Alta Terra di Lavoro

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Garibaldi e la massoneria

Posted by on Ott 24, 2019

Garibaldi e la massoneria

L’iniziazione massonica di Garibaldi

“Se nascesse una società del demonio che combattesse despoti e preti mi arruolerei nelle sue fila”, “Farei L’italia anche col Diavolo!” (Giuseppe Garibaldi)

Era il 1844 quando Garibaldi, trentasettenne, avviò la sua iniziazione massonica presso la loggia irregolare L’Asil de la Vertud.

Regolarizzò successivamente la sua posizione (4° grado) presso la loggia Les Amis de la Patrie di Montevideo posta all’obbedienza del grande Oriente di Parigi.

La carriera massonica

La carriera massonica di Garibaldi ebbe un salto di qualita quando il Gran Oriente di Palermo gli conferì a Torino tutti i gradi del Rito Scozzese (dal 4° al 33°) il 17 marzo 1862, seguita dall’elezione a Gran Maestro dell’Ordine d’Oriente e del Rito Scozzese Antico ed Accettato del 21 maggio 1864 e nella suprema carica di Gran Hierofante del Rito Egiziano di Memphis-Misraim nel 1881.

Molte di queste informazione le dobbiamo a Aldo A. Mola direttore del ”Centro studi per la storia della Massoneria”. Aldo Mola nel suo libro ”Liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria” ripete più volte: “La spedizione dei mille dall’inizio alla fine sotto tutela britannica: o, se si preferisce, dalla Massoneria Inglese”.

Conclusione. Le sue parole:

«Così ho trasformato il Sud da terza potenza mondiale in povera colonia italiana: eravamo solo mille… ma siamo stati sufficienti ad arraffare tutto l’oro del Meridione, a smontare le industrie del Sud che davano lavoro a migliaia di operai e a trasferire queste ricchezze al misero Nord».

[dall’ archivio del Grande oriente d’Italia, diploma rilasciato a Garibaldi dal Supremo Consiglio del Grande Oriente d’Italia sedente in Palermo a firma del Sovrano Gran Commendatore Giuseppe Garibaldi (Palermo, 20 luglio 1867)]

fonte http://gladivm.altervista.org/garibaldi-la-massoneria/?fbclid=IwAR3MwOCphyCbu4-0EA3YmYV8a6zm08bW1CHptlfFyFVq6Y4M5mEfHvq-UlQ

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GARIBALDI IN SUD AMERICA PERCHE’ FUGGì IN BRASILE ?

Posted by on Ott 23, 2019

GARIBALDI IN SUD AMERICA PERCHE’ FUGGì IN BRASILE ?

La condanna a morte del 1834 per i fatti di Genova spinse G. a fuggire dall’Europa e rifugiarsi in terra lontana e più sicura, distante dalle polizie Piemontesi e Francesi che lo ricercavano senza sosta. L’occasione gli fu data, come abbiamo detto, dal capitano BOUREGARD che gli offrì un posto da marinaio sul suo brigantino , il NAUTONNIER ,
( sotto nella foto ) che da Marsiglia salpava per RIO in BRASILE.
L’America Latina , all’epoca, rappresentava un rifugio ideale per i ricercati dalla giustizia . Dopo la restaurazione dei Sovrani assoluti del 1815 ed il fallimento dei moti rivoluzionari del 1820-21 e del 1831, migliaia di italiani fuggirono in questa terra o esuli politici o semplicemente emigrati ,speranzosi di farsi una nuova vita.
Perlopiù si stabilirono nel bacino del RIO DE LA PLATA, in ARGENTINA e in URUGUAY.
Qui lavoravano , commerciavano,propagandavano le loro idee liberali e oziavano , nella speranza di tornare in Patria. Molti di loro richiamarono i parenti in Europa , tanti avevano formato una famiglia in loco, sicuri che in queste lontane lande nessuno li avrebbe inseguito, cercato o incarcerato.
Gli esuli politici e i criminali sfuggiti alla giustizia, speravano in un’amnistia , spesso promulgata al cambio dei Sovrani , che potesse cancellare i propri delitti.
Perchè proprio in America Latina, dunque, così lontano dall’Europa ? Molte sono le ipotesi. La prima è sicuramente dettata dal fatto che tra il REGNO SARDO ed il BRASILE vi era un intenso scambio commerciale con un eccezionale e notevole via vai di navi mercantili che solcavano l’Oceano in entrambe le direzioni.Basti pensare , per averne idea, che nel 1836 nel porto di RIO, approdarono ben 68 navi SARDE .
Nel 1837 i bastimenti SARDI furono 53 contro gli 11 AUSTRIACI ed una proveniente dal REGNO DI NAPOLI ( a dimostrazione, anche, che tra i paesi europei non eravamo proprio gli ultimi ).Quindi, era facile raggiungere le sponde latine. E si raggiungevano anche in un tempo ragionevole ,per l’epoca, circa 60 giorni di navigazione. Per queste ragioni era possibile un frequente scambio di notizie e informazioni sulla situazione politica e sociale della madre Patria e sulla loro evoluzione, di cui erano portatori centinaia di commercianti e marinai che mensilmente giungevano dalla Liguria e dall’Italia. Qualsiasi altra parte del mondo ( medioriente,africa ecc..) non avrebbe consentito di mantenere un legame così intenso con la propria terra,soprattutto da parte di chi voleva ritornare, al più presto, sul suolo natio.
E poi l’AMERICA DEL SUD rappresentava una nuova speranza che offriva concrete possibilità di vivere decentemente. Una nuova meta che continuò ad esserlo anche dopo il 1860, quando tanti meridionali furono costretti ad emigrare per sfuggire alla morte ed alla povertà in cui li ridussero falsi eroi e finti liberatori.

Pasquala Santagata

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Il debito con il Banco di Napoli che Menotti Garibaldi – figlio dell’eroe dei due mondi – non pagò mai!

Posted by on Ott 15, 2019

Il debito con il Banco di Napoli che Menotti Garibaldi – figlio dell’eroe dei due mondi – non pagò mai!

La famiglia Garibaldi apparteneva a quel genere di persone che in Sicilia vengono chiamate “malupaaturi” (traduzione: gente che non paga i debiti). Il figlio Menotti fece un ‘tappo’ di 200 mila lire al Banco di Napoli (allora era una cifra notevole: alcuni milioni di Euro di oggi). Allora le banche non diventavano azioniste dei debitori e il figlio dell’eroe dei due mondi non finì in galera perché era parlamentare. Garibaldi, da parte sua, non pagò mai le tasse per l’isola di Caprera
di Ignazio Coppola

Tra vizi privati e pubbliche di Giuseppe Garibaldi molti di noi si sono spesso chiesti con quali soldi lui, che si professava povero in canna, è riuscito a comprare l’isola di Caprera.

Si disse grazie all’eredità ricevuta in seguito alla morte del fratello. In genere, come avviene per giustificare l’acquisizione di patrimoni e di grosse somme di denaro di dubbia provenienza, si tende, quasi sempre, a dire che provengano da una eredità ricevuta o, come accade oggi, da una vincita all’Enalotto. E il nostro buon Garibaldi non si sottrasse, con buona pace dei dubbiosi, a siffatta consuetudine.

Il suo rapporto con il denaro si può dire sia stato sempre enigmatico e conflittuale. Come conflittuale fu, nell’ultima parte della sua vita, il suo rapporto con le banche e il fisco, che lo tediavano per cospicui debiti pregressi del figlio Menotti, di cui si era fatto garante, e per tasse dovute e mai pagate inerenti la proprietà dell’isola di Caprera.

Nel primo caso, il Banco di Napoli chiese a più riprese a Menotti la restituzione di un debito di 200.000 lire (l’equivalente di alcuni milioni di Euro dei nostri giorni) di cui il padre s’era fatto garante. Alla richiesta di far fronte al prestito concesso al Garibaldi Menotti di voi figlio, l’integerrimo eroe parecchio infastidito e arrabbiato così rispose:

“Ma che volete voi? Io vi ho liberato e pretendete anche che restituisca un prestito”.

I resoconti bancari dell’epoca annotano che il prestito dalla famiglia Garibaldi non fu mai restituito. Menotti, a quel tempo essendo deputato, per sfuggire alla incriminazione e alle relative conseguenze penali, si servì dell’immunità parlamentare.

Gli altri problemi finanziari Garibaldi li ebbe con il fisco che, ripetutamente, bussava alla sua porta per tasse dovute per la sua casa e l’isola di Caprera. Alle incessanti richieste del Monte dei Paschi di Siena (guarda un po’ chi si rivede ) delegato all’incasso, l’integerrimo generale, questa volta con meno arroganza, così rispose:

“Signor esattore mi trovo nell’impossibilità di pagare le tasse; lo farò appena possibile”.

E dire che in quel periodo i componenti la famiglia Garibaldi non dovevano proprio stare tanto male, avendo ottenuto dal governo diversi incarichi e consulenze abbastanza remunerative per una infinità di opere urbanistiche e di bonifica dell’agro romano e della costruzione degli argini del Tevere.

Ma poiché, da che mondo è mondo, i potenti cercano, ove gli riesca, di evadere le tasse, il buon Garibaldi, da buon cittadino rispettoso della legalità, non si sottrasse alla regola. Un bell’esempio. Ieri come oggi non è cambiato niente.

Da massone a servo della Chiesa, quindi da repubblicano a servo del re. La coerenza non era di certo il suo forte. E poi, ancora, da paladino della legalità ad evasore fiscale, da animalista, per sua ammissione, a spietato cacciatore: come quando, infatti, con nobile animo si schierò, avendo assolto il suo compito verso gli uomini, predicando fratellanza e uguaglianza e praticando come vedremo tutto il contrario, a difesa degli animali e dei maltrattamenti loro inflitti.

Il 1 Aprile 1871, Giuseppe Garibaldi, Anna Winter, contessa di Sountherland, e Timoteo Ribaldi fondavano la Società Protettrice degli Animali contro i mali trattamenti come mezzo di educazione morale e di miti costumi a protezione del patrimonio faunistico e a tutela dell’ambiente. Fin qui torna tutto a onore del nostro eroe e della società da lui voluta e fondata.

“In aspettativa d’impiego vivo da cacciatore – scrisse in quel periodo, tra l’altro, a suo cugino Augusto – nell’ultima mia caccia ammazzai un cinghiale e sono divenuto il terrore dei conigli”.

L’animalista Garibaldi, nel tempo libero da esule, per sua stessa ammissione, non si dilettava di tiro al piattello, ma faceva strage di animali. Che poi tanto amico degli animali non fosse e che, al contrario, fossero gli animali suoi amici fedeli sino a morirne, lo dimostra un significativo episodio dopo la sua partenza da Tangeri per New York, allorquando il suo fedele cane – Castore – in quell’occasione, da lui abbandonato, pianse per diversi giorni la separazione dall’ingrato amico e, senza volere più prendere cibo, si lasciò morire di crepacuore.

Ancora una volta il nostro eroe aveva dimostrato che la sua pratica di vita non era coerente con le sue virtù e con i suoi sbandierati valori.
Ecco chi era l’equivoco e contraddittorio nei termini e nella vita Giuseppe Garibaldi. I suoi estimatori ed agiografi, loro malgrado, che evidentemente non lo hanno mai conosciuto a fondo, ne prendano atto e se ne facciano alla fine una ragione.

Ignazio Coppola

fonte https://www.facebook.com/indigenoflegreo/posts/1339764109511425?__tn__=K-R

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Unità d’Italia: la storia inedita del figlio di Garibaldi

Posted by on Ott 2, 2019

Unità d’Italia: la storia inedita del figlio di Garibaldi

Lanciata circa un mese fa da Anita Garibaldi, la pronipote dell’Eroe dei due Mondi, durante la trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa, sta facendo il giro del Web.

Stiamo parlando di uno scoop storico che, se confermato dai documenti, potrebbe riscrivere una pagina ancora oscura del Risorgimento italiano: quella del Brigantaggio che da più parti, ormai, viene vista come una “lotta partigiana” con connotati di una vera e propria “guerra civile”.

La discendente di Giuseppe Garibaldi afferma che il figlio, Ricciotti Garibaldi, abbia combattuto nelle file dei Briganti contro l’Unità d’Italia, e, di fronte a un Bruno Vespa sbigottito, sostiene: “”Mio nonno tornato a Caprera, si indignò talmente tanto dello sfruttamento del Meridione da parte della nuova Italia, che andò a combattere con i Briganti”

Il fatto storico a cui fa riferimento è quello del territorio di Castagna, in provincia di Catanzaro, in cui operava un gruppo di briganti capeggiati dal garibaldino Raffaele Piccoli, che combatteva

contro i bersaglieri e le forze piemontesi. Guerriglia andata avanti fino al 1870 coinvolgendo anche il comune di Filadelfia (VV).

Fatto sta che la verità sul periodo storico che va dal 1860 al 1890 è ancora contorta e piena di contraddizioni, ma soprattutto pare che alcuni documenti siano ancora “secretati”.

Da più di 30 anni, storici minori e cacciatori di documenti inediti stanno scandagliando gli archivi statali e comunali e ormai i tempi per affrontare l’argomento delle verità storiche pare essere maturo e molti accademici stanno andando al di là delle retoriche tavolette risorgimentali dei “buoni e i cattivi”.

Lo stesso Giuseppe Garibaldi affermò, in una lettera ad Adelaide Cairoli del 1868, “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo di esser preso a sassate, essendo colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”.

Valerio Rizzo

fonte http://briganti.info/unita-ditalia-la-storia-inedita-del-figlio-di-garibaldi/

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E SAN GENNARO DISSE NO A GARIBALDI

Posted by on Set 9, 2019

E SAN GENNARO DISSE NO A GARIBALDI

Il 7 settembre 1860 il Gran Maestro della Loggia d’Oriente Giuseppe Garibaldi entrava a Napoli. Ad accompagnarlo, oltre a Liborio Romano, il capoguappo Tore ‘e Crescienzo, La Sangiovannara tenutaria di bordello, e altre due prostitute, era schierata gran parte della Massoneria, come la massona, Enrichetta Caracciolo; il massone Fra Giovanni Pantaleo; il massone Alexandre Dumas; il massone Salvatore Morelli; la massona Jessie White Mario; il massone Alberto Mario; il massone Adriano Lemmi… Quel giorno Napoli era straripante di camorristi e massoni. Entrambe le consorterie vigilavano a che tutto andasse come già stabilito ai vertici della Massoneria, affinchè non si ripetesse l’epilogo che si ebbe nel 1799 quando l’ avanzata massonica fu arrestata dai “Lazzari”. Eppure qualcosa rovinò la “festa”. Quella mattina qualcuno consigliò Garibaldi di recarsi presso la cappella di San Gennaro nel Duomo, ma quale fu la sua sorpresa quando al suo arrivo la trovò sbarrata e senza anima viva ad accoglierlo. L’autore del gesto fu il Cardinale Sisto Riario Sforza che saputo dell’arrivo di Garibaldi fece sbarrare la chiesa. L’episodio non passò inosservato e venne riportato nell’edizione straordinaria del giornale “Nuova Italia” dell’8 settembre 1860 nel quale si legge: ” Dopo un’ora di riposo, in carrozza, seguito dagli stessi suoi fidi e dalla guardia nazionale, transitò Toledo ed andò al Vescovado dove non trovò un sol prete, nè una sedia, nè nulla, chè tutto aveva involato la rabbia e la ladroneria del prete”. Inutile dire che in seguito all’accaduto il Cardinale Riario Sforza venne esiliato. La massoneria aveva vinto, con l’aiuto della nascente camorra, e da allora tiene saldamente il timone della grande loggia “Italia”.

Annamaria Pisapia

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Garibaldi e le banche del Regno

Posted by on Set 6, 2019

Garibaldi e le banche del Regno

da “Time Sicilia “…..di Ignazio Coppola

Sulla ‘gloriosa’ spedizione dei Mille in Sicilia ci hanno raccontato un sacco di menzogne. Non solo non ci fu nulla di ‘eroico’, ma Garibaldi svuotò le ‘casse’ del Banco di Sicilia (depredando 5 milioni di ducati corrispondente a 82 milioni di Euro dei nostri giorni) e poi le ‘casse del Banco di Napoli (depredando 6 milioni di ducati equivalenti a 90 milioni degli attuali Euro). Tutti soldi portati ai Savoia.
E noi ancora oggi ricordiamo questo bandito di passo!

11 Maggio 1860, esattamente 156 anni fa, con lo sbarco di Garibaldi a Marsala inizia la invasione del Sud e la sistematica colonizzazione della Sicilia. Uno sbarco che come tutto il resto della spedizione dei Mille, da Calatafimi alla presa di Palermo, sarà un’indegna sceneggiata caratterizzata da squallidi episodi che in termini militari si usano definire di “intelligenza con il nemico”.

E di intelligenza con il nemico, a differenza di quanto da sempre ci è stato propinato dalla storiografia ufficiale, è macchiato ed inficiato lo sbarco dei garibaldini a Marsala. Basta rivisitare obbiettivamente le cronache dello sbarco indisturbato della camice rosse di quel lontano giorno alle ore 13,00 del 11 maggio 1861 per rendersi conto dell’accordo sottobanco tra Garibaldini e gli ufficiali della marina borbonica che avrebbero dovuto ostacolare e non lo fecero, se non in ritardo ed a sbarco avvenuto, e tutto questo con la complicità degli inglesi che avevano un forte radicamento economico a Marsala con una notevole presenza di loro bastimenti ancorati in quel porto.

Non a caso, da parte di Garibaldi, essendo tutto, con chiare complicità, preparato a dovere, si scelse di sbarcare a Marsala. Le due navi il Piemonte ed il Lombardo – precedentemente prese a Genova non requisendole manu militari (come falsamente viene raccontato dalla storiografia ufficiale), ma pagate attraverso una fidejussione di 500 mila lire (una somma enorme per quei tempi) dagli industriali fratelli Antongini alla società Rubattino – entrano senza colpo ferire nel porto di Marsala, come anzidetto, alle ore 13,00 iniziando, indisturbate, a sbarcare il loro contingentamento mentre le navi della marina borbonica, la corvetta a vapore Stromboli e la fregata a vela Partenope, al comando del capitano Guglielmo Acton che si erano lanciate, con colpevole e sospetto ritardo, all’inseguimento del Piemonte e del Lombardo giungendo in vista del porto di Marsala alle ore 14 pomeridiane rimanevano, restando a guardare, inattive ed assistendo allo sbarco.

Restare a guardare. Un bel modo davvero per impedire un ‘aggressione armata al territorio sovrano delle Due Sicilie Tutto andava svolgendosi secondo il programma da parte del comandante Acton ossia di dichiarata e manifesta complicità ed “intelligenza con il nemico”.

Guglielmo Acton, successivamente ricompensato da tale vergognoso comportamento e tradimento, diverrà ufficiale di grado superiore della marina-italo piemontese. Il tradimento alla fine paga.

Ecco quanto scrive al proposito il capitano Marryat, ufficiale della marina inglese, presente e testimone degli avvenimenti di quel giorno, in un suo rapporto che lo si può considerare un vero e proprio atto di accusa nei confronti dell’incomprensibile atteggiamento di Acton:

“L’altro vapore era però arenato (si tratta del Lombardo che Bixio aveva mandato a schiantarsi contro il molo) quando i legni napoletani furono a portata con i loro cannoni. I parapetti erano già calati ed i legni a posto. Noi aspettavamo e seguivamo – prosegue Marryat nel suo rapporto – con ansietà per vedere il risultato della prima scarica (che ovviamente non ci fu). Invece di cominciare il fuoco, abbassarono un battello e lo mandarono verso i vapori sardi, ma – a nostra sorpresa – ecco che il vapore napoletano spinge la sua macchina verso l’Intrepido (una nave inglese), anziché impedire più oltre lo sbarco della spedizione”.

Di una chiarezza disarmante il rapporto di Muryat sulla espressa volontà di Acton – che ritardò il suo intervento – di non volere ostacolare lo sbarco dei garibaldini giunti sani e salvi a terra e senza un graffio.

Solo alcune ore dopo, a sbarco avvenuto e dopo che l’ultimo garibaldino avrà messo piede sul molo di Marsala ed assicuratosi che non vi fossero più ostacoli di sorta allo sbarco degli invasori, Guglielmo Acton si deciderà – troppo tardi, bontà sua – a fare fuoco. Risultato, molti dei colpi finirono in mare, uno uccise un cane che fu l’unica e sola povera vittima di quella giornata e altri ferirono di striscio due garibaldini.

dimostrazione della sua intelligenza e complicità con il nemico dopo il finto cannoneggiamento, il comandante Acton non si preoccupò minimamente di fare sbarcare gli equipaggi delle sue navi per combattere ed inseguire i garibaldini che poterono così entrare a Marsala indisturbati. Con questo atto di ignavia e di tradimento iniziava in Sicilia l’impresa dei Mille.

Le battaglie-farsa caratterizzate da tradimenti e corruzioni si ripeteranno poi a Calatafimi e più avanti nella presa di Palermo. Protagonisti, i generali Landi a Calatafimi e Lanza a Palermo.

Entrato a Marsala, Garibaldi troverà, tranne il console inglese Collins e qualche rappresentante della stessa colonia inglese presente in quella città, una popolazione ostile ed avversa alla sua venuta. Altro che accoglienze trionfali che falsamente riportano i testi della storiografia ufficiale e scolastica.

Ecco quanto scrive Giuseppe Bandi, uno dei maggiori protagonisti dell’impresa garibaldina nel suo libro I Mille a proposito della fredda accoglienza ricevuta dalle camice rosse a Marsala da parte della popolazione locale:

“Appena entrato in città, qualche curioso mi si fè incontro, che udendomi gridare: ‘Viva l’italia e Vittorio Emanuele’, spalancò tanto d’occhi e tanto di bocca e poi tirò di lungo. Le strade erano quasi deserte. Finestre ed usci cominciavano a serrarsi in gran fretta, come suole nei momenti di scompiglio, quando la gente perde la tramontana. Tre o quattro poveracci mi si accostarono stendendo la mano e chiamandomi eccellenza, non altrimenti che io fossi giunto in città, per mio diporto, ed avessi la borsa piena per le opere di misericordia. Si sarebbe detto che quella gente, colta così di sorpresa, non avesse capito un’acca del grande avvenimento che si compiva in quel giorno”.

(Purtroppo i siciliani e i meridionali lo capiranno molto bene sulla loro pelle negli anni a venire e sino ai nostri giorni).
Questa l’autorevole è testimonianza dello scrittore e ufficiale dell’esercito garibaldino, Giuseppe Bandi, sulle “entusiastiche” accoglienze dei cittadini di Marsala all’ingresso di Garibaldi nella loro città. Garibaldi, nella sua breve sosta a Marsala, incontrandosi poi con il Sindaco ed i decurioni della città non perderà tempo a pretendere che gli consegnassero il denaro contenuto nelle ‘casse’ comunali.

La stessa cosa farà poi depredando ed appropriandosi indebitamente del denaro contenuto nelle ‘casse’ del Banco di Sicilia a Palermo: 5 milioni di ducati (corrispondente a 82 milioni di Euro dei nostri giorni). Giunto a Napoli fece altrettanto con il Banco di Napoli, impossessandosi di 6 milioni di ducati (equivalenti a 90 milioni degli attuali Euro) depositati nella capitale del Regno delle Due Sicilie.

Così, con questi atti di pirateria e con il saccheggio e la spoliazione sistematica del Sud iniziava la predatoria spedizione dei Mille tanta cara e tanto celebrata dalle menzogne dei nostri storiografi e dai nostri risorgimentalisti.

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