Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

S.M. Francesco II, Re delle Due Sicilie

Posted by on Lug 18, 2019

S.M. Francesco II, Re delle Due Sicilie

da…REAL CASA DI BORBONE DELLE DUE SICILIE

Francesco II è l’ultimo Sovrano a regnare sulle Due Sicilie; è con lui che avviene l’invasione del Regno da parte prima dei garibaldini e poi dell’esercito sabaudo, e quindi l’annessione al neonato Regno d’Italia. Il tutto solo un anno dopo la morte di Ferdinando II, avvenuta quando questi aveva solo 48 anni, mentre Francesco si è trovato inaspettatamente sul Trono alla giovane giovane età di 23 anni.

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Il Portale del Sud…….”.NOI BORBONICI ” di Brigantino

Posted by on Mar 24, 2019

Il Portale del Sud…….”.NOI BORBONICI ” di Brigantino

I Borbone furono meridionali. Erano come noi. Il Re ed il “lazzaro”, nell’innegabile diversità di ruolo, erano parte di un unico organismo sociale, che funzionava.
Ma lo Stato non era “borbonico”, era bensì il nostro Stato.
Eppure quando si ricordano gli avvenimenti risorgimentali, i più pensano che la guerra la persero i Borbone da soli, assumendoli a simbolo convenzionale di un’entità estranea e desueta, cui tutti i mali vanno ascritti, quale panacea delle coscienze di ieri e d’oggi.

Così, in questa narcotica trasposizione, la Nazione viene sostituita dalla stessa Monarchia, ed il Re considerato un estraneo nemico del tessuto sociale.
Questa visione è presente anche tra gli eruditi: coloro che hanno immagazzinato tantissimi dati, ma non hanno saputo sintetizzare una cultura propria, omologandosi così a quella convenzionale.

Costoro sono pronti a condannare, con severa sicumera, chi non si adatta a questa operazione di rimozione della memoria storica, bollandone il pensiero quale revisionismo “spazzatura”.

Sopravvive pertanto la visione del passato distratta e rassicurante per le italiche coscienze che il Borbone passasse le giornate assiso sul trono, in una pittoresca e tragica rincorsa verso sempre più dispotici ed estemporanei capricci.

Questa visione risulta conveniente anche alle coscienze meridionali che, identificando l’Antico Stato con la Dinastia, si affrancano dalla sconfitta e, soprattutto, dal peso di ciò che i nostri padri avrebbero dovuto esprimere, in campo politico sociale civile economico, e che invece non seppero esprimere.

Così è nata la trasposizione d’ogni responsabilità, passata presente e futura, ai Borbone, compendio di un Male talmente inamovibile, da spiegare e giustificare l’imperfezione dell’attuale Bene.
Ma la verità è che i Borbone non erano un tumore in un corpo sano.

Non erano gli oppressori stranieri da sostituire con l’Italia: essi erano Meridionali, con pregi e virtù, e se il Regno cadde, ciò fu anche dovuto alle colpe dei liberali meridionali.

L’Antico Regno era uno Stato costituito: aveva leggi, governi, ministeri, funzionari, burocrati, magistrati, militari e tutti questi erano Meridionali, che condividevano le responsabilità di Stato.

Sia ben chiaro: l’Antico Regno di Ferdinando II è stato quanto di meglio il Sud ha saputo, in completa autonomia, esprimere in campo istituzionale.
Ricordiamoci perciò che quando si dice “lo Stato borbonico, l’esercito borbonico, la burocrazia borbonica, il dispotismo borbonico, ecc”, si stanno usando simboli atti a rimuovere il ricordo del nostro passato, l’unico che ci appartiene, e per far apparire naturale esigenza storica il confluire nell’Italia dei Savoia, quelli sì stranieri.

La guerra del 1860 l’abbiamo persa noi Meridionali, con la nostra incapacità e con i nostri traditori.
I soldati di Franceschiello non erano un esercito stravagante, un po’ sfortunato, un po’ ridicolo: era il nostro esercito formato da giovani pugliesi, lucani, abruzzesi, calabresi, campani, ecc.

Tutti ugualmente traditi da pochi e dimenticati dalla Storia nelle squallide prigioni sabaude, o in un bosco di Ripacandida, in una infame e disperata guerra partigiana. I morti di quella guerra furono i nostri morti, non quelli dei Borbone.

Le conseguenze di quella sconfitta esplosero nelle nostre mani, come una bomba a orologeria che scoppia ad intervalli successivi con deflagrazioni sempre più laceranti: miseria, emigrazione, sottosviluppo, malavita, imbarbarimento sociale e civile.

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LETTERA DEL CONTE DI SIRACUSA AL NIPOTE FRANCESCO II

Posted by on Feb 13, 2019

LETTERA DEL CONTE DI SIRACUSA AL NIPOTE FRANCESCO II

Intanto lo spirito pubblico si commuoveva vieppiù; non pochi delusi nella loro aspettativa, dubitavano della lealtà del Principe; gli atti del governo erano continua prova di mal consiglio; si lavorava operosamente a vantaggio della rivoluzione, pronta ad irrompere ad un primo cenno che venisse dall’Italia del Nord: insomma si aspettava Garibaldi.

Essendo le cose a tal punto, che facilmente facevano prevedere prossimi avvenimenti, sorse la voce di un personaggio della Reale Dinastia, che si fece udire dal giovane Monarca. Era la voce dello Zio di lui, il conte di Siracusa. Questo Principe che aveva legami d’intimità ed amicizia con molti uomini del partito liberale, scrisse il 3 Aprile 1860 una lettera al Re, nella quale mentre gli additava i mezzi per salvare la Monarchia, in verità, altro non faceva che tramare contro di essa. Noi qui ne registriamo il testo.

Sire
«Il mio affetto per voi, oggi augusto capo della nostra famiglia; la più lunga esperienza degli uomini e delle cose che ne circondano; l’amore del paese, mi danno abbastanza il dritto presso V. M. nei supremi momenti in cui volgiamo, di deporre ai piedi del trono devote insinuazioni sui futuri destini politici del Reame, animato dal medesimo principio, che lega voi o Sire alla fortuna dei popoli.
Il principio della nazionalità italiana, rimasto per secoli nel campo delle idee, oggi è disceso vigorosamente in quello dell’azione. Sconoscere noi soli questo fatto, sarebbe cecità delirante, quando vediamo in Europa, altri aiutarlo potentemente, altri accettarlo, altri subirlo come suprema necessità dei tempi.
Il Piemonte per la sua giacitura e per dinastiche tradizioni, stringendo nelle mani le sorti dei popoli subalpini e facendosi iniziatore del novello principio, rigettate le antiche idee municipali, oggi usufruita di questo politico concetto e respinge le sue frontiere sino alla bassa valle del Pò. Ma questo principio nazionale ora nel suo svolgimento, com’è naturale cosa, direttamente reagisce in Europa e verso chi l’aiuta e verso chi lo accetta e chi lo subisce.
La Francia dee volere che non vada perduta l’opera sua protettrice e sarà sempre sollecita a crescere d’influenza in Italia e con ogni modo per non perdere il frutto del sangue sparso, dell’oro prodigato e della importanza conceduta al vicino Piemonte; Nizza e Savoia lo dicono apertamente. L’Inghilterra, che pure accettando lo sviluppo nazionale d’Italia, dee però controporsi all’influenza Francese, per vie diplomatiche si adopera…..In tanto conflitto di politica influenza, qual’è l’interesse vero del popolo di V. M. e quello della sua dinastia?
Sire, la Francia e l’Inghilterra per neutralizzarsi a vicenda, riuscirebbero per esercitare qui una vigorosa azione, e scuotere fortemente la quiete del paese ed i diritti del trono. L’Austria cui manca il potere di riafferrare la perduta preponderanza e che vorrebbe rendere solidale il governo di V. M. col suo, più dell’Inghilterra stessa e della Francia, tornerebbe a noi fatale; avendo a fronte l’avversità nazionale, gli eserciti di Napoleone III e del Piemonte, la indifferenza Brittannica,
Quale via dunque rimane a salvare il paese e la dinastia minacciati da cosi gravi pericoli?
Una sola. La politica nazionale, che riposando sopra i veri interessi dello stato, porta naturalmente il Reame
Anteporremo noi alla politica nazionale uno sconsigliato isolamento municipale? — L’isolamento municipale non ci espone solo alla pressione straniera, ma peggio ancora; ché abbandonando il paese alle interne discordie, lo renderà facile preda dei partiti. Allora sarà suprema legge la forza; ma l’animo di V. M. certo rifugge alla idea di contener solo col potere delle armi quelle passioni che la lealtà d’un giovane Re può moderare invece e volgere al bene, opponendo ai rancori. l’obblio: stringendo amica la destra al Re dell’altra parte d’Italia e consolidando il trono di Carlo III sopra basi, che la civile Europa, o possiede, o domanda.
Si degni la M. V. accogliere queste leali parole con alta benignità, per quanto sincero ed affettuoso è l’animo mio nel dichiararmi novellamente.
di V. M.
Napoli 3 Aprile 1860.
Affezionatissimo Zio
Leopoldo Conte Di Siracusa.

Fu giudizio di non pochi questa lettera non essere del tutto intempestiva e poter giovare ancora agl’interessi della dinastia; la quale opinione molti e i più schivi di cose liberali reputarono non essere senza fondamento, quantunque gli unitari, per le loro arti, avessero fatto sì grandi passi che difflcil cosa era di rattenerli nel loro cammino. Nondimeno sembrava che restasse ancor qualche speranza in favore della Real dinastia, se si fossero posti in opera provvidi espedienti, analoghi alla condizione dei tempi, per togliere ogni pretesto alla rivoluzione.
Ma ciò non poteva andare a sangue di chi con ipocrisia consigliava il Re in privato, mentre cospirava alla rovina del suo Signore, che avevalo arricchito e ricolmato dì favori e distinzioni d’ogni sorta.
Il linguaggio dunque del Conte di Siracusa, fu censurato ed Egli poco poi lasciava i domini del suo Augusto Zio per istanziarsi altrove.

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Due re a confronto in rosso e blu Vittorio Emanuele e Francesco II

Posted by on Gen 26, 2019

Due re a confronto in rosso e blu Vittorio Emanuele e Francesco II

Stefano San Pol

direttore del Contemporaneo di Firenze

Nel 1864 scrisse 40 conferenze dal titolo  “Quaresimale del Contemporaneo dinanzi la Corte di Torino”.

Nell’introduzione avverte:

Ho detto la verità al popolo senza salario, l’ho detta ai nemici miei più feroci senza paura,

ora la dico al Re (V. E.) senza ipocrisia.

Al popolo la dissi per compassione,

ai ribaldi la rinfacciai per oltraggio,

al Re la dico per dolce ricordanza di una antica e reciproca benevolenza……

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