Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

1799… E la chiamarono libertà (Seconda parte)

Posted by on Nov 11, 2019

1799… E la chiamarono libertà (Seconda parte)

     L’intervento precedente – escludendo le due appendici – si chiudeva con la promessa che si sarebbe parlato del sangue di vittime innocenti che, a causa dell’invasione francese dovuta all’invito  dei “liberali”  nostrani, impregnò di sangue, sia durante la discesa che durante la risalita, le zolle della nostra terra ed arrossò perfino le acque dei nostri fiumi.

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11 novembre 1806 Fra’ Diavolo è morto…ma è vivo ancora nel Regno come a Tramonti

Posted by on Nov 10, 2019

11 novembre 1806 Fra’ Diavolo è morto…ma è vivo ancora nel Regno come a Tramonti

Michele Arcangelo Pezza Colonello dell’Esercito Napoletano e Duca di Cassano alias Fra’ Diavolo l’11 novembre 1806 fu condannato a morte e giustiziato a P.zza Mercato dall’esercito invasore giacobino Francese e nonostante la giovane età e con moglie e figli a carico, preferì lasciarsi morire e non tradire il suo Dio, il suo Popolo e il suo Re. Nonostante la vulgata dominante giacobina cerca di infangare da 227 anni il nome del Mito napolitano le sue gesta, il suo coraggio e la sua fedeltà non è solo e vivo ancora ma si rafforza giorno per giorno.

Anche a Tramonti ricordano con forza l’eroe Itrano e grazie alla ” Paranza do Tramuntan” che ha scritto e musicato una cantata a lui dedicata capiamo che in tanti angoli del  Regno il Mito di Fra’ Diavolo non solo è ricordato ma addirittura il suo ricordo si rinnova giorno per giorno.

Di seguito la cantata a Fra’ Diavolo che gentilmente la ” Paranza do Tramuntan” ha eseguito in esclusiva per l’Ass. Id. Alta Terra di Lavoro in quel di Torre Annunziata.

di seguito monologo in lingua laborina di Raimondo Rotondi con protagonista Fra’ Diavolo recitato il quel di Itri.

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Due Sicilie II e 1799

Posted by on Nov 9, 2019

Due Sicilie II e 1799

“La Repubblica Partenopea”: se non ci fossero di mezzo migliaia di morti, questo sarebbe potuto essere il titolo di un’opera buffa del San Carlo.
Che bei nomi di protagonisti! Abbiamo scelto quelli più famosi, come appunto si fa a teatro per ragioni di botteghino: Mario Pagano, Domenico Cirillo, Francesco Caracciolo e due prime donne, Luigia Sanfelice ed Eleonora de Fonseca Pimentel, ma che a Napoli ancora adesso tutti ricordano come Eleonora Pimentel Fonseca, e infatti suona meglio. ………

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NEL 1799 LA CHIAMARONO LIBERTA’

Posted by on Nov 8, 2019

NEL 1799 LA CHIAMARONO LIBERTA’

     Sembrerà strano che nell’anno del Signore 2019  si avverta il bisogno di parlare ancora del 1799, un momento della storia lontano ormai ben duecentoventi anni. L’ esigenza si pone, però, per almeno due motivi. Il primo – che potrebbe anche non rappresentare cagione di preoccupazione – è rappresentato dal numero non indifferente di eredi spirituali, che si nutrono ancora delle idee dei giacobini del 1799.  Il secondo, invece, è quello che preoccupa di più, perché costoro, nei gangli della società, occupano le posizioni di maggior prestigio, da cui hanno la possibilità di imporre un “pensiero unico”, influenzando cultura, politica e informazione. Il che consente loro di beneficiare di consistenti concessioni di fondi negati ad altri come si potrà rilevare dalle due appendici in calce.

     Vediamo dove affondano le radici di tali preoccupazioni.

     L’anno che ci accingiamo ad esaminare arrossò di  una lunga ed ininterrotta scia di sangue, da nord a sud , da est ad ovest, il suolo dei vari Stati della penisola italiana, poiché, invaghiti dalle idee dei giacobini francesi, i sedicenti liberali italici (non ancora italiani in senso strettamente  politico) fecero violare i propri confini dalle feroci e fameliche truppe francesi. Se una tale decisione fosse stata presa dal “popolo basso”, quello che i “liberali” non ritenevano degno di essere considerato “cittadino” , la cosa poteva anche essere  scusata, essendo l’ignoranza la causa della loro  scelta. Ma qui stiamo parlando di una classe sociale che è stata e viene tuttora presentata come la “crema” dell’intellettualità napoletana, quindi, con tutte le credenziali per  raccogliere gli insegnamenti della rivoluzione che pochi anni prima aveva sconvolto la loro madrepatria ideale e valutarne le catastrofiche conseguenze. E dire che proprio uno storico di parte come il Cuoco – mostrando, in verità, poca coerenza – aveva affermato : <<… la mania per le nazioni estere prima avvilisce, indi immiserisce, finalmente ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cose sue …>>.

     Se il Cuoco, nelle sue scelte politiche, si fosse attenuto  anche a questo solo principio e, anziché farsi abbacinare dalla nuova ideologia, avesse cercato di convincere gli amici sulla bontà del suo postulato, avrebbe dimostrato di essere una persona coerente, proprio perché non ignorava che libertà e liberazione difficilmente possono essere garantite da eserciti stranieri e che, anzi, l’unico elemento certo in una scelta del genere è che il cambiamento non avverrà in maniera indolore, ma sarà causa di lutti e rovine.  Lutti e rovine che furono veramente tanti, non risparmiando nessuna città, nessun paese, neppure i luoghi sacri.

      Sappiamo bene che la storia non ammette “se”, ma poiché molti giudizi su queste decisioni sono presenti addirittura nella cultura dei nostri giorni, non possiamo evitare di tentare un’ analisi di tali fatti, non tanto per decidere se i protagonisti del 1799, affascinati dalle idee rivoluzionarie, abbiano sbagliato o no, perché un giudizio di condanna o di assoluzione non cambierebbe né le situazioni né i fatti storicizzati, quanto per esprimere un giudizio su chi, ancora oggi, difende ad oltranza scelte e comportamenti che le epoche successive si sono incaricate di dimostrare sbagliati e riprovevoli e che continuano ad influenzare la società odierna. Per ritornare ai “se” non ammessi dalla storia, analizzando sia i presupposti che le conseguenze del momento storico della Repubblica Napoletana, si può tranquillamente affermare che se gli intellettuali che invitarono i francesi a violare i confini delle rispettive patrie si fossero astenuti da tale aberrazione, si sarebbero evitate tutte quelle violenze che invece interessarono la martoriata terra italica : saccheggi, uccisioni di massa, incendi, stupri, violazione di luoghi sacri, ecc. Riandando, infatti, con la mente agli eccessi della rivoluzione del 1789, mostratasi liberticida piuttosto che libertaria e tirannica piuttosto che democratica, quelli che vengono celebrati come “martiri”, non avrebbero avuto difficoltà, applicando un semplice processo di analogia, a trarne ammonimento non avvertendo nella nuova rivoluzione figlia della precedente e quindi con le stesse caratteristiche genetiche le nefaste  conseguenze a cui  avrebbero portato le loro scelte.Questa pretesa non è tanto assurda perché qui non stiamo parlando di plebaglia, di lazzari, di persone solo istinto secondo la convinzione dei giacobini, ma di persone di elevata istruzione e cultura (medici, avvocati, giudici, sacerdoti, vescovi, alti ufficiali, nobili, ecc.). Accertato, quindi, che a motivo della propria istruzione costoro avevano la scienza necessaria per evitare i lamentati danni, anche se  ritenerli colpevoli non serve a mutare quanto storicizzato, dobbiamo far capire che le loro scelte non ebbero nulla di eroico e quindi dobbiamo abbattere  l’aura mitologica in cui sono stati inseriti, perché essi, già nel momento in cui facevano la loro scelta, erano ben consapevoli che stavano facendo qualcosa di cui non andare fieri, se dobbiamo credere almeno alla chiara denuncia del Colletta, che, nonostante la sua faziosità, non potette far a meno di riconoscere : << … Tu, cittadino generale, hai presto scordato che non siamo, tu vincitore, noi vinti ; che qui sei venuto non per battaglie e vittorie, ma per gli aiuti nostri e per accordi ; che noi ti demmo i castelli ; che noi tradimmo, per santo amore di patria, i tuoi nemici  (cioè, i propri fratelli –  ndr) ; che i tuoi battaglioni non bastavano a debellare questa immensa città ; né basterebbero se noi ci staccassimo dalle tue parti … >> (Storia del Reame di Napoli … 4, V) . Ancora, quando i giacobini, travestiti da popolani, sparavano alle spalle dei lazzari, lo stesso Colletta ribadisce : << … menavano al flagello la tradita plebe. Opere malvagie se pongasi mente all’ ingannata fede …>>  (ibidem 3,XLI).

     Vediamo adesso il percorso della scia di sangue che inzuppò le zolle delle nostre terre, il numero approssimativo delle vittime imputabili solo alla ferocia delle truppe dei “liberatori” e non di quelle cadute in combattimento; quello dei paesi devastati e dati alle fiamme; quello dei luoghi sacri profanati, e poi vediamo in nome di quali principi possa essere giustificato tutto questo e dove gli eredi dei protagonisti della Repubblica Napoletana trovino il coraggio di celebrare un evento che fu tanto funesto per la “nostra” patria e pretendere addirittura un “pantheon dei martiri” 

APPENDICE n. 1 –  SUD : L’ ISTITUTO DI MAROTTA. UNA CONTROSTORIA DA SCRIVERE

<< … L’Istituto di Marotta è tra i pochi in Italia ammesso a godere anche dei fondi dell’8 per mille. Nel 1999 la distribuzione di fondi fruttò un miliardo all’istituto, secondo quanto risulta dall’elenco della Presidenza del Consiglio. Nello stesso anno la Società geografica italiana, unico ente che si occupa di geografia, ottenne 199 milioni ( “Roma”, 27.10.2001). Secondo dati forniti dallo stesso Marotta in un’intervista a “La Repubblica” (12.6.1996) solo nel 1994 all’Istituto per gli Studi filosofici furono assegnati 5 miliardi di lire dal Ministero della Ricerca scientifica, 260 milioni dal Ministero per i Beni culturali. L’avvocato si lamentava. Negli anni precedenti il Ministero per i Beni culturali gli assegnava 340 milioni. Ma in cambio di che cosa? A dirigere l’ “attività scientifica” dell’Istituto dietro lo schermo di un “ Comitato scientifico” nel quale figuravano alcuni docenti universitari era un professore di liceo, Antonio Gargano, poi estromesso negli ultimi anni dal cerchio magico-familistico del nipote e di due dei figli dell’avvocato 89enne, che avevano di fatto assunto il controllo amministrativo. Le cifre erogate alla creatura di Marotta nessun istituto universitario, nessuna istituzione culturale, a Napoli e nel Sud, le ha mai potuto immaginare. Quelle elargizioni a senso unico hanno bloccato ogni progetto vero per la cultura, in una città che non aveva un Museo civico, dove il Museo Filangieri stava per chiudere ed altri, come San Martino tenevano gran parte delle sale chiuse per mancanza di personale. Una città che ha circa 200 chiese chiuse, abbandonate, stravolte nella destinazione d’uso, che dal 1994 non ha più un’Orchestra Stabile dopo la decisione della Rai di tagliare la Scarlatti che costava un miliardo all’anno, una città che non aveva un teatro stabile, e dove l’editoria cominciava a boccheggiare. C’è una controstoria tutta da scrivere sulla realtà di questo baraccone multicolore che la “ magia della parola “ dei mass – media, le complicità e l’ ignoranza dei giornalisti hanno trasformato in un “ tempio della cultura “. Quanto è costato in 41 anni l’Istituto per gli Studi filosofici? Come sono stati impiegati i finanziamenti pubblici? Qual è il suo bilancio scientifico, in termini di ricerche e di pubblicazioni, di studiosi formati? Quali erano i criteri per la cooptazione nel ristretto gruppo che lo gestiva, quali appartenenze contavano?Sabato 28 gennaio (2018, ndr) a Palazzo Serra di Cassano, il figlio dell’avvocato Marotta, Massimiliano, che adesso insieme ai fratelli e ad una piccola corte si candida a gestire i nuovi finanziamenti già annunciati, senza avere alcun titolo scientifico, ha accolto un perplesso presidente della giunta regionale della Campania Vincenzo De Luca con la retorica dei “paglietta” (come Re Ferdinando II di Borbone chiamava gli avvocatucoli liberali). “ L’Istituto ha una sola funzione – ha detto stentoreo Marotta junior – quello di portare la filosofia in soccorso dei governi, come diceva Filangieri”. Finora, però, sono stati i governi e gli enti locali, con i soldi dei cittadini, ad andare in soccorso dell’Istituto e della famiglia Marotta.>> (Lettera Napoletana n. 108 – gennaio 2017)

APPENDICE n. 2 – SUD : L’ ISTITUTO DI MAROTTA. UNA CONTROSTORIA DA SCRIVERE

<< … con il meridionalismo l’avvocato Marotta – che riduceva la grande storia di Napoli e del Sud all’effimera repubblica giacobina del 1799 e al cosiddetto Risorgimento – non c’entrava per niente. Quanto ai “poteri forti” ne era un esponente di prima fila, appartenendo a quella borghesia parassitaria meridionale che vive dall’unificazione in poi intercettando le risorse pubbliche ed assicurando in cambio il consenso intellettuale e politico allo Stato centrale. Nessun giornale ha neanche accennato un bilancio dell’ attività dell’Istituto, fondato nel 1975 dall’ex avvocato amministrativista che realizzava gli espropri per conto delle giunte del comunista Maurizio Valenzi (1975 – 1983) a contadini e piccoli imprenditori agricoli. Eppure il massiccio drenaggio di finanziamenti pubblici operato dall’Istituto di Marotta a danno delle istituzioni culturali di Napoli e del Sud aveva suscitato spesso proteste. “ L’Istituto di Studi filosofici – denunciò lo storico Paolo Macrì, docente all’Università Federico II – elargisce a pioggia centinaia di incarichi  scientifici e didattici dal contenuto molto confuso, finendo per pagare tutto un ceto intellettuale, materialmente o ideologicamente che sia … Di suo l’Istituto ci mette un’accorta politica dell’immagine costruita attorno a qualche personaggio eminente” (Corriere del Mezzogiorno 1.10.2000). “L’Accademia, il Conservatorio sono la storia di questa città da 300 anni – denunciò il direttore dell’Accademia di Belle Arti, Gianni Pisani – e questi si spartiscono i fondi come se fossero cosa loro, fra loro” (La Città – 14.6.1996). La classe politica ha fatto il resto, mescolando opportunismo ed ignoranza …>> (Lettera Napoletana n. 108 – gennaio 2017)

Castrese Lucio Schiano

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Ancora verità sul 1799 (II)

Posted by on Nov 5, 2019

Ancora verità sul 1799 (II)

sul Mattino e sui libri “giacobini”

L’esercito francese che massacra il popolo napoletano al Carmine.

Premessa: e se Il Mattino organizzasse un dibattito? Leggo solo ora alcune considerazioni scritte dalla sig.ra Antonella Orefice autrice di un libro sugli “eccidi ordinati dai Borbone” in alcuni paesini molisani, recensito da Il Mattino qualche giorno fa e al centro di alcune polemiche e di un mio precedente intervento. La sig.ra Orefice minaccia di querelarmi ma è difficile capire le motivazioni di queste minacce poiché avevo espresso semplicemente alcuni giudizi (dovrebbe chiamarsi “dibattito”, mi pare) in merito a quanto scritto nella recensione firmata da Mario Avagliano. Giudizi storiografici (altro che “giudizi spregevoli sulla sua persona”) e che non posso che confermare perché si nota in quelle righe effettivamente un “entusiasmo comprensibile” per chi trova un documento, ma credo che sia necessario  evidenziare le lacune di ricerche archivistiche di fonti “dell’altra parte” (e citavo un lungo elenco di paesi oggetto di massacri, saccheggi e devastazioni): è forse “spregevole” a Napoli chiedersi se si tratta o no di un libro parziale o imparziale? Sempre la sig. ra Orefice, poi,  mi sopravvaluta e sottovaluta (forse solo per un naturale istinto di difesa delle proprie posizioni) la portata di un nuovo fenomeno culturale: io non ho “seguaci” (non ho mai creato una setta): circa 20 anni fa ho semplicemente creato un movimento culturale (il Movimento Neoborbonico) che ha fatto opera di ricerca e divulgazione con tesi di segno contrario rispetto a quelle della cultura ufficiale. Il consenso e il successo riscontrati sono andati ben al di là dei mezzi in campo e delle più rosee previsioni anche perché, evidentemente, c’è un forte bisogno di radici (tutte le radici), di storie ricche di orgoglio e rispettose di tradizioni napoletane, cristiane e anche borboniche… La sig.ra Orefice, allora, non può accusare il sottoscritto per tutte le lettere a lei pervenute e dalle quali (ripetiamo un concetto già abbondantemente espresso) ci dissociamo qualora fossero risultate offensive o minacciose (non è stato mai il mio e il nostro stile e non possiamo certo disporre della volontà di quanti hanno manifestato il loro dissenso). Lei stessa, del resto, in un post pubblicato prima delle polemiche si rivolgeva al “popolo lazzaro” invitandolo sarcasticamente ad esultare per le verità raccontate sui “suoi Borboni”. Chi scrive, oltre alla specializzazione in Archivistica presso l’Archivio di Stato di Napoli, ha all’attivo semplicemente migliaia di ore di studio con pubblicazioni (quasi tutte esaurite) che raccontano storie diverse rispetto a quelle raccontate dalla Orefice. Tutto qui. Altro che “storielle” o “verità manipolate” o tentativi di “vendere chiacchiere” insieme alle (nostre) incapacità di “comprendere i suoi lavori”, affermazioni che pure si presterebbero a eventuali querele ma che supereremo amando i dibattiti e non amando i tribunali italiani. In quanto alla mia critica rivolta alle classi dirigenti, la sig.ra Orefice risponde affermando che “non ha velleità politiche” né è alla ricerca di “candidature” ma, come la sig.ra certamente sa, si è “classe dirigente” anche (e di più) da giornalista o da intellettuale e resta in piedi la mia tesi sulle responsabilità di chi, in oltre 200 anni, e nonostante un vero e proprio monopolio di segno giacobino e liberale (e che, a quanto pare, ancora non basta), ha formato culturalmente chi ci ha rappresentato in questi anni e (come lo stesso Mattino spesso denuncia) non in maniera del tutto adeguata. Le inviamo, poi, i nostri complimenti per la pubblicazione, di altre recensioni positive del suo lavoro ma la cosa conferma quanto già scritto a proposito del monopolio della cultura ufficiale che, naturalmente, può prevedere anche recensioni positive su Repubblica o magari (è una citazione della sig.ra Orefice) sulla rivista ufficiale della Gran Loggia d’Italia (e cioè di quella massoneria più volte al centro dei nostri studi e delle nostre critiche per le sue responsabilità in merito a certi processi legati all’unificazione). Per tornare, poi, a quella parola a Napoli (e dalle parti del Mattino) piuttosto rara (“dibattito”), come nel mio primo intervento, vorrei evitare le facili, semplicistiche e confortanti etichette (”neoborbonici”, “giacobini” ecc.) ed entrare nel merito di alcune domande alle quali la sig.ra Orefice non ha dato risposta alcuna: non è forse vero che fu Mazzini il primo a definire traditori quei giacobini? Non è forse vero quanto affermato dalle fonti francesi e cioè che a Napoli in 3 giorni furono massacrati oltre ottomila “lazzaroni” e in tutto il Regno (in meno di 5 mesi) oltre sessantamila persone di parte napoletana-cristiana-borbonica? Non è forse vero che partivano ogni giorno per Parigi convogli con le nostre opere d’arte o che diverse centinaia di popolani furono condannati a morte solo per non aver gridato “viva la repubblica”? Non è forse vero che nella socialmente e culturalmente variegata armata di Ruffo quei “mercenari albanesi” non superavano le poche decine ed erano, invece, soldati delle comunità albanesi fedeli alla dinastia? Non è forse vero che furono devastati tutti quei paesi (abitanti compresi) sia nel 1799 che nel successivo periodo murattiano (su tutti “l’onda dei morti” di Lauria)?  Non è forse vero che in tutto il mondo chi difende la propria patria dagli stranieri è celebrato dopo secoli (un esempio su tutti i popolani spagnoli antifrancesi dipinti da Goya) e solo da noi viene ignorato e disprezzato? Queste sono le domande che abbiamo rivolto alla Orefice e al Mattino e su questo dovrebbe riflettere davvero una città che, a quanto pare, non ha ancora fatto pace con la sua storia.  Concordo, infine, con la sig.ra Orefice sul fatto che per noi il 1799 è (brutta immagine ma cito il suo testo) “un’ulcera perforata” ma solo perché, dopo oltre due secoli, avremmo il dovere di ricordare con cristiano rispetto tutte le vittime della rivoluzione franco-giacobina, “perforate” (loro sì, e a migliaia!), dalle baionette francesi al Carmine o a via Foria, a Porta Capuana o al Mercato stando dalla difficile part dei vinti, ieri come oggi. Non era il “popolo lazzaro”. Era il Popolo Napoletano. Il nostro Popolo.

Prof. Gennaro De Crescenzo

fonte http://pocobello.blogspot.com/2013/06/ancora-verita-sul-1799.html

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GLI INTERVENTI AL CONVEGNO SUL 1799 E CARD. RUFFO AL CASTELLO PIGNATELLI DI MONTERODUNI

Posted by on Nov 4, 2019

GLI INTERVENTI AL CONVEGNO SUL 1799 E CARD. RUFFO AL CASTELLO PIGNATELLI DI MONTERODUNI

Siamo nel 2019 a 220 dal fatidico anno 1799 dove s’è consumato, con tantissimo spargimento di sangue, un vero e proprio scontro di civiltà tra il mondo della tradizione, che non voleva assolutamente cedere il passo, e il mondo dell’illuminismo e del razionalismo sintetizzato nel giacobinismo.

Se vi era un piccolo numero, ripeto un piccolo numero, di intellettuali sognatori che vedevano nel positivismo e nel progressismo la nuova strada verso la felicità c’era anche uno zoccolo duro della rivoluzione passiva, così definita da Cuoco, composto dalla neo borghesia latifondista, da una parte della vecchia pseudo aristocrazia parassitaria e da una nuova oligarchia notabile che sfruttando l’onda del cambiamento voleva solo arricchirsi attraverso l’esproprio dei beni della Chiesa, del demanio pubblico e dei vecchi feudi senza versare un soldo. 

Anche in questo 2019 l’Ass. Id. Alta Terra di Lavoro ha continuato a presentare il testo di Petromasi  sulla marcia dell’armata Sanfedista guidata dal Card. Ruffo e nel mese di Gennaio dopo averlo presentato in quel di Pignataro Maggiore lo ha fatto al Castello Pignatelli di Monteroduni  tanto bello quanto prestigioso. Di seguito i video degli interventi dello storico Laborino Fernando Riccardi e dell’Accademico Conte Giulio de Jorio Frisari il tutto condito dagli intermezzi teatrali in Lingua Laborina Raimondo Rotondi.   


I VIDEO DEL CONVEGNO

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