Alta Terra di Lavoro

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Il Regno Unito riconosce l’indipendenza a Napoli e alla Sicilia: THANK YOU!!!

Posted by on Nov 13, 2019

Il Regno Unito riconosce l’indipendenza a Napoli e alla Sicilia: THANK YOU!!!

Finalmente un po’ di verità. In UK, dove conoscono benissimo la storia dell’unificazione italiana, i SICILIANI e i NAPOLETANI sono popoli a sé rispetto agli Italiani. E lo scrivono nei questionari ufficiali. Un riconoscimento alla nostra identità e alla nostra storia: VERY VERY COOL!!!


Non c’è niente da dire: il Regno Unito è sempre avanti anni luce rispetto all’Italia.
 Sotto tutti i punti di vista, anche dal punto di vista culturale. E, lo dimostra, ancora una volta, riconoscendo una verità storica e fattuale: i Napoletani e i Siciliani non possono essere inseriti nella categoria generica ‘Italiani’. Perché, in effetti, italiani lo sono SOLO per una forzatura contro la quale in tantissimi stanno lottando da tempo. I Napoletani e i Siciliani sono Napoletani e Siciliani, lo sono stati per tanti secoli, e la voglia di tornare ad esserlo cresce di giorno in giorno.

Il Regno Unito, al quale siamo grati per questo, riconosce, prima fra tutte, la nostra Indipendenza.

Succede, esattamente nel Galles dove il ‘Dipartimento dell’educazione’, in diverso istituti scolastici, in un questionario che chiede di specificare l’etnia degli aspiranti studenti distingue tra Italian (any other) Italian Napoletan e Italian Sicilian. Succede, secondo quanto leggiamo su un quotidiano, anche in altri istituti sparsi qua e là nel United Kingdom. 


Una tripartizione perfetta,
 se non per il fatto che, probabilmente, pure i Sardi vorrebbero una loro categoria distinta, e speriamo che gli inglesi provvedano presto a ossequiare la Sardegna con questo riconoscimento. E, magari pure i Veneti lo vorrebbero.

Provvederemo ad inviare una lettera di ringraziamento alle autorità inglesi in cui suggeriremo anche queste due regioni.

Intanto, l’evento resta straordinario. Che si siano pentiti di avere sponsorizzato la spedizione dei Mille dei piemontesi che ha ridotto le nostre regioni a colonia, ma che non è riuscita a seppellire l’identità dei Napoletani e dei Siciliani o che, semplicemente, proprio perché conoscono la nostra storia, hanno messo nero su bianco la verità, poco importa. Un grandissimo THANK YOU da parte nostra.

A rovinare la festa ci pensa l’ ambasciatore Pasquale Terracciano che ha spedito al Foreign Office una «nota verbale» per sollevare il caso con la solita indignazione sganciata dalla storia, quella vera.


Speriamo che non lo ascoltino.
 I giornaloni, va da sé, stanno parlando di ignoranza, razzismo e chi più ne ha più ne metta. In realtà i veri razzisti sono loro che continuano in tutti i modi a mortificare le nostre identità, la nostra storia e le nostre aspirazioni, preferendoci nello stato di coloni da spolpare.

E’ inutile ricordare agli inglesi che l’Italia è stata unificata: loro c’erano, eccome. E, proprio per questo, sanno che si è trattata di una unificazione farlocca, imposta con la violenza e mai digerita.

W il Regno Unito! W Napoli! W la Sicilia!


fonte https://www.inuovivespri.it/2016/10/12/il-regno-unito-riconosce-lindipendenza-a-napoli-e-alla-sicilia-thank-you/?fbclid=IwAR33-U7UxciQ19cW8XumYlSV_iP5gpXwrnp_bEeLnVoZ-hyIrJ–GPObDyE

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CASSA SACRA di FRANCESCO CEFALI

Posted by on Nov 2, 2019

CASSA SACRA di FRANCESCO CEFALI

Il 5 febbraio del 1783, alle ore 12.45, un rovinoso terremoto (gradi 11,00 della scala Mercalli- Cancani – Sieberg, corrispondenti a gradi 7,00 della scala Richter) con epicentro la Piana di Gioia Tauro sconvolse la Calabria Ulteriore causando la distruzione di molti centri abitati e la morte di 29451 persone (1041 uomini, 10829 donne, 8265 ragazzi, 204 religiosi e 112 religiose), oltre i quasi 1000 del messinese.

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Breve sintesi storica e situazione sociale ed economica delle Due Sicilie

Posted by on Ott 21, 2019

Breve sintesi storica e situazione sociale ed economica delle Due Sicilie

Nel 1130, notte di Natale, con una fastosa cerimonia Re Ruggero II sancì a Palermo la nascita del Regno di Sicilia. Tutto il Sud fu unificato come nazione indipendente con capitale Palermo. Quel 25dicembre è una data simbolica: Ruggero II si presentava come il redentore di tutte le popolazioni del Sud della penisola dagli Arabi, dai Bizantini e dai Longobardi e nello stesso tempo annunciava al mondo la nascita di un regno cristiano. Questa unità durò più di 700 anni fino al 1860, quando, a causa dell’invasione piemontese, le popolazioni duosiciliane perdettero la propria identità nazionale con la forzata unione con gli altri popoli della penisola. Il governo normanno durò fino al 1194. Poi vi fu quello degli Svevi, il cui più illustre rappresentante fu Federico II. Con l’avvento degli Angioini nel 1266 la capitale del Regno di Sicilia fu portata a Napoli. A seguito dei “vespri siciliani” del 1282 la Sicilia fu occupata dagli Aragonesi e divenne Regno di Trinacria. Nel 1443 gli Angioini dovettero cedere agli Aragonesi anche la parte continentale del Regno: le Due Sicilie furono riunite con Alfonso il Magnanimo (Regnum utriusque Siciliae). Nel 1503 il Regno fu incorporato dalla Spagna, come vicereame autonomo; così come avvenne nel breve periodo austriaco, che va dal 1707 al 1734, anno in cui tutta la Nazione diventò nuovamente indipendente con i Borbone. In questa breve sintesi tralasceremo i pur importanti avvenimenti del periodo relativo ai primi Borbone: Carlo, Ferdinando I e Francesco I. Ricordiamo comunque che nel 1815 Ferdinando I unificò il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia in un unico stato che fu chiamato Regno delle Due Sicilie. Fondamentali per la vera ricostruzione storica dell’unità d’Italia sono il periodo di regno di Ferdinando II, e quello del giovane Francesco II. Sui Borbone sono stati raccontati moltissimi aneddoti, per lo più tendenti solo a denigrarli allo scopo di ingannare l’opinione pubblica e di giustificare l’aggressione al Regno delle Due Sicilie. Indubbiamente la nazione duosiciliana, contrariamente a quello che ancora oggi si continua a leggere nei libri di storia, acquistata nuovamente la sua indipendenza, ebbe con i Borbone il suo periodo più splendido e più significativo. Eppure la storia è stata a tal punto mistificata che ancora oggi “borbonico” è sinonimo di inefficienza e di retrivo. Molti scrittori, inoltre, hanno raffigurato la situazione dei Territori Duosiciliani “dopo” che vi era stata la devastazione piemontese, attribuendo all’amministrazione borbonica le pessime condizioni sociali ed economiche in cui erano state ridotte le Due Sicilie a causa dell’aggressione savoiarda. Il fatto più spregevole è che tali menzogne, pervicacemente avallate da uno Stato che si definisce “italiano”, cioè di tutti i popoli della penisola, sono insegnate come storia ufficiale ai nostri figli, i quali si formano in un culto che, non solo non è il nostro, ma che è stato creato proprio contro di noi Duosiciliani. Ma la storia, come si vedrà in seguito, è soprattutto narrazione di avvenimenti, che nella loro materiale concretezza non possono essere più di tanto mistificati o nascosti.

Il Reame aveva praticamente due amministrazioni: quella delle province napoletane che comprendeva tutte le regioni continentali dagli Abruzzi alle Calabrie e quella siciliana. Nel 1860 la popolazione del Regno delle Due Sicilie era poco più di 9 milioni di abitanti. Il Regno in quell’anno poteva sicuramente essere considerato in campo economico al primo posto in Italia ed al terzo in Europa. La moneta circolante nelle Due Sicilie era pari a 443,2 milioni di lire, risultante oltre il doppio di tutte le altre monete circolanti nella penisola italiana. Per fare un paragone si può considerare che il Piemonte possedeva solo 20 milioni di lire. Questo era stato il risultato di previdenti leggi che avevano regolato le importazioni e le esportazioni proprio con lo scopo di favorire la nascita dell’industria, dosando opportunamente i dazi doganali e le misure fiscali. Infatti già dal 1818 l’industria tessile (seta, cotone e lana) e quella metalmeccanica erano i due principali settori trainanti dell’economia duosiciliana, tanto che molti stranieri trovarono conveniente investire nel Regno. La politica industriale era stata insomma lungimirante e coerente, anticipando di un secolo in Italia la formula dell’iniziativa pubblica nell’industria senza peraltro privilegiare le industrie statali che erano sempre in concorrenza con le private. Lo sviluppo industriale del Regno delle Due Sicilie, cioè il trasferimento di risorse dal settore agricolo al settore industriale; non avvenne infatti per opera di privati come negli altri Stati (grossi proprietari terrieri, come in Inghilterra, o Banche, come in Germania), ma per diretto intervento dello Stato, che tuttavia venne anche coadiuvato da imprenditori privati con capitali agrari, commerciali, bancari e di paesi esteri. Per quanto riguarda il territorio continentale, nel 1860 gli addetti alle grandi industrie erano 210.000 in quasi 5.000 opifici e costituivano circa il 7% della popolazione attiva. Il capitale investito nella sola industria si può valutare intorno ai cento milioni di ducati (1 ducato: 4,25 lire dell’epoca) e dava utili che raggiungevano in molti casi il 15 o 20%, con una media di circa l’8%. Il reddito pro-capite era pressochè uguale a quello medio italiano, per un totale complessivo di 275 milioni di ducati all’anno. Per quanto riguarda la vita economica bisogna dire che i prezzi erano estremamente stabili ed il Governo era sempre attento a garantire sia un’attività produttiva redditizia sia paghe adeguate al contesto socioeconomico. Rarissime erano le emigrazioni, poichè la disoccupazione era molto limitata. Il settore agricolo, aumentata del 120% la sua produttività negli ultimi 40 anni, dava una eccedenza di risorse alimentari che erano così disponibili sia per la manodopera dell’industria sia per l’aumento della popolazione. A proposito di agricoltura è necessario dire che è una favola quello di un Sud latifondista con i Borbone. I latifondi al Sud si formarono con la venuta dei Piemontesi, che svendettero ai loro collaborazionisti tutte le terre demaniali rapinate ai contadini che ne avevano l’uso civico da centinaia di anni. Il Regno, in quegli anni, aveva dunque una forte economia, con una stabile e solida moneta, ma non aveva un forte esercito. Lo Stato delle Due Sicilie, infatti, non aveva mai avuto mire espansionistiche per cui le cure per l’Armata erano per lo più indirizzate so1o al suo mantenimento, con pochissimo addestramento di guerra. Anche perchè, a causa delle continue sommosse carbonare, le forze armate erano state spesso impiegate per l’ordine interno e venivano distolte dal necessario addestramento. Le forze veramente operative e seriamente addestrate erano costituite da tre reggimenti svizzeri, che però proprio nel 1860 furono sciolti. Ottima era invece la flotta navale militare, senza dubbio la prima in Italia e la terza in Europa. La Marina Mercantile duosiciliana, la seconda in Europa con oltre 9.800 bastimenti, aveva avuto un forte sviluppoperchè aveva dovuto soddisfare le crescenti esigenze dei trasporti commerciali, che dai registri doganali dell’epoca erano valutati per circa 500.000.000 di ducati tra import ed export. Nel Regno esistevano allora circa quaranta cantieri navali di una certa rilevanza. L’amministrazione dello Stato, dopo i malanni apportati dall’occupazione francese (nel periodo dal 1799 al 1815), era in via di evoluzione, ma in sostanza era efficiente e funzionale. La giustizia era proprio borbonica, cioè era la migliore in assoluto in Italia, ed i suoi codici erano di riferimento per tutta la legislazione della penisola italiana e anche d’Europa. In questo quadro è necessario anche illustrare, sia pure brevemente, la situazione delle varie regioni, iniziando con la CALABRIA, che è veramente un esempio emblematico. Prima dell’unità d’Italia era la più ricca regione della penisola italiana, ora è la più povera d’Europa. In Calabria l’industrializzazione iniziò con lo sfruttamento delle miniere di ferro e di grafite che vi erano state rinvenute. Per questo tu fondato il Real Stabilimento di Mongiana, dove su un’area coperta di 12.000 metri quadri furono costituiti una fonderia e un grandioso stabilimento siderurgico, potenziato con due altiforni per la ghisa, due forni Wilkinson e sei raffmerie. Accanto vi era anche una fabbrica d’armi su un’area coperta di circa 4.000 metri quadri. La produzione della ghisa e del ferro era di eccellente qualità e da essi si ricavavano trafilati, laminati e acciai da cementazione. Alla fine del Regno la Calabria era, insomma, fortemente industrializzata e negli stabilimenti di Mongiana, di Pazzano, di Fuscaldo, di Cardinale e di Bigonci vi lavoravano circa 2.500 operai, numero veramente notevole per quell’epoca. Altre attività importanti in Calabria, per antica tradizione, oltre alla produzione agricola, erano quelle tessili, in cui primeggiava la produzione della seta, gli arsenali ed i numerosi cantieri navali. I calabresi impiegati nelle industrie importanti erano allora poco più di 31.000. Nelle PUGLIEed in BASILICATA vi erano importantissimi opifici di lana, di cotone e di lino, la cui produzione veniva esportata in tutto il mondo. Vi erano anche centinaia di filande di cui molte motorizzate. Famose anche le fabbriche di presse olearie e di macchine agricole di Foggia e di Bari. Non meno importanti erano le aziende agricole e chimiche, le numerosissime flottiglie per la pesca ed i cantieri navali. A Barletta vi era un’efficientissima salina che riforniva tutta l’Europa. Centro di riferimento, per tutto il Regno, era l’attivissima Borsa di Commercio di Bari. Negli ABRUZZI enel MOLISE era eccellente e notissima la produzione di utensili, di lame di acciaio, rasoi e forbici. Vi erano anche molti opifici tessili e per la produzione della carta. Notevoli, infine, erano gli a1levamenti bovini e caprini. La CAMPANIAdel 1860 era la regione più industrializzata d’Europa, particolarmente l’area napoletana, lungo l’asse Caserta – Salerno. In essa vi erano sia il grandioso Opificio di Pietrarsa dove si producevano motori a vapore, locomotive, carrozze ferroviarie e binari, sia i famosi cantieri navali tra i migliori d’Europa, fabbriche d’armi e di utensileria, aziende chimiche – farmaceutiche e per la produzione della carta, del vetro, concia e pelli, alimentari, ceramiche e materiali per edilizia. Prestigiosa era la produzione della seta di S. Leucio. Numerose anche le fabbriche di strumenti tecnici, orologi, bilance, e insomma tutta una miriade di fabbriche minori, nei più svariati campi di attività, diffuse geograficamente in tutto il territorio. In SICILIA, infine, il reddito si basava, oltre che sulla pesca e sui cantieri navali, sull’esportazione di zolfo, olio d’oliva, agrumi, sale marino e vino. Le principali correnti di traffico erano dirette verso l’Inghilterra (40%), verso gli Stati Uniti (con un terzo della produzione di agrumi) e verso gli altri paesi europei. La Sicilia per questi suoi commerci aveva costantemente un saldo attivo.

fonte http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/RegnoDueSicilie/Storia%20Regno%20DueSicilie.htm#sintesi

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1130 Regno di Sicilia primo Parlamento

Posted by on Ott 17, 2019

1130 Regno di Sicilia primo Parlamento

Il Parlamento Siciliano viene considerato uno dei più antichi del mondo assieme a quello dell’Isola di Man, islandese e faroese, i quali però non avevano poteri deliberativi, circostanza che rende il Parlamento siciliano il primo in senso moderno, nel 1097 ci fu la prima assise a Mazara del Vallo convocata dal Gran Conte Ruggero I di Sicilia, di un parlamento inizialmente itinerante. Il parlamento siciliano era costituito da tre rami “feudale”, “ecclesiastico” e “demaniale”.
Il ramo feudale era costituito dai nobili rappresentanti di contee e baronie, il ramo ecclesiastico era formato da arcivescovi, vescovi, abati e archimandriti, mentre il ramo demaniale era costituito dai rappresentanti delle 42 città demaniali della Sicilia.

Il primo parlamento normanno non era deliberativo, ed aveva solamente una funzione consultiva e di ratifica dell’attività del sovrano, specialmente nella tassazione, nell’economia e nella gestione dei rapporti con le potenze straniere. I deputati erano scelti fra i nobili più potenti.
Fu nel 1130 con la convocazione delle Curiae generales da parte di Ruggero II a Palermo, nel Palazzo dei Normanni con la proclamazione del Regno di Sicilia che si può parlare di primo parlamento in senso moderno.
Primo cambiamento radicale si ebbe con Federico II di Svevia, che permise l’accesso parziale anche alla società civile.
Il parlamento costituzionalmente aveva il compito di eleggere il re e di svolgere anche la funzione di organo garante del corretto svolgimento della giustizia ordinaria esercitata da giustizieri, giudici, notai e dagli altri ufficiali del regno.
Nel 1410 il parlamento siciliano tenne al palazzo Corvaja di Taormina, alla presenza della regina Bianca di Navarra, una storica seduta per l’elezione del re di Sicilia in seguito alla morte di Martino II e nel 1446 ancora a Castello Ursino una seduta con Alfonso V d’Aragona, e sedute ovunque convenisse il re.

Con i successivi sovrani aragonesi la Sicilia perse la sua autonomia politica e un viceré governò l’isola, affiancato da un presidente del Regno, che presedeva le sedute del parlamento.
Fu Carlo V nel 1532 a convocare di nuovo il parlamento a Palermo nella “sala gialla” di Palazzo Reale, che continuò a riunirsi anche sotto Filippo II, conservando una sua autorevolezza nei confronti del viceré, che risiedeva anch’esso al palazzo Reale di Palermo.
Nel 1637 il Presidente del Regno Luigi Moncada, Duca di Montalto, fece affrescare da artisti come Giuseppe Costantino, Pietro Novelli e Gerardo Astorino, la sala Duca di Montalto, antico deposito delle munizioni, trasformandolo in sala delle udienze estive del Parlamento
A Palermo, il 19 luglio 1812, il Parlamento siciliano, riunito in seduta straordinaria, promulgò la costituzione siciliana del 1812, decretò l’abolizione della feudalità in Sicilia ed approvò una radicale riforma degli apparati statali. La Costituzione prevedeva un parlamento bicamerale, formato da una Camera dei Comuni, composta da rappresentanti del popolo, con carica elettiva, e una Camera dei Pari, costituita da ecclesiastici, militari ed aristocratici con carica vitalizia e di nomina regia. Le due camere, convocate dal sovrano almeno una volta l’anno, detenevano il potere legislativo, ma il re deteneva potere di veto sulle leggi del parlamento. Il potere esecutivo era affidato al sovrano; mentre il potere giudiziario era detenuto da giudici formalmente indipendenti, ma, in realtà, sottoposti alle decisioni della corona.
Con il trattato di Vienna del 1815 Ferdinando IV tornò a Napoli, abrogando di fatto la costituzione e nel dicembre 1816 riunì i due regni, anche formalmente, nel regno delle Due Sicilie, proclamandosi Ferdinando I delle Due Sicilie, sopprimendo così di fatto costituzione e parlamento siciliano. Con i Borboni la Sicilia così si ritrovò governata da Napoli e l’istituzione del parlamento riebbe con i moti del giugno 1820 quando fu riaperto il parlamento, ripristinata la costituzione siciliana del 1812 e venne proclamato un governo che durò pochi mesi, fino a quando fu inviato dal neo parlamento napoletano un esercito che riconquistò l’isola.
Fu soprattutto nella rivoluzione del 1848, che riacquistò la sua centralità. A Palermo infatti, il 25 marzo dello stesso anno, si riuniva il “Parlamento generale di Sicilia” nella chiesa di San Domenico, con un governo rivoluzionario composto da un presidente ed i ministri eleggibili dallo stesso presidente. Vincenzo Fardella di Torrearsa fu eletto presidente del parlamento e Ruggero Settimo capo del governo. Si dichiarò decaduta la dinastia borbonica, proclamato il Regno di Sicilia come monarchia costituzionale, e si offrì il trono vacante di Sicilia al Duca di Genova Alberto Amedeo di Savoia, figlio secondogenito di Carlo Alberto di Savoia, che non accettò. Il 10 luglio il parlamento decretò una nuova costituzione, sopprimendo anche la Camera dei Pari del Regno di Sicilia.
La vita del Parlamento del 1848-49 durò 15 mesi, mentre con il cosiddetto “decreto di Gaeta” del 28 febbraio 1849 Ferdinando II di Borbone iniziò a riprendere possesso della Sicilia, e l’assise si sciolse il 14 maggio 1849. La ricostituzione del Parlamento Siciliano si ebbe con la fine del secondo conflitto mondiale, quando, per soffocare la forte espansione dell’Indipendentismo Siciliano sul territorio, fu insediata nel febbraio 1945 la Consulta regionale siciliana che elaborò uno statuto speciale, promulgato dal Re Umberto II con R.D. del 15 maggio 1946 che accetto lo Statuto Siciliano.
Rinacque così, dopo le elezioni regionali del 30 aprile 1947, il 25 maggio 1947, un Parlamento Siciliano declassato come “Assemblea Regionale Siciliana” ma che ci poneva e ci pone come forma giuridica uno Stato Federato allo Stato centrale italiano.

Patrizia Stabile

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La confisca nel regno di Napoli dal 1806 al 1825

Posted by on Ott 11, 2019

La confisca nel regno di Napoli dal 1806 al 1825

Il saggio getta luce sul complesso sistema giudiziario di età giuseppina (1806-1808), murattiana (1809-1814) e ferdinandea (1815-1825),un sistema imperniato sul doppio binario di due giustizie opposte fra di loro per principi ispiratori : la prima ordinaria e formale, garantista e illuminata per i « galantuomini ».

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Porta Napoli in onore dell’Imperatore Carlo V, la porta che collegava Lecce con Napoli nel 1548

Posted by on Ott 6, 2019

Porta Napoli in onore dell’Imperatore Carlo V, la porta che collegava Lecce con Napoli nel 1548

… per chi intraprendeva la via consolare che conduceva a Napoli, la capitale del regno.

Un  luogo simbolo del capoluogo salentino è l’Arco di Trionfo di Lecce, meglio conosciuto come Porta Napoli. Situato nella omonima Piazzetta Arco di Trionfo, nel centro di Lecce, è un imponente monumento storico eretto nel 1548 su progetto dell’architetto Giovan Giacomo dell’Acaya e su decisione del marchese Trevico Ferrante Loffredo. Quest’ultimo fu sovrintendente alle fortificazioni del Regno, preside della provincia Terra d’Otranto e castellano nella città di Lecce in cui fece ricostruire la cinta muraria; l’opera fu realizzata in onore dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo (imperatore del Sacro Romano Impero), per le strutture fortificate in difesa della cittadinanza che l’imperatore aveva realizzato precedentemente; infatti anche quest’arco rientra nell’intero progetto di ricostruzione delle mura urbane per difendere la città dalle incursioni Turche. In quel periodo la città di Lecce era circondata dalle “mura della città” e questa era una delle sue porte.
Fu costruita nel punto dove precedentemente c’era la Porta dedicata a san Giusto, che fu demolita. Oltre ad essere l’antico accesso alla città “vecchia”, è comunemente detta Porta Napoli in quanto indicava anche la porta dalla quale uscire dalla città per intraprendere la via consolare che conduceva a Napoli, che era la capitale del regno.
La struttura dell’arco, interamente in pietra leccese, è alta 20 metri, ha un timpano triangolare, sorretto da due colonne per lato con capitelli compositi in stile corinzio, che sorreggono un timpano triangolare a tutto sesto che contiene lo stemma imperiale asburgico, l’aquila bicipite, la corona, alcune armi militari e le colonne d’Ercole. Immediatamente sotto vi è un’epigrafe in suo onore dove si elogiano le gesta dell’Imperatore Carlo V.

Sulla lapide Carlo V viene ricordato come sterminatore dei Turchi in Terra d’Otranto. Infatti nel 1480, nei possedimenti in Terra d’Otranto di Carlo V si era verificata la sanguinosa battaglia contro le incursioni Turche e l’imperatore fornì un grande aiuto militare.

Nell’epigrafe è scritto :

IMP . CAESARI CAROLO V TRIVMPHATORI SEMPER AVC PRIMO INDICO SECUNDO GALLICO THPCIO APHRICANO CHRISTIANO

RVM PEBELLANTIVM DOMITORIT VRCARVM PAVORI FVGATORIO REIP CHRISTIANAE TOTOORBE FACTIS CONSILUSCO

AMPLIHCATORI APCVMEX AVCTORITATE FERDINANDI LOPPREDI TVRCIS AC CAETERIS CAROLI HOSTEUS OMNI SALENTINO

…VM IAPYGVMO LITTORE PROPVLSANDIS PRAEHCTI OR. P. Q. LITIENSIS DEVOTVS NVMINI MAIESTATIO EIVS DEDICAVIT

M. D. XLVIII

Traduzione dell’epigrafe: 

“All’Imperatore Cesare Carlo V, augusto trionfatore, nelle Indie, nelle Gallie ed in Africa; soggiogatore dei cristiani ribelli, spavento e sterminio dei Turchi; propagatore della religione cristiana in tutto il mondo con le opere e con i consigli; essendo al governo di questa provincia Ferrante Loffredo, che seppe tener lontani da i lidi del Salento e della Japigia i Turchi ed i nemici dell’impero; l’Università ed il popolo leccese riconoscente dedicò quest’arco alla grandezza e maestà di Lui, l’anno 1548.”

Lecce, Porta Napoli, cartolina viaggiata particolare con carro e cavalli

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