Posted by altaterradilavoro on Apr 11, 2020
Ripensare al Mare nostrum potrebbe essere un’opzione di grande interesse.
Se volessi tirare le somme di questa unione europea, nata 63 anni fa con il trattato di Roma e dotatasi di moneta unica tra il 2000 e il 2002, dovrei concludere che l’obiettivo sognato dai padri fondatori, di avere una casa comune con benefici di tutti i paesi aderenti, non è stato raggiunto. Anzi, pare che si siano accentuati gli egoismi nazionali e, di conseguenza, le frizioni fra gli stati. Ora, virus imperante, anche i confini e la libera circolazione hanno fatto forfait………
Read More
Posted by altaterradilavoro on Gen 21, 2020
Era
l’inizio del 1998. Fui chiamato dall’assessore alla Cultura del Comune di
Cassino Achille Gallaccio, amico di vecchia data. Era impegnato
nell’organizzazione del Carnevale cassinate.
«Tutti i paesi qui attorno – mi disse – hanno una maschera di carnevale, è possibile che Cassino non debba averla?». Confermai che effettivamente era così.
Read More
Posted by altaterradilavoro on Ott 31, 2019
L’unità
d’Italia, specialmente in Terra di Lavoro, che era la seconda provincia
borbonica, dopo quella di Napoli, per benessere economico e sociale, nel giro
di qualche decennio provocò il tracollo delle attività produttive, che non
erano solo agricole ma anche industriali; sollevò enormi problematiche sociali
innescando una spirale di malessere a tutti i livelli, con effetti
irreversibili su tutto il centro sud d’Italia (la “questione
meridionale”). Immagino che il lettore si stia chiedendo su quale libro di
storia ho letto queste cose. Ha ragione a chiederselo perché non esistono libri
di storia che dicano tali cose. Nelle scuole si fa studiare l’epopea
risorgimentale illuminata da gloriose figure di eroi della guerra e della
politica, si evidenzia la separazione netta tra i santi patrioti e i diabolici
oppressori; ma quella è la storia scritta dai vincitori, è il risultato della
“propaganda di regime” ……………… Allora uno storico sereno e
una mente liberamente pensante, riguardo agli avvenimenti dell’Ottocento
italiano, dovrebbero cominciare a chiedersi: ma se l’unità d’Italia arrecò
benessere e progresso sociale, perché nella seconda metà del secolo migliaia di
italiani abbandonarono le loro terre del meridione per cercare fortuna altrove
all’estero o al nord del Paese? Non furono certo degli avventurieri quelli che
diedero vita al vasto fenomeno dell’emigrazione: era gente che abbandonava la
propria casa per sfuggire alla miseria. Nel precedente Regno di Napoli, invece,
non si conosceva emigrazione. Dovrebbero cominciare a chiedersi: da dove nacque
il doloroso fenomeno del brigantaggio? Di sicuro dal diffuso malessere sociale,
ma anche dalle migliaia di ex soldati dell’esercito borbonico e dell’armata
Garibaldi, reduci dalla spedizione dei Mille, tutti liquidati senza complimenti
e destinati ad un ruolo di disadattati nel nuovo contesto sociale. Leggo nella
relazione di Luigi Gargiulo (Napoli 1863) luogotenente dell’armata meridionale
garibaldina: “… con soprusi, maneggi ed infamie si riuscì a sciogliere
l’esercito dei volontari e più di 20.000 giovani furono gittati sulla strada
… i 70.000 soldati borbonici fatti prigionieri dal ministro Fanti furono poi
rinviati alle loro case, scalzi, laceri e senza mezzi … Per tal modo in meno
di un mese venivano posti in balìa della fortuna e senza mezzi più di 100.000
uomini fra borbonici e garibaldini“. Ma ancora: furono tutti briganti
quelli cui le truppe piemontesi diedero la caccia per anni? Anche quelli del
famigerato “sergente Romano” che nel loro giuramento recitavano:
“Promettiamo e giuriamo di sempre difendere con l’effusione del sangue
Iddio, il sommo Pontefice Pio IX, Francesco II, re del Regno delle Due Sicilie
ed il comandante della nostra colonna degnamente affidatagli …“?
Furono briganti i padri Cappuccini espulsi da Cassino nel 1866 con l’accusa di
brigantaggio? Lo fu anche il sacerdote di Cassino D. Vittorio Grossi, arrestato
nel 1861 con la stessa accusa? E che dire della fucilazione dei cassinati Renzi e Coletti nel
1862 perché disertori? – Solo per citare alcuni casi –. Queste cose non sono
scritte nei libri della storia d’Italia perché la vera storia d’Italia ancora
non è stata scritta; né è necessario essere filoborbonici per occuparsene;
trovo nel prezioso lavoro del prof. Aldo Di Biasio, docente di storia
nell’Università di Napoli e di idee politiche sicuramente non di destra, La
Questione Meridionale in Terra di Lavoro (Napoli, 1976), precisa
conferma a quanto ho appena detto: “Quella che era la più vasta, la più
popolata, la più ricca, la più produttiva provincia del regno delle Due
Sicilie, con la sua agricoltura fiorente e le sue manifatture prestigiose, la
prediletta dimora estiva dei sovrani, l’area più fornita di infrastrutture
dell’intero Meridione, anche per il crollo degli investimenti pubblici e un
insostenibile aggravio del sistema fiscale doveva diventare una delle più
depresse e diseredate aree del nuovo Regno d’Italia, ricca solo di pauperismo e
di disoccupazione“: a parlare è il prof. Carlo Zaghi, anch’egli
esponente illustre della sinistra italiana, nella prefazione al citato lavoro
di Di Biasio. Ma Zaghi, cifre alla mano, rincara la dose. Mi limito ad una
rapida selezione dei numerosi dati forniti dallo studioso e relativi alla
provincia di Terra di Lavoro.
Investimenti
pubblici: nel Regno borbonico assommavano ad un terzo di tutti gli investimenti,
dopo l’Unità scesero a meno della decima parte. Tassazione, essenzialmente
indiretta (“pressoché inesistente nel Regno borbonico“): solo
nell’anno 1870 l’odiata tassa sul macinato consentì alle casse sabaude di
incassare ben 1.382.447 lire; nello stesso anno la provincia di Terra di Lavoro
versò all’erario 21.415.760 lire; nel 1857 ogni cittadino del Regno delle Due
Sicilie contribuiva in media con 16,06 lire all’anno, nel 1859 poco più (16,11
lire), nel 1867, Regno d’Italia, la contribuzione salì a £. 35,99 per abitante;
è da tener presente che nel 1865 la rendita annuale di un’ara di buon terreno
in Cassino era di £. 9.
Occupazione: Nel
1876 gli operai impiegati nelle maggiori industrie della provincia erano 8.360,
dodici anni dopo si erano dimezzati (4.716 nel 1887/88); per avere un termine
di confronto si cita il caso di Arpino, che nel 1845, Regno delle Due Sicilie,
gli occupati negli opifici erano oltre 12.000. Nel 1871 soltanto in 17 comuni
della provincia 8.000 persone sopravvivevano grazie alla beneficenza pubblica.
Agricoltura: gli
occupati nel settore alla fine del regno borbonico erano 265.966, dieci anni
dopo (1871) erano scesi a 246.260; la produzione agricola diminuì gradatamente
negli anni settanta e crollò in quelli successivi; basti l’esempio del
frumento, che nel 1864 è di ettolitri 4.790.080, nel 1897 è appena di 788.300
ettolitri.
Criminalità: nel
1855 i crimini erano 500, nel 1870 erano 5.000; i reclusi nel 1855 non
raggiungevano il migliaio, nel 1870 salirono a 10.000.
Brigantaggio: nella
zona militare di Gaeta nel 1861 furono fucilati o uccisi in scontri a fuoco o
arrestati 381 briganti, nel 1862 altri 329; in tutta la provincia per sospetto
di brigantaggio furono arrestate 1.400 persone nel 1866, 1.036 nel 1867, 3.000
nel 1868.
Emigrazione: nel periodo dal 1876 al 1887 emigrarono 17.270 persone, poi 3.000 nel solo 1890, 4.000 nel 1891, 7.641 nel 1893, 9.122 nel 1896, 14.065 nel 1900, 23.901 nel 1901, 28.210 nel 1913; dati a dir poco dolorosi per noi comuni mortali, ma quasi trionfalistici per il Consiglio Provinciale del 1900: “L’emigrazione porta questi vantaggi: non condanna alla fame coloro che emigrano e rende migliori le condizioni di coloro che restano“.
Emilio Pistilli
fonte http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/Altre/Pistilli_Emilio.htm
Read More
Posted by altaterradilavoro on Set 29, 2019
CASSINO – Un buon risultato il restyling della fontana di piazza XV Febbraio: era diventata deposito di sedie e tavolini. Opportuno l’utilizzo abbondante di acqua (Acea permettendo), elemento fondante di Cassino. Bene ha fatto il sindaco D’Alessandro, con i suoi amministratori, ad inaugurarla in pompa magna. Senonché, con una certa amarezza, devo ricordare che per il complesso progettato dall’architetto Giancarlo Antonelli c’erano altri programmi che il sindaco pare abbia dimenticato. Quando lanciai l’idea di innalzare un monumento alla donna protagonista della rinascita del Cassinate, fatta propria e sostenuta dal Centro Documentazione e Studi Cassinati-Onlus, e accolta con vivo interesse dai Cassinati, pensammo di utilizzare le nicchie della fontana lasciate vuote da Antonelli perché fossero impiegate per ricordare il martirio dei Cassinati. Ma ora non è più possibile. Eppure ad un’apposita riunione del CDSC parteciparono il sindaco e l’assessore alla cultura Nora Noury, ai quali fu illustrato il progetto. Netta fu l’adesione dell’amministrazione comunale, anche se fu escluso – ovviamente – un finanziamento per via dei vuoti delle casse comunali. Ora sorge il problema di individuare un altro sito per il monumento, cosa molto difficile ormai, vista la scarsa attenzione mostrata dal sindaco al progetto.
A meno che non si pensi di farne uno spartitraffico in una rotatoria cittadina, come è avvenuto, ad esempio, per il monumento a S. Benedetto. A questo punto c’è la concreta possibilità di realizzarlo in uno dei comuni del circondario, visto che si tratta di celebrare l’eroismo delle donne del Cassinate, e non solo di Cassino, che condivisero lo stesso tragico destino della Città Martire. E pensare che si stava decidendo di affidare la presidenza del comitato istituzionale al sindaco pro tempore di Cassino. In occasione della cerimonia di inaugurazione della fontana, pochi giorni fa, il primo cittadino ha poi annunciato l’intento di installare, nella stessa piazza XV febbraio, un monumento al famoso orso Wojtek, divenuto celebre per la sua partecipazione alle battaglie della seconda guerra mondiale. Lo stesso orso a cui sono stati dedicati diversi monumenti in altre parti del mondo. Ben venga un’opera che ricordi l’orso, che costituirebbe certamente una suggestiva attrazione turistica ed accrescerebbe anche il prestigio della piazza e della sua nuova fontana. Non mi chiedo, come fanno altri, chi finanzierà l’opera, anzi, esprimo il mio apprezzamento per i promotori dell’iniziativa: ben venga chi, finalmente, a Cassino si adopera per l’arricchimento e la promozione della città. Però l’idea che una simpatica bestia venga omaggiata per la sua cooperazione con i soldati, mi fa venire alla mente il contributo che diedero alle battaglie di Cassino altre bestie, più umili ma più determinanti: parlo dei poveri somari che furono costretti ad inerpicarsi fra le rocce di Monte Cairo carichi di munizioni e rifornimenti destinati ai combattenti alleati stremati e rintanati fra i costoni rocciosi del monte. Perfino la coda di quegli asini servì ai soldati per superare gli impervi percorsi. Ma accanto ai somari come non ricordare l’apporto dei muli che, in lunghe file, condotti da soldati italiani – questo forse molti lo ignorano – dalle retrovie, passando per la contrada San Michele, trasportavano anch’essi munizioni e rifornimenti per i combattenti in prima linea. Ma questo i solerti studiosi della Linea Gustav sapranno ben documentarlo; si veda comunque il bel libro di Umberto Cassottana, “Montelungo – Montecassino 1943-44” del 1994. Vogliamo fare monumenti anche a muli e asini? Per carità! Sta bene quello all’orso, che è portatore di un alone di internazionalità. Nulla a che vedere con i nostri umili quadrupedi che sono legati “soltanto” alle nostre tradizioni e alla nostra cultura. Nel frattempo il monumento alle nostre donne può attendere. Tuttavia per quanto mi riguarda il progetto va avanti: chi intende seguirlo si faccia avanti e dia una mano, che ve n’è bisogno.
Emilio Pistilli
fonte http://www.linchiestaquotidiano.it/news/2017/06/20/cassino-monumento-all-orso-wojtek.-pistilli-polemico-megl/17274
Read More
Posted by altaterradilavoro on Mag 8, 2019
L’unità d’Italia, specialmente in Terra di
Lavoro, che era la seconda provincia borbonica, dopo quella di Napoli, per
benessere economico e sociale, nel giro di qualche decennio provocò il tracollo
delle attività produttive, che non erano solo agricole ma anche industriali;
sollevò enormi problematiche sociali innescando una spirale di malessere a
tutti i livelli, con effetti irreversibili su tutto il centro sud d’Italia (la
“questione meridionale”). Immagino che il lettore si stia chiedendo
su quale libro di storia ho letto queste cose. Ha ragione a chiederselo perché
non esistono libri di storia che dicano tali cose.
Nelle scuole si fa studiare l’epopea
risorgimentale illuminata da gloriose figure di eroi della guerra e della
politica, si evidenzia la separazione netta tra i santi patrioti e i diabolici
oppressori; ma quella è la storia scritta dai vincitori, è il risultato della
“propaganda di regime” – così si direbbe oggi –; basti pensare che se
i Borboni fossero ancora al potere nel loro regno, i fratelli Bandiera li
conosceremmo non come eroi ma come sovversivi . Analogamente, se si fosse
affermato vittoriosamente in Italia il moto delle Brigate Rosse, quei
brigatisti oggi sarebbero i salvatori della patria. Le cose vanno sempre
così.
Allora uno storico sereno e una mente
liberamente pensante, riguardo agli avvenimenti dell’Ottocento italiano,
dovrebbero cominciare a chiedersi: ma se l’unità d’Italia arrecò benessere e
progresso sociale, perché nella seconda metà del secolo migliaia di italiani
abbandonarono le loro terre del meridione per cercare fortuna altrove
all’estero o al nord del Paese?
Non furono certo degli avventurieri quelli che
diedero vita al vasto fenomeno dell’emigrazione: era gente che abbandonava la
propria casa per sfuggire alla miseria. Nel precedente Regno di Napoli, invece,
non si conosceva emigrazione. Dovrebbero cominciare a chiedersi: da dove nacque
il doloroso fenomeno del brigantaggio? Di sicuro dal diffuso malessere sociale,
ma anche dalle migliaia di ex soldati dell’esercito borbonico e dell’armata
Garibaldi, reduci dalla spedizione dei Mille, tutti liquidati senza complimenti
e destinati ad un ruolo di disadattati nel nuovo contesto sociale.
Leggo nella relazione di Luigi Gargiulo (Napoli
1863) luogotenente dell’armata meridionale garibaldina: “… con
soprusi, maneggi ed infamie si riuscì a sciogliere l’esercito dei volontari e
più di 20.000 giovani furono gittati sulla strada … i 70.000 soldati
borbonici fatti prigionieri dal ministro Fanti furono poi rinviati alle loro
case, scalzi, laceri e senza mezzi … Per tal modo in meno di un mese venivano
posti in balìa della fortuna e senza mezzi più di 100.000 uomini fra borbonici
e garibaldini“.
Ma ancora: furono tutti briganti quelli cui le
truppe piemontesi diedero la caccia per anni?
Anche quelli del famigerato “sergente Romano”
che nel loro giuramento recitavano: “Promettiamo e giuriamo di sempre
difendere con l’effusione del sangue Iddio, il sommo Pontefice Pio IX,
Francesco II, re del Regno delle Due Sicilie ed il comandante della nostra
colonna degnamente affidatagli …“?
Furono briganti i padri Cappuccini espulsi da
Cassino nel 1866 con l’accusa di brigantaggio? Lo fu anche il sacerdote di
Cassino D. Vittorio Grossi, arrestato nel 1861 con la stessa accusa?
E che dire della fucilazione dei cassinati Renzi
e Coletti nel 1862 perché disertori? – Solo per citare alcuni casi –. Queste
cose non sono scritte nei libri della storia d’Italia perché la vera storia
d’Italia ancora non è stata scritta; né è necessario essere filoborbonici per
occuparsene; trovo nel prezioso lavoro del prof. Aldo Di Biasio, docente di
storia nell’Università di Napoli e di idee politiche sicuramente non di destra,
La Questione Meridionale in Terra di Lavoro (Napoli, 1976), precisa
conferma a quanto ho appena detto: “Quella che era la più vasta, la più
popolata, la più ricca, la più produttiva provincia del regno delle Due
Sicilie, con la sua agricoltura fiorente e le sue manifatture prestigiose, la
prediletta dimora estiva dei sovrani, l’area più fornita di infrastrutture
dell’intero Meridione, anche per il crollo degli investimenti pubblici e un
insostenibile aggravio del sistema fiscale doveva diventare una delle più
depresse e diseredate aree del nuovo Regno d’Italia, ricca solo di pauperismo e
di disoccupazione“: a parlare è il prof. Carlo Zaghi, anch’egli
esponente illustre della sinistra italiana, nella prefazione al citato lavoro
di Di Biasio. Ma Zaghi, cifre alla mano, rincara la dose. Mi limito ad una
rapida selezione dei numerosi dati forniti dallo studioso e relativi alla
provincia di Terra di Lavoro.
- Investimenti pubblici: nel
Regno borbonico assommavano ad un terzo di tutti gli investimenti, dopo l’Unità
scesero a meno della decima parte.
- Tassazione, essenzialmente
indiretta (“pressoché inesistente nel Regno borbonico“): solo
nell’anno 1870 l’odiata tassa sul macinato consentì alle casse sabaude di
incassare ben 1.382.447 lire; nello stesso anno la provincia di Terra di Lavoro
versò all’erario 21.415.760 lire; nel 1857 ogni cittadino del Regno delle Due
Sicilie contribuiva in media con 16,06 lire all’anno, nel 1859 poco più (16,11
lire), nel 1867, Regno d’Italia, la contribuzione salì a £. 35,99 per abitante;
è da tener presente che nel 1865 la rendita annuale di un’ara di buon terreno
in Cassino era di £. 9.
- Occupazione: Nel 1876 gli
operai impiegati nelle maggiori industrie della provincia erano 8.360, dodici
anni dopo si erano dimezzati (4.716 nel 1887/88); per avere un termine di
confronto si cita il caso di Arpino, che nel 1845, Regno delle Due Sicilie, gli
occupati negli opifici erano oltre 12.000.
Nel 1871 soltanto in 17 comuni della provincia
8.000 persone sopravvivevano grazie alla beneficenza pubblica.
- Agricoltura: gli occupati nel settore alla fine del regno borbonico erano 265.966, dieci anni dopo (1871) erano scesi a 246.260; la produzione agricola diminuì gradatamente negli anni settanta e crollò in quelli successivi; basti l’esempio del frumento, che nel 1864 è di ettolitri 4.790.080, nel 1897 è appena di 788.300 ettolitri.
- Criminalità: nel 1855 i crimini erano 500, nel 1870 erano 5.000; i reclusi nel 1855 non raggiungevano il migliaio, nel 1870 salirono a 10.000.
- Brigantaggio: nella zona militare di Gaeta nel 1861 furono fucilati o uccisi in scontri a fuoco o arrestati 381 briganti, nel 1862 altri 329; in tutta la provincia per sospetto di brigantaggio furono arrestate 1.400 persone nel 1866, 1.036 nel 1867, 3.000 nel 1868.
- Emigrazione: nel periodo dal 1876 al 1887 emigrarono 17.270 persone, poi 3.000 nel solo 1890, 4.000 nel 1891, 7.641 nel 1893, 9.122 nel 1896, 14.065 nel 1900, 23.901 nel 1901, 28.210 nel 1913; dati a dir poco dolorosi per noi comuni mortali, ma quasi trionfalistici per il Consiglio Provinciale del 1900: “L’emigrazione porta questi vantaggi: non condanna alla fame coloro che emigrano e rende migliori le condizioni di coloro che restano“
Emilio Pistilli
fonte https://www.eleaml.org/sud/destra_sinistra/ds_pistilli_terra_lavoro.html
Read More
Posted by altaterradilavoro on Dic 7, 2018
Come è ben noto in quel di Cassino s’è verificato un increscioso episodio che è una botta al cuore di chi coltiva un sentimento storico identitario e di tutta la comunità cassinate, l’abbattimento del Miliaro Borbonico sito all’ingresso di Cassino sulla Calisina una volta, durante il Regno Borbonico, via Consolare che indica la distanza che c’era tra l’allora San Germano e la capitale Napoli. Dopo l’immediato intervento del Prof. Emilio Pistilli un’ altra firma illustre cassinate, Fernando Riccardi, attraverso le pagine dell’Inchiesta lancia un accorato appello all’amministrazione comunale di Cassino affinché possa ripristinare al più presto la suddetta testimonianza storica. Neanche la seconda guerra mondiale era riuscita a tanto e non credo che il Sindaco D’ Alessandro vuole passare alla storia per aver permesso di distruggere un importante pezzo di storia di Cassino.
Read More