Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

L’IMPRESA GARIBALDINA

Posted by on Lug 18, 2019

L’IMPRESA GARIBALDINA

Ed avea ben preparata la macchina; avea ben colme d’oro le mani; aveva uffiziali e ministri fra gli uffiziali e ministri del re assalito; aveva con sé e per se i camorristi; aveva sicurezza di non esser turbata pel non intervento; avea la bandiera d’un re di vecchia stirpe, con la croce spiegata; e, in caso di sconfitta, ben a ragione si fidava nel soccorso di questo nuovissimo re.

Lo appellò quindi re galantuomo, re di setta, re che piglia l’altrui e il fa pigliare.

Quindi preparò navigli, uomini ed arme in Genova sotto gli occhi di tutte le nazioni; quindi il famigerato marinaio di Nizza, alla presenza delle armate francesi ed inglesi, fe’ co’ suoi mille il grande intervento.

Questo medesimo Garibaldi, non con mille, ma con quattromila, undici anni innanzi, era entrato in Terra di Lavoro ad Arce; ma combattuto dalle guardie urbane, dopo alquante ore, all’avvicinarsi del maresciallo Ferdinando Nunziante rattamente si fuggì.

Ora undici anni di più l’han fatto prode!

Senza offesa da’ nostri marini, l’Eroe discende a Marsala; è rotto sì a Catalafini, ma il nostro generale ritraeva i soldati dalla vittoria.

Quindi un primo consiglio d’estera potenza faceva uscir da Palermo ventimila uomini, senza colpo ferire; dappoi che al pio Francesco era messo innanzi agli occhi il danno della città, vicina ad essere insanguinata e abbattuta.

Seguiva il fatto d’arme di Melazzo, dove il colonnello Bosco con duemila uomini urtava in dodicimila Garibaldini.
La storia dirà forse il perché da Messina prima partiva, e poscia era chiamato indietro il soccorso di milizie, che avrebber posto fine alla guerra.

E un secondo estero consiglio faceva ritrarre dalla Sicilia tutte le non vinte nostre soldatesche.
In tal guisa aveva la rivoluzione un regno intatto, e trovava arme ed agio per invader l’altro.Il mondo vide rinnovellati gli giuochi stessi tante volte usati.Luigi XVI, circondato da consiglieri Giacobini, fu indotto a quelle concessioni che il portarono al patibolo. Carlo X cadde per simiglianti consigli, e Luigi Filippo che da’ Carbonari era stato innalzato al trono, ne discese vittima egli stesso.

Similmente il nostro re, che in quel momento supremo avrebbe dovuto stringer forte le redine dello stato, fu da’ suoi consiglieri spinto a promettere il richiamamento della costituzione.

Allora infranse il suo scettro. Le sette domandano sempre costituzioni, ma non per francare i popoli, bensì per avere un terreno dal quale impunemente avventar colpi al trono e alla società.

Avean fallato nel 1848; non si fallò nel 1860. Subito i fuoriusciti ed i traditori presero il governo; abusarono della cavalleresca pieghevolezza del monarca, tutte cose mutarono, disposero essi delle forze e delle ricchezze nazionali, e prepararono il cammino trionfale al Garibaldi.

Per guadagnar tempo da corromper l’esercito, finsero trattare una lega italiana; inviarono loro ambasciatori a Torino; e sindaco il re galantuomo si piegò a scrivere al Garibaldi, pregandolo si arrestasse. Ma costui baldanzosamente niegava; e la commedia col ricusarsi la lega si compieva.

A tanta ignominia i ministri patrioti e liberali discesero, che un regno di Napoli pitoccava da un avventuriero e da un Piemonte d’esser lasciato stare! Ma i liberali non han patria.

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Carola “come Garibaldi”? Sì, ma non è una buona notizia

Posted by on Lug 5, 2019

Carola “come Garibaldi”? Sì, ma non è una buona notizia

Monsignor Gian Carlo Perego, vescovo di Ferrara-Comacchio, paragona Carola Rackete (capitano di Sea Watch 3) a Garibaldi, “eroe dei due mondi”. Non è un paragone proprio gratificante, almeno da un punto di vista cattolico. Se solo si andassero a rileggere quel che di Garibaldi scrivevano i suoi contemporanei, compreso Pio IX…

“Se ne ride chi abita i cieli”. Da un po’ di giorni le parole del secondo salmo mi mettono allegria. Proprio così. Tante ne dicono e tante ne fanno i vertici della chiesa non solo italiana che tenere bene a mente chi è il Signore della storia giova a mantenere il senso delle proporzioni e il buonumore. Gian Carlo Perego, ex direttore della fondazione della conferenza episcopale italiana Migrantes, attuale vescovo di Ferrara-Comacchio (diocesi che per la prima volta dopo decenni di dominio incontrastato del Pci-Pd ha visto trionfare alle elezioni europee la Lega), ha paragonato Carola all’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi suggerendo per lei l’intestazione del porto di Lampedusa. Evidentemente il compito di difendere i migranti comporta un impegno a tutto campo.

Un impegno che non ammette distrazioni. Come pretendere che un vescovo impegnato in questioni umanitarie abbia conoscenze storiche superiori e diverse da quelle diffuse dai mezzi di comunicazione di massa del mondo intero? Chi è Garibaldi? Il massone che definisce Pio IX un “metro cubo di letame” e che ha un odio tanto smisurato per la Chiesa cattolica da avventurarsi nella stesura di romanzi d’appendice contro preti e gesuiti. Garibaldi è l’uomo che nel 1852, prima di dedicarsi alla liberazione dell’Italia meridionale che “gemeva” sotto il malgoverno borbonico, faceva il commerciante di schiavi: il mercantile da lui diretto, la Carmen, mentre all’andata trasportava guano dal Perù alla Cina, al ritorno portava un carico di cinesi.

L‘ideatore della spedizione dei Mille, il massone siciliano Giuseppe La Farina, così racconta a Cavour in allarmati dispacci l’ordine che regna in Sicilia sotto la dittatura del generale: “io non debbo a lei celare che nell’interno dell’isola gli ammazzamenti seguono in proporzioni spaventose”, “l’altro giorno si discuteva sul serio di ardere la biblioteca pubblica, perché cosa dei gesuiti; si assoldano a Palermo più di 2.000 bambini dagli 8 ai 15 anni e si dà loro 3 tarì al giorno”, “Si dà commissione di organizzare un battaglione a chiunque ne fa domanda; così che esistono gran numero di battaglioni, che hanno banda musicale e officiali al completo e quaranta o cinquanta soldati!”, “Si manda al tesoro pubblico a prendere migliaia di ducati, senza né anco indicare la destinazione! Si lascia tutta la Sicilia senza tribunali né civili, né penali, né commerciali, essendo stata congedata in massa tutta la magistratura! Si creano commissioni militari per giudicare di tutto e di tutti, come al tempo degli Unni”. Il 19 luglio 1860 La Farina, segretario della Società Nazionale, così scrive all’amico Giuseppe Clementi: “i bricconi più svergognati, gli usciti di galera per furti e ammazzamenti, compensati con impieghi e con gradi militari. La sventurata Sicilia è caduta in mano di una banda di Vandali”. Quando è la volta di liberare Roma, nel 1867, Pio IX così documenta le gesta dei garibaldini nella lettera Ex quo intensissimi: “si accozzarono improvvisate masnade d’infima plebe, prontissime ad ogni misfatto, che si inoltrarono nelle nostre province per alzare la bandiera della ribellione: col terrore, con le rapine e con ogni sacrilega scelleratezza portarono la desolazione nei villaggi, nei paesi, nelle città senza però riuscire ad allontanare le popolazioni dalla debita fede, dall’ossequio verso di Noi e la Sede Apostolica”. Che il papa non esageri lo si può dedurre dalla descrizione che Garibaldi fa dei suoi uomini: “Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. Chissà, forse il paragone fra Carola e Garibaldi porebbe pure avere qualcosa di sensato. Di certo non nel senso inteso dal vescovo di Ferrara.

Angela Pellicciari

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Cominciò con Garibaldi lo sfascio della nostra economia

Posted by on Giu 22, 2019

Cominciò con Garibaldi lo sfascio della nostra economia

In una seconda lettera indirizzata sempre a Disraeli e datata 10 ottobre 1861, Ulloa torna sul saccheggio e la dilapidazione dei fondi del Tesoro e dell’allora Banco delle Due Sicilie, più tardi chiamato Banco di Napoli.

Scrive Ulloa: “Un governo esercita sempre una certa influenza sugli affari finanziari, commerciali ed industriali, ma sotto Garibaldi… lo sciupìo, mercé l’imperiose richieste del Signor Bertani ed alle ricompense, che si aggiudicavano essi stessi gli emigranti ed i militari, prese proporzioni tali che si vide tosto nella impossibilità di soddisfare ai bisogni del Governo e della Guerra”.

Lo stesso dittatore prelevava a piene mani somme ingenti, che poi distribuiva ai suoi favoriti.

Gli emigrati rientrati dall’esilio ottenevano per se stessi e per i loro familiari “somme enormi, come sollievo delle passate sofferenze”.

Raffaele Conforti, ministro per soli 40 giorni nel 1848, prese 300000 franchi, somma equivalente allo stipendio che avrebbe si e no percepito quale ministro in dodici anni ininterrotti di governo!

Antonio Scialoja prese per sé e per suo padre appena 200000 franchi, firmando addirittura egli stesso l’ordine di prelevamento. Furono pagate somme ingenti per stipendi ai nuovi funzionari, pensioni di ritiro accordate con larghezza a quanti avevano perduto il posto con l’esilio. Filippo Agresta, ex sottotenente di fanteria divenuto direttore delle dogane con Garibaldi, si ritirò dopo un mese soltanto da questo impiego con una rendita di 12000 franchi, equivalente alla totalità dei suoi stipendi maturati alla fine della carriera dopo una vita di lavoro al servizio dello stato.

Altro caso fu quello di Pier Silvestro Leopardi, che per due soli mesi nel 1848 aveva ricoperto la carica di inviato di Ferdinando II presso Carlo Alberto per concordare le clausole del patto di alleanza tra Napoli e Torino per la guerra all’Austria, “ottenne un ritiro di 18000 franchi” (il trattamento di un ministro plenipotenziario) e poco dopo “un altro impiego copiosamente ricompensato”, che naturalmente andò a cumularsi al precedente.

Un magistrato, Aurelio Saliceti, con dieci anni di servizio si fece liquidare il trattamento di consigliere di Cassazione, grado cui non apparteneva, pur se le leggi prevedevano il “ritiro con sussidio” con un minimo di 20 anni di carriera, mentre si otteneva l’intero stipendio solo dopo 40 anni di servizio compiuti.

Mariano d’Ayala, ex luogotenente d’artiglieria, si autoproclamò generale e si prese un appartamento nel Palazzo Reale.

Tali soggetti sono tutti magnificamente citati, con espressioni altamente magnificanti, nel “Dizionario del Risorgimento Nazionale”, Vallardi 1930, come uomini integerrimi e dediti unicamente al bene della Patria, alla quale hanno sacrificato ogni cosa, con esclusione però delle somme prelevate o fattesi versare dalle casse pubbliche quale modesto e parziale risarcimento per le pene sofferte in nome di sì nobile Ideale!

Pensioni di ritiro così facilmente concesse, nuovi stipendi ed aumento dei vecchi, gravarono il Tesoro di ben 10 milioni di franchi. Si sovvenzionarono i comitati di Livorno e Genova, alla società Rubattino si pagarono 4800000 franchi quale risarcimento del piroscafo “Cagliari”, che tra l’altro era stato restituito all’armatore, per i vapori “Lombardo” e “Piemonte” (quelli della spedizione dei Mille) e per quello affondato dalla marina napoletana.

Un costo enorme fu l’esborso per il plebiscito, anche perché gli agenti incaricati di far proseliti con offerte in denaro tennero per loro le somme ricevute, distribuendone il meno possibile.

Un direttore e due segretari di Stato si presero ben 2000000; secondo le accuse della stampa Carlo De Cesare, Ferrigni, Tranchini, Magliano ed altri intascarono la somma di 400000 franchi, e non sembra abbiano querelato per calunnia i periodici che li accusavano.

A fine settembre le casse erano ormai vuote.

Dittatore e pro-dittatore prelevavano continuamente, con un semplice biglietto scritto e senza fornire alcuna giustificazione.

I militari garibaldini, sotto la minaccia delle armi, si facevano aprire le casse del Banco e prelevavano; i volontari, appena ricevuti gli effetti personali li rivendevano, spesso agli stessi fornitori, facendosene dare di nuovi, a nulla valendo le minacce del Generale Livio Zambeccari, che tentò di porre fine a questo sconcio.

Chiunque indossasse una camicia rossa poteva permettersi qualsiasi cosa. Un ufficiale superiore garibaldino fece passare il figlio di sei anni per ufficiale, facendogli pagare “due mesi di soldo” dalla banca.

I commissari di guerra ordinarono, pagati dal Tesoro e mai distribuiti alle truppe, ben 72000 cappotti per “l’armata meridionale” (i garibaldini) che contava circa 25000 uomini.

I comandanti dei reparti saccheggiavano i depositi militari borbonici, vendendone il materiale ai fornitori che, a loro volta, lo rivendevano al ministro della Guerra di Garibaldi!

Quando giunsero i Piemontesi l’armata meridionale fu sciolta, ed i volontari allora si precipitarono in Banca per riscuotere “il soldo arretrato”, ed i pagamenti furono fatti sopra semplici atti di presenza, senza alcuna firma dei superiori o degli uffici responsabili.

Se gli impiegati facevano qualche minima opposizione o chiedevano spiegazioni, le armi impugnate minacciosamente facevano ottenere ai baldi eroi quanto richiesto.

Nel 1861, dopo mesi dallo scioglimento dei reparti di volontari, si pagarono ancora a costoro ben 4 milioni di franchi, sempre prelevati dalle casse meridionali.

Con l’amministrazione piemontese il debito pubblico aumentò di altri 5 milioni, mentre turbe di funzionari calarono dal nord come sciami di locuste, avide di sostanziose indennità e pingui stipendi.

Il Prefetto di Napoli, oltre allo stipendio da Generale, cumulava anche quello di Prefetto, più 12000 franchi per spese di rappresentanza, oltre alla disponibilità di appena due splendidi palazzi.

Un consigliere di luogotenenza alloggiò in un appartamento reale, e si fece concedere 60000 franchi per spese di ristrutturazione e per la costruzione di un teatro: evidentemente, abituato a vivere in chissà quale imperiale dimora in Piemonte, non era soddisfatto dell’alloggio.

Alessandro Dumas, il noto romanziere francese al quale per suo uso era stato ceduto un palazzo della Corona, ottenne 900000 franchi, oltre a pranzare, cacciare e divertirsi altrimenti a spese dell’antica lista civile (antico nome del patrimonio comunale). Sostenne che tale considerevole somma gli era stata versata per aver provveduto all’acquisto, a Marsiglia, di revolver per l’armata di Garibaldi, anche se tutte le fabbriche d’armi della città non sarebbero state in grado, nemmeno lavorando giorno e notte per un anno, di fornire una quantità di rivoltelle corrispondente all’importo a lui liquidato.

Nell’ex Regno si attendeva ancora quanto promesso dai piemontesi: le sale d’asilo, le scuole, il collegio del popolo, le casse di risparmio, le casse di depositi e prestiti, il credito finanziario.

Il governo di Torino distruggeva presso la clientela la fiducia che godeva il Banco delle Due Sicilie per le somme in esso depositate, tanto che il pubblico cominciò a ritirarle: infatti, mentre al 27 agosto del 1860 i depositi ammontavano a 77205000 franchi, un mese dopo erano già scesi a 50563244, il 28 gennaio 1861 a 31600460, ed infine il 13 aprile dello stesso anno si erano ridotti a 27394896 franchi.

I metalli conservati nello stabilimento della Zecca di Napoli, “il primo… di questo genere, dopo quelli di Vienna e di Londra”, furono trasferiti a Torino, in modo che le coniazioni da quel momento fossero eseguite nella capitale Sabauda.

Moriva così, come tante altre rinomate istituzioni meridionali, una delle più antiche e famose zecche europee.

La circolazione monetaria degli antichi stati italiani al momento dell’annessione piemontese:

Calcolato in Lire 1861

Regno
delle Due Sicilie
Lit.
(del 1861) 443.200.000
Lombardia
e
Venezia
Lit.
(del 1861) 20.800.000
Regno
di
Sardegna (Piemonte)
Lit.
(del 1861) 27.800.000
Stato
Pontificio e
Legazioni
Lit.
(del 1861) 90.600.000
Granducato
di
Toscana
Lit.
(del 1861) 85.200.000
Ducato
di Parma e
Piacenza
Lit.
(del 1861) 1.200.000
Ducato
di
Modena
Lit.
(del 1861)
400.000

Bilancia Commerciale degli antichi stati italiani

Regno
delle Due Sicilie
Lit.
(del 1861) +40.768.374
Lombardia
Lit.
(del 1861) +42.453.383
Umbria
e
Marche
Lit.
(del 1861) +11.359.704
Piemonte
Lit.
(del 1861)-84.972.630

Non occorre certo commentare queste cifre: il Piemonte con l’operazione unità d’Italia ripianò il suo debito pubblico ed il suo deficit commerciale.

Francesco II, lasciando Napoli disse profeticamente: “Non vi resteranno nemmeno gli occhi per piangere”, non si sbagliava.

Gaetano Fiorentino

Da “Il SUD Quotidiano” del 24/1/98

fonte http://www.adsic.it/2000/11/25/comincio-con-garibaldi-lo-sfascio-della-nostra-economia/#more-304

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L’IMPRESA GARIBALDINA di GIACINTO DE’ SIVO

Posted by on Giu 4, 2019

L’IMPRESA GARIBALDINA di GIACINTO DE’ SIVO

“…Ed avea ben preparata la macchina; avea ben colme d’oro le mani; aveva uffiziali e ministri fra gli uffiziali e ministri del re assalito; aveva con sé e per se i camorristi; aveva sicurezza di non esser turbata pel non intervento; avea la bandiera d’un re di vecchia stirpe, con la croce spiegata; e, in caso di sconfitta, ben a ragione si fidava nel soccorso di questo nuovissimo re.

Lo appellò quindi re galantuomo, re di setta, re che piglia l’altrui e il fa pigliare.

Quindi preparò navigli, uomini ed arme in Genova sotto gli occhi di tutte le nazioni; quindi il famigerato marinaio di Nizza, alla presenza delle armate francesi ed inglesi, fe’ co’ suoi mille il grande intervento.

Questo medesimo Garibaldi, non con mille, ma con quattromila, undici anni innanzi, era entrato in Terra di Lavoro ad Arce; ma combattuto dalle guardie urbane, dopo alquante ore, all’avvicinarsi del maresciallo Ferdinando Nunziante rattamente si fuggì.

Ora undici anni di più l’han fatto prode! Senza offesa da’ nostri marini, l’Eroe discende a Marsala; è rotto sì a Catalafini, ma il nostro generale ritraeva i soldati dalla vittoria.

Quindi un primo consiglio d’estera potenza faceva uscir da Palermo ventimila uomini, senza colpo ferire; dappoi che al pio Francesco era messo innanzi agli occhi il danno della città, vicina ad essere insanguinata e abbattuta.

Seguiva il fatto d’arme di Melazzo, dove il colonnello Bosco con duemila uomini urtava in dodicimila Garibaldini.
La storia dirà forse il perché da Messina prima partiva, e poscia era chiamato indietro il soccorso di milizie, che avrebber posto fine alla guerra.

E un secondo estero consiglio faceva ritrarre dalla Sicilia tutte le non vinte nostre soldatesche.
In tal guisa aveva la rivoluzione un regno intatto, e trovava arme ed agio per invader l’altro. Il mondo vide rinnovellati gli giuochi stessi tante volte usati.

Luigi XVI, circondato da consiglieri Giacobini, fu indotto a quelle concessioni che il portarono al patibolo. Carlo X cadde per simiglianti consigli, e Luigi Filippo che da’ Carbonari era stato innalzato al trono, ne discese vittima egli stesso.

Similmente il nostro re, che in quel momento supremo avrebbe dovuto stringer forte le redine dello stato, fu da’ suoi consiglieri spinto a promettere il richiamamento della costituzione.
Allora infranse il suo scettro. Le sette domandano sempre costituzioni, ma non per francare i popoli, bensì per avere un terreno dal quale impunemente avventar colpi al trono e alla società.

Avean fallato nel 1848; non si fallò nel 1860. Subito i fuoriusciti ed i traditori presero il governo; abusarono della cavalleresca pieghevolezza del monarca, tutte cose mutarono, disposero essi delle forze e delle ricchezze nazionali, e prepararono il cammino trionfale al Garibaldi.

Per guadagnar tempo da corromper l’esercito, finsero trattare una lega italiana; inviarono loro ambasciatori a Torino; e sindaco il re galantuomo si piegò a scrivere al Garibaldi, pregandolo si arrestasse. Ma costui baldanzosamente niegava; e la commedia col ricusarsi la lega si compieva.

A tanta ignominia i ministri patrioti e liberali discesero, che un regno di Napoli pitoccava da un avventuri ero e da un Piemonte d’esser lasciato stare! Ma i liberali non han patria.

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CHI ERA GIUSEPPE GARIBALDI?

Posted by on Mag 21, 2019

CHI ERA GIUSEPPE GARIBALDI?

Una premessa doverosa prima di scrivere le gesta di un sanguinario.
I detrattori e gli scettici arriccino pure il nasino… Sono stanca e sapete perché? A noi spetta produrre continuamente documentazione e fonti “altamente qualificate “(di regime, oserei dire…) perché i servi sabaudi avendo prodotto una squallida, sordida e favolistica storia risorgimentale con la quale hanno indottrinato milioni di italiani ( e non solo) e almeno sei generazioni premono ed insistono affinché la verità non salti fuori… e vogliono generare e instillare dubbi … sono spregiudicati e pure nu poco strunz!

LA VERITÀ SU GARIBALDI
Garibaldi era di corporatura bassa, alto 1,65, ed aveva le gambe arcuate. Era pieno di reumatismi e per salire a cavallo occorreva che due persone lo sollevassero. Portava i capelli lunghi perché, avendo violentato una ragazza, questa gli aveva staccato un orecchio con un morso. Era un avventuriero che nel 1835 si era rifugiato in Brasile, dove all’epoca emigravano i piemontesi che in patria non avevano di che vivere. Fra i 28 e i 40 anni visse come un corsaro assaltando navi spagnole nel mare del Rio Grande do Sul al servizio degli inglesi che miravano ad accaparrarsi il commercio in quelle aree. In Sud America non è mai stato considerato un eroe, ma un delinquente della peggior specie. Per la spedizione dei mille fu finanziato dagli Inglesi con denaro rapinato ai turchi, equivalente oggi a molti milioni di dollari. In una lettera, Vittorio Emanuele II ebbe a lamentarsi con Cavour circa le ruberie del nizzardo, proprio dopo “l’incontro di Teano”: “… come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene – siatene certo – questo personaggio non è affatto docile né cosí onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa”.

SBARCO DI MARSALA: fu di proposito “visto” in ritardo dalla marina duosiciliana, i cui capi erano già passati ai piemontesi, e fu protetto dalla flotta inglese, che con le sue evoluzioni impedí ogni eventuale offesa. Tra i famosi “mille”, che lo stesso Garibaldi il giorno 5 dicembre 1861 a Torino li definí “Tutti generalmente di origine pessima e per lo piú ladra ; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”, sbarcarono in Sicilia, francesi, svizzeri, inglesi, indiani, polacchi, russi e soprattutto ungheresi, tanto che fu costituita una legione ungherese utilizzata per le repressioni piú feroci. Al seguito di questa vera e propria feccia umana, sbarcarono altri 22.000 soldati piemontesi appositamente dichiarati “congedati o disertori”.

CALATAFIMI: contrariamente a quanto viene detto nei libri di storia, il Garibaldi fu messo in fuga il giorno 15 maggio dal maggiore Sforza, comandante dell’8° cacciatori, con sole quattro compagnie. Mentre inseguiva le orde del Garibaldi, lo Sforza ricevette dal generale Landi l’ordine incomprensibile di ritirarsi. Il comportamento del Landi risultò comprensibilissimo quando si scoprí che aveva ricevuto dagli emissari garibaldini una fede di credito di quattordicimila ducati come prezzo del suo tradimento. Landi qualche mese piú tardi morí di un colpo apoplettico quando si accorse che la fede di credito era falsa: aveva infatti un valore di soli 14 ducati.

PALERMO: il Garibaldi, il 27 maggio, si rifugiò in Palermo praticamente indisturbato dai 16.000 soldati duosiciliani che il generale Lanza aveva dato ordine di tenere chiusi nelle fortezze. Il filibustiere cosí poté saccheggiare al Banco delle Due Sicilie cinque milioni di ducati ed installarsi nel palazzo Pretorio, designandolo a suo quartier generale. In Palermo i garibaldini si abbandonarono a violenze e saccheggi di ogni genere. A tarda sera del 28 arrivarono, però, le fedeli truppe duosiciliane comandate dal generale svizzero Von Meckel. Queste truppe, che erano quelle trattenute dal generale Landi, dopo essersi organizzate, all’alba del 30 attaccarono i garibaldini, sfondando con i cannoni Porta di Termini ed eliminando via via tutte le barricate che incontravano. L’irruenza del comandante svizzero fu tale che arrivò rapidamente alla piazza della Fieravecchia. Nel mentre si accingeva ad assaltare anche il quartiere S. Anna, vicino al palazzo di Garibaldi, che praticamente non aveva piú vie di scampo, arrivarono i capitani di Stato Maggiore Michele Bellucci e Domenico Nicoletti con l’ordine del Lanza di sospendere i combattimenti perché … era stato fatto un armistizio, che in realtà non era mai stato chiesto.

L’8 giugno tutte le truppe duosiciliane, composte da oltre 24.000 uomini, lasciarono Palermo per imbarcarsi, tra lo stupore e la paura della popolazione che non riusciva a capire come un esercito cosí numeroso si fosse potuto arrendere senza quasi neanche avere combattuto. La rabbia dei soldati la interpretò un caporale dell’8° di linea che, al passaggio del Lanza a cavallo, uscí dalle file e gli gridò “Eccellé, o’ vvi quante simme. E ce n’aimma’í accussí ?”. Ed il Lanza gli rispose : “Va via, ubriaco”. Lanza, appena giunse a Napoli, fu confinato ad Ischia per essere processato.

I garibaldini nella loro avanzata in Sicilia compirono efferati delitti. Esemplare e notissimo è quello di Bronte, dove “l’eroe” Nino Bixio fece fucilare quasi un centinaio di contadini che, proprio in nome del Garibaldi, avevano osato occupare alcune terre di proprietà inglese.

MILAZZO: Il giorno 20 luglio vi fu una cruenta battaglia a Milazzo, dove 2000 dei nostri valorosissimi soldati, condotti dal colonnello Bosco, sgominarono circa 10.000 garibaldini. Lo stesso Garibaldi accerchiato dagli ussari duosiciliani rischiò di morire. La battaglia terminò per il mancato invio dei rinforzi da parte del generale Clary e i nostri furono costretti a ritirarsi nel forte per il numero preponderante degli assalitori. Nello scontro i soldati duosiciliani, ebbero solo 120 caduti, mentre i garibaldini ne ebbero 780. Eroici, e da ricordare, furono i valorosi comportamenti del Tenente di artiglieria Gabriele, del Tenente dei cacciatori a cavallo Faraone e del Capitano Giuliano, che morí durante un assalto.

Episodi di tradimento si ebbero anche in Calabria, dove nel paese di Filetto lo sdegno dei soldati arrivò tanto al colmo che fucilarono il generale Briganti, che il giorno prima, senza nemmeno combattere, aveva dato ordine alle sue truppe di ritirarsi.

NAPOLI: Il giorno 9 settembre arrivarono a Napoli i garibaldini. Mai si vide uno spettacolo piú disgustoso. Quell’accozzaglia era formata da gente bieca, sudicia, famelica, disordinata, di razze diverse, ignorante e senza religione. Occuparono all’inizio Pizzofalcone, poi nei giorni seguenti si sparsero per la città, tutto depredando, saccheggiando ogni casa. Furono violentate le donne e assassinato chi si opponeva. Furono lordati i monumenti, violati i monasteri, profanate le chiese. Il giorno 11 il Garibaldi con un decreto abolí l’ordine dei Gesuiti e ne fece confiscare tutti i beni. Furono incarcerati tutti quei nobili, sacerdoti, civili e militari che non volevano aderire al Piemonte, mentre furono liberati tutti i delinquenti comuni. Il Palazzo Reale fu spogliato di tutto quanto conteneva. Gli arredi e gli oggetti piú preziosi furono inviati a Torino nella Reggia dei Savoia. Il filibustiere con un decreto confiscò il capitale personale e tutti beni privati del Re dal Banco delle Due Sicilie, che fu rapinato di tutti i suoi depositi. Napoli in tutta la sua storia non ebbe mai a subire un cosí grande oltraggio, eppure nessun libro di storia “patria” ne ha mai minimamente accennato.

CAPUA, VOLTURNO, GARIGLIANO, GAETA: eliminati i generali traditori i soldati duosiciliani dimostrarono il loro valore in numerosi episodi. La vittoriosa battaglia sul Volturno non fu sfruttata solo per l’inesperienza dei nostri comandanti militari. In seguito, la vile aggressione piemontese alle spalle costrinse il nostro esercito alla ritirata nella fortezza di Gaeta, dove il giovane Re Francesco II e la Regina Maria Sofia, di soli 19 anni, diventata poi famosa con l’appellativo di “eroina di Gaeta”, si coprirono di gloria in una resistenza durata circa 6 mesi. Gaeta non poté mai essere espugnata dai piemontesi, ma solo bombardata. Con la resa di Gaeta (13.2.61), di Messina (14 marzo) e di Civitella del Tronto (20 marzo), il Regno delle Due Sicilie cessò di esistere. I Piemontesi non rispettarono i patti di capitolazione e i soldati duosiciliani in parte furono fucilati, altri vennero deportati in campi di concentramento
in Piemonte. Di questi soldati, morti per la loro Patria, oggi non c’è nemmeno una segno che li ricordi e non meritavano l’oblio cui li ha condannati la leggenda risorgimentale.

PLEBISCITO. Il giorno 21 ottobre 1860 vi fu a Napoli e in tutte le provincie del Regno la farsa del Plebiscito. A Napoli, davanti al porticato della Chiesa di S. Francesco di Paola, proprio di fronte al Palazzo Reale, erano state poste, su di un palco alla vista di tutti, due urne: una per il Sí ed una per il NO. Si votava davanti ad una schiera minacciosa di garibaldini, guardie nazionali e soldati piemontesi. Il giorno prima erano stati affissi sui muri dei cartelli sui quali era dichiarato “Nemico della Patria” chi si astenesse o votasse per il NO. Votarono per primi i camorristi, poi i garibaldini, che erano per la maggior parte stranieri, e i soldati piemontesi. Qualcuno dei civili che aveva tentato di votare per il NO fu bastonato, qualche altro, come a Montecalvario, fu assassinato. Poiché non venivano registrati quelli che votavano per il Sí, la maggior parte andò a votare in tutti e dodici comizi elettorali costituiti in Napoli. Allo stesso modo si procedette in tutto il Regno, dove si votò solo nei centri presidiati dai militari con ogni genere di violenze ed assassini.

Segnalato da

Patrizia Stabile

Fonte: Verso Sud

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Storia: La massoneria inglese, la morte di Ippolito Nievo e la misteriosa scomparsa del piroscafo dove c’erano i soldi del Banco di Sicilia

Posted by on Mag 10, 2019

Storia: La massoneria inglese, la morte di Ippolito Nievo e la misteriosa scomparsa del piroscafo dove c’erano i soldi del Banco di Sicilia

Tredici giorni prima della proclamazione dell’Unità d’Italia, sparì nel nulla, tra Palermo e Napoli, il piroscafo “Ercole”. La storia dell’unità d’Italia iniziò con un mistero. Fra i passeggeri c’erano alcuni ufficiali garibaldini guidati da Ippolito Nievo, che avevano il compito di portare a Torino la documentazione economica relativa alla spedizione militare dei Mille. Sullo stesso piroscafo c’erano i soldi del Banco di Sicilia

Chi ricorda ancora oggi Ippolito Nievo? Il nome è conosciuto se si ha familiarità con una strada o una piazza che ne porta il nome, il più preparato probabilmente saprà che è l’autore delle Confessioni di un Italiano, un voluminoso romanzo storico che a scuola ci hanno insegnato ad odiare.

Nel 1855 si laurea in Legge all’Università di Padova. Il padre, avvocato, vuole avviarlo alla carriera forense, ma Ippolito Nievo sceglie di non esercitare la professione per non fare atto di sottomissione al governo austriaco.

Aderisce, infatti, alle idee di Mazzini e si arruola tra i volontari di Garibaldi, partecipando alla Seconda guerra d’indipendenza (1859). L’anno successivo, 1860, prende parte alla spedizione dei Mille, al termine della quale gli verrà conferito il grado di colonnello.

Nievo vuole combattere con i volontari di Garibaldi, si unisce ai Cacciatori delle Alpi nella Seconda guerra di Indipendenza (1859), poi deluso e amareggiato dalla pace di Villafranca si unisce alla spedizione dei Mille. Preferirà sempre questo fronte combattente irregolare a differenza dei fratelli che si arruolano tra i piemontesi. Grazie alla sua personalità votata all’onestà intellettuale e alla precisione, uniti ai suoi studi in Legge, viene assegnato all’intendenza, ovvero l’ufficio amministrativo del piccolo esercito garibaldino, in poche parole deve gestire i soldi.

Combatte per mesi in quella campagna vittoriosa, tanto sbandierata sui vecchi sussidiari di scuola, poi nel 1861 in prossimità dell’ufficializzazione del neonato Regno d’Italia qualcuno muove accuse alla gestione dell’impresa, si accusa l’Intendenza di cattiva gestione. È La Farina l’uomo inviato in Sicilia da Cavour che tenta di gettare fango su Garibaldi e l’impresa, il tutto per la paura che Garibaldi non lasci le conquistate terre al Piemonte.
Ippolito reagisce alle accuse compilando un accurato resoconto delle spese sostenute in guerra, si prepara a partire per Torino dove vuole fare chiarezza, ha appuntamento con il suo diretto superiore Acerbi. Non mancavano le difficoltà per lo scrittore improvvisatosi amministratore, sono sessantamila i cappotti acquistati per i garibaldini e mai indossati (verranno rivenduti a basso prezzo dagli stessi garibaldini), nell’esercito improvvisato si contano un numero spropositato di promozioni. C’è da gestire l’enorme cifra requisita al Banco di Sicilia, circa 200 milioni di euro odierni. Il 4 marzo del 1861 Nievo e le sue carte si imbarcano da Palermo per Napoli sul vapore Ercole inseme ad altre ottanta persone, la notte tra il 4 e il 5 marzo il vascello naufraga senza alcun superstite.

Fin qui sembra una delle tante tragedie di guerra e mare, ma come dice Shakespeare “c’è del marcio in Danimarca”, qualcosa non torna.

ln un  libro di Glori , meritevole di ‘aver schiarito alquanto certe ombre delle idee’, sulla morte di Nievo e sulla spedizione dei Mille si racconta la storia vera. Veniamo così a sapere del ruolo della Massoneria nell’impresa dei mille, in particolare della massoneria Inglese che vedeva di buon occhio il ridimensionamento del papato e dei borboni del Regno delle due Sicilie e anche l’enorme ricchezza delle banche del regno

In una cassa, da cui Nievo non si separava mai, erano contenuti soldi, ricevute, fatture, lettere e tutto quello che riguardava la gestione dell’ingente patrimonio garibaldino e di quello “trovato” nelle casse delle banche siciliane. Ma c’era chi aveva interesse, per opposte ragioni, ad impedire che quella cassa arrivasse a Torino, dove era in atto uno scontro tra due fazioni: da un lato i cavouriani che intendevano gettare discredito sulla spedizione garibaldina, tentando di dimostrare una gestione truffaldina dei fondi; dall’altro lato la sinistra, che sosteneva il contrario. Ma, soprattutto, tutti avevano interesse a tenere nascosto un finanziamento di 10mila piastre turche (paragonabili a circa 15milioni di euro attuali) che era arrivato a Garibaldi dalla massoneria inglese. La sparizione di quei documenti faceva quindi comodo a tutti.

Il piroscafo non arrivò mai a Napoli e la cosa ancora più strana fu quella del mancato ritrovamento di vittime, oggetti o fasciame della nave. Niente. Tutto misteriosamente inghiottito dal mare. Secondo alcuni storici, i servizi segreti inglesi erano a conoscenza del viaggio di Nievo e, probabilmente scortarono la nave in segreto, sapendo che conteneva molti soldi. Nievo prese con se tutta la cassa forte del Banco di Sicilia. Sulla vicenda , nessun libro di storia ufficiale parla. I soldi sono spariti e con loro 70 persone che erano sul piroscafo.

fonte http://ilcircolaccio.it/2018/04/12/storia-la-massoneria-inglese-la-morte-di-ippolito-nievo-e-la-misteriosa-scomparsa-del-piroscafo-dove-cerano-i-soldi-del-banco-di-sicilia/?fbclid=IwAR04_F_jyaN9aYSmgAjrLpBKR3To2N57on_B6p8aehX1Kx2er9kWY2Y7krw

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