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Avere cura della propria patria non è tradimento

Posted by on Ott 1, 2024

Avere cura della propria patria non è tradimento

Stiamo assistendo attentamente gli andamenti politici dei governi dell’Europa e di molti continenti che, tutt’oggi, si fanno influenzare e dipendere dall’imperialismo occidentale, con al capo il governo di Washington, che diffonde e impone la sua civiltà e le sue leggi di fatto estranee a quei popoli, facendo dimenticare agli stessi governi complici e collusi uno dei doveri che non può essere negato e che va compiuto: salvaguardare l’indipendenza di un popolo di propria appartenenza.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale la Carta delle Nazioni Unite aveva sancito a tutti i popoli ancora colonizzati e non il diritto all’autodeterminazione nazionale da ogni forma di colonialismo e, soprattutto, imperialismo di una determinata potenza straniera e tale principio fondamentale e innegabile venne intrapreso dai governi legittimi che, in seguito, verranno deposti anche con la forza dagli altri partiti politici e dalle organizzazioni imperialiste favorevoli all’Occidente e all’oligarchia elitaria. Tali scenari si verificarono in Asia, in America Latina e in Africa, dove leader legittimi e popolo erano uniti nella difesa dell’indipendenza e dei diritti della loro nazione minacciata dagli imperialismi europeo e americano ma proprio a causa di tale ribellione in cui entrambi pagarono un prezzo molto alto, fino a subire le pesanti conseguenze derivanti dalle politiche filo-occidentali dei loro governi: corruzione, partitocrazia, dittatura, terrorismo, crisi economica e illegalità. Purtroppo l’imperialismo viene tutelato dall’Occidente e dai suoi alleati attraverso una dura e occultata alleanza politico-militare che continua a dominare il mondo non solo attraverso le elezioni politiche interne degli Stati, dietro una possibile infiltrazione dei servizi segreti e delle multinazionali straniere, ma anche con le organizzazioni internazionali, tra cui la NATO, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione degli Stati Americani. Ora c’è il rischio che anche l’ONU possa divenire un’altra organizzazione tutrice di quell’imperialismo che, inoltre, rende impuniti i crimini commessi dalla Tirannia d’élite e dal neocolonialismo dei governi centrali. Se tutti i governi autodefiniti “democratici” dicono che sono fedeli ai propri popoli per poi illuderli e umiliarli a causa della loro complicità con l’Occidente, allora perché quei popoli si dichiararono nazioni indipendenti? Non avrebbe senso che un popolo ottenga l’indipendenza se la sua classe dirigente diventa complice e lo stesso popolo vittima dei suoi crimini commessi al suo dispetto. Allora se vogliamo far cambiare il mondo intero e batterci per la pace, bisogna cominciare a prendersi cura di un popolo di cui proveniamo, che sia residente o fuori dal suo territorio, in totale rispetto per il principio di uguaglianza dei popoli, anch’esso auspicato dal diritto internazionale, e senza rinnegare la sua realtà.

La “nostra” Italia “unita” crede di essere una nazione unita nella fraternità e nella libertà di tutti gli italiani, come ci hanno insegnato i professori, gli intellettuali e i politici sapientoni. Invece, se andiamo a conoscere la sua vera storia e notiamo che molti italiani parlano diversamente, dal punto di vista linguistico, e praticano usi e costumi provenienti dalle loro terre d’origine, guarda caso si scopre che in questa Italia non c’era il desiderio di uno Stato unitario e nessun popolo e principe italico, a parte i Savoia, voleva imporre il suo dominio su un altro per poter realizzare quell’Unita d’Italia, anche se essa viene realizzata dalla mano violenta e corruttrice della dinastia sabauda che, dopo aver ridotto i piemontesi-padani e i sardi nella povertà e nella disoccupazione, promosse una guerra di aggressione mai dichiarata a tutti gli Stati italici legittimi, violando il principio di non intervento e il citato principio dell’uguaglianza dei popoli, entrambi promossi e tutelati dal Congresso di Vienna del 1815, e trattò gli invasi popoli della Napolitania e della Sicilia come colonie sfruttate, cosa che i nostri Borbone non si erano permessi di farlo. Posso dire, senza vergogna, che noi napolitani abbiamo conosciuto l’importanza della politica nel rapporto tra Stato e società civile, nella gestione dell’economia nazionale, nella tolleranza verso gli stranieri, il ruolo dello Stato nella diplomazia e nell’antica fratellanza (vera e propria) con i siciliani, iniziata nel 1130, a differenza dei piemontesi Savoia che nel 1720 colonizzarono i sardi, trattandoli duramente come schiavi. Il popolo napolitano ha avuto una sua evoluzione storica mossa dalla ricerca dell’indipendenza nazionale, ottenuta nel 1734 con l’appoggio del re Carlo di Borbone, e della giustizia sociale, ricordando la famosa rivolta di Masaniello del 1647-48 che rimane come esempio non soltanto per Napoli ma anche per la nostra Patria napolitana. Tale forza e coraggio di voler essere indipendenti è stato ed è tuttora presente nel cuore degli abitanti napolitani, nonostante che sono costretti a dover ascoltare e a farsi influenzare dalle idee e dalle leggi della propaganda razzista unitaria. Per evitare che la nostra nazione italica, se in tal caso dovesse essere indipendente, non intende essere vittima delle ingiustizie sociali e dell’imperialismo occidentale, possiamo prendere come due esempi un evento storico e un personaggio molto importante, per poter esercitare al meglio la politica con il preciso scopo di non essere dimentichi dei bisogni e delle esigenze del nostro popolo: la rivolta dei Lazzari del 1799 e Ferdinando II di Borbone. I Lazzari, calunniati dagli storici ascari come rozzi ed assassini, erano persone che avevano al cuore sia di voler trovare un lavoro per non finire in miseria sia di difendere la nostra Patria dalle minacce esterne ed interne. Proprio nel 1799 quando l’esercito regio napolitano, comandato dal generale austriaco Karl Mack von Leiberich (che in seguito lo tradì consegnandosi alle truppe francesi giacobine), fu sconfitto dagli invasori francesi a Roma, senza impedire l’intervento del popolo e della minoranza dei professionisti forensi, ossia avvocati, fedeli al Re Ferdinando I di Borbone e alla Patria napolitana. Come risposta, i lazzari e i nobili, non collusi con la borghesia e l’aristocrazia subito divenuti giacobini, si riunirono nel Sedile del popolo per decidere le sorti del nostro Regno. Infatti non bisogna dimenticare che la prammatica del 3 ottobre del 1759, ossia prima che Carlo di Borbone lasciasse il Regno di Napoli nelle mani del figlio minore Ferdinando, conferiva al popolo napolitano il diritto di governare il Regno e alla resistenza interna ed esterna. Tale privilegio di fatto democratico non venne riconosciuto dal Vicario Francesco Pignatelli, uno strenuo sostenitore assolutista, ma viene condiviso dal principe Antonio Capace Minutolo che, attraverso le sue idee giusnaturalistiche, sostenne il Sedile che aveva già istituito la “Città”, una sorta di Parlamento, e si espresse a favore per la resistenza ad oltranza. Tra il 21, il 22 e il 23 gennaio 1799 i lazzari combatterono, strada per strada, gli invasori francesi, fino alla pesante e sanguinaria sconfitta dopo essere stati cannoneggiati dall’élite giacobina traditrice asserragliata nel Castel Sant’Elmo. Però le speranze della liberazione nazionale non erano spente, tant’è che si costituirono le Unioni realiste, fondate da militari, giudici e popolani, i quali, nonostante la spietata repressione robespierriana attuata dai francesi e dal governo fantoccio della “Repubblica Partenopea” contro il nostro popolo insorgente, attesero l’avanzata vittoriosa dell’Esercito sanfedista del cardinale calabrese Fabrizio Ruffo che entrò a Napoli il 13 giugno 1799, anche se egli, in quanto clemente nel suo cuore, impose l’ordine di non spargere sangue e vendetta contro famiglie fedeli o traditrici del popolo napolitano ai suoi soldati e ai combattenti lazzari. Questo periodo storico non fu erroneamente un atto di delinquere, di banditismo o di cannibalismo: è un simbolo di resistenza e di democrazia sedile, la quale si fonda sulla unione tra popolo e nobiltà nell’esercizio dei ruoli e sotto le varie forme dei governi, come il caso della Repubblica Napolitana del 1647-1648 che veniva guidata dal nobile francese Enrico II di Lorena e dal popolano Gennaro Annese. I diritti e l’indipendenza del popolo napolitano furono salvaguardati non solo da quell’esempio di resistenza e di democrazia vera e propria, ma dalla dinastia borbonica che rimasero profondamente attaccati alle radici culturali e nazionali dei napolitani, in particolare da parte del sovrano Ferdinando II. Salito al trono nel 1830, il giovane sovrano si mosse a favorire radicalmente il riformismo presente nella politica duosiciliana: risanò il debito pubblico, risollevò l’economia, supportò l’industrializzazione nelle province napolitane (Pietrarsa, Castellammare di Stabia e Mongiana) e combatté lo strapotere dei nobili e borghesi favorevoli all’acquisizione del potere feudale sulle terre agricole attraverso l’applicazione degli usi civici derivanti dalla prammatica del 23 febbraio 1792. Ben presto Ferdinando II dovette affrontare le pressioni e ingerenze straniere dell’imperialismo britannico, intento a conquistare e assoggettare chiaramente la Sicilia dopo che occupò vigliaccamente Malta attraverso l’accordo stipulato con il Primo ministro austriaco Von Metternich nel 1813. Nel 1838 Ferdinando II visitò la Sicilia, impegnandosi a garantire le eventuali benefici al popolo isolano, in particolare a Messina per la riapertura della sua Università pubblica chiusa dal 1678 a causa della ribellione antispagnola e la concessione del porto franco e la pubblicazione del decreto regio nella data del 19 dicembre che obbligava i procuratori reali a difendere i comuni dalle prepotenze rurali della grande proprietà baronale. Ma quando si recò nella miniera dello zolfo, assistette tristemente le condizioni disumani dei lavoratori, incolpando gli inglesi di esserne responsabili. Il sovrano Ferdinando II capiva perfettamente che il governo di Londra non voleva sostenere l’economia siciliana, com’era previsto dal trattato commerciale della “nazione più favorita” del 1816, ma di estendere il suo dominio sull’isola, con lo scopo di acquisire tutte le aziende isolane oltre a proteggere il baronaggio che, nei fatti, fu la vera piaga sociale della Sicilia. Quindi il nostro re Ferdinando II, con la volontà di salvare la Sicilia e la Napolitania, decise di stipulare il nuovo contratto di gestione dello zolfo siculo assieme alla società francese Taix-Aycard & C., invitando i soci francesi ad impegnarsi a supportare l’industria chimica siciliana. Tale tentativo di contrasto all’imperialismo provocò il duro intervento del primo ministro Lord Palmerston, il quale inviò le navi da guerra per occupare il porto di Napoli, obbligando al nostro sovrano di interrompere il contratto. Di fatto Ferdinando II non rimase immobile dinanzi alla minaccia straniera, impiegando anch’egli le navi da guerra per rispondere ai primi attacchi della Marina britannica. Alla fine a essere costretto a cedere alla richiesta inglese fu lo stesso Ferdinando II dietro il consiglio del Re dei francesi Luigi Filippo di Orleans e nel 1840 dovette sciogliere il contratto, ma come conseguenza sia il sovrano stesso sia il Regno siculo-napolitano saranno bersagli di una serie di pesanti e irrealistiche accuse di propaganda fomentata dalla Gran Bretagna, dalla Massoneria internazionale e dall’oligarchia dei “pennaruli” finché la nostra Patria napolitana e la Sicilia, proprio grazie alle loro vergognose calunnie, diverranno colonie del Piemonte dal 1860. Ma quello che non va dimenticato è che la resistenza economico-commerciale di Ferdinando II di Borbone contro l’ingerenza degli inglesi rappresenta il simbolo di lotta all’imperialismo, di fatto condotto da un monarca sovrano e che, in seguito, verrà imitato da altri Stati continentali, come l’opposizione cinese contro l’imperialismo britannico nelle guerre dell’Oppio del 1839-1858 e la rivoluzione cubana contro l’imperialismo americano del 1959. A molti lettori napolitani inizieranno a dire, a caso, che tutti questi fatti storici non fanno parte sui libri di storia scolastici e universitari, credendo che i Borbone furono gli stranieri e oppressori dei due popoli e continueranno a credere, per sbaglio, all’unità italiana che, interamente e indubbiamente, è coloniale a tutti gli effetti. Come potevano divenire i nostri Borbone una dinastia straniera se il liberatore Carlo di Borbone imparò a parlare le lingue italiano e napoletano? Veramente dobbiamo credere alla storiografia razzista coloniale unitaria che i Lazzari furono al servizio della Camorra? Tutto estraneo dalla realtà della penisola italica, perché è tutto l’esatto contrario di quanto ci hanno raccontato quei bugiardi storici. Se alcuni regimi politici intendono ispirarsi ai pensieri politico-civili dei loro popoli con lo scopo di non abbandonarli nei loro destini e di soddisfare i loro bisogni e le loro esigenze (a Cuba con il suo castrismo marxista-martista, in Venezuela con il suo chavismo bolivariano, in Argentina con il suo peronismo, in Nicaragua con il suo sandinismo, il Burkina Faso con il suo sankarismo, il Congo con il suo lumumbismo, i Paesi maghrebini e medio-orientali con il loro baathismo ed etc.), questo obiettivo non affatto totalitaristico né anti-democratico è presente anche nelle tradizioni civile-nazionali del nostro popolo ingiustamente colonizzato e può essere raggiunto proprio prendendo spunta agli esempi di valori morali legati agli eventi storici e ai vari personaggi importanti della storia della Nazione Napolitana, oltre la resistenza dei Lazzari e la figura di Ferdinando II. Però questi due esempi citati e descritti tendono a rafforzare la nostra causa indipendentista e identitaria per rendere più chiara una cosa: la riconquista dell’indipendenza napolitana (visto che la nostra terra è stata e di fatto è una nazione per secoli) deve comportare non solo la conquista della dignità perduta ai nostri abitanti napolitani ma il ripristino della antica fratellanza con tutti i popoli d’Italia, compreso il popolo siciliano, fino alla sua riunificazione totale, federale o confederale che sia. Il patriota martire siciliano Antonio Canepa disse che la sua nazione italica rimanga “ai siciliani, pacifica, laboriosa, ricca, felice, senza tiranni e senza sfruttatori”, il nostro antenato Nicola Zitara auspica che la nostra Patria napolitana “deve usare le sue risorse economiche ed umane per edificare un sistema industriale, ma è necessario che essa si renda libera e indipendente”. Più rispetto per l’indipendenza di ogni popolo e più prevalenza per l’uguaglianza di tutti i popoli.

Antonino Russo

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