Stati Romani e Napoletani.
Conosciamo pure il progetto di Costituzione, che Napoleone I, liberato dall’isola d’Elba per opera dei Framassoni italiani, dovea promulgare in Italia. L’art. 54 diceva: «La residenza abituale dell’Imperatore sarà fissata a Roma, e l’art. 47: «La prima adunanza legislativa avrà luogo a Roma, la seconda a Milano, La terza a Napoli, ciascuna per tre anni, nello stesso ordine, per turno di tre in tre anni». Torino, come città di confine, era messa da parte. L’art. 53 aggiungeva: «Verranno stabiliti quattro viceré, la di cui residenza sarà fissata nelle quattro città, Roma eccettuata, le più popolale d’Italia (1)».
Quanti riguardi que’ Framassoni adoperavano allora, e quanto rispetto sentivano per le città italiane 1 Tuttavia Napoleone I, nel promettere l’opera sua per la costituzione dell’impero italico, diceva esser questa \’impresa più difficile ch’io m’abbia tentala fin qui.
Nel 1848 i rivoluzionavi diedero il sacco agli archivi della polizia austriaca in Milano. Vi fu trovata e messa alle stampe una nota del direttore generalo della polizia nel 1814, dove Ira le altre cose leggesi: «L’avvocato Guidi riferisce che in casa del sig. Mancini si fanno combriccole. Viene l’ex-frate Perena, e si dice che sarà sciolto il cane córso. Fui dal maresciallo (Bellegarde) e presentai notizie della congiura (2)»-
(1) Delle cause italiane nella evasione dell’Imperatore Napoleone dall’Elba.
(2) Del governo austriaco, società segrete e polizia in Lombardia, pag. 129. A que’ dì si fecero e diffusero a migliaia incisioni rappresentanti l’Italia in atto di sciogliere un grosso cane còrso.
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La congiura riuscì, fu sciolto il cane córso, e per opera dei Framassoni italiani Napoleone I evase dall’isola d’Elba. Ma invece di venire in Italia a renderla una secondo gli accordi, andossene in Francia, dove non tardò molto a cadere nelle unghie degl’Inglesi, e non ne scappò più. Anche il fratello Giuseppe perdette il regno, ma conservò il Gran Maestrato dell’Oriente di Parigi, finché morì in Firenze nel 1844 (1). Non gli fu dato nessun successore, e la Framassoneria venne diretta da aggiunti, fino a che salì sul trono imperiale di Francia il regnante Napoleone III.
II.
Dal primo Bonaparte al terzo i Framassoni di Francia restano senza Gran Mastro. Quando quest’ultimo rinnova l’Impero, la Framassoneria leva rumore in Europa, e un parente dei Bonaparte si mette alla sua testa.
Abbiamo ricercato nell’articolo precedente se Napoleone I fosse Framassone. Il lettore domanderà: — E Napoleone II I? —
Qui la risposta è più facile. Tutti i suoi biografi, i suoi stessi panegiristi confessano che Luigi Napoleone nel 1830 si uni coi Carbonari italiani, e prese parte attiva all’insurrezione delle Romagne. Ora i Carbonari non sono e non furono altro che Framassoni.
La Carboneria venne in Italia dalla Francia, e si stabilì in Napoli, regnando il cognato di Bonaparte. Lo dice Colletta: «Nell’anno 1811 certi settari francesi ed alemanni qua venuti, chiesero alla polizia di spanderla (la Carboneria) nel regno come incivilimento del popolo e sostenitrice dei governi nuovi. Era ministro un Maghella genovese, sorto dagli sconvolgimenti d’Italia e di Francia Il ministro propose l’entrata di questa setta a Gioachino, che per istinto di Re più che per senno di reggitore, vi si opponeva, ma finalmente aderì, e quasi pregata la Carboneria entrò nel regno (2)».
Gioachino Murat, come Re, non voleva la Carboneria, ma come antico framassone, dovette accettarla, ed in ultimo ne fu vittima, perché, a suo tempo, la Massoneria si sbriga anche de’ suoi, e la Provvidenza dispone che si cada per quello stesso per cui si è peccato.
Del resto, che la Carboneria non sia altro che la Framassoneria, lo dicono Wit Doering, alto dignitario massone, Acerellos, scrittore autorevolissimo in punto di Massoneria. Blumenhagen, gran framassone, ed anche Gualterio, mentre cerca di negarlo.
Wit Doering: «A parlare propriamente la Carboneria è figlia della massoneria (3)». — Acerellos: I Massoni e i Carbonari, uniti pei vincoli d’una stretta
(1) Nel 1844il venerabile fratello Clavel pubblicava a Parigi un giornale intitolato: l’Oriente, rivista universale detla Framassoneria. In quoto periudico stampossi la necrologia di Giuseppe, e tra le altre coso v’è detto a pagina 9, ch’egti accordò sempre di preferenza gli impieghi e i lavori ai membri della società.
(2) Colletta, Stono di Napoli, lib. vin, N. 49.
(3) Frammenti estratti dalla storia della mia vita e della mia epoca, ioni. I, pag. 41.
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amicizia, non formavano, per così dire, che un corpo solo (1)». Blumenhagen: «Che giova voler dissimulare a noi medesimi che i Carbonari sono i figli perversi della Massoneria? (2). E Gualterio dichiara che gl’iniziati ai gradi superiori della Carboneria consentivano coi Massoni nemici della religione (3).
Di fatto chi erano i cospiratori dello Stato Romano, tra’ quali entrava Luigi Napoleone e suo fratello? Cel dirà Luigi Farini: «I cospiratori dello Stato Romano erano, i più, Volteriani o indifferentisti in materia di religione, sensisti in filosofia, quasi tutti costituzionali in politica (4)». Questo equivale a dire che que’ cospiratori erano Framassoni.
Ed oggidì che la Carboneria ha raggiunto in Italia il suo scopo, come si chiama a Napoli, come si chiama a Torino? I giornali cel dichiarano apertamente: si chiama Massoneria. Le Barache dei Carbonari hanno ceduto il luogo alle Loggie dei Framassoni.
Si può dunque affermare che Luigi Napoleone in Italia era framassone. Ora come egli venne all’Impero? In conseguenza di una rivoluzione, frutto della Framassoneria.
Come la rivoluzione del 1789 fu preceduta da un grande Congresso Massonico tenuto in Parigi il 15 di febbraio del 1785, così la rivoluzione del 1848 fu preceduta da un Congresso Massonico tenuto a Strasburgo nel 1846 coll’intervento di Cremieux, Cavaignac, Lamartine, Ledru-Rollin, Proudhon, L. Blanc, Marast ccc. (5).
Scoppiata appena la rivoluzione del 1848, i Deputali della gran Loggia di Francia accorsero a deporre nelle mani del governo un atto d’adesione alla Repubblica. Crémieux rispose: La République. se trouve dans la Maçonnerie (6).
Alfonso Lamartine il 10 di marzo del 1848 all’Hotel-de-Ville fè la seguente dichiarazione: «Ho la convinzione che dal seno della Framassoneria sgorgarono le grandi idee che hanno gettato i fondamenti delle rivoluzioni del 1789, del 1830 e del 1848».
Il principe Luigi Napoleone fu eletto Presidente della Repubblica, ed a quei giorni gli conveniva combattere la Massoneria, come oggidì il suo ministro Pereigny crede conveniente di riconoscerla, approvarla, lodarla.
Il 7 di settembre 1850 la polizia di Parigi proibiva alle Loggie francesi di occuparsi di questioni politiche e sociali sotto pena di veder l’Ordine disciolto in tutta l’estensione del territorio francese.
Ma dopo il Due Dicembre noi veggiamo la Framassoneria riordinarsi e consolidarsi. Il 9 gennaio del 1852 alcuni membri del Consiglio del Gran Mastro si riunirono, previa la licenza della polizia, e offrirono il Gran Maestrale a Luciano Murai, nipote del Presidente. La proposta venne accolta all’unanimità.
Il principe Murat, avuti gli ordini del Presidente della Repubblica, si degnò accettare;
(1) Die Freimaurerie in ihren Zusammenhang, ecc. tom. III, pag. 281.
(2) Revue Maçonique, 1828.
(3) Rivolgimenti italiani, voi. I, pag. 33.
(4) Lo Stato Romano Firenze, 1850, voi. I, pag, 31, 32.
(5) Gyr, La Franc-Maçonnerie en elle même, Paris, 1859, pag. 366.
(6)Gyr, loc. cit. , pag. 369.
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e il 19 di gennaio 1852 un gran numero di alti officiali del Grande Oriente si recarono a dovere di offerire l’attestato della loro riconoscenza al Gran Mastro.
Non o molto che il Pays, giornale dell’Impero, ci disse: «L’elezione del principe Murat fu il risultato del movimento che trascinò, dopo il Due Dicembre, tutto ciò che vi aveva di generoso e di patriottico in Francia nella gran corrente delle idee napoleoniche (1)».
Perché il principe Murat piacque ai Framassoni? Per la stessa ragione per cui più tardi spiacque alla Framassoneria. E questa ragione ce l’ha detta un giornale massonico di Francia: «Il Principe Gran Mastro avendo votalo pel mantenimento delle truppe francesi a Roma, aveva così implicitamente mostrato, che non era più devoto agli interessi della Massoneria (2)».
Un altro giornale massonico di Francia ha scritto testò: «Coloro che mettono la fede massonica al di sopra della fede romana, vogliono che la Gran Maestranza sia morale sotto tutti i riguardi! Ora volere che il Gran Mastro sia il rappresentante delle dottrine che si perseguitano ed anatematizzano in un’altra istituzione di cui lo stesso Gran Mastro sarebbe pure l’alleato, ciò servirebbe ad imporgli una duplice coscienza, e a forse un tipo d’immoralità (3)».
Un altro giornale massonico avea detto: «L’educazione cattolica romana non cancella il senso morale presso coloro che domandano il potere temporale del Papa?
Un’educazione che falsa, a sua insaputa, il sentimento religioso per cagionare il fanatismo, l’anima dello spirito di parte, non è essa un flagello sociale? (4)».
Dunque il principe Murai fu eletto Gran Mastro della Massoneria, sperando che odiasse Roma. Visto che non odiava abbastanza Roma, il Papa e il Cattolicismo, i Massoni lo destituirono.
In un rapporto ufficiale il rappresentante particolare del Gran Mastro, Rexès, 33, avea detto, parlando della candidatura di Murat: «Queste candidatura appoggiavasi su considerazioni politiche e religiose».
Leone Plee, Framassone, fu più esplicito. Egli ha scritto nel Siècle, che la Massoneria «s’era stretta al principe Murat a cagione delle tendenze che la sua alleanza colla Massoneria italiana faceva supporre (5)».
Finalmente dopo che il principe Murat volò pel Papa e fu destituito, il comitato che avea ordinato la sua desliluzione, organizzò una specie di agenzia di pubblicità antipapale, mandando articoli contro il Papa alla stampa belga e piemontese, articoli pubblicati dalle Nationalités di Torino e dall’Observateur di Bruxelles.
Da ciò si vede che la Framassoneria va direttamente contro Roma, odia la carità cattolica, il dominio temporale del Papa, e comparte i suoi onori a chi ha i medesimi sentimenti, mentre li ritoglie o li nega a chiunque in qualche modo li contrasti.
(1) Pays, N° del 27 di maggio 1861.
(2) Le Franc-Maçon, livraison de sept. , 1861, pag. 121.
(3) Journal des Iniliés, N° d’ottobre 1861.
(4) L’initiation, N° d’aprile 1861, pag. 470.
(5) Siede, N° del 24 di maggio 1861.
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Ma la Provvidenza di Dio avea gettato la confusione in seno ai nemici della sua Chiesa, e la Massoneria francese era scompigliata e presso alla rovina, ed ecco un ministro di Napoleone II I affrettarsi a lodarne il patriottismo, qui n’a iamais fail defaut aux grandes circonstances (1).
Tra gli ateliers di Parigi ve ne ha uno che porta il nomo di Loge Bonapartè. Questo semplice nome imponeva molti doveri al ministro di Napoleone III, e Persigny gli ha adempiuti!
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