Alta Terra di Lavoro

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CINQUE LETTERE DEL CONTE DI CAVOUR AL CONTE DI PERSANO E DICHIARAZIONI DEL PADRE GIACOMO A ROMA

Posted by on Apr 27, 2020

CINQUE LETTERE DEL CONTE DI CAVOUR AL CONTE DI PERSANO E DICHIARAZIONI DEL PADRE GIACOMO A ROMA

I giornali pubblicano nuovi documenti del conte di Cavour messi in luce dal signor Nicomede Bianchi. Ne leviamo queste cinque lettere, che meritano, di venir conservate per la storia. Esse sono dirette al Conte di Persano.

Signor Ammiraglio,

Torino, 11 luglio 1860.

Approvo senza riserva il suo contegno con il governo siciliano. Ella seppe dimostrarsi col generale Garibaldi ad un tempo fermo e conciliante., ed ha quindi acquistato sol medesimo una salutare influenza. Continui ad adoperarla per impedire che il generale non si lasci traviare dai pochi disonesti che lo circondano, è cammini per la via che deve condurre la nave d’Italia a salvamento. Può assicurare il generale Garibaldi che non meno di lui sono deciso a compiere la grande impresa; ma che per riuscire è indispensabile l’operare di concerto, adoperando tuttavia metodi diversi.

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Memoriale di Filippo Curletti, agente segreto di Cavour : Come si svolsero i plebisciti

Posted by on Apr 6, 2020

Memoriale di Filippo Curletti, agente segreto di Cavour : Come si svolsero i plebisciti

Filippo Curletti, rifugiato in Svizzera e condannato in contumacia quale mandante di una banda di malviventi piemontesi, per vendetta scrive un memoriale (in francese).

Il poliziotto racconta lo svolgimento dei plebisciti a Modena:
«Per quel che riguarda Modena, posso parlarne con cognizione di causa, poiché tutto si fece sotto i miei occhi e sotto la mia direzione. D’altronde le cose non avvennero diversamente a Parma ed a Firenze.”

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PRIMA LETTERA DEL CONTE DI MONTALEMBERT AL CONTE DI CAVOUR (Pubblicata il 28 ottobre 1861).

Posted by on Mar 14, 2020

PRIMA LETTERA DEL CONTE DI MONTALEMBERT AL CONTE DI CAVOUR (Pubblicata il 28 ottobre 1861).

Signor Conte,

Leggo nella relazione della tornata del Parlamento di Torino, del 12 di ottobre, queste parole dette da voi: «lo credo che la soluzione della questione romana debba essere prodotta dalla convinzione che andrà sempre più crescendo nella società moderna, ed anche nella grande società cattolica, essere la libertà altamente favorevole allo sviluppo del vero sentimento religioso. Io porto ferma opinione che questa verità trionferà fra poco. Noi l’abbiamo già vista riconoscere anche dai più appassionali sostenitori delle idee cattoliche; noi abbiamo veduto un illustre scrittore, in un lucido intervallo, dimostrare all’Europa, con un libro che ha menato gran rumore, che la libertà era stata molto utile al ridestamento dello spirito religioso».

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Cavour razzista: il primo a chiamare i meridionali “maccheroni-terroni”

Posted by on Ago 22, 2019

Cavour razzista: il primo a chiamare i meridionali “maccheroni-terroni”

Il personaggio al quale, ancora oggi, tante città del Sud dedicano via, piazze e scuole – lo ‘statista’ Cavour – considerava i meridionali come esseri da ‘spolpare’. Per Cavour i meridionali erano “maccheroni”. E ancora oggi, nel Settentrione d’Italia, maccherone è sinonimo di terrone, per indicare appunto il cittadino del Sud, in senso dispregiativo e razzistico. E i siciliani? per il piemontese erano “arance” da mangiare…

La Francia mette in moto una infelice e tardiva iniziativa diplomatica

Ma chi comanda il gioco è sempre l’Inghilterra. Non c’è spazio per altri.

Cosa avviene in campo internazionale nel giugno del 1860?
Grandi e convulse trattative e riunioni che sostanzialmente non cambiano nulla, perché la Gran Bretagna tiene tutto sotto controllo. Al Gabinetto di Londra non si può certamente contrapporre con successo neppure l’Imperatore dei Francesi, Napoleone III. Quest’ultimo non si è ancora reso conto pienamente del fatto che il Regno Sabaudo si va allargando a dismisura sotto protezione inglese. L’Imperatore si affida comunque ad una sua iniziativa diplomatica, che ne dimostrerà soltanto l’impreparazione. E forse anche l’imperdonabile ingenuità.

Il Quai D’Orsay, quindi, attraverso i buoni uffici dell’ambasciatore inglese a Parigi, Lord Cowley, manderà a dire al Palmerston che sarebbe opportuna una iniziativa comune anglo-francese per bloccare l’espansionismo piemontese e l’aggressione in corso nei confronti del Regno delle Due Sicilie.

Il Governo Britannico, ovviamente, non si limita a considerare assurda la proposta. Ma si infastidisce e si insospettisce ancora di più. Non gradisce l’attenzione dimostrata da Napoleone III verso i fatti Duosiciliani. La considera un’interferenza inopportuna e pericolosa con fini espansionistici.
La parentela fra i Savoia ed i Bonaparte, la simpatia ed i legami culturali fra il Piemonte e la Francia, il fondamentale intervento francese nella seconda guerra d’indipendenza italiana dell’anno precedente, la irrequietezza delle mosche cocchiere Piemontesi (fedeli ed obbedienti, senza dubbio, al progetto inglese, ma non prive di passioni personali, di rivalità interne, di voglia di protagonismo) e la paura che emergano nuovi fatti, prevedibili o imprevedibili, rendono più diffidente e più ostile la politica di Lord Palmerston nei confronti, appunto, della Francia.

Questa, in realtà, è la potenza europea che – con o senza Napoleone – ha insidiato e può ancora insidiare la leadership della Gran Bretagna in Europa e nel Mediterraneo. E probabilmente anche nel Medio e nel lontano Oriente. L’Unità d’Italia del resto, è programmata anche in funzione antifrancese.
Piaccia o no agli Italiani. Piaccia o no ai Francesi. A Torino, inoltre, non mancano le voci di probabili cessioni di Genova e/o della Sardegna alla Francia… in cambio del trasferimento dei territori del Regno delle Due Sicilie alla corona sabauda.(1) Una scorciatoia, cioè, che placherebbe le ambizioni di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II.

Un motivo in più – seppure piuttosto campato in aria – per indurre l’Inghilterra a concludere al più presto l’occupazione del Regno delle Due Sicilie, avvalendosi intanto (e apparentemente) quasi totalmente dell’Armata Garibaldina. Alla quale ovviamente sarà fornito ogni supporto necessario. Niente di più…

Considerata la delicatezza del momento, il Governo Britannico non trascura comunque di avviare una propria originale iniziativa diplomatica: intimidire l’Imperatore Austriaco Francesco Giuseppe facendogli sapere che la Gran Bretagna si sarebbe opposta direttamente ad ogni eventuale intervento dell’Austria in favore del Regno delle Due Sicilie. Meglio essere espliciti.

Ed in effetti Francesco Giuseppe ha di che temere, considerato che la Mediterranean Fleet in qualsiasi momento gli può bombardare ad esempio molti porti sull’Adriatico. Mentre i servizi segreti britannici potrebbero scatenare un’altra rivoluzione interna all’Impero Asburgico avvalendosi delle infiltrazioni e della influenza sulle nazionalità, sulle etnie e sui popoli inglobati nell’Impero stesso, ma che non sempre sono Sudditi fedeli del giovane Re.

Peraltro il Governo Britannico, come abbiamo già detto, ha un feeling particolare con il nazionalismo magiaro, manovrabile in ogni momento contro Vienna e ha già imbastito tante e tali trame, ha già assoldato e corrotto tanti funzionari ed alti ufficiali del Regno delle Due Sicilie, ha tali infiltrazioni in ambienti mafiosi e camorristici ed ha, ammettiamolo, tanto carisma da poter fare a meno anche di quel pasticcione di Garibaldi.

Tuttavia, anche per la finezza politica con la quale sa gestire il proprio immenso potere, il Governo di Londra bene intuisce che la copertura della spedizione garibaldina (sia pure sotto la tutela britannica) renderebbe più accettabili dall’opinione pubblica internazionale e dagli altri Stati, europei e no (2) le violenze, le sopraffazioni e le stragi che caratterizzeranno via via la conquista di tutto il territorio e dei popoli del Regno delle Due Sicilie.

Per concludere: il Governo Palmerston ha un progetto ben definito e le idee ed i mezzi per attuarlo. Non intende perdere altro tempo.

Cavour: «Siamo ben decisi a mangiare le arance che sono sulla nostra tavola».

Un monito però è quasi esplicitamente rivolto di fatto pure al Cavour e a Vittorio Emanuele II: facciano le mosche cocchiere. Non vadano oltre. Il piano inglese non deve subire varianti, né sconti. In quest’ottica vanno letti i messaggi che l’ambasciatore piemontese a Londra, Vittorio Emanuele D’Azeglio (il giovane D’Azeglio, come ama definirlo con simpatia la Regina Vittoria) e l’ambasciatore inglese a Torino, l’indaffaratissimo Lord James Hudson, inviano al Cavour per informarlo dell’avviso che il Governo Palmerston ha fatto recapitare all’Imperatore Austriaco Francesco Giuseppe.

D’altra parte ci voleva ben poco a capire che se l’Austria si fosse mossa molto meglio e giocando d’anticipo, il Regno Sabaudo sarebbe stato cancellato dall’Europa ancor prima di quello Borbonico… Il tutto avviene mentre gira a vuoto la missione diplomatica della delegazione guidata dall’ambasciatore Duosiciliano presso la Santa Sede, De Martino.

Il Cavour, al quale non difettano certo astuzia ed intelligenza, comprende il messaggio londinese. È, del resto, già passata l’euforia derivante dalla facilità con la quale è andato a buon fine lo sbarco in Sicilia. Lo statista piemontese sa, a sua volta, che un Governo plurimiracolato dalla Gran Bretagna, come quello di Torino, non può permettersi di condizionare le scelte di Lord Palmerston. Quest’ultimo, infatti, in quanto premier, guida e governa la Gran Bretagna. Ha un ruolo istituzionale che gli consente di non tenere eccessivamente conto dei ripensamenti della regina Vittoria, successivi allo sbarco dei Mille in Sicilia sotto protezione inglese.

La regina Vittoria non vorrebbe più quel tipo di fine per il Regno delle Due Sicilie, né quel modello di annessione, al Regno di Vittorio Emanuele
II. Ma neppure lei può fermare ormai la grande manovra.

Al Cavour non resterà altro che dare al proprio operato diplomatico un’interpretazione funzionale al progetto inglese. Quella, cioè, di fare intendere di aver giocato – soltanto giocato – a fare perdere tempo prezioso a Francesco II, distraendolo dalla difesa del Regno del Sud. Si tratta, in verità, di una giustificazione peregrina sufficiente, però, a rassicurare gli Inglesi e a dare ai patiti di storia risorgimentalista un’occasione in più per esaltare la genialità del Padre della Patria, che peraltro amava più parlare in francese che in italiano.

In sostanza, il 25 giugno 1860, così il Cavour scrive a Costantino Nigra:

«Villamarina (ambasciatore piemontese a Napoli, n.d.a.) mi comunica che il Re di Napoli è disposto a seguire i consigli dell’imperatore (Napoleone III). Noi lo asseconderemo per ciò che riguarda il Continente, puisque les macaronis ne sont pas encore cuits, mais quant aux oranges qui sont déjà sur no- tre table, nous sommes bien décidés à les manager».(3)

Sono doverose alcune brevissime, ma specifiche, considerazioni, che prescindono dalla funzione, significativa, della lettera. Il Cavour inizia a scrivere in italiano, ma poi completa in francese. È quest’ultima, infatti, la lingua madre non solo del Cavour (figlioccio di Paolina Bonaparte), ma anche di Garibaldi e di Vittorio Emanuele, che continueranno ad usarla persino dopo l’Unità d’Italia.

Un’altra considerazione è quella relativa alla terminologia. Si parla cioè di mangiare il Regno delle Due Sicilie. I Siciliani vengono considerati arance ed i Meridionali-continentali maccheroni. Ancora oggi, nel Settentrione d’Italia, maccherone è sinonimo di terrone, per indicare appunto il cittadino del Sud, in senso dispregiativo e razzistico. Non si tratta quindi, per il Cavour, di un semplice lapsus freudiano. Freud c’entra ben poco. La verità è che a Torino si ha poco rispetto tanto per la Nazione Siciliana, che per la Nazione Napoletana.

Dalla lettera a Costantino Nigra si comprende pure che il Cavour si è rassegnato ad accettare la conquista del Sud, così come la vogliono gli Inglesi e con i ritmi di questi ultimi. Saprà, da par suo, regolarsi in conseguenza. Sia pure a malincuore.

Firenze, 23 marzo 1860: Emerico Amari aveva lanciato un allarme… Ed una profezia… Ma non fu ascoltato!

Emerico Amari: «La Sicilia perde quel po’ di vita propria che Napoli le aveva lasciato…».

Come ci sintetizza mirabilmente Massimo Ganci il progetto-proposta francese era quello di separare la Sicilia dal Regno di Napoli, dandole un Capo di Stato che fosse un principe napoleonico. La Sicilia, divenuta Stato indipendente, avrebbe però stipulato un’alleanza di ferro con lo Stato Sabaudo (ufficialmente denominato, come sappiamo, Regno di Sardegna).
Nel Regno di Napoli la monarchia regnante avrebbe dovuto promulgare ed applicare una Costituzione Liberale.(4)

Il Regno Sabaudo in tal caso si sarebbe denominato: «Regno dell’Alta Italia». Su questa proposta ovviamente concorda – ritenendola sincera – la diplomazia di Francesco II con la sola variante di proporre l’unione personale della Corona Siciliana con quella di Napoli e con l’impegno di affidare il Governo separato della Sicilia ad un Viceré. Si propone cioè il ritorno alla situazione precedente alla riforma del 1816. Così facendo non si garantirebbe però l’alleanza di ferro con il Re di Sardegna (Vittorio Emanuele II).

Inutile sottolineare che all’Inghilterra questa proposta non può fare piacere, perché renderebbe vano il suo impegno per una pax britannica nel Mediterraneo, nella quale l’Italia da espressione geografica dovrà diventare una sola, univoca, figura giuridica, istituzionale e politica filo-britannica. Senza il pericolo che uno Stato del Sud (ad esempio la Sicilia o il Regno di Napoli o entrambi, cioè Regno delle Due Sicilie) possano assumere iniziative diverse da quelle assunte dal Regno del Nord coinvolgendo potenze diverse dalla Gran Bretagna (e, possibilmente, ostili a questa).

Sappiamo altresì che (già prima dello sbarco garibaldino) in Sicilia esisteva un piccolo movimento politico molto pubblicizzato ed artatamente sopravvalutato, che invocava l’annessione al Regno Sabaudo. Lo abbiamo già detto e abbiamo altresì adombrato il convincimento che questo fosse organizzato e finanziato dal Governo di Londra. Lo confermiamo anche per favorire la migliore comprensione dei fatti.
Ne troviamo, peraltro, ampia traccia, nella lettera che Emerico Amari (nonostante la delicata condizione, protrattasi per lungo tempo, di rifugiato politico e di ospite presso il Regno Sabaudo) aveva indirizzato al marchese di Roccaforte, il 23 marzo 1860 da Firenze, dove aveva ricevuto un prestigioso incarico di insegnamento, analogamente a quanto era avvenuto per altri esuli Siciliani che, però, generalmente si guardavano bene dal criticare gli indirizzi politici assunti di volta in volta dal Governo Sabaudo. Non già per convincimento, ma perché temevano di perdere i prestigiosi privilegi.

Dopo aver fatto qualche cauto riferimento alla esigenza di coinvolgere la Francia nella questione siciliana, probabilmente perché aveva ben compreso in quale direzione marciasse l’Inghilterra, l’Amari così scrisse:

«Solo vi prego a rammentarvi due cose: che la corrente va impetuosa alle annessioni e, senza volermi fare giudice dei fatti e delle opinioni altrui, quanto alla Sicilia credo che l’annessione avrebbe due gravi inconvenienti:

1) per la natura e la topografia un vero danno;

2) impraticabilità per non dirla impossibilità finché Napoli non ha annesso.

Il Piemonte, colla Toscana e la Romagna sulle braccia(,) ha bastante lana da scardassare, né un uomo né uno scudo ci darebbe, onde Sicilia dovrà sobbarcarsi ai tremendi mali di una guerra, di cui tu sai perigli, senza sperarne altro premio della vittoria che la perdita di quel poco di vita propria che Napoli le ha lasciato».(5)

Nonostante la prudenza ed i giri di parole, l’Amari ci diede (ed ancora oggi i fatti gli danno ragione) la testimonianza dell’esistenza di quel movimento annessionista che scavalcava le stesse mosche cocchiere Piemontesi. Ed è importante anche il giudizio negativo sulla eventuale annessione della Sicilia. L’Amari era stato infatti profetico, quando aveva adombrato l’ipotesi che l’unico premio sarebbe stato la perdita di quel poco di vita propria, che la Sicilia ancora aveva con i Borbone. Ed aggiungeva:

«…una fusione alla piemontese, idest francese (cioè centralista ed unitaria, n.d.r.) non sarebbe né giusta né utile alla Italia né alla Sicilia, che la Sicilia è per istituto, per posizione, per senno, federalista».(6)

(1) Così scrive in proposito Massimo Ganci: «Londra, inoltre, preoccupata dell’eventuale cessione della Sardegna o di Genova alla Francia, da parte del Piemonte, in cambio dell’annes- sione dell’Italia Meridionale, aveva tutto l’interesse di inserire un cuneo tra Parigi e Torino». Vedi Storia della nazione siciliana, II ed., Ediprint s.r.l., Siracusa 1986, pag. 72.

(2) Si pensi che persino gli Stati Uniti d’America si erano fatti coinvolgere, in modo poco appariscente ma concreto, nell’impresa dei Mille (ed, ancora prima, in alcune azioni di «monitoraggio» contro il Regno delle Due Sicilie) nell’errato convincimento che gli Inglesi appoggiassero una causa giusta. In particolare furono indotti a credere che fosse in corso una lotta contro l’assolutismo regio e contro l’oppressione dell’Impero Asburgico nei confronti delle popolazioni italiane. Va anche ricordato che gli Inglesi si erano adoperati affinché il Governo di Torino concedesse una base navale alla flotta U.S.A. che doveva assicurare protezione ai bastimenti commerciali americani che diversamente sarebbero divenuti facile preda dei pirati barbareschi. Quella «base» finì (nel 1860) con il dare apporti logistici e «bastimenti» alle tante «spedizioni» di soldati Piemontesi e dei mercenari al loro servizio che andavano alla «conquista» del Regno delle Due Sicilie. Una vera e propria interferenza, in favore del Regno Sabaudo, per agevolare la conquista di uno Stato (quello delle Due Sicilie), al quale né gli Americani, né gli Inglesi, né i Piemontesi avevano dichiarato guerra.

(3) M. Ganci, op. cit., pag. 74.

(4) M. Ganci, op. cit., pag. 72.

fonte https://www.inuovivespri.it/2019/08/21/la-vera-storia-dellimpresa-dei-mille-34-cavour-razzista-il-primo-a-chiamare-i-meridionali-maccheroni-terroni/?fbclid=IwAR2e5Pv_I4ZdGnYr0hS7BILo3rwRzEGtf5qeFcP98D_CQifkOiPGrpeR-Bo





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Stralci della lettera di Charles Forbes René, conte de Montalembert a Cavour

Posted by on Giu 9, 2019

Stralci della lettera di Charles Forbes René, conte de Montalembert a Cavour

“” La Roche en Breny, 22 ottobre 1860 “”

Signor Conte,
Leggo nella relazione della tornata del Parlamento di Torino, del 12 di ottobre, queste parole dette da voi:

«lo credo che la soluzione della questione romana debba essere prodotta dalla convinzione che andrà sempre più crescendo nella società moderna, ed anche nella grande società cattolica, essere la libertà altamente favorevole allo sviluppo del vero sentimento religioso. Io porto ferma opinione che questa verità trionferà fra poco. Noi l’abbiamo già vista riconoscere anche dai più appassionati sostenitori delle idee cattoliche; noi abbiamo veduto un illustre scrittore, in un lucido intervallo, dimostrare all’Europa, con un libro che ha menato gran rumore, che la libertà era stata molto utile al ridestamento dello spirito religioso».

Sono assicurato che voi avete inteso di alludere a me, Se le vostre parole non contenessero che un elogio, non oserei considerarle come delle di me; ma siccome racchiudono eziandio un’ingiuria, così la mia modestia vi si può acconciare.

Voi m’interpellate davanti il pubblico, epperò mi date il diritto di rispondervi davanti a lui.

Nel farlo provo una ripugnanza che duro fatica a sormontare.

Il sangue francese venne sparso per ordine vostro; l’onore cattolico fu insultato dai vostri luogotenenti, il secolare asilo, l’ultimo rifugio del Padre comune dei fedeli fu minacciato dalle vostre parole.

Non v’ha uno degli atti vostri che non m’offenda e rivolti.

Ed ora voi recate un nuovo colpo a tutto ciò che io amo, ravvolgendo i vostri perversi disegni sotto il velo di un accordo bugiardo tra la religione e la libertà, e in appoggio do’ vostri detti invocate la mia testimonianza!

Debbo a me stesso il protestare che non sono d’accordo con voi, signor Conte, in nessun punto.

Grazie a Dio la vostra politica non la mia.

Voi siete pei grandi Stati incentrali, io sono pei piccoli Stati indipendenti.

Voi disprezzate in Italia ]e tradizioni locali, ed io le amo dappertutto.

Voi siete per l’Italia unitaria, ed io per l’Italia confederata.

Voi violate i trattati e il diritto delle genti, io li rispetto, perché sono tra gli Stati ciò che sono tra gli uomini i contratti e la probità.

Voi date agli eroi di Garibaldi gli elogi ch’io riservo ai mercenarii dell’immortale Pimodan.

Voi siete con Cialdini, io sono con Lamoricière.

Voi siete col P. Gavazzi, io sono con i Vescovi d’Orléans, di Poitiers, di Tours, di Nantes, con tutte quelle voci cattoliche, che nei due mondi protestarono e protesteranno contro di voi.

Io sono sopratutto con Pio IX, che fu il primo amico dell’indipendenza italiana fino al giorno, in cui questa gran causa passò nelle mani dell’ingratitudine, della violenza e dell’impostura.

Che figura faranno le vostre piccole Maestà Piemontesi nel centro della cattolicità divenuto l’albergo degli uffizi de’ vostri ministri?

Pensate che l’umanità sia per continuare il suo pellegrinaggio a’ piedi del trono de’ vostri Sovrani?

Avete la gloria incomparabile di possedere la Capitale di ducento milioni d’anime, e ogni vostra ambizione è di ridurla ad essere il capoluogo dell’ultimo venuto dei Re della terra!

No, no, non siete la libertà, non siete altro che la violenza!

Non condannateci ad aggiungere che siete la menzogna!

Noi siamo le vostre vittime, sia pure, ma non saremo il vostro zimbello.

Potete annettere al Piemonte regni ed imperi, ma vi sfido di annettere ai vostri atti una sola coscienza onesta.

Il fortunato e necessario accordo della religione colla libertà verrà a suo tempo; ma se per isventura fosse per lungo tempo ritardato, sarà vostra colpa e vostro eterno disonore.

Charles Forbes René, conte de Montalembert

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Londra, 15 aprile 1810 – Parigi, 13 marzo 1870
è stato un politico, giornalista, storico e filosofo francese.

Pari di Francia dal 1831, parlamentare della Seconda Repubblica nata dalla Rivoluzione del 1848, membro del Corpo legislativo del Secondo Impero, fu liberale e monarchico costituzionale. Teorico del cattolicesimo liberale, difese la libertà di stampa e d’associazione e il diritto dei popoli all’autodeterminazione e all’indipendenza.

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“La fucilazione di Camillo Benso Conte di Cavour”

Posted by on Mag 21, 2019

“La fucilazione di Camillo Benso Conte di Cavour”

E’ accaduto qua giù nell’ex Regno? no non è accaduto qui ma in Veneto e questo ci fa capire che questo paese come è nato non piace a tanta gente senza differenza geografica. Dovrebbe essere motivo di riflessione per tanti soloni che nonostante l’imposizione di 4 feste nazionali non riescono a generare nessun sentimento patriottico condiviso. di seguito articolo inviatomi dall’associazione delle Pasque Veronesi, a noi non interessa le dinamiche politiche che ci sono dietro e non siamo simpatizzanti del negazionismo, che merita di essere letto senza aggiungere nessun altra parola.

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