La lista dei riconoscimenti per il Comitato Luigi Giura cresce sempre di più. Ieri, nella Sala consiliare del Comune di Fiuggi, gremita di pubblico, abbiamo ricevuto il Premio Nazionale “Cronache del mistero”, giunto alla 6^ edizione, ideato e realizzato dagli amici dell’associazione “Il punto sul mistero”. La motivazione del premio ci riempie di orgoglio perché coglie in pieno i principi che ci guidano fin dall’inizio di questa esaltante avventura: “Per il costante impegno per la divulgazione della storia del ponte Real Ferdinando sul Garigliano e per la sua salvaguardia e valorizzazione”. Il premio è stato ritirato dal Presidente Emiliano Pimpinella che ha avuto modo di presentare il Comitato, l’attività svolta, le iniziative realizzate e quelle da realizzare e, ovviamente, ha illustrato ai presenti le meraviglie tecniche ed estetiche del Ponte. La consegna del premio, inoltre, ci ha permesso di conoscere l’incantevole centro storico di Fiuggi. Un sincero ringraziamento a Giancarlo Pavat, ideatore e curatore dell’evento, e a tutti i partecipanti.
Quando un napoletano
afferma, riferendosi a un esponente del gentil sesso: “Chella è ‘na zèza”, sappiate che non sta
facendo ciò che si può definire propriamente un complimento. Riprendendo,
infatti, un antico modo di dire, con questo termine si vuole indicare una donna che fa
continuamente smorfie o vezzi, che si abbandona a smancerie di ogni genere e
che è un’insopportabile chiacchierona, oltre che civettuola.
Roberto de Simone
individua nel personaggio Zeza il carattere di prostituta o perlomeno di
ruffiana, e questo sia perché zeza era comune nome d’arte di prostitute o
tenutarie di bordelli, sia per il ruolo da essa esercitato nella vicenda.
Il significato di
“zèza” risale alla Commedia dell’Arte e, soprattutto, a quella consuetudine di attribuire il
nome di un personaggio teatrale a chi assume nella vita di tutti i giorni il
comportamento del personaggio stesso. Zeza, infatti, è il diminutivo di
Lucrezia, moglie di Pulcinella, e dunque un nome proprio che successivamente è
diventato aggettivo e poi aggettivo sostantivato per indicare una donna che
aveva le medesime caratteristiche di questo personaggio.
Fu nel corso del Seicento,
quando il Carnevale
Napoletano raggiunse il periodo di maggiore splendore, che la
“Canzone di Zeza” iniziò a diffondersi per le strade della città, recitata da
attori improvvisati e accompagnata dal suono del trombone.
La storia è quella dell’amore
tra la figlia di Pulcinella, Tolla (o Vicenzella) con Don Nicola, studente
calabrese, le cui nozze sono fortemente contrastate dal padre di lei che teme
di essere disonorato, mentre sua moglie Zeza, che è di ben altro avviso, vuole
far divertire la figlia “co’ ‘mmilorde, signure o co’
l’abbate”. Pulcinella sorprende gli innamorati e reagisce violentemente,
ma, punito e piegato da Don Nicola, alla fine si rassegna. Anche se si tratta
di un testo “popolare”, si affrontano comunque, seppure in chiave grottesca,
tematiche universali quali il conflitto tra le generazioni, la ribellione
all’autorità paterna – rappresentata da Pulcinella – e la risoluzione dello
scontro col matrimonio che, per certi versi, ricompone l’equilibrio familiare.
Fino alla prima metà
dell’Ottocento, la “cantata vernacola […] sul gusto delle atellane che
successero alle feste Bacchiche, alle Dionisiche e, quindi, ai fescenini e alle
satire” e che “trae argomento dagli amori di un Don Nicola, studente calabrese,
con Vincinzella, figlia di Zeza e Pulcinella”, si rappresentò nei cortili dei
palazzi, nelle strade, nelle osterie e nelle piazze ad opera di attori
occasionali o compagnie di quartiere, che si facevano annunciare a suon di
tamburo e di fischietto e ben presto divenne un testo così famoso da essere
conosciuto a memoria da tutti i ceti sociali di Napoli. Le parti femminili
erano interpretate da soli uomini perché le donne non potevano essere esposte alla pubblica
rappresentazione ed è una tradizione che si conserva ancora oggi. Nella seconda
metà del XIX secolo, a seguito dell’emanazione di divieti ufficiali che ne
proibivano la rappresentazione per le strade “per le mordaci allusioni e per i
detti troppo licenziosi ed osceni”, la “Zeza” fu accolta, esclusivamente nel
periodo di Carnevale, nei teatri frequentati soprattutto dalla plebe, dove il
pubblico notoriamente interloquiva cogli attori nel corso della rappresentazione
“con sfrenatezze di gergo e di gesti”. A causa di questi impedimenti,
la “Zeza” si diffuse quindi nelle campagne adiacenti e, con caratteri
sempre più diversificati, nelle altre regioni del Reame di Napoli.
Al giorno d’oggi la
“Canzone di Zeza” è una rappresentazione tipica della Campania e
specialmente dei paesi dell’Irpinia: in generale possono cambiare i nomi dei
personaggi e le battute dei dialoghi da paese a paese, ma alla base
permane sempre lo stesso canovaccio.
A San Lorenzello
veniva rappresentata in occasione del carnevale in diversi punti del paese,
senza apparato scenico, perlopiù da quattro attori maschi che, esercitandosi
per anni nello stesso ruolo, finivano per essere considerati, come quelli della
commedia dell’arte, dei veri specialisti. Due di essi, cosa naturale in quei
tempi, ricoprivano, travestendosi da donna, i ruoli di Zeza e Vicenzella o
Tolla. Erano preceduti da un volante che, cavalcando un asino, invitava la
gente a partecipare alla rappresentazione.
Nel 1951 si tenne l’ultima rappresentazione di Zeza con la partecipazione di attori che questa sera vogliamo ricordare: Alfonso Rubano, Michele Ciarleglio, Lorenzo Ciarleglio, e Guido Sagnella. Molti anni dopo ritornò il desiderio di ripresentarla ma risultò vana la ricerca del libretto originario. Allora si decise di ricostruirlo attraverso i ricordi dei più anziani e la rappresentazione si tenne la sera del 4 agosto 1995. A distanza di alcuni anni il libretto fu ripreso e lo storico Don Nicola Vigliotti ed Alfonso Guarino lo ampliarono ed integrarono con l’aggiunta di due personaggi: il maresciallo dei Carabinieri e l’Arciprete Don Pasquale. La vigilia di San Donato del 2004 è stata rappresentata ottenendo un grande successo. L’11 agosto 2019 è stata riproposta con grande successo, nell’ambito di una serata dedicata alla riscoperta delle tradizioni popolari curata dall’Ente Culturale Schola Cantorum San Lorenzo Martire “Nicola Vigliotti” di San Lorenzello.
Commemorazione
dei caduti nell’epica battaglia navale
di Lepanto del 7 ottobre 1571
tra le flotte della Lega Santa cristiana (metà della quale era veneziana) e quella turca
Verona, domenica 6 ottobre 2019 – 448° anniversario
Come negli anni scorsi, anche quest’anno sono stati
commemorati a Verona, oltre che in diverse altre città della Venetia,
i caduti nello scontro navale di Lepanto del 7 ottobre 1571, che salvò l’Europa
cristiana.
A Verona è
stata eseguita unalzabandiera
(ore 10.30) e un ammainabandiera marciani (ore 17) in Piazza delle Erbe, con
spari a salve da parte dei militi storici delle Pasque
Veronesi (Schiavoni e Guardie Nobili Veronesi, nelle uniformi storiche
del ‘700) e scampanio della torre civica. All’antenna di Piazza delleErbe,sulle note finali dell’oratorio militare sacro Juditha triumphans di Antonio Vivaldi, è stato inalberato lo
storico gonfalone marciano seicentesco del Doge Domenico Contarini (eroe della
guerra di Candia contro i Turchi) che
sventolava sulla sua galea dogale, vessillo di oltre 6 metri di grandezza e
recentemente riprodotto.
Alle 15.30 è stato celebrato il Santo Rosario nella Cappella Giusti, nella Basilica di Sant’Anastasia, dove si conserva tuttora il timone di una delle navi cristiane impegnate nella battaglia.
La Notte della Tammorra 2019 organizzata dal Canto di Virgilio con la direzione artistica di Carlo Faiello che si è tenuta alla rotonda Diaz di Napoli la sera di ferragosto anche quest’anno ci ha regalato importanti novità e grosse emozioni.
Per fortuna non sono mancate le inestinguibili polemiche che alla fine hanno solo certificato la riuscita dell’evento e guai se non ci fossero perché un evento senza polemiche vuol dire che è stato un flop.
Capua – Vive il ricordo dei Valorosi che combatterono gli stranieri invasori nell’autunno del 1860: il loro valore non cadrà nell’oblìo.Il cosiddetto “risorgimento”, oggi lo sappiamo, è ben differente dalla bella favoletta che i libi di scuola propinano.