Continuiamo a viaggiare nel Regno per incontrare e chiacchierare con chi ha recuperato con la ricerca e successivamente con la rappresentazione in scena, cultura ed arte identitaria e tradizionale dall’antica genesi e questa volta torniamo in Terra di Lavoro andando a casa degli Arianova di Pignataro Maggiore. Siamo partiti dall’alta Terra di Lavoro incontrando Fulvio Cocuzzo, siamo scesi a Mondragone per vedere Andrea Nerone per poi arrivare a Pignataro Maggiore a casa degli “Arianova” che hanno in comune i capelli bianchi a testimonianza del fatto che negli anni 70, queste tre entità, cominiciarono a girare le campagne laborine ed archivi per recuperare voci, canti e suoni della musica popolare che se non fosse stato per loro sarebbero sparite e perse per sempre. Anche gli “Arianova” cavalcarono, avevano ancora i pataloncini corti, la tigre, che Roberto De Simone fece uscire dalla gabbia, della ricerca e della musica popolare che negli 60 e 70 inondò le passioni di quei giovani che avevano voglia di recuperare un passato barbaramente vilipeso da chi pensava che rappresentasse “uno scuorno” per chi voleva a tutti i costi vivere e diffondere il modernismo e ostacolo al riscatto sociale. Nell’ascoltarli ci renderemo conto che in comune con i suddetti artisti e che hanno operato nel vivaio più florido e che è quello delle campagne, che, anche se inconsapevolmente, ci hanno fatto comprendere le differenze tra la “World Music” e la Musica Popolare Napolitana e hanno utilizzato un metodo di ricerca meticoloso e scientifico, meglio dire che continuano, che gli ha permesso di non disperdere l’enorme lavoro svolto e renderlo fruibile artisticamente al loro numeroso pubblico. Spesso ho parlato di come la borghesia ha cercato in tutti i costi di cancellare la civiltà e la cultura popolare anche attraverso la ridicolizzazione della musica popolare facendola passare per folcloristica e a Pignataro Maggiore questo fenomeno emerge con grande evidenza infatti pur essendo la Città della Musica agli “Arianova” non vengono riconosciuti i giusti meriti e non sono sostenuti nella loro attività che tanto lustro stanno dando a Pignataro stesso e a tutta la Terra di Lavoro come al Regno bollandoli come i “musicanti che vogliono fare i musicisti” ma purtroppo per loro nulla e nessuno li fermerà e dovranno sopportarli, per fortuna nostra, per molto tempo ancora. Artisticamente gli “Arianova” sono sempre in continua evoluzione nel pieno rispetto della Tradizione attraverso l’Identità e se come sonatori il loro livello è molto alto come possiamo trovare in altre realtà, come cantori però hanno creato una forma polifonica a più voci che li rende unici e inimitabili dando un ulteriore conferma che la Musica Popolare del Regno non ha eguali perchè colta. Per conoscerli e meglio vi diamo appuntamento a Venerdi 2 giugno alle ore 21 come di seguito riportiamo.
Ad Arpino dagli anni ’20 del secolo scorso era attiva una fabbrica di fisarmoniche: era quella di Domenico Pallisco (1880-1951), rinomata sia in Italia sia all’estero. All’ingresso della sua sede, in Piazza Municipio n° 37, era posta l’insegna con la dicitura: “Premiata Fabbrica di Fisarmoniche di Domenico Pallisco e Figli – Medaglia d’oro”.
Il cantastorie dell’alta Terra di Lavoro Fulvio Cocuzzo fa un altro regalo artistico e culturale alla nostra terra e ci permette di pubblicarlo. Di seguito Il pezzo “Terra di Lavoro” riproposto prima come testo e successivamente in musica
Terra di Lavoro , terra de sangue e sedore . Terra d’amore , addò ce batte glie sole . Addò se chive ene acquazzone , Se tira viente è temporale , Addò fa fridde e nen sule a Natale Se fa la neve te vé a rabbelà . Terra te vuoglie cantà
Tante volte ci avete sentito dire che nel Regno “Il tempo non è denaro ma è vita” e non bastano un mare di parole per spiegare questa caratteristica e l’unica cosa che possiamo consigliarvi, fateci passare la presunzione, è di vivere senza conformismi e nella massima libertà la nostra amata terra come abbiamo fatto la notte di capodanno del 2023 a Tramonti il 31 dicembre 2022 nella Cantina de ‘A Paranza do Tramuntano. Riproponiamo senza filtri ed integralmente il video integrale di quella notte
Da anni trattiamo la tragedia della “Tratta dei Fanciulli” dell’alta Terra di Lavoro costringendo il mondo intellettuale risorgimentale laborino, che cerca in tutti i modi di “storicizzarlo”, a parlarne. Abbiamo intervistato studiosi come Loreto Giovannone e Giuseppe Antonio Violetta che ne hanno parlato in maniera scientifica e ci sono anche artisti come il nostro Raimondo Rotondiche ha scritto un monologo teatrale in lingua laborina che tanta emozione sta riscuotendo ovunque viene presentato, e c’è, altresi, Fulvio Cocuzzo il cantastorie dell’alta Terra di Lavoro che ha scritto e musicato “Lettera della Francia”, sempre il lingua laborina, ispirandosi a due lettere ritrovate nell’archivio storico di Alvito. Fulvio ci permette di pubblicare il testo scritto e il pezzo da lui interpretato. Pubblichiamo anche le lettere originali tratte dal testo scritto da Ugo Iannazzi ed Eugenio Maria Beranger forniteci sempre da Fulvioe rimodulate dal Prof. Gianandrea de Antonellis
LETTERA DALLA FRANCIA ( Maggio 2009- Aprile 2010)
Cara madre , io di scrive queste tue riche di lettera per farti sapere lottimo stato della mia salute e così spero di sentire di voi…
Oie mamma mamma no n’é vere niente Ne sto n’salute e manche sto cuntiente Oie mamma , te so’ ditte na bescia Ce sto a lassa’ la vita a sta fatia
Scime alle quattre e mezza la matina Rentrame ch’é già mesanotte bona Apuò alle scure e chi po’ chiurre glie uocchie Pe’ via deglie delure e glie peruocchie
Mia cara madre ti faccio sapere Se tu ne puo’ manna’ sessanta lire So’ le sessanta lire pe’ glie viaie Tu trovale e ne lieve da ste vuaie
Oie ma’ , t’avessa dice tanta cose Ma non ci ho tempo pe startelle a scrive Nen sacce cumme seme ancora vive Miese a ste nfierne che ne dà repose
De paisiane ce ne steme tanta Trattate cumme aglie pegge pezziente A fa’ glie cunte quande vià a rescote Nen se mette a pizze ne solde becuate
Oie ma’ , le sacce ca a vu ve dispiace Ca i’ ve manne a pete glie quatrine Vu stete tutte a casa bieglie n’pace E nu frastiere a fa’ sta brutta fine
E p’ulteme te scrive glie salute Che te glie manna frateme Donate S’aeva sta alla casa ca é vaglione Sta sempre a chiagne e nen se sente buone
Se vire cumme seme deventate Che chella poca forza che ne resta Sembrame pruopa chiglie streppeiate Che vieve a Sante Rocche pe’ la festa
Mia cara madre ti stonghe a pregare Vi’ de trevuarle sse sessanta lire Se no ne sta a responne , e che m’o’ di’? N’te so’ chiù figlie e n’te vuoglie senti’
Adesso ti saluto , cara madre , io che sono il vostro figlio Antonio …… e se voi non mi mantate il viaggio non mi fate più risposta.( lettera di Antonio Persichetti da Lione )
L’lNFAME TRATTA DEI MINORI VERSO LA FRANCIA “che sia una piaga dolorosissima, a dire il vero poco o nulla conosciuta localmente, e solo in questi ultimi anni indagata in modo documentato grazie ai cospicui studi di Maria Rosa Protasi. Essa interessò soprattutto Alvito. Arpino, Atina, Isola del Liri, Picinisco. Roccasecca, Sora e Vicalvi e si indirizzò sia verso le vetrerie francesi, sia verso l’Inghilterra, dove Londra venne raggiunta da numerosi gruppi di giovani suonatori di pifferi, zampogne ed organetti, alcune volte accompagnati da animali, quali pappagalli e scimmie, e sia verso la lontana Russia, dove altri adolescenti esibiamo orsi ammaestrati provenienti dal territorio dell’odiemo Parco Nazionale d’Abruzzo. I bambini destinati a lavorare in Francia erano affittati a reclutatori locali, privi di ogni scrupolo, dai genitori ignari e, comunque, a ciò costretti dalla miseria più nera. Trattati come veri e propri schiavi, in modo in parte simile ai suonatori dell’area ligure e parmense, agli spazzacamini piemontesi e valdostani, ai fornaciai friulani, ai figurinai lucchesi, venivano costretti a lavorare dieci-quindici ore (ed anche più) al giorno, prelevando il vetro fuso nei torridi forni. Il reclutatore, che assumeva di fronte al sindaco l’obbligo di accompagnare questi ragazzi a Lione e nell’area parigina, era spesso un parente o comunque un paesano, pronto a lucrare forti guadagni da questo traffico. La Protasi ha scoperto e pubblicato due lettere, risalenti al 1895. impressionanti per drammaticità, ove questi figlioli nativi di Alvino. in lacrime, implorano le madri per farsi inviare i soldi necessari al viaggio di ritorno; in caso contrario avrebbero tagliato ogni legame con la famiglia”
La prima lettera scritta da Bernardo Antonelli così recita:
Cara Madre “Io non gio dempo per scrivere ti mandarti a dire tutto cose di preco di farmi il biagere mardarme il viaggio per ritornare perche qua cie male cariche di pi tocchi e per ciò cara matre ti preco ti movete a pietà pe a trovare i solti per il viaggio sono sessanta lire io stanco tutti i giorni a piancere per che qua sordiamo [sortiamo] alle quatro e mezzo e ri tor niamo a mezzanote: per ciò di preco di marnare il viaggio se voi mimate [mi mandate] il viaggio rispontetemi e seno non voglio sentire piu ne tire io non pozzo scrivere perche io piancio e se Catarina non vele man tare al sou figlio melli mantate sole a me. io non vi scrive piu perche non ciò dempo fattelo dire a voce a fiorellino quelle che passiamo noi e son il vostro Bemarto”
La seconda lettera di Antonio Persichetti alla madre così, invece, ricorda:
Cara madre “Io di scrive queste tue riche di lettera per fardi sapere lottimo stato della mia puona salute e cosi spero di sendire di voi. Cara madre già voi verme dispiace perché io di manto a pre [?] dire i solti ma piezzà a mandarmi i denari perche il mio fra dello sta sempre a piangere vetete e titto cosi se non ci cimanto il viaggio a noi non gi benzate piu perche voi sete state tutti contento e mo patiamo [oppure: fatiamo, cioè fatichiamo?] noi qua stiamo mezzo al femo [forno?] vetete che qua il stato Senne gateno [cadono] mine tue otre [due o tre] volte lacerne [la gente] tentre [dentro] alla fabrica vetete se voi mi mantate il viaggio non mi fate piu risposta perche noi a noi puniamo allaqua e voi non sapete piu nodizia. Cara Madre mandatami il viaggi trovali che noi a [s]tiamo alle fine e limite e nella [nulla?] puscamo [buschiamo; prendiamo] ma di preco timan darmi lire sesanto se no quanto ri tomo ti buttiamo alla finestra e benza tima tarmi il viaggio se no io non zono piu il vostro figlio in tanto di manto un saluto il mio fratello giacomino e lui sta a biangere noi siamo ri ventiate? peccio del figlio del gioppo fenizio di saluto io cara madre che Sono il vostro figlio Antonio E se voi non mi mantate il viaggio non mi fate piu risposta”