Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

MARCIA DEI SANFEDISTI DI D.PETROMASI VISTO DA LUCIO CASTRESE SCHIANO

Posted by on Gen 4, 2019

MARCIA DEI SANFEDISTI DI D.PETROMASI VISTO DA LUCIO CASTRESE SCHIANO

    

     Nel campo delle scienze positive sono state avanzate diverse ipotesi aventi per oggetto d’indagine il mondo fisico. Tali ipotesi, verificate nel tempo, hanno portato alla formulazione di leggi e principi, come il così detto effetto farfalla ( che ha studiato l’intima connessione fra tutti i fenomeni di un sistema ) e il principio di Huygens (che ha avuto per oggetto il fenomeno della propagazione delle onde ), i quali hanno dimostrato che una perturbazione prodotta in un qualunque punto dello spazio produce effetti fin nelle sue parti più estreme.

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Luigi Toro: la storia e le Opere – Parte II (a cura di C. A. Del Mastro)

Posted by on Dic 29, 2018

Luigi Toro: la storia e le Opere – Parte II (a cura di C. A. Del Mastro)

Luigi Toro, pittore Aurunco: la storia e le opere.

Parte II – La gioventù, le opere e la guerra.

Prof.  Cecilia Aida Del Mastro

Quando nel 1853 il giovane Luigi Toro compì 18 anni e diventò maggiorenne poteva vendere e comprare, il diabolico patrigno ne approfittò: gli disse che se voleva andare a Napoli e frequentare l’Accademia Artistica doveva vendergli tutti i suoi diritti sulla proprietà (case e terreni). Egli gli avrebbe depositato i soldi in banca da dove avrebbe ritirato, di volta in volta, il necessario per studiare e incominciare a dipingere. Il giovanissimo Luigi non ci pensò due volte, fece subito quello che il patrigno voleva e partì per Napoli. Tutti i conoscenti e i parenti restarono senza parole, nessuno aveva pensato che il patrigno arrivasse ad una simile espoliazione.

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Figure salienti dell’ Unità d’Italia

Posted by on Dic 28, 2018

Figure salienti dell’ Unità d’Italia

I GENERALI LANZA, CLARY, NUNZIANTE, PIANELLI E L’AVVOCATUCCIO DON LIBORIO ROMANO:
questi cinque uomini,chi più chi meno tutti erano stati beneficati dai Borboni, e si disobbligarono col tradimento il più inqualificabile. Questi cinque uomini sono quelli stessi che nel corso di questo viaggio ho chiamati fatali alla dinastia e al Regno, che fecero di tutto, come se non avessero avuto una patria, per farla cadere inonorata, anzi farla rotolare nel fango. È da notarsi però, che Nunziante fece più male quando facea l’assolutista e il terrorista, anzi che quando si coprì con la maschera di liberale.

A questi cinque uomini fatali fecero codazzo due altezze reali, Leopoldo di Borbone Conte di Siracusa, e Luigi di Borbone Conte d’Aquila, tutti e due fratelli di Ferdinando II. Il Conte d’Aquila meriterebbe il posto tra i primi cinque, perché in qualità di Ammiraglio ridusse la flotta napoletana (ad eccezione di pochi uffiziali e delle ciurme) ad una congrega di settarii; e la defezione della flotta fu una potente leva per rovesciare dinastia e trono.

Si distinsero nell’epoca garibaldina per viltà e tradimenti i generali Landi in Calatafimi, Lanza in Palermo, Clary in Messina, Gallotti in Reggio, Ruiz e Briganti nel Reggiano, Caldarelli in Cosenza, Ghio in Soveria-Mannelli, Lo Cascio in Siracusa, Torson la Tour in Augusta, Flores in Bovino, de Benedictis negli Abruzzi.

Vi sono altri Generali che veramente non tradirono, ma si distinsero o per viltà o perché mancarono al loro dovere come soldati, come sudditi, e come gentiluomini.

A tutti questi duci gallonati fecero seguito molti ufficiali superiori e subalterni, che sarebbe lungo e noioso nominarli tutti, ma che ho accennati nel corso di queste Memorie.

Circa la invasione del Regno di Napoli si dissero e si stamparono cose iperboliche sul merito militare di Garibaldi, ed hanno innalzato costui al di sopra di Turenna, di Federico II, di Napoleone I. Senza spirito partigiano vediamo quali furono le battaglie vinte dal duce rivoluzionario, e qual merito militare dimostrò da Marsala al Volturno.
Per maggior comodo de’ miei benevoli lettori compendierò in poche pagine la Iliade garibaldesca ricavandola da’ fatti autentici, e che oggi sarebbe impudenza mettere in dubbio.

Garibaldi partì dal continente confortato dagli aiuti morali e materiali del governo sardo. Egli sbarcò a Marsala quando già sapea che la guarnigione era stata mandata a Girgenti per ordine del comando generale di Palermo: quella guarnigione a piedi comandata dal colonnello Francesco Donati sembrò pericolosa allo sbarco garibaldesco e due giorni prima fu mandata altrove.

Due legni inglesi fecero la spia contro i regï, e protessero lo sbarco di Garibaldi. Tre piroscafi di guerra napoletani che si trovavano in crociera nelle acque di Marsala, presero il largo fino che non si fosse effettuito quello sbarco. Uno di quei piroscafi, il Capri, era comandato da Marino Caracciolo, che poi, come rilevasi dalla Difesa Nazionale di Tommaso Cava, a pag. 101, volle tenuto al fonte battesimale un figlio da Garibaldi, e costui memore de’ servizii ricevuti da quello in Marsala, accettò con piacere di farsi compare col primo che tradì Francesco II.

Marino Caracciolo è quello stesso che poi entrò il primo nel forte di Baia e prese possesso a nome del compare.
Un altro legno era comandato da Guglielmo Acton, poi ministro del Regno d’Italia!
Nello stesso sbarco di Marsala, tanto celebrato da’ rivoluzionarii, nulla trovo di straordinario, neppure potrebbe dirsi audace.
Garibaldi a Calatafimi fu sbaragliato coi suoi mille da solo quattro compagnie dell’8° cacciatori comandate dal maggiore Sforza.

Ma Landi, come sapete, avea accomodati gli affari suoi, quando vide il compare Garibaldi a mal partito per la disobbedienza di Sforza, volendo riparare il mal fatto di costui, fuggì verso Palermo col resto della grossa brigata di 3000 uomini, lasciando le quattro compagnie senza munizioni, e senza avvertirle della sua fuga.
Sin’oggi i garibaldini strombazzano che vinsero a Calatafimi, mentre furono battuti da sole quattro compagnie che non oltrepassavano cinquecento uomini, e costoro s’impossessarono pure della loro tanto celebrata bandiera di Montevideo.

Garibaldi appena assalito al Parco fuggì in disordine assieme a’ suoi; e vedendosi abbandonato dalla squadre siciliane, volea gettarsi su’ monti per aspettare il tempo e l’occasione d’imbarcarsi sul continente.

I suoi ammiratori dicono che quella fu una gran manovra militare per ingannare i regï, ma si sà, e lo pubblicarono gli stessi garibaldini, che il loro duce era scoraggiato, ed avea abbandonato il progetto di entrare in Palermo.

Crispi e il Turr cominciarono a persuaderlo della necessità di entrare audacemente in Palermo: e il comitato rivoluzionario di quella città finì di convincerlo, con fargli conoscere che avea delle pratiche con qualche duce regio, e che costui gli avrebbe lasciate libere le Porte di S. Antonino, e di Termini per entrare in Città comodamente.

Difatti la sera precedente ad onta che il generale Lanza sapesse che Garibaldi dovea entrare la mattina seguente in Palermo da quelle porte, non solo richiamò attorno a sè al palazzo reale la brigata Colonna che campeggiava fuori le porte di Termini, e S. Antonino, ma sguarnì di truppa quelle due porte; alla prima lasciò 59 soldati del 9° di linea, alla seconda 260 reclute del 2° cacciatori, che ancora non sapeano maneggiare il fucile.

Non trovo nulla di estraordinario che Garibaldi confortato dalle buone disposizioni di Lanza a suo riguardo, sia entrato da quelle due porte con quattromila uomini tra garibaldini e squadre siciliane.
Il generalissimo Lanza invece di combattere validamente l’invasore, avendo a sua disposizione ventiduemila uomini, prima lo lasciò fortificare con ripari e barricate, poi mandò drappelli di soldati per combatterlo, e quando costoro arrecavano danni agli invasori era solerte a richiamarli indietro.

Lanza per rendere un maggior servizio alla rivoluzione, bombardò Palermo senza necessità e senza scopo militare, indi pregò Garibaldi per un armistizio, che finì poi con l’abbandono di Palermo e dell’Isola.
Il 30 maggio la sola brigata Meckel sbaragliò tutti i rivoluzionarii fortificati in Palermo.

Garibaldi era perduto, gridava: tradimento! sono stato tradito!
Ricorse al generale Lanza per salvarsi da’ soldati di Meckel, e quel Generale trattenne il braccio di costui che stava già per stritolare Garibaldi e tutti i suoi.
Dopo questi fatti, Lanza senza far bruciare una cartuccia da’ ventiseimila soldati che avea sotto i suoi ordini, e che fremeano di battersi, abbandonò Palermo e la Sicilia a Garibaldi!

L’entrata di Garibaldi in Palermo si celebra da’ rivoluzionarii come una gran vittoria militare, è un’impudenza mentire con tanta sfacciataggine: lo credono i gonzi, e coloro che non sanno o non vogliono sapere i fatti di quella tragicomedia.

Il Dittatore della Sicilia vinse a Milazzo, cioè con ottomila uomini tra garibaldini e truppa piemontese in camicia rossa, oltre delle squadre siciliane, dopo otto ore di combattimento fece ritirare nel castello mille soldati napoletani.

Che Garibaldi avea in Milazzo ottomila uomini tra garibaldini e truppa piemontese, lo disse egli medesimo al comandante del vapore francese il Protis; che Bosco oppose soli mille uomini, si rileva dal documento che riportai a pag.109.
È da osservarsi poi che Garibaldi oltre della superiorità del numero avea una flottiglia che bersagliava i regï in Milazzo, ed avea l’appoggio morale in Messina da Clary, ed in Napoli da’ ministri liberali, D. Liborio e Pianelli.

E da osservarsi ancora che il merito del fatto d’ami di Milazzo è tutto dovuto a Medici e Cosenz; sin dal principio della pugna Garibaldi lasciò il campo di battaglia e se ne andò sul Veloce.
Nulla dunque si rileva di estraordinario per parte di Garibaldi circa il fatto d’armi di Milazzo, ma trovo estraordinario solamente che mille soldati napoletani lottarono 8 ore contro tutta la rivoluzione cosmopolita, e dopo di avere uccisi ottocento garibaldini, in bell’ordine si ritirarono nel castello di Milazzo, ed era ciò secondo le istruzioni di Clary date a Bosco.

Garibaldi assalendo i regï in Milazzo era certo del fatto suo, dappoichè se da Messina o da Napoli fossero arrivati altri tre o quattro Battaglioni, la rivoluzione sarebbe stata distrutta anzichè acquistar forza morale e materiale. Sino a Milazzo non trovo dunque alcun fatto che dimostra essere Garibaldi un generale di qualche merito.

In Calabria, il Dittatore non sostenne alcun fatto d’armi importante; il suo passaggio sul continente calabro fu agevolato e protetto dalla squadra sarda, e da quella napoletana, e lo dimostra la 2a parte del Diario di Persano. t

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“PER LE SCUOLE ITALIANE IL REGNO DI SICILIA NON È MAI ESISTITO”

Posted by on Dic 27, 2018

“PER LE SCUOLE ITALIANE IL REGNO DI SICILIA NON È MAI ESISTITO”

di Massimo Costa

Dove nasce il complesso di inferiorità dei Siciliani.
Risposta: in gran parte sui banchi di scuola (oltre che guardando la TV italiana), che nega ab origine ogni forma identitaria propria della Sicilia.
Questo il libro di testo della Mondadori per la classe di seconda liceo di mia figlia.
Parlando della Sicilia medievale….
Intanto c’è tutta la solita marmellata sull’incontro di popoli, culture, etc. da cui non si capisce nulla se non che sembra che questi popoli stranieri si sono incontrati qua, mentre dall’altra parte i Siciliani, altro popolo (assente dalla storia che conta), stavano a guardare passivamente, mentre quelli andavano d’amore e d’accordo, etc. Sembra scritto da Orlando, vabbè.
Ma la cosa scandalosa è un’altra. Leggiamo:
«Nel 1061, infatti, i Normanni, popolo bellicoso e proveniente dal Nord Europa, giunsero in Sicilia, SACCHEGGIANDOLA E DEPREDANDOLA DI OGNI BENE.» E questo è tutto, gente.
I Normanni (forse scambiati con i Vandali di qualche secolo prima) vengono, saccheggiano, una specie di orda di Unni, va…. Prima dell’Italia solo dolore e morte, specie se si tratta di civiltà occidentale e cavalieri cristiani.
Con un’eccezione, naturalmente: i Saraceni, la cui conquista dell’Isola «diede l’avvio a un periodo di splendore per l’isola…Grazie infatti a un governo politicamente illuminato, che consentì per esempio la pacifica coesistenza tra i popoli garantendo la libertà religiosa…Soprattutto Palermo, capitale del califfato (sic!) arabo…». E io che credevo che i califfi stessero a Baghdad ed al Cairo. Ho scoperto che Palermo era la sede del califfato, mah…
Nella mappa degli “stati nazionali” che si formano: Francia, l’Italia di Berengario II, la Germania del Sacro Romano Impero e, naturalmente, l’Inghilterra dei Normanni (lì si forma uno stato nazionale, da noi fu una “conquista”, non aggiungo altro).
Poi, in una scheda, parlando dei Normanni, si riesce nel capolavoro retorico di parlare di Ruggero I e Ruggero II, SENZA MAI PRONUNCIARE LA “PAROLACCIA” “REGNO DI SICILIA”. RUGGERO II era re, sì, ma non si sa di che cosa, della Normandia, di un suo dominio personale, chissà.
E infine, ciliegina sulla torta, parlando di ciò che successe ai Siciliani “dopo” questa brutale conquista….
«Nei secoli successivi, la Sicilia venne ancora conquistata da Francesi e Spagnoli fino a essere annessa al Regno d’Italia nel 1860.»
Evidentemente il Vespro per loro fu un episodio della “conquista spagnola”. 8 secoli di stato, parlamento, esercito, leggi, moneta proprie, liquidate come un paio di dominazioni (di cui una, la francese, in verità durata solo 16 anni). Poi la “liberazione”, ops, l’annessione (qui gli è scappata giusta), al Regno d’Italia, l’origine di TUTTI O QUASI I NOSTRI MALI.
Poi ci lamentiamo di mancanza di senso civico, rassegna zione, apatia, subalternità a “quello che viene di fuori”, insuccesso delle formazioni politiche “regionali”…. Con questo lavaggio di cervello dalla culla sfido chiunque a provare ad alzare la testa.
Se la cosa ti fa incavolare condividi questo post.

Errori del libro: 1. con tutto il rispetto per i Saraceni di Sicilia, contro i quali non ho come alcuni alcun pregiudizio specifico, pur di esaltare tutto ciò che è musulmano si confonde il loro periodo con quello successivo del Regno di Sicilia. Sotto il Regno di Sicilia, in un certo senso almeno, ci fu tolleranza dei popoli e delle religioni. E sotto il regno di Sicilia ci fu il massimo splendore. Tutto sommato la seconda parte del periodo islamico (l’emirato di Sicilia) fu un periodo positivo, con la costruzione di un primo stato di Sicilia, e una certa floridezza, ma niente di che in confronto al dopo. La prima parte fu di veri saccheggi e stermini di cristiani, una violenza inaudita. I cristiani sopravvissuti erano dimmi, cioè “umiliati”, costretti a pagare la gezia, una tassa speciale, a non poter andare a cavallo, a non costruire nuove chiese, a lasciare il passo a tutti i musulmani che incontrassero per via, a non poter avere dipendenti o servi musulmani, esclusi dalla vita politica del paese, etc. Altro che tolleranza.

2. errore. L’emirato di Sicilia non fu mai un califfato.

3. errore La valutazione dell’invasione normanna è semplicemente ridicola. I Normanni furono liberatori non barbari invasori. Certo, le guerre non erano passeggiate ed erano violente. Ma fu una conquista rapida e accolta da tutti i cristiani dell’Isola come una vera liberazione. Poi, dopo, la civiltà che ne derivò, segnò uno dei momenti di maggiore splendore per la Sicilia, altro che saccheggi. A meno di non dire che le cattedrali di Palermo e Monreale le hanno fatte…. gli arabi.

4. A parte l’elite dei cavalieri normanni, quello che i Normanni costruirono in Sicilia fu un regno nazionale, ESATTAMENTE COME FECERO IN CONTEMPORANEA IN INGHILTERRA. Dove non a caso c’era il Parlamento come in Sicilia. La Sicilia è un regno nazionale, e viene negato da questo libro, che paradossalmente invece riconosce questo carattere all’identico fenomeno inglese. La parola Regno di Sicilia è accuratamente evitata, E questo è semplicemente un falso storico.

5. Ancora peggio il dopo. Saltata la grande epoca della dinastia Hohenstaufen, sotto cui non c’era proprio alcuna dominazione,. Saltata la monarchia indipendente dopo il Vespro (1282-1412). Si vende come “dominazione” spagnola l’unione personale tra le corone di Spagna e Sicilia di ‘400, ‘500 e ‘600. Persino dopo (‘700) siccome i Borbone di Napoli sono di origine spagnola, anche quella sarebbe “dominazione spagnola”. Un fake spaventoso. La Spagna non ha mai conquistato la Sicilia. E la Sicilia non è mai stata una colonia o un possedimento spagnolo: sempre una monarchia costituzionale, che aveva in comune con la Spagna solo il Re (per vicende dinastiche), il quale inviava un viceré che rispettava in tutto e per tutto leggi e parlamento siciliano. Poi la “dominazione francese” è vera, ma durò solo 16 anni, travolta dal Vespro. Insomma, dire che “dopo i Normanni”, la Sicilia era una pallina da ping pong tra francesi e spagnoli è un insulto alla cultura.

6. Ci si domanderà a questo punto di che cosa fosse mai stato re il buon Ruggero II. A quanto pare era, come scritto in non pochi testi italiani di storia, “re di Napoli”, o forse “delle Due Sicilie”, così completiamo la frittata.

E però è il disegno complessivo ad essere inquietante. La negazione di identità al popolo siciliano (solo spettatore di questi dominatori che vanno e vengono e fanno i fatti loro, nessuno dice che quei popoli non erano dominatori ma i nostri nonni). La negazione di identità allo Stato di Sicilia e alle sue istituzioni, per poter dire che solo il Nord d’Italia ha una sua storia. E che la nostra comincia con “l’annessione all’Italia” del 1860. Se ci pensi è la stessa ragione per la quale tutti i centri storici siciliani hanno visto cambiare la loro toponomastica con i Savoia, Garibaldi, etc. Come se prima ci fossero stati secoli di “nulla”, sbrigativamente e falsamente liquidati come “dominazioni”. Qua l’unica vera dominazione, è quella italiana.

fonte

7https://360econews.wordpress.com/2018/09/19/per-le-scuole-italiane-il-regno-di-sicilia-non-e-mai-esistito/?fbclid=IwAR1T-6QhnzHdx6JE8CvYzmCSKAO3XVliRqOUKxdvrG4izBG_YEO5RTT9t3A

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Storia di Rocca d’Arce

Posted by on Dic 23, 2018

Storia di Rocca d’Arce

Che Roccadarce fosse stata abitata fin da tempi lontanissimi non ci sono dubbi, tutto ciò è suffragato da testimonianze archeologiche risalenti all’età del ferro, probabilmente perché Roccadarce era situata in una zona centrale nella Valle del Liri, ricca di falde acquifere e di cacciagione. Nella costruzione della strada che da Roccadarce raggiunge il cimitero, vennero ritrovati reperti di ceramiche incise e decorate con scene casalinghe.

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BRONTE: UNA VERGOGNA GARIBALDINA

Posted by on Dic 21, 2018

BRONTE: UNA VERGOGNA GARIBALDINA

Riportiamo integralmente quanto apparso sul “Corriere della Sera” in una nota a firma di Paolo Macry. “Contadini contro galantuomini. Cosi’ il Sud condanno’ l’Unita’”. “Nell’estate del 1860, armati di forconi e tricolore, i contadini di Bronte vanno all’assalto della duchessa Nelson, erede di quell’ammiraglio Horatio cui Ferdinando IV aveva concesso il titolo per i servigi resi nella liquidazione della repubblica del 1799. Sono decenni, in realta’, che tra i brontesi e i Nelson e’ guerra strisciante. I contadini –ma anche una parte dell’elite locale- vogliono la divisione delle terre del demanio. I duchi e tutti coloro che utilizzano –meglio, usurpano- quelle terre, si oppongono. Finche’ nel 1860 sull’onda delle promesse di Garibaldi e del crollo dello stato, il conflitto esplode. Mobilitati dall’elite antifeudale, la cui situazione sfuggira’ presto di mano, i brontesi massacrano, oltre alla duchessa, l’odiato notaio e una decina di “galantuomini”. Qualche giorno piu’ tardi, le truppe di Bixio ristabiliranno l’ordine, passando per le armi alcuni rivoltosi, fra cui un avvocato, il loro presunto leader. Gli altri verranno processati e, quattro anni dopo, condannati.

L’episodio smaschera una lettura canonica del Risorgimento che rimane tuttora opaca, spesso apologetica e reticente. Se i fatti di Bronte sono stati per lo più ignorati da questa storiografia è perché rendono esplicito il debole radicamento del processo unitario e la profonda incomunicabilità che, già nel 1860, emerge tra Nord e Sud. A Bronte il linguaggio della nazione è assente e la lotta tra borbonici e unitari –o tra assolutisti e liberali- impallidisce di fronte ai ben più corposi conflitti di fazione che dividono la comunità. Un quadro che rivela, già prima del brigantaggio, le ferite della lotta di classe (su cui ha insistito la storiografia gramsciana) ma anche –come rileva Paolo Pezzino- forme e motivi tipici di una guerra civile. Per parte loro, i liberatori non sembrano capirci molto. Il Mezzogiorno, confiderà Bixio alla moglie, “è un paese che bisognerebbe distruggere, e mandarli in Africa a farsi civili”. Tanto più in una Sicilia segnata dal forte autonomismo e attraversata da quelle bande armate che sono in procinto di diventare mafia, il Risorgimento appare come una miccia che, paradossalmente, rischia di spezzare il tessuto sociale proprio nel momento dell’unificazione politica. A Bronte, è difficile dare pagelle. I rivoltosi, per difendere la legalità contro le usurpazioni, compiono un feroce linciaggio. I garibaldini, per restaurare la convivenza civile, organizzano esecuzioni sommarie. La liberazione (o la conquista) del Sud è un puzzle di situazioni simili, che attende ancora di essere sviscerato in modo analitico. Fuor di retoriche e giudizi semplificati.

Va bene il museo della nazione, come efficacemente questo giornale ha chiesto, ma non sarebbe male promuovere anche una più ampia ricerca storica, capace di lumeggiare la nascita controversa della patria. Com’è tuttora evidente, le grandi divisioni del paese non si superano rimuovendo o manipolando le loro radici.”

fonte http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Personaggi/Bixio2.htm

AVVISO Bronte 6 agosto 1860

Affinchè tutti conoscano come l’ordine pubblico intenda dal Governo ristabilirsi ne’ Comuni ove si oserà turbarlo, il Governatore della Provincia di Catania deduce e pubblica conoscenza il seguente Decreto:

IL GENERALE G.N. BIXIO in virtù delle facoltà ricevute dal Dittatore

DECRETA

Il Paese di Bronte colpevole di lesa umanità è dichiarato in istato d’assedio.

Nel termine di tre ore da cominciare alle 13 e mezza gli abitanti consegneranno le armi da fuoco e da taglio, pena di fucilazione pei retentori.

Il Municipio è sciolto per organizzarsi ai termini di legge.

La Guardia Nazionale è sciolta per organizzarsi pure a termine di legge.

Gli autori de’ delitti commessi saranno consegnati all’autorità militare per essere giudicati dalla Commessione speciale.

E’ imposta al paese una tassa di guerra di onze dieci l’ora da cominciare alle ore 22 del 4 corrente giorno, era della mobilizzazione della forza militare in Postavina e da avere termine al momento della regolare organizzazione del paese.

Il presente Decreto sarà affisso e bandizzato dal pubblico Banditore.

Bronte 6 agosto 1860

IL MAGGIORE GENERALE

G. N. BIXIO

fonte


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