Sabato 28 ottobre, al palazzo Massone di San Lorenzello già provincia di Terra di Lavoro, s’è tenuto il convegno dove è stato presentato il progetto, voluto e creato dal Prof. Domenico Scafoglio, del comitato “Pro Pulcinella” che candita la mistica Maschera alla lista Unesco dei beni immateriali. Dopo aver già pubblicato le foto della stipula delle firme con la presente pubblichiamo i video dei relatori e dell’intermezzo musicale dei Controra.
Sabato 28 ottobre importante convegno su Pulcinella a San Lorenzello, una volta in Terra di Lavoro, di seguito pubblichiamo l’articolo pubblicato da Identità Insorgenti che ringraziamo pubblicamente per l’attenzione avuta per l’evento.
La marcia iniziata a San Lorenzello anni fa per portare Pulcinella alla corte dell’Unesco a Parigi e che vede l’Ass.Id.Alta Terra di Lavoro tra le locomotive della carovana, non s’è mai arrestata nonostante l’emergenza degli ultimi anni, raggiungendo una tappa importante come riporta l’articolo di seguito
A San Lorenzello piu di due anni fa è partita l’armata di Pulcinella per conquistare pacificamente l’Unesco e far diventare Patrimonio dell’Umanità la famosissima maschera.
Dal convegno, dove fu formalmente firmato il protocollo di intesa tra le prime associazioni che aderirono al Comitato, ad oggi di strada ne è stata fatta tanta e il numero di Associazioni, artisti, artigiani, enti locali che hanno ingrandito l’esercito aderendo al progetto è notevolmente aumentato e sempre più crescerà perché di strada bisognerà farne ancora tanta, c’è ancora posto per chi vorrà partecipare a questa spedizione.
Qualche giorno fa l’enorme materiale raccolto è stato spedito, attraverso il Ministero, a Parigi presso la sede dell’Unesco che è di consultazione pubblica attraverso il sito di seguito riportato.
Il vero condottiero e comandante di questa armata da lui creata e voluta è certamente il Prof. Domenico Scafoglio che come il suo conterraneo calabrese il Card. Fabrizio Ruffo, che organizzò in poco tempo l’armata Reale e Cristiana che riconquisto il Regno di Napoli, si è fatto carico di organizzare, coordinare e preparare la battaglia, questa volta pacifica, che vuole elevare a Patrimonio dell’ Umanità il “nostro” Pulcinella.
Una menzione merita la Sig.ra Maya Tedesco una ballatrice dell’alta Terra di Lavoro, ora vive nella Sabina, che grazie al suo piccolo ma importante contributo ci ha permesso di coinvolgere associazioni del cigolano e abruzzesi.
Quando un napoletano
afferma, riferendosi a un esponente del gentil sesso: “Chella è ‘na zèza”, sappiate che non sta
facendo ciò che si può definire propriamente un complimento. Riprendendo,
infatti, un antico modo di dire, con questo termine si vuole indicare una donna che fa
continuamente smorfie o vezzi, che si abbandona a smancerie di ogni genere e
che è un’insopportabile chiacchierona, oltre che civettuola.
Roberto de Simone
individua nel personaggio Zeza il carattere di prostituta o perlomeno di
ruffiana, e questo sia perché zeza era comune nome d’arte di prostitute o
tenutarie di bordelli, sia per il ruolo da essa esercitato nella vicenda.
Il significato di
“zèza” risale alla Commedia dell’Arte e, soprattutto, a quella consuetudine di attribuire il
nome di un personaggio teatrale a chi assume nella vita di tutti i giorni il
comportamento del personaggio stesso. Zeza, infatti, è il diminutivo di
Lucrezia, moglie di Pulcinella, e dunque un nome proprio che successivamente è
diventato aggettivo e poi aggettivo sostantivato per indicare una donna che
aveva le medesime caratteristiche di questo personaggio.
Fu nel corso del Seicento,
quando il Carnevale
Napoletano raggiunse il periodo di maggiore splendore, che la
“Canzone di Zeza” iniziò a diffondersi per le strade della città, recitata da
attori improvvisati e accompagnata dal suono del trombone.
La storia è quella dell’amore
tra la figlia di Pulcinella, Tolla (o Vicenzella) con Don Nicola, studente
calabrese, le cui nozze sono fortemente contrastate dal padre di lei che teme
di essere disonorato, mentre sua moglie Zeza, che è di ben altro avviso, vuole
far divertire la figlia “co’ ‘mmilorde, signure o co’
l’abbate”. Pulcinella sorprende gli innamorati e reagisce violentemente,
ma, punito e piegato da Don Nicola, alla fine si rassegna. Anche se si tratta
di un testo “popolare”, si affrontano comunque, seppure in chiave grottesca,
tematiche universali quali il conflitto tra le generazioni, la ribellione
all’autorità paterna – rappresentata da Pulcinella – e la risoluzione dello
scontro col matrimonio che, per certi versi, ricompone l’equilibrio familiare.
Fino alla prima metà
dell’Ottocento, la “cantata vernacola […] sul gusto delle atellane che
successero alle feste Bacchiche, alle Dionisiche e, quindi, ai fescenini e alle
satire” e che “trae argomento dagli amori di un Don Nicola, studente calabrese,
con Vincinzella, figlia di Zeza e Pulcinella”, si rappresentò nei cortili dei
palazzi, nelle strade, nelle osterie e nelle piazze ad opera di attori
occasionali o compagnie di quartiere, che si facevano annunciare a suon di
tamburo e di fischietto e ben presto divenne un testo così famoso da essere
conosciuto a memoria da tutti i ceti sociali di Napoli. Le parti femminili
erano interpretate da soli uomini perché le donne non potevano essere esposte alla pubblica
rappresentazione ed è una tradizione che si conserva ancora oggi. Nella seconda
metà del XIX secolo, a seguito dell’emanazione di divieti ufficiali che ne
proibivano la rappresentazione per le strade “per le mordaci allusioni e per i
detti troppo licenziosi ed osceni”, la “Zeza” fu accolta, esclusivamente nel
periodo di Carnevale, nei teatri frequentati soprattutto dalla plebe, dove il
pubblico notoriamente interloquiva cogli attori nel corso della rappresentazione
“con sfrenatezze di gergo e di gesti”. A causa di questi impedimenti,
la “Zeza” si diffuse quindi nelle campagne adiacenti e, con caratteri
sempre più diversificati, nelle altre regioni del Reame di Napoli.
Al giorno d’oggi la
“Canzone di Zeza” è una rappresentazione tipica della Campania e
specialmente dei paesi dell’Irpinia: in generale possono cambiare i nomi dei
personaggi e le battute dei dialoghi da paese a paese, ma alla base
permane sempre lo stesso canovaccio.
A San Lorenzello
veniva rappresentata in occasione del carnevale in diversi punti del paese,
senza apparato scenico, perlopiù da quattro attori maschi che, esercitandosi
per anni nello stesso ruolo, finivano per essere considerati, come quelli della
commedia dell’arte, dei veri specialisti. Due di essi, cosa naturale in quei
tempi, ricoprivano, travestendosi da donna, i ruoli di Zeza e Vicenzella o
Tolla. Erano preceduti da un volante che, cavalcando un asino, invitava la
gente a partecipare alla rappresentazione.
Nel 1951 si tenne l’ultima rappresentazione di Zeza con la partecipazione di attori che questa sera vogliamo ricordare: Alfonso Rubano, Michele Ciarleglio, Lorenzo Ciarleglio, e Guido Sagnella. Molti anni dopo ritornò il desiderio di ripresentarla ma risultò vana la ricerca del libretto originario. Allora si decise di ricostruirlo attraverso i ricordi dei più anziani e la rappresentazione si tenne la sera del 4 agosto 1995. A distanza di alcuni anni il libretto fu ripreso e lo storico Don Nicola Vigliotti ed Alfonso Guarino lo ampliarono ed integrarono con l’aggiunta di due personaggi: il maresciallo dei Carabinieri e l’Arciprete Don Pasquale. La vigilia di San Donato del 2004 è stata rappresentata ottenendo un grande successo. L’11 agosto 2019 è stata riproposta con grande successo, nell’ambito di una serata dedicata alla riscoperta delle tradizioni popolari curata dall’Ente Culturale Schola Cantorum San Lorenzo Martire “Nicola Vigliotti” di San Lorenzello.