Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Cavour: un perfetto moralista (anticattolico)

Posted by on Mar 15, 2019

Cavour: un perfetto moralista (anticattolico)

La pretesa di conoscere il vero bene del popolo, prescindendo dalla storia e dalle radici. Uno degli aspetti più inquietanti del principale artefice del Risorgimento.
Tracciare in poche righe il ritratto dell’unico vero “padre della patria” (per usare la retorica risorgimentale) non è impresa facile. Cosmopolita, ricchissimo, privo di scrupoli, astuto, intelligente, arrogante, accentratore, questo (e molto altro, ovviamente) è Camillo Benso conte di Cavour. Quel che è certo è che, senza di lui, il Regno d’Italia non sarebbe nato.

Read More

Lettera del Contrammiraglio Carlo Pellion di Persano a Camillo Benso Conte di Cavour

Posted by on Gen 31, 2019

Lettera del Contrammiraglio Carlo Pellion di Persano a Camillo Benso Conte di Cavour

«Napoli, 21 agosto 1860 …


le mando i rapporti che ho avuti dal “C. Alberto„ e dal “V…. Emanuele„ sullo sbarco del Generale Garibaldi. Ho approvato la condotta del C.te Albini, non quella del cav Mantica. Pazienza! Ora è fatta, ed il “Torino„ pare perduto. Partono in questo punto le fregate napoletane la “Borbone„ ad elica, e la “Partenope„ a vela, chiamate nel faro dal capo Divisione Le..ro comandante in quelle acque.
Qui si va avanti ma con che fatica lo so io. Gelosie, suscettibilità da ogni parte, che occorre vincere in ogni momento.
Il Marchese di Villamarina è troppo arrendevole, e qui fa mestieri guidare e non farsi guidare.
Nunziante vorrebbe sbancare i più influenti del Ministero, ed io vorrei unione, perché tutti influenti. Mi conduco con molta arte, almeno mi sembra di farlo.
Il fatto sta che Nunziante è nelle mie mani ed ha più confidenza in me che non in altri. Siamo negli scogli, Eccellenza, ma spero uscirne a bene.
Valiamoci del Conte di Siracusa che è pienamente alla causa italiana. Non perdiamo l’occasione, Eccellenza, che più adatta non si potrebbe avere.
Mettendo il Conte di Siracusa alla testa del movimento si appiana ogni cosa. Ognuno entra al suo posto e rimangono tolte le rivalità di supremazia e ciò che è più si salva l’apparenza dell’onor militare alla truppa, quindi quasi certezza del loro pronunciamento e sottomissione a V. Emanuele Re d’Italia.
Il Conte di Siracusa qual primo atto della sua Reggenza proclamerebbe lo Statuto piemontese, inalbererebbe la bandiera allo stemma di Savoia, farebbe giuramento di sudditanza e fedeltà a Re V. Emanuele, e chiamerebbe ogni autorità a fare altrettanto.
Non mancherebbe quindi a noi che muoversi per la grand’annessione, e correrei per imbarcare V. Emanuele e condurlo al possesso de’nuovi stati. Cammino col pensiero, non è vero, Eccellenza? Ma è il mio sogno, faccia Dio che si avveri, e morirò contento.
Le unisco la lettera che il Conte di Siracusa intenderebbe mandare al Re appena venuto il momento favorevole, ed il suo proclama al popolo.
Voglia V.E. rispondere per telegrafo se si approvano, onde poter eseguire. Ho pregato S.A.R. di comunicare ogni cosa al M.se di Villamarina e lo ha fatto, per modo che il Ministro è soddisfatto nel suo amor proprio; nulla sapendo egli del telegramma di V.E. a cotale riguardo.
Pregherei V.E. di complimentare il M.se di Villamarina sul proposito siccome tutto venisse per opera sua. È necessario il farlo. In quanto a me non trascuro affatto i riguardi che son dovuti a ciascuno di questi signori, così mi trovo bene con ognuno di loro nel mentre che sanno che so tenermi al mio posto nel momento del bisogno.
Ho fatto pagare 2 mila ducati napoletani al Signor Devincenzi, e 4 mila al B.ne Nisco. Non mi dilungo in altri particolari perché gli verranno comunicati dalle varie persone che le scrivono e formano parte della riunione presieduta dal marchese di Villamarina …di Persano
P.S. Essendo, Eccellenza, della più grande urgenza il non ritardare la comunicazione delle lettere del Conte di Siracusa, per la debita approvazione o non approvazione delle medesime spedisco a V.E. il mio aiutante di campo, facendolo partire sull’ “Ichnusa„ al quale do ordine di volgere per Genova senza ritardo di sorta.
Ho ricevute le due lettere di V.E. in data 17 corrente. Le sono riconoscente della fiducia e dell’autorizzazione che mi ha dato per le spese straordinarie …
di Persano». “destro

Read More

I Borbone erano stranieri? Loro parlavano napoletano, i Savoia e Cavour francese

Posted by on Dic 14, 2018

I Borbone erano stranieri? Loro parlavano napoletano, i Savoia e Cavour francese

di Francesco Pipitone

Il 17 marzo 1861 avvenne ufficialmente l’unificazione dell’Italia e, puntualmente, ogni 17 marzo ricorrono varie questioni. Tra l’origine della questione meridionale, l’epopea garibaldina e il revisionismo del Risorgimento torna sempre un argomento che per molti è pacifico, senza tuttavia esserlo affatto: i Borbone sarebbero stati occupatori stranieri.

Tra i meriti di Garibaldi, Vittorio Emanuele II e il conte di Cavour ci sarebbe quello di aver cacciato l’oppressore straniero, spagnolo, dai territori dell’ex Regno delle Due Sicilie. Eppure bisogna sottolineare come i sovrani borbonici fossero tutti nati a Napoli o Palermo e parlassero napoletano, ad eccezione di Carlo, il capostipite del ramo Borbone Due Sicilie, che però prese lezioni di napoletano per meglio comprendere il suo popolo. Le lingue ufficiali del Regno delle Due Sicilie erano l’italiano e il latino.

Il Regno di Sardegna aveva come lingue ufficiali il francese e l’italiano, con la prima che prevaleva nettamente sulla seconda. I Savoia parlavano piemontese e francese e dalla relazione di Jessy Mario White sulla prima riunione del Parlamento italiano emergono le enormi difficoltà dello stesso Cavour a esprimersi in italiano. Cavour viene infatti descritto come balbettante, una balbuzie che in realtà deve essere spiegata con il disagio nell’esprimersi in una lingua scarsamente conosciuta come l’italiano.

Significativa fu la scelta di Vittorio Emanuele II che tenne il proprio numerale invece di diventare Vittorio Emanuele I d’Italia. Si potrebbe leggere in tale decisione la volontà di sottolineare la continuità con il passato, perciò l’annessione degli altri stati della penisola sarebbe una mera conquista di Casa Savoia, un’estensione del proprio dominio.

Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza nel 1807, in un periodo in cui la città era francese. All’anagrafe fu registrato come Joseph Marie Garibaldi e si pentì presto di aver dato il Mezzogiorno ai Savoia. La sua famiglia era di origine genovese ed egli stesso si mostrò, da giovane, ostile ai francesi. Garibaldi, quindi, durante la propria vita ha scelto di essere italiano, forse perché realmente credeva negli ideali patriottici. Si dimostrò subito ostile al governo di Cavour, già nella prima riunione del Parlamento, quella cui abbiamo accennato sopra.

“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male. Nonostante ciò non rifarei la via dell’Italia Meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi là cagionato solo squallore e suscitato solo odio”. Così Garibaldi in una lettera all’amica Adelaide Cairoli.

Giuseppe Garibaldi morì povero a Caprera, in esilio. Nel tentativo di prendere Roma fu inseguito, arrestato e ferito da armi italiane. Fu autore di poesie in italiano e francese.

È interessante infine leggere con attenzione quello che scriveva Francesco II in partenza per l’esilio: “Io sono napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduto altri paesi, non conosco altro che il suolo natio. Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno: i vostri costumi sono i miei costumi: la vostra lingua è la mia lingua; le vostre ambizioni mie ambizioni”.

Per napolitano si intende non abitante nella città di Napoli, bensì l’essere cittadino nella Nazione Napolitana che si estendeva dalla Sicilia a Civitella del Tronto, l’ultima città del Regno delle Due Sicilie ad arrendersi il 20 marzo 1861, tre giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Il termine duosiciliano appare invece un’invenzione dei nostri giorni. 

Francesco II,insomma, non riteneva se stesso straniero e di fatto non lo era, essendo l’ultimo rappresentante diuna dinastia che ha regnato per poco meno di 130 anni quasi ininterrottamente,che parlava la lingua del proprio popolo e con esso si identificava, del qualeaveva le stesse tradizioni. La campagna meridionale sabaudaallora tutto fece, tranne che cacciare un occupatore straniero.

fonte

 https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/storia/242780-borbone-erano-stranieri-parlavano-napoletano-savoia-cavour-francese/?fbclid=IwAR1uDeT2Q6KacG_N0pLb0DikeFq5IAlUuVIGtAYKJVeuYV0_MMhEQE8Qxtc

Read More

Cavour e Bixio….Alessandro

Posted by on Dic 12, 2018

Cavour e Bixio….Alessandro

Alessandro Bixio (fratello del più conosciuto Nino), era emigrato da giovane in Francia ed era diventato cittadino francese. Era un uomo d’affari legato ai banchieri ebrei Rothschild e Péreire. Ma, cosa faceva lì Alessandro Bixio? E perché il principe Napoleone gli fece una brutta faccia (il viso dell’arme)? Per darci una spiegazione alla prima domanda torniamo indietro al 1852 quando si determinò nel parlamento piemontese una maggioranza che faceva prevedere la caduta del ministero d’Azeglio. Cavour, che sapeva di dover succedere al d’Azeglio, decise di “sottrarsi al logorio politico e psicologico dell’attesa” con un viaggio all’estero. Ma la ragione del viaggio era un’altra. Sia a Londra che a Parigi incontrò tutti quei personaggi che ritroveremo nella storia dell’unità d’Italia. A Parigi Cavour non poté non respirare l’atmosfera di ritrovata fiducia originatasi nei ceti imprenditoriali e capitalistici, dopo il colpo di stato di Napoleone III. “I capitali sorgono da tutte le parti. La prosperità finanziaria è immensa” scriveva Cavour. Ed a Parigi, tra gli altri, incontrò Alessandro Bixio che fece da tramite tra Cavour e gli ambienti bancari ebraici. In quei colloqui nacquero tutte le iniziative industriali, in particolare ferroviarie, come la Vittorio Emanuele, bancarie e finanziarie che caratterizzeranno i successivi sette anni del ministero Cavour, fino alla guerra con l’Austria (R2). Circa il viso dell’arme fatto da Gerolamo Bonaparte ad Alessandro Bixio possiamo pensare che la sua presenza significava la sospensione della guerra, sospensione che il principe Gerolamo non condivideva: insomma gli interessi rappresentati dal Bixio vinsero su quelli militari e dinastici dei napoleonidi! Ecco alla conclusione dei progetti discussi a Parigi nel 1852 il controllore: la presenza di Alessandro Bixio. Gli effetti della sua presenza si videro subito.

strano provvedimento di francesco giuseppe

La situazione finanziaria dell’impero austriaco, prima e durante la guerra con il Piemonte, dava origine alle più serie preoccupazioni. Il riflusso dall’estero di titoli austriaci, in corso dai primi del 1859, aveva accentuato il drenaggio delle risorse valutarie della Nationalbank che aveva dovuto sospendere i pagamenti in contanti, mentre l’aggio sull’argento saliva in maggio al 40 per cento e il corso dei titoli di Stato austriaci crollava a Francoforte da 81 fiorini in gennaio a 38 in aprile. Tutta l’economia del paese veniva dunque investita da gravi tensioni inflazionistiche, mentre la capacità di importazione risultava drasticamente ridotta, ed il ministro delle finanze Bruck doveva mettere mano alle riserve metalliche della Nationalbank, con grave danno del credito al paese, per procurare all’esercito le forniture necessarie. Già per queste ragioni era chiaro che lo sforzo bellico non avrebbe potuto protrarsi più a lungo (R3). Quattro giorni dopo l’armistizio [!], il 15 luglio 1859, durante il primo consiglio dei ministri dopo la sconfitta militare, l’imperatore Francesco Giuseppe rendeva pubblico il famoso Manifesto di Laxenburg col quale si affrettava a promettere alla borghesia un sostanziale mutamento di rotta. “Le benedizioni della pace – affermava l’imperatore austriaco – sono doppiamente preziose perché mi procureranno l’agio necessario per consacrare tutta la mia attenzione e le mie cure, non più turbate da nulla, al felice adempimento del compito che mi sono prefisso”. Di lì a poco il Regolamento industriale austriaco abrogava il regime delle corporazioni, introduceva la libertà del lavoro, dava l’avvio alla prima rivoluzione industriale dell’Austria. Gli ebrei di Vienna ed i protestanti di Germania ringraziarono (MC). Quattro giorni dopo la battaglia di Solferino, la borsa austriaca ebbe un rialzo! (R3). In novembre l’imperatore Francesco Giuseppe approvò la proposta di abolire molte restrizioni residue imposte alle comunità ebraiche dell’impero. Istituì, prima della fine dell’anno il Comitato per il debito di Stato, con il compito di esaminare la struttura finanziaria dell’impero, poiché concordava con il ministro delle finanze Bruck sulla necessità di rassicurare gli investitori stranieri (PA). Considerazioni: Insomma, vendendo e ricomprando i titoli del debito pubblico austriaco, la grande finanza internazionale faceva la guerra e la pace! Per amore o per forza i grandi mercati si dovevano aprire ai grandi capitali. Che questo fosse il principale scopo nella guerra fatta da Napoleone (o fatta fare a Napoleone) all’Austria, è dimostrato dall’armistizio di Villafranca, senza giustificazioni militari da parte della Francia e dal manifesto di Laxenburg. Il resto è storia a contorno, appare come la storia della mancia rilasciata ai servitori.

cavour diplomatico

Dopo la battaglia di Solferino, la diplomazia internazionale si attivò per arrivare ad una sistemazione della situazione italiana, possibilmente senza la prosecuzione della guerra. Anche Cavour si attivò per volgere a suo favore gli avvenimenti e, per ottenere questo, ebbe contatti con tutti i gabinetti europei. In particolare, nel tentativo di combattere l’ostilità dell’opinione pubblica germanica, aveva anche inviato, dietro suggerimenti russi e francesi, una nota al presidente di turno della Dieta di Francoforte, il prussiano Usedom, mettendo in rilievo la solidarietà degli interessi piemontesi e germanici: ma il documento dovette essere ritirato per consiglio dello stesso destinatario, il quale avvertì che l’insistenza sul disegno di cacciare l’Austria di là dalle Alpi avrebbe invece rinsaldato la solidarietà dei minori Stati tedeschi col governo di Vienna. Usedom dava questo giudizio molto negativo sul documento cavouriano: “Eine taktlosere, unpolitischere Fassung dieses Aktenstückes konnte unter den obwaltenden Umständen nicht gedacht werden” “Questa nota, indelicata e impolitica, nelle presenti circostanze, appare improvvisata”. Sembra che Cavour abbia riferito, falsamente, di suggerimenti russi e francesi per “giustificare il suo passo errato” (R3).

altra ragione dell’armistizio di villafranca

Napoleone, tra le ragioni che lo indussero a firmare l’armistizio di Villafranca, tenne sicuramente presente anche un’altra ragione, quella finanziaria tra la Francia ed il Piemonte, giacché il trattato del dicembre 1858 aveva stabilito che il Piemonte avrebbe pagato le spese di guerra della Francia con il decimo delle entrate dei nuovi territori conquistati, ma la Francia aveva già speso ben 360 milioni di franchi e la sua alleata altri 80 milioni, somme che nessuna prevedibile tassa piemontese sul reddito sarebbe riuscita a raccogliere, ed è da domandarsi se mai Cavour fosse stato in buona fede quando aveva stipulato tale accordo (VE).

scenario dell’italia disegnato da napoleone e cavour

Dobbiamo ora riflettere sullo scenario che il Cavour e Napoleone III avevano disegnato a Plombières come conseguenza della guerra all’Austria che studiavano di provocare. “La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia. Il papa conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il resto degli Stati del papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione sul modello dela Confederazione germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati”. Quanto poi si realizzò non coincise in alcun modo col disegno. Le ragioni sono varie. Innanzi tutto non fu assolutamente prevista l’ingerenza dell’Inghilterra in questa vicenda. Napoleone III e Cavour si preoccupavano soltanto di tenerla buona e di fare i propri interessi. Non pensarono che l’Inghilterra potesse invece avere interesse alla nascita di una potenza mediterranea, proprio antagonista dell’Austria e della Francia, che a partire dal 1844 aveva incominciato la sua espansione nel Mediterraneo. Poi non fu prevista l’inazione della Russia e del suo disinteresse verso questo quadrante dello scacchiere mediterraneo. Infine non fu prevista la ingerenza del capitalismo internazionale, che non reputò sufficiente la conquista della sola valle del Po, per consentire al Piemonte il pagamento dei suoi debiti. Ma ritorniamo al Cavour ed alla sua azione politica.

cavour corruttore

Nel gennaio 1861 Cavour e Pio IX stavano trattando la cessione di Roma per via amichevole. Negoziatore ufficioso del governo di Torino presso la Santa Sede era il medico marchigiano Diomede Pantaleoni; dopo un ultimo colloquio con Cavour e col ministro dell’interno Minghetti, l’11 febbraio 1861, un certo padre Passaglia si recava a Roma con in tasca cento napoleoni d’oro. Ma per corrompere i prelati della Curia romana, Pantaleoni era autorizzato a spendere molto di più. “Le faccio facoltà – gli scriveva Cavour – di spendere quanto reputerà necessario per amicarsi gli agenti subalterni della Curia. Quando poi occorresse di ricorrere a mezzi identici ma sopra larga scala pei pesci grossi, me li indicherà, ed io vedrò di metterli in opera, valendomi però di altra via di quella dei negoziatori che saranno lei ed il padre… Dio voglia che i suoi sforzi siano coronati da esito prospero. Ella avrà associato il suo nome al più gran fatto dei tempi moderni” (MC).

corruzione della stampa

Frequente, e sostenuto da un largo ricorso ai fondi segreti, fu l’intervento del ministero di Cavour nelle cose della stampa, diretto sia a favorire all’interno giornali e giornalisti schierati dalla parte del governo, sia ad alimentare le simpatie della stampa liberale straniera per la causa del Piemonte. “La Staffetta è un pessimo giornale che fa torto al ministero: lo dissi a Dina – è Cavour che scrive – questa primavera. Non do un soldo se prima la Staffetta non cessa le sue stupide pubblicazioni. Ciò fatto rimetterò ora a Dina L. 3.000 e in gennaio L. 3.000. Se questi patti non sono accettati, gli ripeto, non do un soldo”. Cavour dava direttive all’intendente Conte per non far nascere un giornale mazziniano a Genova. Lo stesso intendente, Conte, informava Cavour che il solo giornale sardo, lo Statuto, favorevole al governo fosse quello sovvenzionato. Nell’Archivio Cavour, corrispondenti, si trovano numerose lettere di editori e giornalisti stranieri, di livello e moralità molto varia, che si offrono di sostenere il governo liberale piemontese. [Evidentemente la voce si era sparsa]. Qualche nome: Henri Avigdor (Presse), Félix Belly (Le Pays, Journal de l’Empire), François Buloz (Revue des deux mondes), De Poggenphol (Nord di Bruxelles), C. Navin (Siècle), Pallieri (L’Italie) (R3). Ma la stampa piemontese non veniva corrotta solo da Cavour. Anche la Rosina Vercellana, la contessa di Mirafiori, l’amante del re, conosceva quest’uso dei giornali piemontesi. Quando il sovrano si voleva liberare del Cavour, anche perché questi non vedeva di buon occhio la sua relazione con la Rosina, quest’ultima acquistò gli articoli dello Stendardo, pagandoli 12.000 franchi (R3).

onore – I

Garibaldi, nel più grande segreto, aveva ricevuto denaro ed armi dal governo italiano in vista di una invasione dei territori papali che si pensava avrebbero fornito un pretesto per intervenire all’esercito nazionale. Mazzini era intanto pronto alla guerra civile, soprattutto perché pensava giustamente che il re si sarebbe schierato contro Garibaldi al primo segno di disapprovazione della Francia. L’unica speranza seria era che i cittadini di Roma precipitassero le cose con una insurrezione che li facesse intervenire sul loro destino; pensò anche per un momento di recarsi a Roma di persona per renderlo possibile. Contemporaneamente Vittorio Emanuele stava proponendo, segretamente, a Napoleone un accordo in base al quale francesi ed italiani avrebbero occupato, insieme, la città di Roma impedendo così al partito mazziniano di deporre il papa e di proclamare la repubblica. Il re disse a diverse persone che, come “premio supplementare”, gli si doveva permettere di “massacrare” Garibaldi e 30 mila volontari appartenenti alla “feccia criminale” dei seguaci di Garibaldi e Mazzini. Questo infelice termine “massacrare”, insieme allo “sterminare” usato nel 1860 da Cavour contro i garibaldini, veniva stranamente proprio da coloro che definivano Mazzini un “assassino” (MZ).

onore – II

E che questo fosse lo scenario morale in cui si muovevano i protagonisti di quella che poi ci sarebbe stata raccontata come epopea risorgimentale, si può desumere da questo altro avvenimento. Nell’agosto 1870 le truppe francesi lasciarono Roma, perché c’era bisogno di loro sul fronte del Reno, ma Vittorio Emanuele II continuò a tacciare i suoi ministri di vigliaccheria perché erano ormai meno desiderosi di prima di vederlo combattere a favore del suo ex alleato. Egli, infatti, puntava su di una vittoria della Francia e sperava di trovarsi di nuovo dal lato del vincitore. In effetti, fu solo la notizia della disastrosa sconfitta di Napoleone a Sedan che lo indusse improvvisamente a prendere un atteggiamento più realistico. Era chiaro che l’alleanza con la Francia non rappresentava che un duplice inconveniente ed il re, degno rappresentante della sua dinastia, “passò rapidamente dalla parte opposta”, avendo cura di spiegare al Papa che egli era costretto ad annettere Roma contro la sua stessa volontà. Le lettere di Lanza indicano che, ancora una volta, i fondi segreti furono utilizzati per suscitare una insurrezione che offrisse il pretesto per intervenire “a restaurare la legge e l’ordine”; ma neppure questa volta i romani si sollevarono. Si dovette così trovare una altra scusa per l’invasione ed alcuni municipi di là dal confine pontificio furono sollecitati ad inviare a Firenze petizioni invocanti protezione contro l’anarchia. Un breve scontro, una breccia nelle mura, e la Città Sacra cadde in mano dell’ultimo di una lunga serie di avidi nemici (MS).

comportamento spregevole

Il 27 dicembre 1858 Giuseppe Massari descrive nel suo diario una vicenda che vede Cavour e Napoleone III comportarsi in modo spregevole. “Il conte – annotava il Massari – mi fa vedere una lettera che Berryer scriveva a Napoleone III molti anni or sono per chiedergli 10 mila franchi in prestito. Napoleone III vuole ora si stampi quella lettera per punire il Berryer dell’arringa con cui ha ora difeso il conte di Montalembert. Prometto al conte di Cavour di fare in modo che l’Opinione appaghi il desiderio dell’imperatore” (GM).

cavour statista rivoluzionario

Nel 1859 Cavour, nemico giurato della rivoluzione, aveva tentato senza molto successo di dare l’avvio a rivoluzioni mazziniane in Lombardia e nell’Italia centrale; e lo stesso aveva fatto, sempre senza successo, l’anno dopo in Sicilia, a Napoli e negli stati del papa. Alla fine del 1860 si spinse più in là e impegnò le risorse dello Stato nel sollecitare un’altra serie di rivoluzioni in tutta l’Europa orientale. Parlava del desiderio di rendere le “razze latine” dominatrici del Mediterraneo; voleva “un moto insurrezionale che dal litorale dalmata ed illirico si estendesse sino alle rive del Baltico”, col dichiarato proposito di sfruttare quei moti in un’altra guerra contro l’Austria; una guerra che, abbastanza significativamente, diceva necessaria “per motivi di ordine interno”, cioè per rinsaldare negli italiani il senso della patria. Con parole che sembravano prese da Mazzini, il primo ministro illustrava ora la sua intenzione di creare nazionalità autonome in tutti i Balcani, aiutando i greci a prendere Costantinopoli e dando vita a una Ungheria indipendente. Quel progetto così ambizioso finì in un altro fallimento, benché Cavour fosse favorito dal fatto di potersi servire dei suoi ambasciatori e dei suoi consoli nei paesi balcanici per contrabbandare in quelle zone armi e denaro. Fra l’altro salpò segretamente da Genova una flottiglia di navi con carichi di armi, compresi pezzi di artiglieria pesante, il tutto registrato nelle polizze di carico come caffè. La flottiglia fu seguita sin dal primo momento dalla flotta austriaca e poi confiscata dai turchi. Cavour inoltrò una protesta formale per questa confisca, affermando che il contrabbando di armi avrebbe incontrato sempre la sua ferma opposizione; ma dalle scritte apposte sulle casse confiscate appariva chiaramente che esse provenivano dal Regio Arsenale di Torino. Il personale dell’ambasciata di Costantinopoli tentò affannosamente di ricoprire quelle scritte di vernice; ma era troppo tardi. Un diplomatico piemontese commentò: “Giammai cospirazione fu fatta con tanta innocenza battesimale”. Ma Cavour fece presto a trovare il modo di sfruttare quel fallimento per compromettere un concorrente, e tentò di convincere gli inglesi che quelle armi dovevano essere state inviate da Garibaldi. Tentò anche di deviare i sospetti su Mazzini, e inventò una storia fantastica secondo la quale quest’ultimo stava mandando a Roma sicari travestiti da contadini per provocare il crollo del regime papale (MZ).

opinione in francia sul piemonte

Se la nostra critica ai personaggi di quegli avvenimenti è agevolata dalla distanza temporale, dobbiamo riportare anche le opinioni contemporanee, per stabilire se la nostra è critica storica originale oppure condivisa. “Quand on est conduit comme à Turin par des enfants qui crient fort pour montrer qu’ils sont des hommes…”. “Quando si è guidati, come a Torino – esclamava alla Camera dei Deputati francese, Adolphe Thiers, ministro degli esteri di Luigi Filippo, a proposito delle intenzioni bellicose del Piemonte – da bambini che gridano forte per dimostrare che sono uomini. Quando si pronuncia la parola guerra bisogna chiedersi: siamo in grado di farla?” (MC).

le ultime parole del benso di cavour morente

Alle nove di sera del 5 giugno 1861 il re visita Cavour morente. Cavour gli dice tra l’altro: “E i nostri poveri napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli”. Cavour, nell’estremo delirio, pronunzia disordinatamente [o forse, meglio, gli attribuirono giornalisti interessati a propalare quella che doveva diventare una verità accertata] frasi come queste: “L’Italia del settentrione è fatta: non vi sono né lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnoli, noi siamo tutti italiani: ma vi sono ancora i napoletani. Oh, vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati! È quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può più essere restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educare l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari, ma non si pensi di cambiare i napoletani con l’ingiuriarli. Essi mi domandano impieghi, croci, promozioni: bisogna che lavorino, che siano onesti, e io darò loro croci, promozioni, decorazioni: ma soprattutto non lasciargliene passar una: l’impiegato non deve nemmeno essere sospettato. Niente stato d’assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son buoni di governare con lo stadio d’assedio. Io li governerò con la libertà. In venti anni saranno le province più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio” (FD).

VAI I PARTE

BIBLIOGRAFIA

AF – Angelo FILIPPUZZI – La pace di Milano Edizioni dell’Ateneo – Roma, 1955

AL – Alessandro LUZIO – Aspromonte e Mentana Documenti inediti – Felice Le Monnier – Firenze, 1935

AM – Aldo Alessandro MOLA – Storia della Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica – Bompiani – Milano, 1976

C4 – Giorgio CANDELORO – Storia dell’Italia moderna Volume IV Dalla rivoluzione nazionale all’unità Feltrinelli – Milano, 1964

DB – Domenico BERTI – Scritti vari L. Roux & C. Editori – Torino Roma, 1892

DM – Carmine DE MARCO – Unità d’Italia: la conquista, l’asservimento, la colonizzazione, lo sfruttamento ed il finto risarcimento. Grafico per grafico Non pubblicato – Napoli, 1979

FD – Francesco D’ASCOLI – La storia di Napoli giorno per giorno dal 7.9.1860 al 24.5.1915 – Luigi Regina – Napoli, 1972

FH – Franz HERRE – Napoleone III Mondadori – Milano, 1994

GM – Giuseppe MASSARI – Diario 1858-60 sull’azione politica di Cavour – Cappelli – Bologna, 1931

GS – I giorni della storia d’Italia dal risorgimento ad oggi De Agostini – Novara, 1997

MC – Mario COSTA CARDOL – Venga a Napoli, signor conte Mursia – Milano, 1986

MZ – Denis MACK SMITH – Mazzini RCS Rizzoli Libri – Milano, 1993

PA – Alan PALMER – Francesco Giuseppe Mondadori – Milano, 1997

RM – Roberto MARTUCCI – L’invenzione dell’Italia unita Sansoni – Milano, 1999

R1 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1810-1842) Laterza – Bari, 1977

R2 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1842 – 1854) Laterza – Bari, 1984

R3 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1854 – 1861) Laterza – Bari, 1984

SG – Salvator GOTTA – Ottocento Mondadori – Milano, 1949

SM – Francesco S. MERLINO – Questa è l’Italia – Parigi, 1890 Cooperativa del libro popolare – Milano, 1953 M&B Publishing 1996

UT – Dizionario enciclopedico UTET – Torino

VE – Denis MACK SMITH – Vittorio Emanuele II Laterza – Bari, 1972

VF – Vittorio FIORINI (a cura) – Gli scritti di CarloAlberto sul moto piemontese del 1821 Società editrice Dante Alighieri – Roma,1900 id

fonte

 http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Cavour02.htm

Read More

“ERA LADRO GIA’ IL CONTE DI CAVOUR” …

Posted by on Ott 13, 2018

“ERA LADRO GIA’ IL CONTE DI CAVOUR” …

“ Dico che il mondo è una lega di birbanti contro gli uomini da bene, e di vili contro i generosi. Quando due o più birbanti si trovano insieme la prima volta, facilmente e come per segni si conoscono tra loro per quello che sono, subito si accordano; o se i loro interessi non patiscono questo, certamente provano inclinazione l’uno per l’altro, e si hanno gran rispetto…” (Giacomo Leopardi, Pensieri)

Read More