Alta Terra di Lavoro

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IL MITO DI GARIBALDI E IL RISORGIMENTO CHE NON ABBIAMO STUDIATO

Posted by on Set 3, 2019

IL MITO DI GARIBALDI E IL RISORGIMENTO CHE NON ABBIAMO STUDIATO

Il genocidio italiano cancellato dai libri di Storia e dalla coscienza collettiva

Con lo sbarco dei Mille e le imprese eroiche di Giuseppe Garibaldi, patriota carismatico e di indubbio valore militare, amato dal popolo e relegato per sempre nell’Olimpo mitologico, è nata l’Italia, la nostra Patria.

Nessuno metterebbe in discussione un dogma nazionale tanto radicato nella nostra Cultura se non ci fossero prove, ormai evidenti, di un altro Risorgimento occultato, fatto di dolore, di crudeltà, di ferocia, ma soprattutto di fango. L’altra faccia di un’epopea i cui protagonisti principali furono partigiani ante litteram, briganti e banditi, milioni di innocenti a cui furono strappate, nel giro di pochi mesi, identità e dignità.  Una storia rimossa dai libri, cancellata dalle coscienze, epurata dei ricordi per non scalfire l’immagine di chi credette, forse in buona fede, chissà, di combattere per unire un popolo, e che invece si ritrovò a salvaguardare gli interessi di una ristretta élite, causando un grave mutamento economico-culturale attraverso cui  furono gettate le basi per il totalitarismo che devastò l’Italia e l’Europa nel XX secolo.

Il Sud prima dell’Unità d’Italia

Era la primavera del 1860. Erano passati più di settecento anni dalla notte di Natale del 1130, da quando il normanno Ruggero II di Altavilla, dopo aver sconfitto gli arabi e con l’appoggio di papa Anacleto II, divenne re di Sicilia, Puglia e Calabria dando vita al terzo stato più grande d’Europa, unificato, nel 1815, da Ferdinando II di Borbone. Seicento Natali e più erano invece trascorsi dalla salita al trono di Federico II di Svevia.

Il paese di Federico II era avanzato sotto ogni punto di vista intellettuale, artistico e politico. Era il centro del mondo, il catalizzatore di culture diverse tra loro, con una popolazione che parlava tre lingue, il latino, il greco e l’arabo e seguiva in pace fedi religiose differenti tra loro.

Con l’Università di Napoli era stato fondato il più importante polo culturale d’Europa e del Medioevo, un punto d’incontro  tra le tradizioni greca, araba ed ebraica. Fu proprio a Napoli, infatti, che nacque la Scuola poetica Siciliana, una corrente filosofica-letteraria che dette vita alla lingua romanza,  mezzo secolo prima della Scuola Toscana. Il fior fiore della Cultura e dell’Arte, si è detto, con la più alta percentuale di medici per abitanti e la più bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia.

Dopo Federico II, il Mezzogiorno visse un periodo di prosperità con i Borbone, famiglia al quale appartennero sovrani quali Enrico IV, detto anche Enrico il Grande, e Luigi XIV, Le Roi Soleil, grandi protagonisti della Storia d’Europa.

Nel 1737 era stato creato il Teatro di San Carlo, il primo teatro lirico sul globo terrestre, e negli stessi anni istituita la prima cattedra di Economia al mondo. Furono costruiti castelli, fortezze, rocche, palazzi, luoghi di culto, ed emanate le prime leggi alla cui redazione lavorò Pier delle Vigne, il più grande maestro dell’Ars Dictandi. Venne realizzata la Napoli-Portici, il primo tratto di Ferrovia nel nostro Paese, aperto il primo istituto per sordomuti, creata la prima compagnia di navigazione a vapore di tutto il Mediterraneo e persino la prima fabbrica italiana per operai.

L’età dell’oro, venne chiamata quell’epoca.

La Storia ci racconta che, nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, Garibaldi partì da Quarto alla volta del Regno Duosiciliano a capo di un esercito di mille volontari, che poi mille non erano. Con l’occupazione di Palermo, il generale si ritrovò circa ventimila uomini al suo seguito, per lo più stranieri e malavitosi, ben foraggiati di armi e denaro, con i quali si mosse verso Napoli distruggendo tutto nel suo avanzare trionfante:  Calatafimi, Milazzo,  Palermo, Messina, Siracusa, Reggio, Cosenza, Salerno, Napoli.  Obiettivo: scacciare i Borbone ed unificare l’Italia.

Questo è ciò che ci è stato insegnato. Ed in effetti… tutto fu distrutto. Quello che non ci è stato detto, invece, è che il Regno delle Due Sicilie fu conquistato e a caro prezzo.

La spedizione dei Mille

Giuseppe Garibaldi nasce a Nizza da genitori liguri. A quattordici anni decide di arruolarsi come mozzo, deludendo le aspettative del padre che lo voleva dedito alla carriera di medico o avvocato. Dopo qualche decennio di esperienza sui mercantili, approda in sud America partecipando in prima persona alle guerre di indipendenza. Imprese che faranno la sua formazione e gli regaleranno l’appellativo di eroe dei due mondi. Tornato in Italia, Garibaldi si avvicina ai movimenti patriottici europei ed italiani ed entra in contatto con Giuseppe Mazzini.

Fu per scongiurare una reazione delle forze cattoliche davanti ad una possibile invasione degli Stati ancora appartenenti alla Chiesa, reazione che avrebbe distrutto la politica di Cavour – all’epoca presidente del Consiglio dei ministri – che il condottiero fu distratto dai suoi obiettivi internazionalisti e coinvolto in quella che avrebbe dovuto essere inizialmente l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte e alla Lombardia. I suoi ideali di libertà ed indipendenza,ma non solo quelli, lo spinsero a condurre la spedizione dei Mille in direzione Marsala, e ad assumere, in quel di Salemi, la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II, (Fonte Enciclopedia Treccani)il quale desiderava, più che l’unificazione nazionale, pagare i debiti contratti dal Piemonte.

O la guerra o la bancarotta” scrisse Pier Carlo Boggio, deputato alla Camera del Regno di Sardegna e braccio destro del Conte di Cavour

Vani furono gli sforzi di Re Francesco II per contrastare l’avanzata che, come si evince dall’immagine in basso, coinvolgerà buona parte degli Stati della penisola. L’ultimo baluardo borbonico a cadere, dopo Messina e Gaeta, fu la fortezza di Civitella del Tronto. Venne espugnata il 20 marzo 1861, tre giorni dopo l’incoronazione di Vittorio Emanuele II, a Re d’Italia.

Otto anni dopo la sua epica impresa, Garibaldi scriverà “gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio“.

Quel 1860 arrivò pertanto come una maledizione.  Furono cancellate dal Regno le istituzioni politiche e sociali, sventrato completamente il tessuto industriale e mercantile per favorire la crescita di un nord in miseria ed affamato, e senza alcuna attività economica avanzata. Depredato l’oro e l’argento del Banco di Napoli e del Banco di Stato di Sicilia – le casse contenevano circa 400 milioni di lire, una cifra impressionante per quell’epoca – smontati i macchinari di officine e industrie manifatturiere, meccaniche, cantieristiche, minerarie, siderurgiche, militari e ferroviarie e trasportati nei territori di Terni, La Spezia, Genova, Torino, Milano, Brescia e Bergamo. Tutto razziato per pagare i debiti del Piemonte e per finanziare patrimoni privati.  Sparirono in un colpo ministeri, ambasciate, la Zecca; 30mila posti di lavoro cancellati da un giorno all’altro. Furono annullati tutti gli accordi di scambio tra il regno borbonico e l’estero, costretto il sud ad importare dal nord, ma non viceversa, tanto che la lana abruzzese fu rimpiazzata con quella neozelandese. Fu introdotta la tassa sul macinato e persino per mangiare un agnello del proprio allevamento bisognava pagare un dazio. 22 nuove tasse introdotte contro le precedenti 5 imposte dai Borbone. Dulcis in fundo, il meridione, ormai in ginocchio, dovette accollarsi anche le spese di guerra.

Una conquista del Nord sulla pelle delle genti del Sud”, dichiarò Antonio Gramsci. Nel 1920, su Ordine Nuovo, scrisse: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”.

I desaparecidos italiani

5.212 condanne a morte, 500.000 persone arrestate, 62 paesi rasi al suolo, fucilazioni di massa, contadini morti di fame perché veniva impedito loro di recarsi nei campi a procurarsi del cibo, violenze disumane e stupri efferati dei quali vi risparmio i crudeli ed orripilanti dettagli. 

O si moriva di stenti o si finiva ammazzati, e spesso la seconda scelta appariva quella meno dolorosa. Un’alternativa era quella di darsi al brigantaggio. 

40mila deportati, delinquenti insieme ad innocenti, uomini di chiesa, contadini, intellettuali, ex soldati dell’esercito borbonico, civili accusati di brigantaggio, prigionieri politici, ex garibaldini disertori, lasciati morire deliberatamente di fame, sevizie, maltrattamenti inenarrabili,  segregati in campi di concentramento ante litteram dove la temperatura era quasi sempre sotto lo zero. A Fenestrelle, 1.350.000 mq di struttura a 2000 metri di altezza sulle Alpi cozie,  vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo polare  i prigionieri.

L’Armonia, un giornale piemontese dell’epoca, definiva così i prigionieri di Fenestrelle: “La maggior parte dei poveri reclusi sono ignudi, cenciosi, pieni di pidocchi e senza pagliericci. Quel poco di pane nerissimo che si dà per cibo, per una piccola scusa si leva e, se qualcuno parla, è legato per mani e per piedi per più giorni. Vari infelici sono stati attaccati dai piedi e sospesi in aria col capo sotto ed uno si fece morire in questa barbara maniera soffocato dal sangue e molti altri non si trovano più né vivi, né morti. E’ una barbarie signori”.

Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce”, recitava la scritta all’ingresso della struttura, 80 anni prima di Auschwitz.       

Vi entrarono in migliaia. E in migliaia scomparvero nel nulla, forse disciolti nella calce viva per cancellarne il ricordo e la memoria. Di tale obbrobrio non vi sono prove ufficiali, e gli autori revisionisti che hanno definito Fenestrelle un campo di concentramento hanno incontrato un fervido quanto improbabile debunking a smentire ogni tesi, ma presso lo Stato Maggiore dell’Esercito si conservano 150.000 pagine che contengono la verità, ancora e stranamente protetta dalla censura di guerra. Dopo oltre 150 anni.

Sul muro della struttura intanto campeggia in bella vista una targa abusiva e mai rimossa che commemora le vittime. E “I pochi che sanno s’inchinano”.

Tacciati di inciviltà e bollati come selvaggi, gli abitanti del Sud, definiti una razza inferiore, dovevano essere annientati. Il folle disegno era appoggiato dalla ‘alta scuola’ del criminologo Cesare Lombroso, medico, antropologo, sociologo, filosofo e giurista – un genio insomma – sostenitore accanito delle follie teoriche della Frenologia che, visitando la Calabria per poche settimane, si convinse di conoscere tutto sui meridionali. Grazie inoltre ad una legge promossa dall’aquilano Giuseppe Pica (da cui il nome), che il 15 agosto 1863 introdusse il reato di brigantaggio, fu resa legale ogni forma di violenza e permesso che un tribunale militare giudicasse, senza cognizione di causa,  chiunque e senza un regolare processo. Chi si ribellava veniva seviziato e alla fine sepolto  vivo e senza alcuna lapide affinché non vi fosse traccia dei crimini compiuti.

Il caso più eclatante accadde a Bronte, nel catanese. Sperando nelle terre promesse da Garibaldi e nell’aiuto dei Mille, in paese scoppiò una sommossa di contadini. Garibaldi inviò Bixio a reprimerla – lo stesso che aveva rubato le navi per la spedizione – con un processo sommario durato poche ore, che si risolse con l’esecuzione di 150 cittadini tra cui il sindaco del paese, completamente innocente, e persino un giovane demente.

A Gaeta, negli anni ’60, durante gli scavi per la costruzione di una scuola media, furono rivenuti 2000 cadaveri di soldati borbonici e gente comune. E chiuso ancora una volta il sipario.

Mezzo milione di persone sparite, volatilizzate, e paesi interi come Contessa Entellina, Ustica, Cefalù, Corleone, Palazzo Adriano, Trabia, Gibellina, Vallelunga, Alia, Sambuca, Gibellina, Caccamo, Bisacquino, svuotati dei loro abitanti.  (Fonte: Storia vera e terribile tra Sicilia e America di Enrico Deaglio)

O briganti o emigranti!

Dal 1870 al 1913, furono imbarcati sui velieri diretti al ‘nuovo mondo’, chi con la forza e chi con l’inganno, milioni di italiani per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero e nei campi di cotone al fine di rimpiazzare i neri finalmente liberati. Una delle più grandi truffe perpetrate ai danni di una popolazione intera dai governi moderni. Lì, ad accoglierli, miseria, soprusi, fatica e linciaggi a morte.

O briganti o emigranti era il motto. In effetti, di armate brigantesche post-unitarie ne nacquero a centinaia, appoggiate incondizionatamente dalle popolazioni civili, e alla cui ferocia l’esercito sabaudo rispose con brutali rappresaglie che colpivano familiari fino al terzo grado di parentela.  Solo in Abruzzo, terra che non fu risparmiata dall’eccidio, se ne contavano 39 di bande.

Quando il governo sabaudo cominciò ad avere difficoltà a placare le sommosse che scoppiavano continuamente nelle prigioni, sorvegliate ormai dalle poche truppe restanti al nord, poiché la maggior parte era concentrata a reprimere il brigantaggio nel meridione, fu decisa una sorta di “soluzione finale”: la deportazione dei prigionieri in un’isola portoghese in mezzo all’Oceano Atlantico. Al rifiuto del Portogallo, i sabaudi tentarono di trovare accordi con altri governi, in particolare con l’Argentina per la concessione della Patagonia, un territorio desertico e totalmente inospitale che avrebbe dovuto ‘accogliere’ i prigionieri, ma fortunatamente il piano non poté essere attuato.

Sette secoli di splendore andati perduti

Il piemontese Alessandro Bianco di Saint Jorioz, capitano nel Corpo di Stato Maggiore Generale che prese parte alla distruzione del Regno delle Due Sicilie scrisse:  “Ero convinto di combattere la povertà dei coloni agricoli, la rapacità e la protervia dei nobili, l’ignoranza turpe, la superstizione, il fanatismo, l’idolatria, la sregolatezza dei costumi, l’immoralità, le corruttele di  impiegati, magistrati e pubblici funzionati, la rapina, il malversare. Insomma: il male. Questo, mi avevano raccontato, era il Sud. Quel popolo invece era, nel 1859, vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto».

Un divario fra Nord e Sud tutt’ora non sanato ed iniziato proprio con l’Unità d’Italia. Un declino inarrestabile che inizialmente sembrò trovare sollievo grazie all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, definitivamente chiusa nei primi anni ’90, ma che finì di incrementare la criminalità organizzata. O forse servì proprio a creare una sorta di alleanza tra questa e Stato.

Questa è l’altra faccia del Risorgimento, quella che si deve tacere per evitare di essere politicamente scorretti. Un genocidio cancellato non soltanto dai libri di Storia ma anche dalla coscienza collettiva; un’onta talmente infamante che il figlio stesso di Garibaldi, Ricciotti, venuto a conoscenza dei fatti, si schierò dalla parte dei briganti. La pronipote Anita, durante la trasmissione Porta a Porta condotta da Bruno Vespa, conferma il fatto: ”Mio nonno si indignò talmente tanto dello sfruttamento del Meridione da parte della nuova Italia, che andò a combattere con i briganti”.

Italiani contro italiani, fratelli contro fratelli

Non c’è in questo scritto alcuna intenzione di generare imbarazzo tra popoli con la stessa bandiera e la stessa lingua, né quella di attentare alla vita del giovane ed ignaro Savoia trasferito da poco in Italia, giammai. Tanto meno intendo svilire ciò che è stato il mito di Garibaldi per la mia generazione. Vorrei piuttosto contribuire, con quelle che sono le mie conoscenze, ricavate da letture e da lunghe ricerche personali e approfittando dei nuovi mezzi di comunicazione, a ridisegnare i contorni di un genocidio che meriterebbe almeno un giorno di commemorazione.

Accendere i riflettori su una verità storica insabbiata è un atto di democrazia o, se mi è consentito, di onestà intellettuale. Gli eroi a cui intitolare piazze, ponti e strade sono certamente altri.

di Alina Di Mattia

Bibliografia:

  • I Viceré”, Federico De Roberto
  • “II brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863”, Alessandro Bianco di Saint Jorioz  
  •  “Terroni”, Pino Aprile
  • “I Savoia e il massacro del Sud”,  Antonio Ciano
  • “L’identità ferita”, Massimo Viglione
  • “Risorgimento da riscrivere”, Angela Pellicciari
  • “Tra Sicilia e America”, Enrico Deaglio
  • Desir d’Italie”, Jean Noel Schifano

fonte https://ilfaro24.it/il-mito-di-garibaldi-e-il-risorgimento-che-non-abbiamo-mai-studiato/?fbclid=IwAR16b7Sxc69IeiudfIG2f-qzouLVGxIFJzgd1GiXfaVCFl7Sj3x2C1lx8CE

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Giuseppe Garibaldi: una spada contro la Chiesa e la Civiltà Cristiana

Posted by on Ago 29, 2019

Giuseppe Garibaldi: una spada contro la Chiesa e la Civiltà Cristiana

Dopo un anno di propaganda apologetica

L’«anno garibaldino» appena concluso è stato caratterizzato da una «agiografìca» esaltazione del preteso «eroe dei due mondi», alla quale si sono prestati «intellettuali» e uomini politici di svariate provenienze ideologiche. Una lettura di Giuseppe Garibaldi, che rivela — in modo accuratamente fondato nei fatti e nei documenti — la personalità del nizzardo: un uomo che ha speso la propria esistenza esclusivamente per promuovere la scristianizzazione dei popoli, e di quello italiano in particolare…………continua di seguito con testo completo scaricabile

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tratto da “Garibaldi ai giorni nostri…….di Antonio Baudino

Posted by on Ago 12, 2019

tratto da “Garibaldi ai giorni nostri…….di Antonio Baudino

Nel 1842 Ferdinando II, in uno spirito di prosperità e pace per il suo popolo, decise di trasformare le officine di Pietrarsa (oltre 1000 operai), in quel tempo adibite alla costruzione di materiale bellico in una fabbrica di locomotive e materiale rotabile. In quel complesso, dov’era concentrata tutta la tecnologia allora disponibile,fu costruita la prima locomotiva italiana. Ben lontano dal re il desiderio di potenziare l’industria bellica per invadere il Piemonte e l’Italia intera , in un’idea di onnipotente visione di un glorioso futuro. Nel 1844 la ferrovia doveva proseguire per Castellammare, Pompei, Angri, Pagani, Nocera Inferiore per raggiungere San Severo e Avellino. Nel 1855 era stata approvatala costruzione della strada ferrata Napoli-Brindisi e da Napoli agli Abruzzi fino al Tronto, con una diramazione per Ceprano, una per Popoli, una per Teramo e un’altra per San Severo. La linea Napoli-Capua doveva protrarsi sino a Cassino, per consentire l’allacciamento alla ferrovia dello Stato Pontificio. La linea Napoli-Avellino doveva proseguire da un lato verso Bari-Brindisi-Lecce, dall’altro nella direzione della Basilicata e Taranto. Furono programmate anche le linee per Reggio e la tratta da Pescara al Tronto. In Sicilia erano previste le linee Palermo-Catania-Messina e Palermo-Girgenti-Terranova. Nel 1860, al momento dell’annessione al Piemonte,erano in funzione 124 Km di ferrovia (tutti nell’attuale Campania) e altri 132 erano in costruzione o in preparazione (gallerie e ponti erano già stati realizzati). Il 15 ottobre del 1860 Garibaldi, insediatosi da circa un mese a Napoli come dittatore, annullò tutte le convenzioni in atto per le costruzioni ferroviarie e ne stipulò una nuova con la Società Adami e Lemmi di Livorno. Dopo aver promesso al popolo la spartizione delle terre dei latifondisti, lo affamò privandolo del lavoro e delle fabbriche. Era l’inizio,già programmato,volto alla distruzione delle imprese meridionali. Nel 1847 il Regno delle Due Sicilie vendette al parente piemontese, il re Vittorio Emanuele, 7 locomotive assemblate a Pietrarsa. Così scrivono, oggi, le Ferrovie dello Stato Italiane in merito al Museo nazionale di Pietrarsa: “Oltre un secolo e mezzo di storia delle ferrovie italiane rivive nelle splendide officine di Pietrarsa, primo nucleo industriale del nostro paese, di molti anni precedente a colossi quali la Breda, la Fiat e l’Ansaldo. Il Museo Nazionale di Pietrarsa fu inaugurato il 7 ottobre 1989, in occasione del 150° anniversario delle ferrovie italiane. Era,infatti,il 3 ottobre 1839 quando il primo treno circolato nel territorio italiano percosse la tratta Napoli-Portici, trainato dalla locomotiva Vesuvio. Una statua (una delle più grandi realizzate in ghisa in Italia) posta nel piazzale del complesso, mostra Ferdinando II nell’atto di indicare il luogo dove costruire le prime officine ferroviarie delle Due Sicilie e dell’intera Penisola. Un’iscrizione ricorda che lo scopo del sovrano era di svincolare lo sviluppo tecnico e industriale del Regno dall”intelligenza straniera”. Nel 1842 “l’intelligenza straniera” era rappresentata dall’Inghilterra. Lo zolfo estratto nelle 134 solfatare copriva circa il 90% del fabbisogno mondiale. Oltre alla produzione di polvere da sparo e dell’acido solforico, lo zolfo era utile per la casa regnante inglese. Era indispensabile ottenere la tacita adesione di Vittorio Emanuele II per attuare l’occupazione di uno Stato sovrano e pugnalare alle spalle Francesco II senza una preventiva dichiarazione di guerra. Convincere il re Galantuomo, personaggio impegnato alla conquista di traguardi più immediati e terreni e lusingarlo con la certezza di essere il futuro condottiero di un paese unito, potente, ricco, prosperoso non era poi una cosa molto difficile. Cavour ordinava al generale Cialdini di partire alla volta di Napoli con l’esercito piemontese per impossessarsi del Regno delle Due Sicilie e incaricava l’ammiraglio Persano di seguire da lontano l’impresa di Garibaldi. Le casse dello Stato non contenevano le risorse necessarie per sostenere l’ardua impresa garibaldina, ma i milioni oro erano là, a portata di sbarco, depositati nelle casse delle Due Sicilie, al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia. Un tesoro in oro sonante, quindici volte superiore alle dilapidate disponibilità piemontesi. Un miraggio che poteva trasformarsi in realtà. Il Palazzo Reale di Napoli e la Reggia di Caserta contenevano tesori inestimabili, un bottino di guerra imponente, rimpinguato con la spogliazione delle attività del Sud. Garibaldi, esperto in scorribande, tempratosi in Sud America, già al soldo degli inglesi, era l’avventuriero adatto. Un eroe “usa e getta”. Con l’aiuto di mercenari prezzolati, provenienti dall’Italia e dall’estero (pochissimi i piemontesi), di falsi disertori dell’esercito sabaudo, di una sapiente regia atta a coagulare nell’impresa le idee liberali e repubblicane innescate dalla Rivoluzione francese e, soprattutto, tramite una corruzione mirata (denari e promesse di futuri e remunerativi incarichi) nei confronti di dignitari e militari del giovane re di Sicilia, l’impresa era possibile. Ottenuto l’indispensabile sostegno materiale e finanziario, e l’adeguata protezione politico- militare dell’Inghilterra, si poteva dar corso all’avventura.

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E GARIBALDI…….PARTI’

Posted by on Ago 12, 2019

E GARIBALDI…….PARTI’

Con una serie di complicità e inganni Garibaldi, simulando il sequestro di navi, partì da Quarto alla conquista del Sud d’Italia. Le preoccupazioni dei proprietari dei due battelli, il “Piemonte”e il “Lombardo”che avrebbero dovuto trasportare i “Mille”in Sicilia,erano state fugate tramite una rassicurante garanzia notarile rilasciata,in nome di autorevoli rappresentanti del governo piemontese,alla compagnia armatrice Rubattino di Genova. Un fatto analogo era accaduto tre anni prima,nel 1857:Mazzini e Pisacane, ferventi repubblicani,avevano simulato il sequestro in mare del vapore “Cagliari”, sempre della Compagnia Rubattino,al fine di sbarcare sulle coste meridionali italiane. Disgraziatamente la nave fu intercettata da una fregata napoletana e sequestrata nel porto di Napoli. Cavour, amico di Rubattino,si oppose al sequestro dichiarando che il “Cagliari” era stato intercettato in acque internazionali. Con l’appoggio determinante di Londra ottenne il rilascio del battello. Garibaldi, giunto in Sicilia si proclamò “dittatore”ed entrò trionfalmente a Palermo. Accolto dai compagni massoni,fu eletto al massimo grado della fratellanza: gran maestro della Massoneria Siciliana. La Massoneria era arrivata in Italia nel 1730, e precisamente a Napoli. Accreditata da alcuni aristocratici inglesi, creò logge massoniche in diverse regioni del Sud. Il progetto cavourriano trovò così dei preziosi alleati nell’alta borghesia, disposti a tradire il giovane Francesco II. Importanti furono, quindi, l’influenza e l’appoggio massonico (nella speranza di ottenere futuri rimunerativi incarichi)nel propagandare, in tutto il territorio, le false promesse unitarie di fratellanza e uguaglianza. Durante la sua permanenza palermitana Garibaldi promise pubblicamente la confisca e distribuzione delle terre dei latifondisti,suscitando nel popolo entusiasmo e appoggi incondizionati. Poco tempo dopo a Bronte, un paese situato ai piedi dell’Etna, la popolazione, forte delle dichiarazioni garibaldine, occupò con la forza le “terre promesse”. I latifondisti, esautorati dai loro secolari privilegi, chiesero l’intervento delle truppe d’occupazione. Garibaldi, rimangiandosi l’impegno preso, inviò a Bronte un drappello di soldati che, compiendo una delle primissime stragi unitarie, riportò l’ordine dell’esercito d’occupazione nella “liberata” Sicilia. A occupazione avvenuta Vittorio Emanuele si presentò a Teano, e con nobil gesto, diede il benservito a Garibaldi. Per legittimare il fatto compiuto, l’usurpazione del Regno al cugino Francesco II, organizzò a Napoli il plebiscito. Era presente a Napoli il ministro d’Inghilterra Eliot che, nonostante il suo Paese fosse complice di quando stava accadendo, stupito dai metodi brutali attuati dagli occupanti nell’organizzare le votazioni, inviò a Londra, il 10 novembre 1860, il seguente dispaccio: “I risultati delle votazioni in Napoli e in Sicilia rappresentano appena il diciannove tra i cento votanti designati; e ciò ad onta di tutti gli artifizi e violenze usati”. Il 17 marzo 1861: “Per Provvidenza divina e per voto della Nazione” Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia. L’Italia unita iniziava il suo cammino sotto pessimi auspici. La libertà e la fratellanza, vagheggiate da pochi sognatori, furono accantonate. Rapine, promesse non mantenute, massacri, ribellioni, sanguinose repressioni durarono per oltre un decennio. Così fu tradito un popolo che si ritrovò più povero, vessato e diviso di quando l’Italia era separata in una dozzina di regni, ducati, granducati e repubbliche. Con grande miopia, poca intelligenza e lungimiranza, si ottenne l’Unità d’Italia senza rispettare gli ideali per i quali erano morti e avevano combattuto centinaia di eroi risorgimentali.

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GIUSEPPE GARIBALDI (1807-1882), UOMO DELLA PROVVIDENZA?

Posted by on Ago 10, 2019

GIUSEPPE GARIBALDI (1807-1882), UOMO DELLA PROVVIDENZA?

Il più grande eroe del risorgimento, è conosciuto dal mondo intero, come l’uomo delle mille vittorie e tra tutte, della spedizione dei mille. Garibaldi è dunque l’eroe intrepido che all’amor di patria, unisce sempre l’abilità corsara, marinara e da stratega; egli è nell’immaginario collettivo, costantemente in compagnia dell’amor di patria e della vittoria, onde entrambi gli sorridono eternamente e ne innimbano la corona d’alloro immortale. E tutto ciò è a mio avviso, sostanzialmente giusto: infatti l’eroe combatté per creare uno Stato unitario, che migliorasse la vita del nostro popolo, e lo affrancasse da ogni schiavitù, compresa quella della miseria e della ingiustizia sociale. Egli riteneva strettamente collegate le due cose, onde non poteva esserci miglioramento della qualità popolare della vita, senza unità politica.

A quel tempo, non poteva prevedere il gran generale, le vicende dell’impero coloniale e l’epilogo della seconda guerra mondiale, e non poteva prevedere nemmeno la crociata ultima e suicida, contro la salute e la prosperità della famiglia (divorzio, aborto, eutanasia, matrimoni gay…); tutti settori dove si vede che in fondo, il nuovo Stato unitario, pensava e pensa tuttoggi più ad aumentare il potere di se stesso, che a migliorare le condizioni del popolo italiano, nel nome dell’unità del quale nacque e si conserva.

Un simile Stato, il generale dalla camicia rossa, forse non l’avrebbe voluto, e se avesse saputo prevedere il futuro, certo sarebbe stato tentato di cambiarlo. In conclusione, Garibaldi, come tutto il risorgimento, fu moralmente superiore sia al colonialismo che al fascismo, che alle ipocrisie democratiche e antifamiliari, postbelliche.

Ci sono tuttavia una serie di aspetti negativi della personalità garibaldina, che vanno spiegati. Quali sono questi aspetti? Sono i seguenti: Garibaldi è ateoide e massone, è anticlericale e antipapale in modo permanente e patologico.

Considera la morte una semplice transizione della materia a cui conviene conformarsi pacatamente

1) e sembra pertanto, non credere all’esistenza dell’anima; dimostra certa spregiudicatezza macchiavellica per cui il fine giustifica i mezzi: assume infatti la frase dantesca: Fare l’Italia anche col diavolo

2), ed è nota la sua partecipazione alla massoneria fin dal 1844

3) Ma l’aspetto che più colpisce in un patriota quale Garibaldi, come in alcuni patrioti del risorgimento, è l’anticlericalismo

4) :con scarso acume, si ritiene la chiesa e la religione, una forza che ostacola l’Unità d’Italia. In realtà l’unico linguaggio uniforme comprensibile anche dai semplici e dai contadini (notoriamente esclusi dalle lotte risorgimentali), l’unica coscienza nazionale in grado di capire e assumere la pace e la fratellanza universale (e pertanto anche nazionale), è tuttoggi ed era allora più che oggi, la religione cattolica. Pertanto come poté ignorar ciò, Garibaldi e parte dei risorgimentali, propugnando l’ Unità d’Italia? Il malinteso ha origine forse dal seguente approccio: il pensiero risorgimentale ammette nel suo programma, la violenza, la cospirazione e la guerra, per raggiungere il suo scopo unitario; ma il Papa e la Chiesa, non potevano condividere questa strada violenta e d’attacco coperto o scoperto, senza venir meno alla sostanza della dottrina cristiana, prima ancora che all’esercizio amministrativo, del potere temporale. Il non aver capito questa cosa importante, è il limite fondamentale di Garibaldi e dell’intero risorgimento. Il non aver fatto capire tale aspetto importante al risorgimento, è il limite fondamentale del mondo ecclesiastico e cattolico e dei Papi di quei tempi.

Ciò premesso, vi è nella vita di Garibaldi, una costante che lo preserva e lo guida. Egli vive quotidianamente in mezzo al pericolo, all’ostilità varia, e alla pugna; ma mentre molti dei suoi seguaci son feriti o muoiono in battaglia, il generale stranamente, la fa sempre franca. Anzi, anche quando è colpito dalla casualità avversa come il colpo di pistola partito da un arma cadutagli accidentalmente

5), o le fucilate delle truppe sabaude in Aspromonte che lo ferirono a una gamba, anche allora il generale, in definitiva la passa liscia : curato, torna quello di prima. Assalito seriamente dai reumatismi, trova lo stesso il modo di andare avanti, anzi, già vecchio, prende persino le difese della Francia assalita dai prussiani e come al solito, li vince mettendoli in fuga. Quando si muove per qualsiasi motivo, la schiera dei nemici supera di gran lunga quella dei fedeli amici; intrighi burocratici nel quadro del patriottismo

6), persino alla corte sabauda, e in tutti gli Staterelli della Penisola

7), lo assalgono con costanza duratura e martirizzante; ed egli ne è consapevole, talvolta sa persino lucidamente che si desidera il suo fallimento militare, onde con calcolo basso basso, non gli si danno abbastanza armi e soldati ed equipaggiamento

8). Ma l’amor patrio supera infine tuttociò e accetta il rischio; anzi, il più delle volte riesce vittorioso. Vi è quindi dell’umano eroico, che ha sapore di soprannaturale, nell’esistenza di Garibaldi: egli fu in realtà un eroe misteriosamente protetto da Dio nella lotta contro l’ingiustizia e l’assoggettamento dell’Italia allo straniero. Invero, Dio dette lunga vita a Garibaldi (morì a 75 anni), nonostante che giorno per giorno questi rischiasse seriamente di morire da bandito per alcuni, o da soldato patriota per altri. Insomma visse sempre con la vita appesa a un filo, e ciononostante ebbe la grazia di morire su un comodo letto, tra le cure dei familiari rimasti e degli amici patrioti. E se non ottenne subito il Paradiso, certamente l’ottenne dopo una permanenza in Purgatorio.

Si pone pertanto la seguente domanda : perché la Provvidenza ha in qualche modo tollerato l’ostilità ecclesiale di Garibaldi ? Stà scritto infatti che chi va contro la Chiesa si sfracella, la sua fine può esser prematura, la sua punizione è anzi, certa

9) . Ma l’eroe fu tenuto in vita lungamente da una mano invisibile, altrimenti non sarebbe scampato a tanti pericoli, con le sue sole forze. La risposta alla suddetta domanda non può essere pertanto, che la seguente: i tempi erano ormai maturi per affrancare la Chiesa dall’esercizio del potere temporale; dall’alto si è visto e permesso la grande metamorfosi, onde la Chiesa Santa fondata da Dio stesso, si è voluta veder serrare le sue sole file e e le sue sole sante forze spirituali a scapito dei compromessi e dei radicamenti temporali. In pratica, Garibaldi e il risorgimento intero, creando lo Stato unitario, costrinsero la Chiesa ad abbandonare il potere temporale e a riformarsi spiritualmente. Essi però, così come furono delusi dal vedere il rafforzamento anziché l’indebolimento del cattolicesimo ad opera loro e dello Stato unitario, sarebbero stati tra breve, se fossero vissuti abbastanza, ancor più delusi, dall’opera e dall’epilogo fascista del medesimo NeoStato: questo infatti, fatto unico e grande, tagliando ciononostante arbitrariamente ogni legame con la tradizione cristiana, si gettò sfrontatamente in una avventura bellica, senza possibilità di ritorno e tantomeno di vittoria, trascinando con sé nel baratro e nella guerra civile, l’intero popolo nostro. Ma le radici più lontane di questa disfatta, sono già nel risorgimento, quando l’unità d’Italia è propugnata e vissuta come opposizione e emancipazione dalla Chiesa e dalla Religione Cattolica. NOTE 1: Giuseppe Garibaldi, Memorie, Torino, Einaudi, 1975, p.147. 2: Idem, p. 460; 3: Garibaldi, venne proclamato Primo massone d’Italia, e non per essere stato il primo italiano ad entrare in massoneria, avendolo fatto molti altri prima di lui (G. fu iniziato nel 1844 nella Loggia brasiliana ‘Asilo de la virtude’), ma per essere stato riconosciuto di grandissimo animo e spessore iniziatico, per il suo sentirsi massone, per aver seguito e servito l’ideale liberomuratorio in maniera convinta e totale, avendo improntato ad esso ogni atto della sua vita, a parte il fatto che fu eletto gran maestro della massoneria italiana… [Rocco Ritorto, Tavole massoniche, Cosenza, Pellegrini, s.d., 2001(stampa), p.120]. 4: Definisce il papa: Il più fino nemico d’Italia (idem n.1, p.378), i preti hanno insegnato ai contadini che non son gli Austriaci i nemici dell’Italia ma noi liberali scomunicati (idem n.1, p.275); Quanti malvagi non vi son da epurare in questa società italiana tanto corrotta dai preti e dagli amici dei preti! (idem n.1, p. 421); Ugo Bassi fu torturato dai preti prima di fucilarlo, essendo stato prete, maggiore era la loro rabbia (idem n.1, p.244)…ecc. . 5: (idem n.1, p. 332); 6: idem p. 357, opposizione di Cavour; p. 372: i piemontesi non riconoscono come nazionale l’esercito meridionale; p. 388: la diffidenza impedisce che 5 reggimenti si dispongano al suo comando, durante la campagna del Tirolo; p. 398: la campagna del 66 è così impronta di eventi sciagurati che non si sa dire si debba imprecare alla fatalità o alla malevolenza…..p. 311: i carabinieri di cavour, alla vigilia della spedizione siciliana, gli impediscono la presa dei fucili buoni; devono arrangiarsi con altri poco buoni; …ecc. 7: idem p. 301:ostacolato dalla bassa gente dell’Italia centrale, cioè da vari politicanti di Modena e della Toscana; … . 8: idem p 311; p.299 : gli danno i volontari o troppo vecchi o troppo giovani; p. 292 : si vuol mandare a Lonato Garibaldi con 1800 uomini, quando l’imperatore d’Austria, là accampato, ne ha 200 000; p. 294 : durante la campagna del Tirolo, prima della battaglia del Mincio, tolgono senza chiaro motivo a Garibaldi al comando del generale Cialdini, la IV° divisione, una delle migliori dell’esercito italiano …. 9: crf. Lc 20,18; Mt 21,44 .

fonte http://www.lettereadioealluomo.com/Giuseppe_Garibaldi_provvidenza.htm

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Chi fu Garibaldi? Un negriero, un grande nemico del Meridione,della Chiesa, dell’Italia.

Posted by on Ago 4, 2019

Chi fu Garibaldi? Un negriero, un grande nemico del Meridione,della Chiesa, dell’Italia.

Quando si parla di Risorgimento, di unità politica dell’Italia, l’eroe che viene alla mente è senza dubbio Giuseppe Garibaldi. Per decenni la sua figura è stata celebrata, osannata, sino a farne una sorta di santo laico, da porre sull’altare della patria, a cui dedicare poesie, strade, pazze e statue equestri: al fine di dare, ad un paese che aveva voluto tagliare i conti, in quattro e quattr’otto, col passato, un mito fondativo sufficientemente romantico e affascinante.

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