Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

“Il presepe non offende l’islam, gli arabi ci si fanno i selfie”

Posted by on Dic 19, 2018

“Il presepe non offende l’islam, gli arabi ci si fanno i selfie”

Gli autentici islamofobi sono i prèsidi e le maestre iconoclasti che ogni anno puntualmente se la prendono con il presepe. Vigliacchi, per giunta, giacché addossano agli ignari musulmani un’ipotetica avversione ai simboli religiosi cristiani, quando invece è una malintesa laicità a motivare la scelta di espellere le rappresentazioni della Natività dalle scuole italiane. All’estero, anzi nei Paesi a maggioranza islamica, non è sempre così. Certamente nemmeno il bue e l’ sinello risultano graditi in Arabia Saudita, dove la polizia religiosa vigila affinché non si tolleri altro dio al di fuori di Allah. Ma alcune fotografie, scattate a Betlemme e diffuse da don Salvatore Lazzara su Twitter, la dicono lunga sull’atteggiamento dei musulmani. Vi sono ritratte due donne col capo coperto in obbedienza alla sharia, che si scattano una foto, belle sorridenti, davanti al presepe allestito a pochi passi da dove Dio ha scelto di nascere. Da lì, perfino il presidente dell’Anp Abu Mazen si sposterà anche quest’ anno per presenziare alla messa di Natale. Nessuno si scandalizzerà. Semmai sarebbe strano se non vi partecipasse. In Italia, dove la presenza islamica è in costante aumento, l’ostilità in realtà è dovuta in gran parte a docenti formati negli scorsi decenni dalle università rosse dell’Italia democristiana e rinunciataria. Sono convinti che, per rispettare le altre religioni, bisogna cancellare la propria. È naturale per chi ritiene la fede oppio dei popoli. Chissà come rimangono delusi quando gli stessi loro alunni di fede islamica firmano petizioni per ripristinare il nome di Gesù, già epurato dai canti di Natale per scelta di una maestra veneta. Eppure, ora, chi è costretto a giustificarsi sono gli imam, ma «non siamo noi a volere cambiare la cultura del Paese che ci ospita, siamo qui per rispettarla. C’è chi sta cavalcando la polemica a nome nostro. Per la nostra Comunità lo scambio è una ricchezza, siamo tutti fratelli. Diciamo “no” all’integralismo islamico così come a quelli di altro genere. Per cui trovo giusto che a scuola si possa fare anche un presepe vivente», aveva precisato nei giorni scorsi il responsabile della moschea di Terni, Mimoun El Hachmi, attento a non scatenare autolesionistici conflitti di civiltà. Il caso era scoppiato dopo la denuncia della locale assessore alla Scuola, Valeria Alessandrini, sull’impossibilità di organizzare sacre rappresentazioni nelle scuole elementari Garibaldi e Mazzini. Non è che i dirigenti didattici le avessero proprio vietate, in effetti. Piuttosto non ritenevano nemmeno di poter prendere in esame una proposta simile. Fa parte del giornalismo di servizio avvertire i genitori, in coincidenza con gli open day delle scuole primarie: chi fa frequentare ai propri figli istituti dedicati agli eroi del Risorgimento è bene che lo sappia: la maggior parte dei luoghi comuni anticattolici degli ultimi 150 anni li dobbiamo proprio all’Eroe dei Due Mondi e al fondatore della Giovine Italia. Visto che li abbiamo adottati come miti fondativi dell’unità nazionale, c’è poco da sorprendersi se ne abbiamo ereditato anche l’intolleranza verso la Chiesa.

Andrea Morigi

fonte https://alleanzacattolica.org/il-presepe-non-offende-lislam-gli-arabi-ci-si-fanno-i-selfie/

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Insorgenza: vecchie e nuove prospettive

Posted by on Dic 17, 2018

Insorgenza: vecchie e nuove prospettive

1. La questione delle insorgenze


Da qualche tempo – all’incirca una quindicina di anni – il tema delle «insorgenze anti-giacobine» – è questa la terminologia più ricorrente, benché imprecisa (1) – è uscito dalle nebbie di un immeritato oblio ed è riuscito a conquistarsi un po’ di spazio nei canali dell’informazione ed anche, anche se in misura limitata, negli studi.

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Cavour e Bixio….Alessandro

Posted by on Dic 12, 2018

Cavour e Bixio….Alessandro

Alessandro Bixio (fratello del più conosciuto Nino), era emigrato da giovane in Francia ed era diventato cittadino francese. Era un uomo d’affari legato ai banchieri ebrei Rothschild e Péreire. Ma, cosa faceva lì Alessandro Bixio? E perché il principe Napoleone gli fece una brutta faccia (il viso dell’arme)? Per darci una spiegazione alla prima domanda torniamo indietro al 1852 quando si determinò nel parlamento piemontese una maggioranza che faceva prevedere la caduta del ministero d’Azeglio. Cavour, che sapeva di dover succedere al d’Azeglio, decise di “sottrarsi al logorio politico e psicologico dell’attesa” con un viaggio all’estero. Ma la ragione del viaggio era un’altra. Sia a Londra che a Parigi incontrò tutti quei personaggi che ritroveremo nella storia dell’unità d’Italia. A Parigi Cavour non poté non respirare l’atmosfera di ritrovata fiducia originatasi nei ceti imprenditoriali e capitalistici, dopo il colpo di stato di Napoleone III. “I capitali sorgono da tutte le parti. La prosperità finanziaria è immensa” scriveva Cavour. Ed a Parigi, tra gli altri, incontrò Alessandro Bixio che fece da tramite tra Cavour e gli ambienti bancari ebraici. In quei colloqui nacquero tutte le iniziative industriali, in particolare ferroviarie, come la Vittorio Emanuele, bancarie e finanziarie che caratterizzeranno i successivi sette anni del ministero Cavour, fino alla guerra con l’Austria (R2). Circa il viso dell’arme fatto da Gerolamo Bonaparte ad Alessandro Bixio possiamo pensare che la sua presenza significava la sospensione della guerra, sospensione che il principe Gerolamo non condivideva: insomma gli interessi rappresentati dal Bixio vinsero su quelli militari e dinastici dei napoleonidi! Ecco alla conclusione dei progetti discussi a Parigi nel 1852 il controllore: la presenza di Alessandro Bixio. Gli effetti della sua presenza si videro subito.

strano provvedimento di francesco giuseppe

La situazione finanziaria dell’impero austriaco, prima e durante la guerra con il Piemonte, dava origine alle più serie preoccupazioni. Il riflusso dall’estero di titoli austriaci, in corso dai primi del 1859, aveva accentuato il drenaggio delle risorse valutarie della Nationalbank che aveva dovuto sospendere i pagamenti in contanti, mentre l’aggio sull’argento saliva in maggio al 40 per cento e il corso dei titoli di Stato austriaci crollava a Francoforte da 81 fiorini in gennaio a 38 in aprile. Tutta l’economia del paese veniva dunque investita da gravi tensioni inflazionistiche, mentre la capacità di importazione risultava drasticamente ridotta, ed il ministro delle finanze Bruck doveva mettere mano alle riserve metalliche della Nationalbank, con grave danno del credito al paese, per procurare all’esercito le forniture necessarie. Già per queste ragioni era chiaro che lo sforzo bellico non avrebbe potuto protrarsi più a lungo (R3). Quattro giorni dopo l’armistizio [!], il 15 luglio 1859, durante il primo consiglio dei ministri dopo la sconfitta militare, l’imperatore Francesco Giuseppe rendeva pubblico il famoso Manifesto di Laxenburg col quale si affrettava a promettere alla borghesia un sostanziale mutamento di rotta. “Le benedizioni della pace – affermava l’imperatore austriaco – sono doppiamente preziose perché mi procureranno l’agio necessario per consacrare tutta la mia attenzione e le mie cure, non più turbate da nulla, al felice adempimento del compito che mi sono prefisso”. Di lì a poco il Regolamento industriale austriaco abrogava il regime delle corporazioni, introduceva la libertà del lavoro, dava l’avvio alla prima rivoluzione industriale dell’Austria. Gli ebrei di Vienna ed i protestanti di Germania ringraziarono (MC). Quattro giorni dopo la battaglia di Solferino, la borsa austriaca ebbe un rialzo! (R3). In novembre l’imperatore Francesco Giuseppe approvò la proposta di abolire molte restrizioni residue imposte alle comunità ebraiche dell’impero. Istituì, prima della fine dell’anno il Comitato per il debito di Stato, con il compito di esaminare la struttura finanziaria dell’impero, poiché concordava con il ministro delle finanze Bruck sulla necessità di rassicurare gli investitori stranieri (PA). Considerazioni: Insomma, vendendo e ricomprando i titoli del debito pubblico austriaco, la grande finanza internazionale faceva la guerra e la pace! Per amore o per forza i grandi mercati si dovevano aprire ai grandi capitali. Che questo fosse il principale scopo nella guerra fatta da Napoleone (o fatta fare a Napoleone) all’Austria, è dimostrato dall’armistizio di Villafranca, senza giustificazioni militari da parte della Francia e dal manifesto di Laxenburg. Il resto è storia a contorno, appare come la storia della mancia rilasciata ai servitori.

cavour diplomatico

Dopo la battaglia di Solferino, la diplomazia internazionale si attivò per arrivare ad una sistemazione della situazione italiana, possibilmente senza la prosecuzione della guerra. Anche Cavour si attivò per volgere a suo favore gli avvenimenti e, per ottenere questo, ebbe contatti con tutti i gabinetti europei. In particolare, nel tentativo di combattere l’ostilità dell’opinione pubblica germanica, aveva anche inviato, dietro suggerimenti russi e francesi, una nota al presidente di turno della Dieta di Francoforte, il prussiano Usedom, mettendo in rilievo la solidarietà degli interessi piemontesi e germanici: ma il documento dovette essere ritirato per consiglio dello stesso destinatario, il quale avvertì che l’insistenza sul disegno di cacciare l’Austria di là dalle Alpi avrebbe invece rinsaldato la solidarietà dei minori Stati tedeschi col governo di Vienna. Usedom dava questo giudizio molto negativo sul documento cavouriano: “Eine taktlosere, unpolitischere Fassung dieses Aktenstückes konnte unter den obwaltenden Umständen nicht gedacht werden” “Questa nota, indelicata e impolitica, nelle presenti circostanze, appare improvvisata”. Sembra che Cavour abbia riferito, falsamente, di suggerimenti russi e francesi per “giustificare il suo passo errato” (R3).

altra ragione dell’armistizio di villafranca

Napoleone, tra le ragioni che lo indussero a firmare l’armistizio di Villafranca, tenne sicuramente presente anche un’altra ragione, quella finanziaria tra la Francia ed il Piemonte, giacché il trattato del dicembre 1858 aveva stabilito che il Piemonte avrebbe pagato le spese di guerra della Francia con il decimo delle entrate dei nuovi territori conquistati, ma la Francia aveva già speso ben 360 milioni di franchi e la sua alleata altri 80 milioni, somme che nessuna prevedibile tassa piemontese sul reddito sarebbe riuscita a raccogliere, ed è da domandarsi se mai Cavour fosse stato in buona fede quando aveva stipulato tale accordo (VE).

scenario dell’italia disegnato da napoleone e cavour

Dobbiamo ora riflettere sullo scenario che il Cavour e Napoleone III avevano disegnato a Plombières come conseguenza della guerra all’Austria che studiavano di provocare. “La valle del Po, la Romagna e le Legazioni costituirebbero il Regno dell’Alta Italia sul quale regnerebbe la casa di Savoia. Il papa conserverebbe Roma e il territorio circostante. Il resto degli Stati del papa con la Toscana formerebbe il Regno dell’Italia Centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non sarebbe toccata. I quattro Stati italiani formerebbero una confederazione sul modello dela Confederazione germanica, la cui presidenza sarebbe data al papa per consolarlo della perdita della parte migliore dei suoi Stati”. Quanto poi si realizzò non coincise in alcun modo col disegno. Le ragioni sono varie. Innanzi tutto non fu assolutamente prevista l’ingerenza dell’Inghilterra in questa vicenda. Napoleone III e Cavour si preoccupavano soltanto di tenerla buona e di fare i propri interessi. Non pensarono che l’Inghilterra potesse invece avere interesse alla nascita di una potenza mediterranea, proprio antagonista dell’Austria e della Francia, che a partire dal 1844 aveva incominciato la sua espansione nel Mediterraneo. Poi non fu prevista l’inazione della Russia e del suo disinteresse verso questo quadrante dello scacchiere mediterraneo. Infine non fu prevista la ingerenza del capitalismo internazionale, che non reputò sufficiente la conquista della sola valle del Po, per consentire al Piemonte il pagamento dei suoi debiti. Ma ritorniamo al Cavour ed alla sua azione politica.

cavour corruttore

Nel gennaio 1861 Cavour e Pio IX stavano trattando la cessione di Roma per via amichevole. Negoziatore ufficioso del governo di Torino presso la Santa Sede era il medico marchigiano Diomede Pantaleoni; dopo un ultimo colloquio con Cavour e col ministro dell’interno Minghetti, l’11 febbraio 1861, un certo padre Passaglia si recava a Roma con in tasca cento napoleoni d’oro. Ma per corrompere i prelati della Curia romana, Pantaleoni era autorizzato a spendere molto di più. “Le faccio facoltà – gli scriveva Cavour – di spendere quanto reputerà necessario per amicarsi gli agenti subalterni della Curia. Quando poi occorresse di ricorrere a mezzi identici ma sopra larga scala pei pesci grossi, me li indicherà, ed io vedrò di metterli in opera, valendomi però di altra via di quella dei negoziatori che saranno lei ed il padre… Dio voglia che i suoi sforzi siano coronati da esito prospero. Ella avrà associato il suo nome al più gran fatto dei tempi moderni” (MC).

corruzione della stampa

Frequente, e sostenuto da un largo ricorso ai fondi segreti, fu l’intervento del ministero di Cavour nelle cose della stampa, diretto sia a favorire all’interno giornali e giornalisti schierati dalla parte del governo, sia ad alimentare le simpatie della stampa liberale straniera per la causa del Piemonte. “La Staffetta è un pessimo giornale che fa torto al ministero: lo dissi a Dina – è Cavour che scrive – questa primavera. Non do un soldo se prima la Staffetta non cessa le sue stupide pubblicazioni. Ciò fatto rimetterò ora a Dina L. 3.000 e in gennaio L. 3.000. Se questi patti non sono accettati, gli ripeto, non do un soldo”. Cavour dava direttive all’intendente Conte per non far nascere un giornale mazziniano a Genova. Lo stesso intendente, Conte, informava Cavour che il solo giornale sardo, lo Statuto, favorevole al governo fosse quello sovvenzionato. Nell’Archivio Cavour, corrispondenti, si trovano numerose lettere di editori e giornalisti stranieri, di livello e moralità molto varia, che si offrono di sostenere il governo liberale piemontese. [Evidentemente la voce si era sparsa]. Qualche nome: Henri Avigdor (Presse), Félix Belly (Le Pays, Journal de l’Empire), François Buloz (Revue des deux mondes), De Poggenphol (Nord di Bruxelles), C. Navin (Siècle), Pallieri (L’Italie) (R3). Ma la stampa piemontese non veniva corrotta solo da Cavour. Anche la Rosina Vercellana, la contessa di Mirafiori, l’amante del re, conosceva quest’uso dei giornali piemontesi. Quando il sovrano si voleva liberare del Cavour, anche perché questi non vedeva di buon occhio la sua relazione con la Rosina, quest’ultima acquistò gli articoli dello Stendardo, pagandoli 12.000 franchi (R3).

onore – I

Garibaldi, nel più grande segreto, aveva ricevuto denaro ed armi dal governo italiano in vista di una invasione dei territori papali che si pensava avrebbero fornito un pretesto per intervenire all’esercito nazionale. Mazzini era intanto pronto alla guerra civile, soprattutto perché pensava giustamente che il re si sarebbe schierato contro Garibaldi al primo segno di disapprovazione della Francia. L’unica speranza seria era che i cittadini di Roma precipitassero le cose con una insurrezione che li facesse intervenire sul loro destino; pensò anche per un momento di recarsi a Roma di persona per renderlo possibile. Contemporaneamente Vittorio Emanuele stava proponendo, segretamente, a Napoleone un accordo in base al quale francesi ed italiani avrebbero occupato, insieme, la città di Roma impedendo così al partito mazziniano di deporre il papa e di proclamare la repubblica. Il re disse a diverse persone che, come “premio supplementare”, gli si doveva permettere di “massacrare” Garibaldi e 30 mila volontari appartenenti alla “feccia criminale” dei seguaci di Garibaldi e Mazzini. Questo infelice termine “massacrare”, insieme allo “sterminare” usato nel 1860 da Cavour contro i garibaldini, veniva stranamente proprio da coloro che definivano Mazzini un “assassino” (MZ).

onore – II

E che questo fosse lo scenario morale in cui si muovevano i protagonisti di quella che poi ci sarebbe stata raccontata come epopea risorgimentale, si può desumere da questo altro avvenimento. Nell’agosto 1870 le truppe francesi lasciarono Roma, perché c’era bisogno di loro sul fronte del Reno, ma Vittorio Emanuele II continuò a tacciare i suoi ministri di vigliaccheria perché erano ormai meno desiderosi di prima di vederlo combattere a favore del suo ex alleato. Egli, infatti, puntava su di una vittoria della Francia e sperava di trovarsi di nuovo dal lato del vincitore. In effetti, fu solo la notizia della disastrosa sconfitta di Napoleone a Sedan che lo indusse improvvisamente a prendere un atteggiamento più realistico. Era chiaro che l’alleanza con la Francia non rappresentava che un duplice inconveniente ed il re, degno rappresentante della sua dinastia, “passò rapidamente dalla parte opposta”, avendo cura di spiegare al Papa che egli era costretto ad annettere Roma contro la sua stessa volontà. Le lettere di Lanza indicano che, ancora una volta, i fondi segreti furono utilizzati per suscitare una insurrezione che offrisse il pretesto per intervenire “a restaurare la legge e l’ordine”; ma neppure questa volta i romani si sollevarono. Si dovette così trovare una altra scusa per l’invasione ed alcuni municipi di là dal confine pontificio furono sollecitati ad inviare a Firenze petizioni invocanti protezione contro l’anarchia. Un breve scontro, una breccia nelle mura, e la Città Sacra cadde in mano dell’ultimo di una lunga serie di avidi nemici (MS).

comportamento spregevole

Il 27 dicembre 1858 Giuseppe Massari descrive nel suo diario una vicenda che vede Cavour e Napoleone III comportarsi in modo spregevole. “Il conte – annotava il Massari – mi fa vedere una lettera che Berryer scriveva a Napoleone III molti anni or sono per chiedergli 10 mila franchi in prestito. Napoleone III vuole ora si stampi quella lettera per punire il Berryer dell’arringa con cui ha ora difeso il conte di Montalembert. Prometto al conte di Cavour di fare in modo che l’Opinione appaghi il desiderio dell’imperatore” (GM).

cavour statista rivoluzionario

Nel 1859 Cavour, nemico giurato della rivoluzione, aveva tentato senza molto successo di dare l’avvio a rivoluzioni mazziniane in Lombardia e nell’Italia centrale; e lo stesso aveva fatto, sempre senza successo, l’anno dopo in Sicilia, a Napoli e negli stati del papa. Alla fine del 1860 si spinse più in là e impegnò le risorse dello Stato nel sollecitare un’altra serie di rivoluzioni in tutta l’Europa orientale. Parlava del desiderio di rendere le “razze latine” dominatrici del Mediterraneo; voleva “un moto insurrezionale che dal litorale dalmata ed illirico si estendesse sino alle rive del Baltico”, col dichiarato proposito di sfruttare quei moti in un’altra guerra contro l’Austria; una guerra che, abbastanza significativamente, diceva necessaria “per motivi di ordine interno”, cioè per rinsaldare negli italiani il senso della patria. Con parole che sembravano prese da Mazzini, il primo ministro illustrava ora la sua intenzione di creare nazionalità autonome in tutti i Balcani, aiutando i greci a prendere Costantinopoli e dando vita a una Ungheria indipendente. Quel progetto così ambizioso finì in un altro fallimento, benché Cavour fosse favorito dal fatto di potersi servire dei suoi ambasciatori e dei suoi consoli nei paesi balcanici per contrabbandare in quelle zone armi e denaro. Fra l’altro salpò segretamente da Genova una flottiglia di navi con carichi di armi, compresi pezzi di artiglieria pesante, il tutto registrato nelle polizze di carico come caffè. La flottiglia fu seguita sin dal primo momento dalla flotta austriaca e poi confiscata dai turchi. Cavour inoltrò una protesta formale per questa confisca, affermando che il contrabbando di armi avrebbe incontrato sempre la sua ferma opposizione; ma dalle scritte apposte sulle casse confiscate appariva chiaramente che esse provenivano dal Regio Arsenale di Torino. Il personale dell’ambasciata di Costantinopoli tentò affannosamente di ricoprire quelle scritte di vernice; ma era troppo tardi. Un diplomatico piemontese commentò: “Giammai cospirazione fu fatta con tanta innocenza battesimale”. Ma Cavour fece presto a trovare il modo di sfruttare quel fallimento per compromettere un concorrente, e tentò di convincere gli inglesi che quelle armi dovevano essere state inviate da Garibaldi. Tentò anche di deviare i sospetti su Mazzini, e inventò una storia fantastica secondo la quale quest’ultimo stava mandando a Roma sicari travestiti da contadini per provocare il crollo del regime papale (MZ).

opinione in francia sul piemonte

Se la nostra critica ai personaggi di quegli avvenimenti è agevolata dalla distanza temporale, dobbiamo riportare anche le opinioni contemporanee, per stabilire se la nostra è critica storica originale oppure condivisa. “Quand on est conduit comme à Turin par des enfants qui crient fort pour montrer qu’ils sont des hommes…”. “Quando si è guidati, come a Torino – esclamava alla Camera dei Deputati francese, Adolphe Thiers, ministro degli esteri di Luigi Filippo, a proposito delle intenzioni bellicose del Piemonte – da bambini che gridano forte per dimostrare che sono uomini. Quando si pronuncia la parola guerra bisogna chiedersi: siamo in grado di farla?” (MC).

le ultime parole del benso di cavour morente

Alle nove di sera del 5 giugno 1861 il re visita Cavour morente. Cavour gli dice tra l’altro: “E i nostri poveri napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli”. Cavour, nell’estremo delirio, pronunzia disordinatamente [o forse, meglio, gli attribuirono giornalisti interessati a propalare quella che doveva diventare una verità accertata] frasi come queste: “L’Italia del settentrione è fatta: non vi sono né lombardi, né piemontesi, né toscani, né romagnoli, noi siamo tutti italiani: ma vi sono ancora i napoletani. Oh, vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati! È quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può più essere restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educare l’infanzia e la gioventù, crear sale d’asilo, collegi militari, ma non si pensi di cambiare i napoletani con l’ingiuriarli. Essi mi domandano impieghi, croci, promozioni: bisogna che lavorino, che siano onesti, e io darò loro croci, promozioni, decorazioni: ma soprattutto non lasciargliene passar una: l’impiegato non deve nemmeno essere sospettato. Niente stato d’assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son buoni di governare con lo stadio d’assedio. Io li governerò con la libertà. In venti anni saranno le province più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio” (FD).

VAI I PARTE

BIBLIOGRAFIA

AF – Angelo FILIPPUZZI – La pace di Milano Edizioni dell’Ateneo – Roma, 1955

AL – Alessandro LUZIO – Aspromonte e Mentana Documenti inediti – Felice Le Monnier – Firenze, 1935

AM – Aldo Alessandro MOLA – Storia della Massoneria italiana dall’Unità alla Repubblica – Bompiani – Milano, 1976

C4 – Giorgio CANDELORO – Storia dell’Italia moderna Volume IV Dalla rivoluzione nazionale all’unità Feltrinelli – Milano, 1964

DB – Domenico BERTI – Scritti vari L. Roux & C. Editori – Torino Roma, 1892

DM – Carmine DE MARCO – Unità d’Italia: la conquista, l’asservimento, la colonizzazione, lo sfruttamento ed il finto risarcimento. Grafico per grafico Non pubblicato – Napoli, 1979

FD – Francesco D’ASCOLI – La storia di Napoli giorno per giorno dal 7.9.1860 al 24.5.1915 – Luigi Regina – Napoli, 1972

FH – Franz HERRE – Napoleone III Mondadori – Milano, 1994

GM – Giuseppe MASSARI – Diario 1858-60 sull’azione politica di Cavour – Cappelli – Bologna, 1931

GS – I giorni della storia d’Italia dal risorgimento ad oggi De Agostini – Novara, 1997

MC – Mario COSTA CARDOL – Venga a Napoli, signor conte Mursia – Milano, 1986

MZ – Denis MACK SMITH – Mazzini RCS Rizzoli Libri – Milano, 1993

PA – Alan PALMER – Francesco Giuseppe Mondadori – Milano, 1997

RM – Roberto MARTUCCI – L’invenzione dell’Italia unita Sansoni – Milano, 1999

R1 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1810-1842) Laterza – Bari, 1977

R2 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1842 – 1854) Laterza – Bari, 1984

R3 – Rosario ROMEO – Cavour e il suo tempo (1854 – 1861) Laterza – Bari, 1984

SG – Salvator GOTTA – Ottocento Mondadori – Milano, 1949

SM – Francesco S. MERLINO – Questa è l’Italia – Parigi, 1890 Cooperativa del libro popolare – Milano, 1953 M&B Publishing 1996

UT – Dizionario enciclopedico UTET – Torino

VE – Denis MACK SMITH – Vittorio Emanuele II Laterza – Bari, 1972

VF – Vittorio FIORINI (a cura) – Gli scritti di CarloAlberto sul moto piemontese del 1821 Società editrice Dante Alighieri – Roma,1900 id

fonte

 http://www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Cavour02.htm

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PISACANE ED I 300-UN INGANNO STORICO-LETTERARIO- ( MA QUALE TRICOLORE) II PARTE

Posted by on Dic 10, 2018

PISACANE ED I 300-UN INGANNO STORICO-LETTERARIO- ( MA QUALE TRICOLORE) II PARTE

Nella iconografiamistificatrice risorgimentale, l’audace napoletano disertore per amore, viene rappresentato come unmartire del risorgimento,aggrappato alla bandiera tricolore. Come, sempre il tricolore , sventolava – a detta del Mercantini – sulla nave con cui Pisacaneapprodò a PONZA.


NON E’ VERO NULLA !!!
Pisacane era un socialista anarchico seguace del socialista francese PROUDHON. Era di quelli che dell’Unità d’Italia , di Cavour e di Vittorio Emanuele se ne fregava altamente. Il suo obiettivo non era riunificare la penisola sotto questo o quel monarca. Il suo scopo, invece, era di creare uno Stato federale (federalismo dei comuni) con il superamento delle classi sociali. Un comunista ante litteram, insomma. E per realizzare questo sogno bisognava far prendere coscienza la ” classe contadina” ,insieme alla quale fare la rivoluzione. Questa era la sua missione : sobillare le masse contadine e con queste combattere e sovvertire i regimi monarchici per creare uno Stato socialista. Ed è questo che tentò di fare sia a Ponza che a Sapri. I suoi proclami, in questi due luoghi , furono rivolti ai contadini. Nessuno li ascoltò e finì come sappiamo. MA PERCHE’ INCOMINCIO’ DAL REGNO DELLE DUESICILIE ? Perchè Mazzini, che non ne aveva mai azzeccata una, lo convinse che qui il popolo era pronto ad abbracciare la croce della rivoluzione. Lui, indomito com’era, partì speranzoso con altri 25 mazziniani ,non immaginando che il popolo ,invece di abbracciare la rivoluzione, avrebbe imbroccato roncolee zappe per cacciarlo dalle proprie terre.
QUESTO GLI STORICI LO SANNO.MA NON LO DICONO . Hanno messo, invece, il cappello sulla sua impresa iscrivendolo d’ufficio alla causa unitaria e antiborbonica,sfruttandolo come icona di un risorgimento che,in realtà, Pisacane ,non volevae per il quale non si sarebbe mai immolato! Così per secoli hanno ingannato noie vilipeso lo stesso Pisacane travisando il senso del suo sacrificio. Ed iltricolore non lo sventolava nemmeno la nave “Cagliari” con la qualeapprodò il 27 giugno del 1857 nel porto di Ponza.Solo Mercantini ( bravo siacome lirico che come falsario storico) se lo poteva inventare..” ERA UNABARCA CHE ANDAVA A VAPORE E ALZAVA UNA BANDIERA TRICOLORE..”. Pisacane,peringannare la guarnigione borbonica usò uno stratagemma. Giunto nel porto issòla BANDIERA ROSSA. Nel gergo marinaro la nave che batte tale vessillo indicaun’avaria a bordo.Subito partì dalla capitaneria borbonica una pilotina perprestare aiuto. Saliti a bordo i militari ponzesi furono presi prigionieri. Conla stessa pilotina Pisacane, insieme a Nicotera e Falcone, suoi più stretticollaboratori, scese ed intimò ai pochi della guarnigione di arrendersi, penala morte dei loro compagni prigionieri sulla nave. I borbonici si arresero persalvare i loro commilitoni e, Pisacane ,insieme ai compagni di ventura,si recònella piazza centrale di Ponza per leggere il suo proclama al popolo.Non sipresentò nessuno. I ponzesi ,impauriti, si barricarono nelle proprie case. ERAPARTITA LA RIVOLUZIONE MA NESSUNO SE NE FREGAVA UN TUBO!

( fine II parte)

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CARLO PISACANE

Posted by on Dic 6, 2018

CARLO PISACANE

Prima di approfondire lo sbarco di SAPRI ( che poi Sapri non fu , ma VIBONATI, un paese a pochi chilometri da Sapri dove sulla di cui spiaggia vi è una lapide commemorativa posta dall’amministrazione il 22 ottobre 2016), è opportuno sintetizzare una scheda sul personaggio.

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CENNI SUL BRIGANTAGGIO RICORDI DI UN ANTICO BERSAGLIERE

Posted by on Dic 3, 2018

CENNI SUL BRIGANTAGGIO  RICORDI DI UN ANTICO BERSAGLIERE

Al Lettore, Nel pubblicare questo piccolo mio lavoro non ho avuto altro scopo tranne quello di ricordare in qualche modo alla giovine generazione quei giorni funesti e pericolosi attraversati dall’Italia, quando ad un tempo, guerreggiando contro lo straniero e rovesciando troni, al grido dì Vittorio Emanuele Re d’Italia agognava all’unificazione della Patria. Senza note, ho scritto ciò che è rimasto più impresso nella mia mente, per cui spero essere perdonato se dopo tanti anni fossi incorso in qualche errore di cronologia, ed avessi errato talvolta nell’apprezzare le cose accadute. Giudichi benignamente il Lettore l’opera mia e riponga nella memoria quegli aneddoti, che per quanto interessanti ed istruttivi, la storia troppo spesso trascura. Se questo riuscirò ad ottenere sarà largo compenso alla per me non poca fatica.

L’Autore.

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