Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Eleonora Pimentel Fonseca, anniversari e celebrazioni

Posted by on Giu 27, 2019

Eleonora Pimentel Fonseca, anniversari e celebrazioni

 A volte mi chiedo come sarebbero giudicati dai loro contemporanei i discendenti degli Incas, degli Aztechi, dei Maya o degli Indiani d’America se alcuni di essi, divenuti addirittura storici di professione, considerassero liberatori  i conquistadores spagnoli o l’esercito nordista e si dessero da fare per introdurre nel calendario date e ricorrenze per commemorare il massacro di Sand Creek (29 novembre 1864) o di Wounded Knee (29 dicembre 1890) o per inserire busti o statue del colonnello John Chivington o di  James Forsyth.

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La Filadelfia italiana

Posted by on Giu 26, 2019

La Filadelfia italiana

L’Italia è una terra ad alto rischio sismico. Gli ultimi eventi, sui quali è inutile soffermarsi, poiché voi tutti sapete a cosa mi riferisco, ce lo hanno tristemente ricordato. Nella storia della nostra Penisola molti sono i fenomeni tellurici riportati dalle fonti. Ogni secolo ha affrontato le conseguenze secondo le proprie conoscenze e secondo i propri convincimenti. Un caso particolare ce lo offre il Settecento, il secolo dei lumi.

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1799: PROVE TECNICHE D’ANNESSIONE 1860: Unità d’Italia scontro tra Massonerie

Posted by on Giu 24, 2019

1799: PROVE TECNICHE D’ANNESSIONE  1860: Unità d’Italia scontro tra Massonerie

Fu una breve stagione, quella della “Primavera Napoletana”. 

Il termine “Rivoluzione”, giunse a Roma nel 1798, insieme alle truppe francesi.

S’insinuò nelle strade, tra i nobili palazzi di Napoli; deflagrando il 17 gennaio 1799.

I giacobini presero d’assalto il Castello di Sant’Elmo, che domina la città da un colle.

Il 21, con un Decreto del Generale Championnet, fu istituito un Governo Provvisorio; era nata ufficialmente, la Repubblica Napoletana.

Dal suddetto Castello, in quattro giorni, caddero sotto le palle di cannone, circa ottomila napoletani e “eroici Lazzari” come riconobbe lo stesso Championnet, ad opera di giacobini locali, e francesi.

Senza l’ausilio dei traditori locali, “il potente esercito francese, non avrebbe mai avuto la meglio, sulla resistenza popolare”, ammise Thiebault nelle sue “Memorie”.

Nel 1734 i Borbone erano diventati Re di Napoli, e avevano manifestato la ferma volontà di creare uno Stato autonomo, indipendente, improntato sui valori tradizionali, cristiani e popolari.

In breve, la Capitale del Regno divenne uno dei più importanti centri produttivi internazionali, grazie anche ai porti.

 La città, e il suo entroterra, erano in piena esplosione economica e demografica.

 Pregevoli fabbriche di tessuti e ceramiche (ancora oggi, esistenti!), di lavorazione delle corde e delle vele per la navigazione, ne decretarono la supremazia commerciale, e culturale a livello internazionale.

Sul destino del Regno di Napoli e in generale sull’Europa, però, spirava già il vento “illuminato” della Rivoluzione pronta a piantare “alberi della libertà” ovunque arrivasse.

La “Primavera Napoletana” arrivò, e piantò i suoi “alberi della libertà” in ogni piazza della Capitale.

Furono mesi febbrili, il “cittadino” sostituì il nobile, vennero promulgate leggi che garantivano le libertà individuali, i diritti feudali abrogati.

Per spezzare la resistenza del popolo napoletano che abbatteva in continuazione gli “alberi della libertà” (odiato simbolo di invasione e violenza), i francesi emanarono oltre 1500 sentenze capitali.

Una “Primavera” a tinte vermiglie.

Il Generale Thiebault si vantò che la “Campagna Napoletana” era costata la vita a oltre sessantamila napoletani, in cinque mesi di Repubblica.

La Rivoluzione del 1799 con tutta evidenza, dimostrò d’essere: anti cristiana, anti napoletana, anti borbonica.

La Repubblica ebbe vita breve; il 13 giugno il Cardinale Ruffo e la sua Armata Sanfedista, piombarono su Castel Sant’Elmo annientando l’ultima resistenza repubblicana.

A posto degli “alberi della libertà”, furono messe le forche, dalle quali penzolarono un centinaio di repubblichini, subito dopo il ritorno dei Borbone sul Trono.

Poco più tardi, al pennone della “Minerva” penzolava il corpo dell’ammiraglio Francesco Caracciolo, affiliato alla Loggia Massonica “Perfetta Unione”.

L’ ammiraglio, aveva tradito il suo Re, e la sua Nazione. Il codice militare penale, comminò la pena di morte.

Quell’estate furono eseguite altre sentenze di morte, a carico di: Gennaro Serra Duca di Cassano, Michele Natale Vescovo di Vico Equense, Domenico Cirillo; tutti Massoni, appartenenti alla Loggia “Officina Vittoria” di Napoli, ideatori della Repubblica.

I Moti che seguirono, e la stessa Unificazione, furono ideati, finanziati, e realizzati dalla Massoneria internazionale con l’avallo della Massoneria locale.

La storiografia ufficiale è scritta da coloro che sono usciti vincitori da quelle vicende.

I Massoni infatti, rivendicano con orgoglio di essere stati i padri della “Patria”.

Dal Massone Caracciolo, al Massone Garibaldi. I nemici restano gli stessi di allora.

1860: MASSONERIA E CHIESA

Accertato che, l’élite repubblicana napoletana fu ispirata dagli ideali massonici; di contro, il popolo per ripristinare lo status giuridico monarchico, costituì l’Esercito della Santa Fede, con a capo il calabrese Cardinale Ruffo Fabrizio.

La Massoneria incise (e incide) molto sul destino della Nazione; dalla Napoli e Milano settecentesca, fino all’unità d’Italia.

Un “attore” semisconosciuto (a torto, visto il ruolo decisivo) della Libera Muratoria italiana tale, Friederich Munter teologo luterano Massone di origine tedesca, affiliato all’Ordine degli Illuminati una società segreta fondata nel 1776 in Baviera, agì da agente segreto con il ruolo di “sobillatore”.

Si trattava di un’organizzazione massonica filo-rivoluzionaria segreta, propugnatrice di ideali politico-sociali estremisti, che promuovevano su scala internazionale, piani eversivi, finalizzati a rovesciare governi monarchici e le religioni, con l’obiettivo di instaurare un nuovo ordine internazionale.

Fu (anche) un conflitto tra Massoneria e Chiesa.

Nella seconda metà del settecento, era molto attiva la Massoneria napoletana, la più cospicua e vivace d’Italia; ebbe un ruolo di prim’ordine nel Regno di Ferdinando IV di Borbone (ereditato dal padre nel 1759). Nel 1768 il giovane sovrano sposò Maria Carolina d’Asburgo Lorena, proprio quando i Fratelli napoletani cominciavano a tradire gli ideali della Massoneria locale, cristiana e legittimista.

Gli stessi ideali che animavano Raimondo de’ Sangro, volti al miglioramento dell’individuo; progressi che avrebbero influenzato anche il Governo.

La Massoneria napoletana, si immischiò nella politica dando il via ad un laboratorio di idee per l’ammodernamento dei comparti statali, a modello delle massonerie straniere di Francia, Inghilterra, Olanda.    

Gaetano Filangieri, Francesco Mario Pagano, Francescantonio Grimaldi, si affiliarono alle varie Logge; pure la Regina si attorniò di uomini legati alla Massoneria, per arruolarli nella formazione di un partito di Corte filo-austriaco, al fine di estromettere dal Governo il Primo Ministro Bernardo Tanucci.

Friederich Munter morì nel 1830 durante i Moti Carbonari italiani; aveva guidato e assistito le evoluzioni della Massoneria napoletana e napoleonica, fino alla Restaurazione.

Recentemente, lo studioso napoletano Ruggiero Ferrara di Castiglione, professore universitario appartenente al Grande Oriente, ha donato alla biblioteca del GOI, tutto il carteggio di Munter con i Massoni del Sud Italia, che va dal 1786 al 1820.

Corrispondenza che testimonia la mutazione genetica ed ideologica, della Massoneria Napoletana, dimentica delle sue origini cristiane e legittimiste.

Dimentica, degli obiettivi di miglioramento spirituale e individuale, manifestati ed eternati dalla nobile pietra della Cappella di Sansevero, nel cuore di Napoli.

Foriera delle sciagure e del rovesciamento definitivo del Regno delle Due Sicilie 61 anni dopo (1799/1860).

Al netto, di tale argomentazioni, non è ardito concludere che ci fu uno scontro tra la Massoneria Repubblicana (internazionale) e la Massoneria Monarchica borbonica; con esiti letali per la seconda.

Si ringrazia per le fonti: Napoli Capitale Morale di Angelo Forgione (Magenes, 2017), Associazione culturale Neoborbonica.

Lucia Di Rubbio

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LA RIVOLUZIONE DEL 1799 A BRINDISI CLAMOROSO SCAMBIO DI PERSONE

Posted by on Giu 22, 2019

LA RIVOLUZIONE DEL 1799 A BRINDISI CLAMOROSO SCAMBIO DI PERSONE

La rivoluzione partenopea tra Napoli e la Puglia avvenuta nel 1799 fece verificare tali e tante situazioni che, apparentemente marginali, segnarono, al contrario, pagine di storia che pur non trovando spazio nei libri di storia vale la pena raccontare, perché originali, strane e bizzarre.
Procedendo con ordine tra gli intricati fatti, si potrà notare come alcune di queste pagine coinvolgano direttamente la nostra città.
A Monteiasi, in provincia di Taranto, si erano radunati alcuni esuli scampati all’invasione della Corsica, pronti per dirigersi alla volta di Brindisi.
Una volta giunti nella nostra città adriatica era loro intenzione imbarcarsi per Palermo, città siciliana dove si avvertiva il sentore che si stesse ricostituendo l’esercito borbonico, per la riconquista del potere.
In realtà, il 21 gennaio 1799, i Borbone avevano fortemente vacillato sotto i colpi inferti dall’esercito francese guidato dal generale Championnet, capace d’insediare, appena il giorno dopo, il 22 gennaio, la Repubblica Napoletana; frattanto, il 25 gennaio, Ferdinando IV nominava il cardinale Ruffo suo Vicario generale.

Per tornare agli esuli corsi, c’è da dire che tra costoro gli abitanti di Monteiasi credettero di riconoscere due importanti componenti della famiglia reale. Furono principalmente i contadini monteiasini, chissà come e in base a quali pregresse immagini, che si convinsero di vedere in due esuli rivoluzionari: Pietro Boccheciampe e Giambattista De Cesare addirittura il fratello di Re Ferdinando IV e il Principe di Sassonia.
Lo scambio di persone con l’errata attribuzione di identità fu possibile poiché, ci riferiscono le cronache dell’epoca, almeno uno dei due: … aveva l’età, la statura e i capelli simili al fratello del Re, nonché principe ereditario.
Quando il 14 febbraio 1799 gli esuli giunsero a Brindisi, l’arcano riuscì a ingarbugliarsi ulteriormente, se si pensa che perfino due zie del Re, Vittoria ed Adelaide, che sostavano nella nostra città pronte per salpare alla volta di Trieste, incorsero nella medesima clamorosa topica avvenuta a Monteiasi e scambiarono per loro parenti sia il Boccheciampe, quanto il De Cesare che proprio nulla avevano a che fare con la nobiltà borbonica. 
E’ una vicenda che ha dell’inverosimile, tuttavia la cosa non finisce qui, infatti, per il timore di non essere compresi dalle due parenti del Re e per non suscitare in loro sdegno, dando adito a imprevedibili reazioni a loro sfavorevoli anche da parte del popolo, sia il Boccheciampe, quanto il De Cesare “stettero” allo scambio di persone, nel senso che si fecero credere ciò che gli altri volevano credere: due nobili congiunti del Re, anziché due noti facinorosi.
Diffusasi veloce la notizia delle due “illustri presenze”, gli abitanti di Brindisi, che vedevano di buon occhio la restaurazione della monarchia borbonica, esultarono alla notizia e portarono in vociante tripudio e trionfalmente i due fino alla cattedrale, dove ebbero l’onore d’incontrarsi con il Vescovo della città, Monsignor Annibale De Leo
Se non ci fosse la memoria scritta di un testimone oculare del fatto, tenente Vincenzo Durante (Diario Storico delle Province di Bari e di Lecce del 1799) del quale non abbiamo alcun motivo di dubitare sulla sua credibilità, stenteremmo a credere ad un tale paradossale evento che, più che storico, si potrebbe configurare tra le commedie di Feydeau, in cui gli equivoci più assurdi sono sempre di casa. 
“Ob torto collo”, i due continuarono a stare alla manfrina e, regalmente, dimenticando le loro origini plebee, furono oltremodo credibili.
Per la storia, Boccheciampe si era già messo tristemente in evidenza per aver tradito l’insurrezione calabrese vagheggiata dal Mazzini, tendente a porre fine al dominio dei Borbone. Quella spedizione andò incontro ad una disfatta totale, poiché, proprio Boccheciampe, tradendo i rivoltosi, andò a costituirsi alla polizia di San Giovanni in Fiore, vicino Cosenza, rivelando i piani dei compagni di lotta. In base a tale tradimento furono scoperti tutti i componenti della spedizione, catturati e processati per direttissima.
Tra gli altri insorti, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera furono fucilati a Vallone di Rovito, sempre presso Cosenza, il 25 luglio 1844.
Tornando ai fatti risorgimentali nostrani, i due, Boccheciampe e De Cesare, percorrendo in lungo e in largo la Puglia, riorganizzarono lo sfasciato esercito, si opposero con successo ai francesi, acquisendo ovunque fama.
Boccheciampe, catturato, fu fucilato a Trani, mentre Giambattista De Cesare ebbe l’onore di entrare in Napoli al comando dell’ armata borbonica, essendogli stato conferito il titolo di Brigadiere dei Reali Eserciti.
In segno di riconoscenza pregressa, il Cardinale Ruffo, seppure alla memoria, conferì lo stesso titolo anche a Pietro Boccheciampe. .

Antonio Caputo
Il testo è stato pubblicato sul settimanale Agenda Brindisi

ps= c’è una evidente incongruenza storica tra gli eventi del 1799 e quella dei f..lli bandiera ma l’originalità della storia meritava di essere pubblicata

fonte http://www.brindisiweb.it/storia/rivoluzione_1799.asp

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Le Beate Martiri Carmelitane di Compiegne nella Rivoluzione Francese

Posted by on Giu 18, 2019

Le Beate Martiri Carmelitane di Compiegne nella Rivoluzione Francese

La vicenda delle Carmelitane di Compiegne

a comunità delle Carmelitane Scalze si era stabilita a Compiegne (Oise, Francia) nel 1641, provenendo dal monastero di Amiens. A sette anni dalla fondazione era finalmente completato il convento con la chiesa dedicata all’Annunciazione. Il monastero prosperò sempre con il fervore delle monache, splendendo per l’osservanza della Regola e la fedeltà allo spirito teresiano, e godendo dell’affetto e della stima della corte francese. Allo scoppio della Rivoluzione le monache rifiutarono fermamente di deporre l’abito monastico e quando i tumulti accennarono ad aumentare, tra il giugno ed il settembre 1792, seguendo un’ispirazione avuta dalla priora, Madre Teresa di Sant’Agostino, tutte si offrirono in olocausto al Signore onde «placare la collera di Dio e perché la pace divina, recata sul mondo dal suo caro Figlio, fosse resa alla Chiesa e allo Stato». Questo atto di consacrazione, emesso anche da due suore anziane, che in un primo momento si erano spaventate al pensiero della ghigliottina, divenne l’offerta quotidiana fino al giorno del martirio, giunto due anni dopo.

Cacciate dal monastero il 14 settembre 1792, le 16 carmelitane continuarono la loro vita di preghiera e penitenza divise in quattro gruppi in diverse zone di Compiegne, unite dall’affetto e dalla corrispondenza, sempre sotto la vigile direzione di Madre Teresa di Sant’Agostino. Ben presto furono però scoperte e denunciate dal comitato rivoluzionario, il 24 giugno 1794 vennero catturate e poi rinchiuse tutte insieme a Sainte-Marie, ex monastero delle visitandine, trasformato in carcere. Da Compiegne le religiose furono trasferite a Parigi, dove giunsero il 13 luglio ed immediatamente furono imprigionate nel terribile carcere della Conciergerie, dove già tanti sacerdoti, religiosi ed

altre persone attendevano la morte. Esempio per tutti di tranquillità e di serena confidenza in Dio, modelli di attaccamento totale a Gesù e alla Chiesa, le 16 carmelitane sapevano effondere attorno a sé anche un raggio di gioia, come avvenne il 16 luglio in occasione della festa della Madonna del Carmelo, in cui una delle religiose, chiedendo senza paura ad un recluso qualcosa per scrivere, con dei fuscelli carbonizzati scrisse sull’aria della Marsigliese un canto di giubilo e di preghiera nell’ottica dell’imminente martirio. Il giorno seguente, in seguito ad un processo sommario in cui ostentarono intrepide la loro fortezza, le religiose furono condannate a morte dal tribunale rivoluzionario colpevoli di fedeltà alla vita consacrata a Dio, per il “fanatismo” manifestato nella loro devozione ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria, nonché per l’avversione all’autorità costituita. Furono dunque portate in carretta per l’esecuzione alla Barrière-du-Tróne e, tra il silenzio della folla e degli stessi sanculotti, cantarono ad alta voce il Miserere, la Salve Regina ed il Te Deum. Giunte ai piedi della ghigliottina, dopo aver cantato il Veni Creator, una dopo l’altra rinnovarono dinnanzi alla priora la loro professione religiosa e vennero brutalmente decapitate. Per ultima venne uccisa Madre Teresa di Sant’Agostino, che così bene aveva preparato le sue consorelle al martirio e che aveva concretizzato meravigliosamente quanto ella stessa era solita affermare: «L’amore sarà sempre vittorioso. Quando si ama, si può tutto». Il martirio, avvenuto il 17 luglio 1794, mostrava ancora una volta l’insuperabile potere dell’amore di Cristo.

Dai documenti esistenti e dalle preziose testimonianze delle tre carmelitane scalze della comunità di Compiegne che sfuggirono al massacro, è stato possibile ricavare l’elenco delle 16 suore con i loro rispettivi nomi di religione, i loro nomi secolari, luogo e data di nascita:

  • Teresa di S. Agostino (Maria Maddalena Claudina Lidoine), priora

nata a Parigi il 22 settembre 1752;

  • Suor S. Luigi (Maria Anna Francesca Brideau), sottopriora,

nata a Belfort il 7 dicembre 1751;

  • Suor Anna Maria di Gesù Crocifisso (Maria Anna Piedcourt),

nata a Parigi il 9 dicembre 1715;

  • Suor Carlotta della Resurrezione (Anna Maria Maddalena Thouret),

nata a Mouy (Oise) il 16 settembre 1715;

  • Suor Eufrasia dell’Immacolata Concezione (Maria Claudia Cipriana Brard),

nata a Bourth (Eure) il 12 maggio 1736;

  • Suor Enrichetta di Gesù (Maria Francesca de Croissy),

nata a Parigi il 18 giugno 1745;

  • Suor Teresa del Cuore di Maria (Maria Anna Hanisset),

nata a Reims (Marne) il 18 gennaio 1742;

  • Suor Teresa di S. Ignazio (Maria Gabriella Trézel),

nata a Compiègne il 4 aprile 1743;

  • Suor Giulia Luisa di Gesù (Rosa Cristiana de Neuville),

nata a Avreux (Eure) il 30 dicembre 1741;

  • Suor Maria Eririchetta della Provvidenza (Maria Annetta Pelras),

nata a Cajare (Lot) il 16 giugno 1760;

  • Suor Costanza (Maria Genoveffa Meunier), novizia,

nata a Saint-Denis (Seine) il 28 maggio 1765;

  • Suor Maria dello Spirito Santo (Angelica Roussel), conversa,

nata a Fresne-Mazancourt (Somme) il 3 agosto 1742;

  • Suor S. Marta (Maria Dufour), conversa,

nata a Bannes (Sarthe) il 2 ottobre 1741;

  • Suor S. Francesco Saverio (Elisabetta Giulietta Vérolot), conversa,

nata a Lignières (Aube) il 13 gennaio 1764;

  • Suor Caterina Soiron, suora esterna (tourière),

nata a Compiègne il 2 febbraio 1742;

  • Suor Teresa Soiron, suora esterna (tourière),

nata a Compiègne il 23 gennaio 1748.

I corpi delle martiri vennero gettati in una fossa comune, insieme ad altre salme di condannati, in un posto che divenne poi l’odierno cimitero di Picpus, dove ancora oggi una lapide ricorda il loro sacrificio. Di esse rimasero alcuni indumenti che stavano lavando alla Conciergerie quando furono portate in giudizio e che, due o tre giorni dopo, vennero ceduti alle benedettine inglesi di Cambrai, pure incarcerate, ma poi rimesse in libertà. Tali reliquie sono oggi custodite in Inghilterra nell’abbazia benedettina di Staribrook. Altre reliquie preziose sono costituite dagli scritti delle martiri: lettere, poesie, biglietti.

Le monache furono beatificate da San Pio X il 13 maggio 1906, con breve pontificio, mentre già il 10 dicembre precedente era stato pubblicato il decreto de tuto per procedere alla dichiarazione del loro martirio. La loro memoria liturgica è celebrata il 17 luglio dall’Ordine dei Carmelitani Scalzi e dall’arcidiocesi di Parigi. Nella stessa data sono così menzionate dal Martirologio Romano: «A Parigi in Francia, beate Teresa di Sant’Agostino (Marta Maddalena Claudina) Lidoine e quindici compagne, vergini del Carmelo di Compiègne e martiri, che durante la rivoluzione francese furono condannate a morte per avere fedelmente osservato la disciplina monastica e, giunte sul patibolo, rinnovarono le promesse di fede battesimale e i voti religiosi».

Alcune opere novecentesche ispirate a questa vicenda

Se come è stato detto proprio agli inizi del Novecento si è proceduto alla beatificazione di queste martiri carmelitane, i loro nomi e la loro vicenda hanno avuto ulteriore risonanza nel secolo scorso anche grazie ad opere letterarie di valore indiscutibile. Nel 1931 Geltrude von Le Fort ricavava dal racconto storico della vita e del martirio delle carmelitane di Compiegne il romanzo Die letzte am Schafott (versione italiana: L’ultima al patibolo, Brescia 1939), dal quale il p. R. Bruckberger ebbe l’ispirazione di realizzare un film, dei cui dialoghi affidava la redazione nel 1937 a Georges Bernanos. Questi, dieci anni dopo, ovvero tra il 1947 ed il 1948, redasse un lavoro che la morte gli impedì di portare a termine. Pubblicato nel 1949 come opera letteraria a sé stante, Les dialogues des Carmélites di Bernanos ebbe uno strepitoso successo in tutta Europa, e subito venne ridotto per il teatro da A. Beguin. Appena portato sulle scene, ebbe una fortuna inaspettata.

Nel gennaio 1957 Les dialogues des Carmélites, presentato musicato da Francis Poulenc alla Scala di Milano, estendeva l’irradiazione dell’opera del Bernanos. Del cast facevano parte Scipio Colombo (il marchese de la Force), Nicola Filacuridi (il cavaliere de la Force), Virginia Zeani (Blanche de la Force), Gianna Pederzini (Madame de Croissy), Gigliola Frazzoni (madre Marie), Eugenia Ratti (sorella Constance), Leyla Gencer (Madame Lidoine), Fiorenza Cossotto (Suor Matilde) ed Alvinio Misciano (Il cappellano del Carmelo) diretta da Nino Sanzogno.

La prima della versione francese ebbe luogo all’Opéra di Parigi sei mesi dopo, il 21 giugno, diretta da Pierre Dervaux con Rita Gorr e Régine Crespin. Negli Stati Uniti la prima fu il 20 settembre 1957 al San Francisco Opera diretta da Erich Leinsdorf con Dorothy Kirsten e Leontyne Price. Al Teatro Verdi (Trieste) la prima avvenne il successivo 23 novembre diretta da Oliviero De Fabritiis con Alfredo Kraus, Gianna Pederzini ed Eno Mucchiutti. Nel Regno Unito invece il 16 gennaio 1958 al Royal Opera House, Covent Garden di Londra diretta da Rafael Kubelik con Joan Sutherland. Al Wiener Staatsoper il 14 febbraio 1959 con Anneliese Rothenberger ed Anton Dermota e sino al 1964 ha avuto 20 recite. Al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania andò in scena nel 1959 un’edizione che lo stesso autore definì come la migliore messa in scena della sua opera. All’Opera di Santa Fe (Nuovo Messico) va in scena nel 1966 con Jean Kraft e nel 1999. Al Metropolitan Opera House di New York la premiere è stata nel 1977 con la Crespin, Shirley Verrett e la Kraft nella traduzione inglese di Joseph Machlis e fino al 2013 ha avuto 57 recite. In Scozia nel 1992 avviene la prima nel New Athenaeum Theatre di Glasgow per la Royal Scottish Academy of Music and Drama (RSAMD) nella traduzione di Machlis. L’opera viene allestita per la stagione 2015 del Teatro Petruzzelli di Bari.

Finalmente nel 1959, con regia di Philippe Agostini, il p. Bruckberger riusciva ad attuare il suo sogno cinematografico portando sugli schermi Les dialogues des Carmélites, film in coproduzione italo-francese: l’epopea delle 16 martiri, figlie di santa Teresa d’Avila era così resa nota a tutto il mondo grazie alle tecnologie del XX secolo.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

PIO VI, Lettera apostolica Quare Lacrymis.

CONGRAGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Martirologio Romano, Libreria Editrice Vaticana, 2004.

AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, Città Nuova.

GEORGES BERNANOS, Dialoghi delle Carmelitane, Morcelliana Edizioni, 2008.

CAPPA, P. GELLI, M. MATTAROZZI, Dizionario dello spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, 1998.

ANTONIO SICARI, Il quarto libro dei ritratti di santi, Jaca Book, 2010.

fonte https://www.europacristiana.com/le-beate-martiri-carmelitane-di-compiegne/

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