Alta Terra di Lavoro

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CAPUA ANTICA- di Salvatore Fratta

Posted by on Dic 27, 2020

CAPUA ANTICA- di Salvatore Fratta

LA CITTÁ ANTICA — “ La planimetria urbana aveva seguito tutte le regole della gromatica ”, e mentre Roma aveva strade strette e tortuose, cioè “ le viuzze e gli angiporti oscuri dei vecchi quartieri ” (A. Maiuri), Capua, “ in planissimo loco esplicata ”, come affermò Cicerone, venuto nella città verso il 49 a. C., per “ la regolarità della pianta, le strade larghe e diritte, divenne una delle più belle città d’Italia ” (J.Beloch -Campania – pag. 389), estesa su oltre 200 ettari, occupante un’area “ tendente più o meno all’ovale di circa m.1600 (Est – Ovest) per 1400 m. (Nord – Sud)” secondo il Prof. Jahnnowsky.

Era cinta da mura che si sviluppavano per circa 6 km, ed in esse, secondo il Pratilli, si aprivano sette porte, di cui, purtroppo, conosciamo l’ubicazione in modo molto approssimativo.

Ad Ovest era ubicata Porta Romana o Trionfale, mentre Porta Albana (o Alba) così chiamata perché si apriva verso Est, dove sorge il sole.

Erano le due porte situate alle estremità della via Appia, che fungeva da decumanus maximus, cioè la strada che attraversava tutta la città da Ovest verso Est.

L’attuale corso A. Moro, però, non ricalca perfettamente l’antico tracciato. Infatti, esso procedeva una decina di metri più a nord, passando proprio fra il Teatro e il Criptoportico per congiungersi, in un perfetto allineamento ovest – est, con l’attuale via San Gennaro e proseguire fino al Ponte di S.Prisco.

Da questo punto la via Appia, uscendo dalla città, si dirigeva verso sud-est, sempre in linea retta, attraversava l’attuale paese di S. Nicola la Strada, raggiungeva Suessola e Calatia, e continuava il suo cammino verso Benevento.

Sul lato nord era situata la Porta Volturnensis che portava al tempio di Diana sul Tifata, per congiungersi alla via che menava a Benevento.

Poi vi era la Porta Iovia di cui si ignora la vera ubicazione, ma, come dice il prof. Beloch, importantissima perché nel 211 a. C., dopo il ritiro di Annibale, attraverso di essa, l’esercito romano, alla fine del lungo assedio, entrò nella città conquistata.

Certamente dovevano esserci altre porte per consentire di raggiungere città come Atella con la via Atellana, Pozzuoli con la via Campana, ed il litorale, con la via Marittima, ma di esse si ignora la denominazione e l’ubicazione.

Le mura di Capua furono costruite dagli Etruschi secondo il loro particolare cerimoniale: dopo aver osservato il volo degli uccelli e desunti da esso gli auspici favorevoli, con l’aratro, aggiogato ad una coppia di bianchi buoi, tracciavano il solco (sulcus primigenius) che indicava il tracciato delle mura.

Nel tratto in cui dovevano essere sistemate le porte della città, il vomere veniva sollevato e la terra non veniva incisa.

Lungo le mura veniva lasciata una striscia di terreno, il cosiddetto pomerio, consacrato agli dei protettori della città, libero da costruzioni sia all’interno che all’esterno delle mura e delimitato con termini in pietre.

Era uno spazio in cui non si poteva costruire, né abitare, non si poteva coltivare, né si poteva passare. Solo lo spazio destinato alle porte e quindi alle strade che uscivano dalla città, era escluso dalla sacralità del luogo.

Oggi, non vi sono più tracce dell’antico pomerio e scarse sono quelle delle mura. Di esse, infatti, circa 12 metri furono rinvenuti sul lato orientale della città, nei pressi del ponte di S. Prisco e solo pochi blocchi di tufo si ritrovarono nella parte sud – occidentale della città.

Le necropoli erano ubicate nei terreni attigui alle strade che dipartivano dalla città, utilizzati per tale scopo fin dai tempi più antichi.

Un sepolcreto di notevole estensione, si trovava nei pressi dell’Anfiteatro, in Località Fornaci. Dalla contrada Arco Felice e poi dalla località S. Leucio, la necropoli si estendeva fino ai Quattordici Ponti. In questi spazi furono rinvenute numerose tombe con corredi funebri di grande valore, ma purtroppo, fatti oggetto di commercio, furono dispersi in quasi tutti i musei del Mondo.

A dire il vero, il saccheggio delle tombe, a scopo di lucro, veniva operato già al tempo di Cesare. I coloni da lui dedotti nella città manomisero molte tombe alla ricerca di suppellettili di bronzo.

Racconta C. Svetonio Tranquillo nella “De vita Caesarum” (Caesar, 81): …” pochi mesi prima della morte di Cesare, mentre nella colonia di Capua i coloni, ivi dedotti per la legge Giulia, rimuovevano un antichissimo sepolcreto per costruirvi delle case, e ciò facevano accuratamente in quanto nello scavare ritrovavano molti vasi di antica fattura, fu rinvenuta una tomba in cui per tradizione si riteneva fosse sepolto Capi, fondatore di Capua ”.

In essa si trovò una lamina di bronzo nella quale in parole incise in lettere greche era scritta una profezia riguardante C. Giulio Cesare: “ Quando saranno scoperchiate le ossa di Capi, un discendente di Julio verrà ucciso per mano di suoi parenti e sarà vendicato tra gravi flagelli per l’Italia … ”.

Le continue spoliazioni, effettuate, fin dai primi anni del 1700, senza nessun regola scientifica, non hanno permesso di studiare questi siti come si conveniva.

Ad alcuni scavi intrapresi nel territorio di Capua, assistette anche Lord William Hamilton (1730 – 1803), ambasciatore inglese alla corte di Napoli dal 1764 al 1800, accanito collezionista di vasi antichi.

Nel 1772 lord Hamilton vendette buona parte della sua collezione di antichità al British Museum di Londra. Prima di allora, nel museo inglese erano conservati solo manoscritti e reperti di storia naturale.

I saccheggi continuarono con scavi clandestini o autorizzati, durante tutto il 1800: “ Si pone mano, nel 1843, ai lavori di un nuovo cimitero a Santamaria e, nel gettar le fondamenta di cripte e cappelle, vengono alla luce sepolcri ed iscrizioni della necropoli romana”.

Il Sindaco fa quello che avrebbero fatto i sindaci di ogni tempo: deve pensare ai morti di oggi e non ai morti d’allora e tombe e iscrizioni antiche vanno a catafascio … Solo tre cippi che furono inviati al Museo di Napoli.

…Guai maggiori si ebbero quando nel 1844, durante la costruzione della ferrovia che da Napoli giungeva a Capua, tanto che: “….di tutte le città della Campania, forse la più tragica sorte toccò a quella che ne era la naturale metropoli, all’antica Capua (oggi S. Maria Capua Vetere).

Nessun terreno archeologico più ricco fu anche barbaramente manomesso dall’ingordigia dei collezionisti e degli antiquari del luogo: devastazioni sistematiche di decenni e decenni di scavi compiuti impunemente sotto la tolleranza o l’ ignara complicità degli intendenti borbonici….”

Questa fu la protesta dell’archeologo Amedeo Maiuri in “ Saggi di Varia Antichità ” – pag. 46.

Le necropoli si sviluppavano anche verso ovest, lungo la via Appia in direzione dell’attuale Capua, sia nell’adiacente località Cappuccini, sia nella zona poco distante dal muro perimetrale della caserma Andolfato.

In questi spazi sono state rinvenute sepolture ascrivibili sia al periodo villanoviano, sia al successivo periodo etrusco.

Nella località Quattro Santi, posta a nord della città, fra la Chiesa Madonna delle Grazie ed il cimitero, furono rinvenute tombe i cui ricchi corredi funebri hanno fatto ritenere che fossero utilizzate da personaggi di alto rango.

Famosa quella in cui era raffigurata, ornata di gioielli, una bella e nobile donna sannita dall’aspetto fiero.

Fra le altre, nel 1868,Simmaco Doria portò alla luce una tomba a camera,di eccezionale grandezza.Aveva la lunghezza di m. 6,60, la larghezza di m. 4 e l’altezza di m. 3,70, in parte dipinta. Fu datata verso il 470 a. C. ed è certamente opera di età etrusca. In essa furono rinvenuti i resti di oltre una ventina di inumati.

La copertura era a spioventi, e scolpita nel tufo appariva la trave di sostegno del tetto; le pareti più lunghe erano affrescate con festoni, mentre su quella di fondo, più corta, erano rappresentati due personaggi appoggiati a bastoni, intenti a giocare con una scacchiera, seduti intorno ad un basso tavolino; alle loro spalle vi erano le figure di due adolescenti, quello a destra seduto e piangente, mentre quello a sinistra in piedi esprimendo profonda tristezza.

La parte alta della parete era affrescata con un motivorappresentante una benda da cui pendevano due melograni, simbolo di fecondità, forse per simboleggiare una copiosa discendenza avuta dal capostipite.

La tomba oggi non esiste più, perduta del tutto dopo pochi anni dal ritrovamento e la testimonianza sopraccennata è quella, unica, dell’archeologo Federico Helbig che ebbe la ventura di vederla e riprodurre gli affreschi con alcuni schizzi.

Si è ritenuto, dagli archeologi, che sia stata utilizzata in principio dai componenti della famiglia del proprietario fino al 430 a. C. circa. Non usata per un certo periodo, fu riutilizzata verso il 350 come dimostrano i vasi campani a figure rosse ritrovati al suo interno. Il vasellame ritrovato, oggi si trova presso diversi musei: a Londra British Museum, a San Pietroburgo Museo dell’Ermitage; a New York Metropolitan Musem; ecc.

Negli anni sessanta del Novecento venne allargato il Cimitero e, nello spazio che precede la nuova entrata al sacro luogo, si rinvennero molte altre tombe; una di esse, era a forma di cubo con le pareti intonacate, su cui, in rosso, risaltavano alcune parole scritte in greco.

Nel 2007, nella stessa località, durante i saggi esplorativi per la costruzione di una strada quasi adiacente al lato sud del cimitero, sono state rinvenute più di 250 sepolture di epoca romana.

Fra tutte è da ricordare la tomba a camera, risalente al I sec.a. C., piena età imperiale. E’ il sepolcro di una giovane donna il cui nome era Stallia.

Il sacello presenta le pareti dipinte raffiguranti la defunta che scende dalla barca del traghettatore e si presenta al dio degli Inferi Plutone (Dis Pater = Dite oppure Dives Pater = ricco padre) salutandolo con le seguenti parole: Deive Pater, salve. Ed ottiene come risposta: salve Stallia. Come dire: “ Ti saluto Plutone divino padre.” — “ Benvenuta Stallia ”.

Si ritiene che la giovane Stallia dovesse appartenere ad una delle famiglie altolocate di Capua, per la preziosità del suo intero corredo funebre, rappresentato da oggetti d’osso, di bronzo e quattro balsamari di alabastro adatti a contenere profumi.

Il monumento venne smontato e trasportato nel Museo dell’Antica Capua.

Nella stessa campagna di scavi, poco distante dalla suddetta tomba furono ritrovati i resti di alcune pire funebri.

Lasciati incustoditi per una notte, vennero manomessi da chi, data la sua scarsa intelligenza, non poteva conoscere il valore storico e non venale di una simile scoperta, e mi chiedo quale emozione abbia provato nel distruggere simili reperti.

Verso est, nel territorio di appartenenza al comune di San Prisco, vennero rinvenute, verso il 1970, una quindicina di tombe a camera di epoca sannitica, e di esse almeno dieci erano dipinte; rappresentavano il defunto nelle vesti di cavaliere sannita, o nelle vesti del guerriero sannita con la sua completa armatura. In un caso era rappresentata la scena di un combattimento fra un cavaliere ed un guerriero appiedato.

Infine, nei primi decenni del XIX sec., vennero recuperate una ventina di tombe dipinte con immagini di guerrieri sanniti – campani che ritornano dalla battaglia a piedi e a cavallo, rivestiti delle armature e di elmi decorati con corna o piume colorate, con i trofei tolti allo sconfitto nemico.

Furono sistemate nel Museo Provinciale di Capua, ma buona parte di esse andarono perdute durante i bombardamenti del settembre 1943.

( continua)

curato da Salvatore Romano

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