Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Piedigrotta: ‘Ai piedi della Grotta’

Posted by on Lug 3, 2024

Piedigrotta: ‘Ai piedi della Grotta’

Questa magica parola per i napoletani raccoglie in sé due significati: quello geografico, nel senso che è una bellissima zona di Napoli posta fra il quartiere di Chiaia quello di Fuorigrottapiazza Sannazaro e la splendida stazione ferroviaria di Mergellina quello della storica festa che ricadeva nella prima settimana di settembre. Il luogo deve il suo nome al fatto di essere situato “ai piedi della grotta” in lingua napoletana: “piererotte” con una galleria scavata in epoca romana nella collina di Posillipo: la Crypta Neapolitana chiamata anche la “grotta di Posillipo”. Tutta questa area ricade all’interno della città di Napoli fondata poco prima della nascita di Roma e precisamente nell’VIII secolo a.C.

Napoli fu tra le città più importanti della Magna Grecia e giocò un notevole ruolo sia commerciale, che culturale e religioso nei confronti delle popolazioni italiche circostanti. Un’altra data importante fu quella della fondazione dell’Università degli Studi di Napoli fondata da Federico II di Svevia il 5 giugno 1224 tramite l’editto generalis lictera. L’Università di Napoli è considerata in assoluto la prima Università di tipo statale in quanto voluta da un sovrano regnante. La festa di Piedigrotta, invece, era una festa popolare che ricorreva l’8 di settembre e si teneva nella Napoli extra moenia, cioè fuori le mura di recinzione della città, i culti pagani vi si celebravano fin dal I secolo a.C. tanto che Petronio Arbitro nel suo Satyricon menziona dei baccanali, destinati a propiziare la fecondità e che si celebravano in onore del dio Priapo, nei pressi della Crypta Neapolitana, una galleria scavata in epoca romana nella collina di Posillipo.

Successivamente si passò, nel III secolo d.C., al culto di Maria Vergine poi, nell’VIII secolo, vi si aggiunse quello di Maria Oditrigia, iconografia dalla Madonna con in braccio il Bambino Gesù di provenienza bizantina e della quale scrisse anche il Petrarca. Contemporaneamente a questo culto, continuò per un lungo tempo anche il rito pagano nella galleria, finché si giunse alla costruzione, nel 1207, di una piccola cappella nata, secondo una leggenda, nel luogo dove la Madonna era apparsa a tre religiosi e dove era stata trovata anche un’icona. In realtà le testimonianze accennano alla traslazione delle reliquie dei santi Giuliana Massimo da Cuma, distrutta dai longobardi e che riposte nella cappella insieme ad essa furono distrutte da un maremoto nel 1343 e precisamente la notte del 25 novembre. Buon testimone fu il Petrarca che lo descrisse in tal modo: “Serrata la finestra mi posi sopra il letto, ma dopo avere un buon pezzo vegliato, cominciando a dormire, mi risvegliò un rumore e un terremoto, il quale non solo aperse le finestre, e spense il lume ch’io soglio tenere la notte, ma commosse dai fondamenti la camera dov’io stava……………. si dice che questa tempesta abbia infuriato lungo tutto l’Adriatico, il Tirreno e per ogni dove” e conclude facendo esplicito riferimento ad un maremoto che si abbattè sul golfo di Napoli e Salerno.

Per tali motivi nel 1353 fu edificato il santuario “de pedi grotta”, che divenne il centro della devozione del borgo marinaro e della sua festa, che fu fissata l’8 settembre, giorno della natività di Maria. Durante il XVI secolo iniziò la parata dei carri allegorici che è durata fino al XX secolo e nel 1952 si decise di organizzarli contemporaneamente al Festival della canzone napoletana che si svolse fino agli anni settanta quando fra contrapposizioni varie terminò.  Dopo la fine del Festival di Napoli iniziò un vero e proprio declino della “Piedigrotta”, che fu sospesa nel 1982. Nel 1983, infatti, il Comune di Napoli decise di convogliare i finanziamenti verso i terremotati del novembre 1980, la sfilata dei carri fu comunque garantita dall’associazione “Napoli Nostra” solo per i due anni successivi. La Piedigrotta per noi bambini degli anni ’50 significava solo la festa, i carri ed i giochi che ne seguivano ma essa si abbinava fin dall’edizione del 1839 a successi musicali ancora oggi sulla scena e che in quel lontano anno vide il trionfo di “Te voglio bene assaje” i cui autori sono a tutt’oggi ancora incerti ma, una certa tradizione popolare, attribuisce la musica al maestro Gaetano Donizetti e le parole al poeta Raffaele Sacco. Oltre all’ascolto delle canzoni in gara, la manifestazione dava ampio spazio a tarantelle e macchiette basate su strumenti tradizionali, come putipù, triccheballacche e nacchere oppure su quelli denominati “‘e scucciamienti” utilizzati solo per produrre forti rumori in modo continuo ed accanito. Altri successi immortali si susseguirono nel corso degli anni con la festa di Piedigrotta e, sperando di non far torto a nessuno, non posso non citare “‘E spingule francese” del poeta Salvatore Di Giacomo e la musica del maestro Enrico De Leva; “Funiculì funiculà” con i versi di Peppino Turco e la musica del maestro Luigi Denza; e l’eterna “‘O sole mio del poeta Giovanni Capurro e del maestro Eduardo Di Capua.

di Raffaele Romano

fonte

Piedigrotta: ‘Ai piedi della Grotta’ – L’identitario (lidentitario.com)

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IL BRIGANTAGGIO LUCANO (X)

Posted by on Lug 2, 2024

IL BRIGANTAGGIO LUCANO (X)

CANTI EPICI

LA DESGRAZI‘ D’ DON PITR PULIN’ ( La disgrazia di Don Pietro Polini )

Note per la corretta lettura:

La vocale « e » nel corso e in fine di parola generalmente è sempre muta o semimuta (quindi non si pronuncia) a meno che non sia accentata. La vocale « î » con l’accento circonflesso equivale a due « i » il secondo dei quali viene pronunciato leggermente con suono di « j » come l’iniziale delle parole « junior » « juventus » . La vocale « ô » con l’accento circonflesso ha un suono stretto e leggermente prolungato.

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Pietro Rombolo e Magellano

Posted by on Lug 2, 2024

Pietro Rombolo e Magellano

Quando Magellano raggiunse le Filippine scoprì di essere stato il secondo a visitarle.

La prima circumnavigazione del globo terracqueo non ce dubbio alcuno, fu quella intrapresa da Ferdinando Magellano. Pochi però ricordano quali primati furono accampati dai suoi biografi, e quanti di questi si possono definire primati. Nella storia dei viaggi per mare visitando il mondo, si sono immaginate le origini delle esplorazioni, e quando queste si sono spinte verso l’Estremo Oriente si è ritenuto la primogenitura appartenere a Magellano. Per esempio, durante quella traversata, il 16 marzo 1521 furono raggiunte le Filippine. Fra i testimoni di quella impresa spicca il patavino, Antonio Pigafetta, uno dei capitani e comandante di una delle tre caravelle al seguito di quella spedizione. Dalla cronaca del Pigafetta pubblicata la prima volta dal trevigiano Ramusio, nell’edizione del 1550 si svela una grande sorpresa. Infatti, in quelle memorie che riguardano l’arrivo nelle Filippine, allora inteso da alcuni cronisti cinesi, regno Sinii (Xini), i cinesi delle isole, per differenziali dai Sirii (Xiri), i cinesi del continente, ricorda il patavino l’incontro con alcuni indigeni presso l’isola dei Buoni Segnali. Interrogati questi ultimi dall’interprete malese imbarcato sulle navi cristiane proferirì con essi, traducendo il contenuto delle loro parole al Pigafetta e a Magellano: molte lune fa, altre navi come le vostre giunsero in questo regno, con le vostre medesime insegne (vele crociate), le vostre armature, i vostri paludamenti visitandoci in pace. Il Pigafetta esterrefatto ipotizzò las presenza di equipaggi cinesi, interdetto però sui simboli cristiani espressi nelle loro bandiere, innestate sopra i relativi pennoni. Chi mai si spinse prima della spedizione di Magellano in quelle terre? Un altro italiano all’insaputa delle cronache spagnole di inizio cinquecento, un altro spericolato navigatore, i cui viaggi e le relative imprese furono apprese dal pontefice Eugenio IV durante il giubileo del 1450 si era spinto fino a Pechino via mare. Certamente, uno sconosciuto esploratore giunse nel regno dei Sini, durante il lungo viaggio che lo condurrà dal porto eritreo di Dire in Estremo Oriente, dal 1444 al 1448. Quella impresa, le dinamiche ad essa collegate, le osservazioni fatte sul potenziale bellico di ogni paese visitato, dalle novità faunistiche e botaniche scoperte, dagli usi e dei costumi osservati, fa di Pietro Rombulo da Messina una primizia da rammentare ai posteri. Il suo principale biografo e corregionale che lo incontrerà a Roma e lo seguirà a Napoli, il palermitano Pietro Ranzano nella sua cronaca edita nel 1480, parlando espressamente di quel viaggio, riportando le memorie di Rombulo scrisse: ei fu il primo a raggiungere il paese dei Sini e in seguito nel viaggio il regno dei Siri. Rombulo è noto portava con se, mappe tolemaiche; gli itinerari espressi già nel II secolo d. C. da Tolomeo, il quale in rapporto a quei paesi lontanissimi, fece una sommaria descrizione del grande golfo presso il quale si ritrovava il regno di Sinae (Mar Cinese esteso dalle coste occidentali della Birmania a quelle orientali del Giappone) è stato segnalato dal messinese al palermitano nel 1450. E in quelle aree lontanissime Tolomeo segnalerà uno strano e sconosciuto regno, raggiunto la prima volta da un Siciliano, un terrone per l’appunto del quattrocento, cancellato dalle pagine della storia, da questa Italia; che pur dimenticandosi di lui, non lo accosta a quelle terre preferendo assegnare lo scettro del primato a uno spagnolo che a un suo rappresentante. E’ vero, la matrigna Italia, strabica per non dire cieca, quando deve esaltare un terrone, contribuisce semmai, a farlo dimenticare. Ecco perchè noi terroni siamo cittadini di serie inferiore. Italiani nei documenti ma, con dignità differenti perchè, secondo i ben pensanti “nulla di buona la storia ricorda provenire dal sud!”

Alessandro Fumia

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