Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Il Sud di Pino Aprile di Fiorentino Bevilacqua

Posted by on Ago 18, 2019

Il Sud di Pino Aprile                di Fiorentino Bevilacqua

L’iniziativa di Pino Aprile, di far partire un’Azione politica meridionale, non è che l’ultima di una lunga serie1 .

Penso che la prima sia stata la pubblicazione di Terroni, libro che ha fatto uscire dall’ambito geografico e culturale “locale”, la questione del Sud maltrattato e vittima necessaria (e perciò predestinata) della cosiddetta Unità.

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Se riparte il Sud di Fiorentino Bevilacqua

Posted by on Ago 5, 2019

Se riparte il Sud                       di Fiorentino Bevilacqua

Se riparte il Sud – si sente alla radio, in TV, sui giornali, nel web – riparte il Paese”.

Almeno una volta nella vita lo hanno detto tutti: politici, economisti, commentatori, giornalisti.

Siccome la frase non è di questi giorni, ma va in giro da molti lustri, viene da chiedersi come mai il Sud non sia già ripartito…

E’ quasi come dire… “Se prendo l’aspirina, mi passa il mal di testa”; ma l’aspirina non la prendo e quindi il mal di testa mi rimane. Perché non prendo l’aspirina? Semplice: non la assumo perché sono allergico ad essa.

Allora, perché il paese Italia non prende l’aspirina della ripartenza del Sud? C’è forse qualche forma di…allergia?

Si potrebbe anche pensare che la colpa sia della politica che, capace di trovare le soluzioni giuste, è poi incapace di attuarle. Oppure che, come nel caso dell’aspirina, ci sia qualche controindicazione, qualche effetto collaterale, un “costo”, insomma, in termini economici e politici, che ne sconsiglia l’ “assunzione”.

Quale può essere questo “costo” e chi, eventualmente, lo pagherebbe?

Analizziamo quella affermazione…

Che vuol dire che riparte il Sud?

Vuol dire che il Sud dovrebbe avere un apparato produttivo, in termini di piccola, media ma anche grande impresa, pari, almeno, a quello del Nord: un “diffuso” apparato di “opifici”, come quello che aveva prima del 1860, prima dell’arrivo dei Garibaldesi-Piemontesi1; vorrebbe dire anche che il Sud dovrebbe avere, nei rapporti commerciali tra il paese Italia e l’estero, quelle stesse facilitazioni e corsie preferenziali riservate, dagli ultimi accordi, per il 99%, alle attività produttive del Nord.

Ma se questo fosse attuato, se il Sud fosse capace di prodursi gran parte di quello che gli serve, sicuramente ne trarrebbe beneficio: avrebbe più posti di lavoro, più introiti, molte più infrastrutture e così via.

Ma tutto ciò potrebbe avere un costo, un ritorno negativo per qualcun altro?

Per rispondere a questa domanda bisogna vedere come stanno oggi le cose, da dove vengono quei prodotti che il Sud oggi acquista da “fuori Sud” e un domani si produrrebbe nel suo territorio (magari esportandoli in parte altrove).

Questo ci aiuterebbe ad individuare chi sarebbe penalizzato dalla rinascita del Sud e, quindi, chi svilupperebbe una sorta di “allergia” nei confronti di essa.

Tenuto conto, per esempio, che nel periodo 1995-2005 il 60% del PIL della Lombardia è stato generato dal prodotti da questa regione venduti al Sud (e che lo stesso può dirsi, sia pure con percentuali diverse, del Veneto e di altre regioni), tenuto conto dei fondi europei destinati al Sud e finiti al Nord; dell’assassinio delle Banche del Sud – a fronte dell’inverecondo salvataggio di cadaveri di banche del nord-nord est – e che questo consente, a banche del Nord, di drenare il risparmio del Sud e di investirlo soprattutto o totalmente al Nord (cosa questa iniziata appena dopo il 1860), si capisce che il mal di testa del Paese è, in realtà, il mal di testa del Sud e che l’aspirina della ripartenza farebbe bene al Sud ma causerebbe un’orticaria economica, politica e sociale al Nord.

Dunque, la “controindicazione”, l’effetto collaterale che impedisce al Sud di guarire è l’effetto che questa guarigione avrebbe sul Nord.

Se riparte il Sud, in questa Italia nata male, il prezzo lo paga il Nord.

In fondo, a rileggere bene la storia, l’Italia una per questo è nata. Per far ripartire chi, allora, era sull’orlo del baratro economico (il Regno di Sardegna) a spese e a danno di chi, avendo attuato una politica non guerrafondaia, più accorta e lungimirante, aveva meno debiti, più riserve e un “PIL” migliore: quel Regno delle due Sicilie che diventerà “Sud” a partire dal 1860, ma che già prima lo era nelle idee e nelle intenzioni di coloro che questo progettavano: <<Napoli starà peggio, ma noi staremo meglio>> si sentì dire Francesco Proto, a Firenze, prima dei fatti unitari2.

Nata così, col “mal di testa” generatore dell’Italia fintamente unita, questo malessere non poteva che diventare costituzionale, essenziale e, perciò, permanente: se salta, salta l’Italia “unita” così come l’abbiamo conosciuta finora.

Fino ad adesso, per generare (contro il volere dei nostri avi di allora) e tenere in piedi questa Italia falsamente “una”, il prezzo lo abbiamo pagato noi del Sud, ex Regno delle Due Sicilie (trasformati, oltretutto, in una massa di inconsapevoli, funzionali, negri da cortile, nella quale, fino a pochi anni fa,pochi, pochissimi, conservavano accesa la fiammella della conoscenza e della speranza).

Ma è lecito dubitare che il Nord sia disposto a pagare la sua quota di sofferenza economica, sociale e politica per costruire, oggi, un’Italia veramente unita.

Quest’ultima ha, dunque, il suo vero nemico non nei revisionisti del Sud, non nel Sud che reagisce, che vuole ciò che è suo, ma nel Nord attaccato alle sue prerogative molto poco unitarie.    

Come se ne esce allora?

Forse serve una generazione di politici nostri, espressi dai nostri territori, che, formata alla verità storica, quella che emerge delle riletture dei tanto ostracizzati revisionisti (marxisti, neoborbonici, borbonici, legittimisti, insorgenti, identitari etc.) abbia a cuore le sorti dei Territori che rappresenta e non sia disposta a svenderli agli interessi del Nord né a nessun altro interesse spurio, anche locale, anche di “gruppo”.

Questi politici potrebbero non essere mai passati nella fila di questi movimenti revisionisti; l’importante è che siano passati per la cultura che dal revisionismo emerge, traendo da essa spunto e fondamento.

Non è facile; ma nemmeno è impossibile.

Fiorentino Bevilacqua

04.08.19

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  1. De Crescenzo, G., Le industrie del regno di Napoli, Grimaldi & C., 2012
  2. Proto, F., La mozione d’inchiesta per le province Napoletane. Al Primo parlamento d’Italia, Napoli, Alessandro Polidoro, 2015
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Il Ritratto di Dorian Gray di Fiorentino Bevilacqua

Posted by on Lug 28, 2019

Il Ritratto di Dorian Gray di Fiorentino Bevilacqua

Le notizie di questi ultimi tempi mi hanno fatto venire in mente Dorian Gray, personaggio di fantasia uscito dalla penna di Oscar Wilde.

Dorian Gray è un tipo molto fortunato: non invecchia mai. Ad invecchiare al suo posto è la sua immagine, ritratta in un dipinto che gli è stato regalato. Gli anni passano, infatti, ma le rughe, e gli altri segni del trascorrere del tempo, non compaiono sul volto e nel fisico del Dorian in carne ed ossa, bensì in quello del Dorian del dipinto.

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La nostalgia dei Neoborbonici Risposta a Fiorentino Bevilacqua di Lucio Castrese Schiano

Posted by on Giu 3, 2019

La nostalgia dei Neoborbonici Risposta a Fiorentino  Bevilacqua  di Lucio Castrese Schiano

     La precisazione  sul termine “nostalgia” è stata esposta in maniera magistrale.

     La rettifica su quella “borbonica”, poi, non poteva essere resa in modo più chiaro ed esaustivo.  La taccia di  “questa” nostalgia non dovrebbe costituire motivo né di imbarazzo né di dichiarata inferiorità, non solo per quelli che con maggiore o minore convinzione e cognizione di causa si definiscono “borbonici” o “neo”, ma per tutti quelli che una mala unità ha costretto ad essere “educati alla minorità” (per dirla con Aprile). E proprio questa “nostalgia” dovrebbe ispirare i loro sentimenti, i loro comportamenti, le loro scelte.

Castrese Lucio Schiano

https://www.altaterradilavoro.com/la-nostalgia-dei-neoborbonici/ sdsem

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La nostalgia dei Neoborbonici di Fiorentino Bevilacqua

Posted by on Giu 2, 2019

La nostalgia dei Neoborbonici di Fiorentino Bevilacqua

Io, questa cosa della nostalgia non la capisco.

Meglio: non capisco perché qualcuno, nell’intento di sminuire l’azione, il sentire, di un neoborbonico, lo definisca nostalgico. E’ come se uno chiamasse capra un stambecco alpino – Capra ibex L. – con l’intento di offenderlo per via dell’accostamento con la capra – Capra hircus L. – : lo stambecco se ne risentirebbe? Assolutamente no; piuttosto rifletterebbe, se potesse, sulle conoscenze di zoologia del tipo.

Ritornando a noi, capisco ancora di meno il fatto che un neoborbonico, così apostrofato, senta il bisogno, quasi convulso, di dimostrare che nostalgico non è.

Nostalgia è lo stato d’animo, l’emozione che prova chi è lontano dal paese di origine (il famoso mal du pays) o da una condizione passata, ovviamente migliore di quella che vive al presente: nessuno, infatti, rimpiangerebbe un passato in cui era malato, in carcere, prigioniero, schiavo, senza lavoro, povero etc

Siccome il termine deriva da nostos, ritorno, e algia, dolore (http://www.treccani.it/vocabolario/nostalgia/) e siccome è un sentire, doloroso, proprio di chi ritorna con il pensiero ad una condizione passata, che è positiva, mentre il presente non lo è, come fa, un neoborbonico, a vergognarsi se qualcuno, nella sua ignoranza, lo apostrofa con tale termine?

Che c’è da vergognarsi!?

Ammettiamo che lo scorso anno io sia stato in vacanza nelle “Isole del Paradiso” per oltre un mese e che questa fosse la cosa che più desiderassi al mondo.

Se quest’anno, fattimi i conti in tasca, mi rendo conto che posso ritornarci e per lo stesso periodo di tempo, io non provo nostalgia alcuna di quella vacanza semplicemente perché quest’anno la rivivrò, pari pari lo scorso anno. Non ho perso nulla: il presente sarà meraviglioso, nella sostanza, come il passato.

Ma se mi rendessi conto con non potrò più andarci in vacanza, allora non c’è da stupirsi se, nel ripensare a quelle vacanze, io provassi in cuor mio, nell’animo, un po’ di “sofferenza”: nostalgia, appunto.

Ritorno con il pensiero a quella esperienza per me gratificante del passato e, fatto il confronto con le vacanze che potrò fare quest’anno, con il presente, soffro (algia).

Perché, dunque, un Neoborbonico, che per definizione è un revisionista storico, quanto meno del periodo che parte dal 1734 e finisce nel 1860, non dovrebbe riandare con dolore a quel periodo storico avendo bene in mente le differenze fra esso e il presente?

Non capisco.

Io sono neoborbonico e nostalgico, e non me ne vergogno; anzi: essendo neoborbonico, mi vergognerei se non fossi nostalgico.

Forse, alcuni si schermiscono da quella “accusa” perché la nostalgia viene vista come qualcosa di paralizzante: una sorta di ammirazione estatica del passato che blocca l’agire presente.

A noi, del Sud (sic!), quello che ci blocca, nell’agire presente, è ben altro.

Mai questo, dunque.

Il passato, dice qualcuno, è un faro.

La sua narrazione completa, finora assente dai libri di storia e sui media, fa capire come veramente si era e, quindi, come si può essere se liberati da gioghi di ogni tipo, anche endogeni, anche di “sangiovannara” natura.

La conoscenza del passato, anzi, dà un orgoglio a chi finora non solo ne era privo, ma si sentiva colpevole per come era. Questo orgoglio è anche uno stimolo a riprovarci, a cercare di ritornare come si era: un Popolo orgoglioso di se stesso. La revisione fa scoprire che si può, che si ha tutto per riuscire, guardando al passato per prendere energia, stimoli e insegnamenti; non per tornare formalmente ad esso.

<<Non si può tornare davvero indietro nel tempo, ma certamente si può provare il desiderio, a volte molto forte, di riprovare quelle emozioni che ci hanno dato piacere e gioia. Se in superficie questo sembra stimolarci a ricreare o a ricercare le circostanze che hanno prodotto quelle emozioni positive, nel profondo la nostalgia ha un’altra funzione, meno evidente, che è quella di rompere l’inerzia psicologica e attuare i cambiamenti necessari. Per quando sembri paradossale, la nostalgia funziona come un rinforzo positivo per promuovere un cambiamento che la nostra psiche ritiene ormai maturo.>>

https://www.riza.it/psicologia/tu/7013/nostalgia-se-non-la-combatti-diventa-una-risorsa.html

Nostalgia, dunque, non è un epiteto offensivo, sminuente quando viene rivolto a un Neoborbonico; forse lo è per chi lo usa con questo fine.

Fiorentino Bevilacqua (un nostalgico)

02.06.19

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