Nel basso medioevo il mondo era cattolicocentrico, per quanto riguarda l’Europa, quindi tutto quello che si muoveva e che nasceva doveva avere l’assenso e la benedizione del sommo Pontefice. Tutti i grandi condottieri, conquistatori e cavalieri pur avendo a disposizione eserciti numerosi e agguerriti che potevano spazzar via senza troppa fatica lo stato Papalino, il più antico d’Europa e nato per donazione da parte del Re Franco Pipino padre di Carlo Magno, cercavano sempre la legittimazione divina attraverso il Papa che con l’arma della scomunica, la più potente dell’epoca, riusciva ad avere un ruolo da protagonista nella geopolitica fin quasi ai giorni nostri.
Come si evince dall’immagine, il Siniscalco era ai piedi del sovrano mentre il più alto dignitario, il Conestabile, sedeva al primo posto alla destra del re, seguiva il Gran Giustiziere, primo posto alla sinistra, poi il Grande Ammiraglio al secondo posto alla destra del sovrano, e così via alternativamente.
1)- IL GRAN CONESTABILE:
gerarchicamente, è il primo dei sette Uffici; definito dal Pontano “Gran
Maestro della Milizia”, da Scipione Ammirato: “Prefetto pretorio” e da Scipione
Mazzella “Generale e luogotenente del Re nelle guerre”. E’ il
comandate in capo dell’esercito, difende i confini del Regno e l’ordine
interno, ha anche il compito di risolvere eventuali dispute sorte tra cavalieri
o nobili.
Per insegne, oltre a quelle del proprio casato, ha due bastoni poste in
croce di Sant’Andrea.
2)- IL GRAN GIUSTIZIERE: è il secondo ufficio del Regno anche se alcune volte è stato preceduto dal Grande Ammiraglio. Etimologia: giustiziere = esecutore della giustizia.
Esercita la giustizia civile e penale nel Regno, è il capo di tutti i tribunali; il suo luogotenente è il Reggente della Vicaria, presiede la Corte della Vicaria (in Castel Capuano). Nel 1537 il vicerè don Pedro de Toledo riunì tutti i Tribunali in Castel Capuano. La Gran Corte della Vicaria era divisa in quattro ruote, due civili e due criminali. La Regia Camera della Sommaria era competente per le cause finanziarie e fiscali: il patrimonio Reale, l’erario pubblico, le liti tra feudatari e quelle tra i baroni e i lori sudditi. Il Tribunale della Zecca provvedeva al bollo delle unità di misura; il Tribunale della Bagliva trattava le cause minori civili di risarcimento danni.
La Vicaria criminale giudicava in primo grado i delitti commessi a Napoli e nei suoi Casali e in appello le cause già decise nei tribunali delle provincie del Regno chiamati “Udienze“. La Vicaria civile trattava le cause sino ad un certo valore, di eredità e quelle su prove documentali (polizze bancarie, atti pubblici, ecc.). Il Capo della Vicaria (Reggente) era un uomo d’armi (vedi il Gran Camerlengo) e non di legge, non aveva diritto di voto anche se poteva presiedere una Ruota (oggi si direbbe Collegio). La Regia Camera della Sommaria redigeva i bilanci del Regno che veniva sottoposto al voto favorevole del Collaterale (l’organo di governo che affiancava il vicerè), al visto dei Seggi di Napoli (l’amministrazione cittadina) e del Parlamento(sino al 1642).
Competente per i ricorsi contro le decisioni del Tribunale della Vicaria e della Regia Camera della Sommaria era il Sacro Regio Consiglio. Il Sacro Regio Consiglio era, durante il periodo vicereale spagnolo, la corte suprema di giustizia civile e penale; era giudice di primo grado per le cause relative ai patrimoni feudali. Nelle provincie del Regno, oltre alle Udienze, esistevano nei feudi le corti baronali(1) e nei comuni liberi le Corti Regie. Contro i provvedimenti delle Corte Regie si poteva fare appello alle Udienze e, contro le decisioni di queste ultime, si ricorreva al Tribunale della Vicaria.
3)- IL GRANDE AMMIRAGLIO: è il terzo ufficio del Regno, salvo alcune eccezioni in cui ha preceduto il Gran Giustiziere. E’ il capo delle forze navali del Regno, definito da Scipione Mazzella “Generale del Mare”. Difende le coste del Regno dalle incursioni nemiche e garantisce la libera navigazione della flotta mercantile; esercita la funzione giurisdizionale su tutte le genti del mare, nomina i giudici che sentenziano nella Cappella Reale, situata dopo l’ultimo ufficio civile della Vicaria. Nomina in ogni provincia del Regno un Vice-Ammiraglio. Per insegne ha due fanali oppure due ancore poste in croce di Sant’Andrea.
4)- IL GRAN CAMERLENGO (o CAMARLINGO o CAMERLINGO): etimologia: dal ted. Kammerling, Kammer = camera, fisco o tesoro pubblico, ling = desinenza puramente germanica. E’ colui che riscuote le tasse, il Soprintendente delle Finanze, deve tener conto di tutte le entrate ed uscite. Il suo Luogotenente ha un suo tribunale detto Camera della Sommaria dove vengono trattate le cause relative al fisco. Per insegne, oltre a quelle proprio casato, ha due chiavi poste in palo.
5)- GRAN PROTONOTARIO: etimologia: vocabolo ibrido composto dal gr. Protos = primo e lat. Notarius = notaio. Chiamato anche LOGOTETA, parla in nome del sovrano nei pubblici parlamenti e custodisce i suoi scritti. E’ il Presidente del Sacro Consiglio, il Capo della Segreteria regia. E’ il primo ambasciatore del re, il grande diplomatico; nomina notai e giudici, legittima i figli nati al di fuori del matrimonio. Per insegne ha un libro aperto.
6)- GRAN CANCELLIERE: il sesto Ufficio, è il custode dei regi sigilli, il Segretario del Re, sottoscrive i negoziati, i decreti e gli atti emanati dal sovrano. Nomina i dottori di tutte le facoltà. Per insegne ha una ghirlanda di alloro.
7)- IL GRAN SINISCALCO (o MALISCALCO): etimologia: dal latino Seniscalcus, Seni = vecchio, scalcus = servitore; il più vecchio servitore o ministro della casa.
E’ sottoposto al Conestabile; definito dal Pontano “Maestro di Campo” e da Scipione Ammirato “Maggiordomo della Casa Reale”, “il supremo ufficiale preposto alla tavola”. Provvede al vitto del Re e della Corte. Per insegne, oltre a quelle del proprio casato, ha una coppa di Leocorno.
GLI ALTRI UFFICI:
La carica di Portolano era quella di un magistrato con compiti di sorveglianza sulle nuove costruzioni nella città, nonché gestiva i permessi per edificare. Il Montiero Maggiore aveva la giurisdizione sui reati di caccia. L’Uditore Generale dell’Esercito aveva la giurisdizione sui militari di terra; dipendeva dal Gran Conestabile. La Dogana aveva giurisdizione su chiunque possedesse animali e terreni. Il Grassiere era un magistrato di nomina regia. Gli eletti dei Seggi, detti capitani del Tribunale dell’Annona, con il Prefetto dell’Annona nominavano il Grassiere, con il compito “di fare, che le cose vadano per lo loro dritto sentiero, e andando altrimenti, impedirle, e darne contezza al Re o al Capitan Generale”(2). Gli eletti con il Grassiere, poi, potevano punire i misfatti con varie pene, esclusa quella della morte. I maestri razionali erano magistrati fiscali, fino all’epoca di re Ladislao. Questi formavano una “curia” preposta al controllo dei conti fiscali, oltre alla direzione e sorveglianza della coniazione delle monete, nonché le locazioni, appalti sui dazi e gabelle.
Note: 1)
– I magistrati erano scelti e pagati dai baroni che sostanzialmente
amministravano i loro feudi. 2)
– Capecelatro – Origine della città.., p.143
Per gentile concessione di Fausto Vincenzo Colucci il più importante storico studioso di Scurcola Marsicana pubblichiamo il suo lavoro sulla famosa battaglia tra Carlo D’Angiò e Corradino di Svevia avvenuta 23 agosto 1268 ai Piani Palentini di Scurcola Marsicana. Il testo è scaricabile di seguito in formato pdf
Roberto
d’Angiò, detto anche il Saggio, nacque a Napoli nel 1278 e morì nella
stessa il 16 gennaio del 1343. Investito di numerosi titoli fra cui re di Napoli dal 1309 al 1343, re di Sicilia, re titolare di Gerusalemme, duca di Calabria dal 1296 al 1309 e
conte di Provenza e Forcalquier dal
1309 al 1343.
Figlio
terzogenito di Carlo II d’Angiò e di Maria
d’Ungheria, nipote di Carlo I (il quale rese Napoli capitale
per la prima volta nella sua storia) allo scoppio della rivoluzione del Vespro nel 1282, fu
tenuto in ostaggio, insieme ai suoi fratelli, dal re Alfonso III d’Aragona.
Nel
1295,
alla morte del fratello Carlo Martello, divenne erede al trono di Sicilia, dato che
l’altro fratello, Ludovico, vi aveva rinunciato per entrare nell’ordine dei
frati minori francescani e che diventò santo nel 1317, a 20 anni dalla morte.
Celebre è il dipinto di Simone Martini, conservato al Museo di Capodimonte, nel
quale Ludovico di
Tolosa incorona il fratello Roberto, una scena mai
avvenuta nella realtà ma ricca dal punto di vista simbolico. Roberto,
infatti, fu incoronato re di Napoli a Lione da papa Clemente V.
Nel
1297 assunse anche il titolo di duca
di Calabria e sposò
Jolanda (o Violante), figlia del re d’Aragona Pietro III e
della regina Costanza di Sicilia, nonché sorella di Alfonso III e Giacomo II
d’Aragona. Dal loro matrimonio nacquero Carlo e Luigi. Tuttavia quest’unione
non portò la pace tra le due casate, anzi accese ancor più il conflitto che si
concluse solo nel 1302 con la pace
di Caltabellotta, con la quale gli Angioini persero
definitivamente il controllo della Sicilia.
Dopo
soli cinque anni di matrimonio, nel 1303, rimase vedovo di Jolanda
d’Aragona, quindi l’anno seguente sposò
Sancia di Maiorca.
Quando
suo padre, Carlo II d’Angiò, morì, divenne re di Napoli e fu consacrato a Lione da
Clemente V. In qualità di re, Roberto d’Angiò si distinse presto per il suo
intelletto e per la sua audacia politica. Fu, inoltre, accusato ingiustamente
d’aver fatto avvelenare il fratello Carlo e di aver costretto il fratello Ludovico
ad entrare nell’ordine religioso per non avere rivali al trono.
Fu
definito “il Saggio”
o il “Pacificatore”
proprio perché subito dopo esser stato eletto, partecipò attivamente, per un
numero cospicuo di anni, alla riconciliazione fra guelfi e ghibellini. E non
solo. Con lui il regno di Napoli visse un lungo periodo di pace, dopo esser stato per
anni deturpato da guerre.
Diede
al Regno di Napoli una stabilità
politica ed un benessere
economico, incoraggiò l’arte e la cultura, ne è un esempio lo
splendido complesso di Santa Chiara,
edificato per suo volere e dove si trova la sua tomba di straordinaria
bellezza. Fu anche promotore della costruzione della Certosa di San Martino.
La sua corte fu frequentata da illustri personaggi del tempo come Petrarca, Boccaccio, Simone Martini, Tino de Camaino, Giotto. Roberto d’Angiò morì il 19 gennaio 1343 a Napoli, suo successore fu la nipote Giovanna I, figlia di Carlo, suo primogenito.
Che Roccadarce fosse stata abitata fin da tempi lontanissimi non ci sono dubbi, tutto ciò è suffragato da testimonianze archeologiche risalenti all’età del ferro, probabilmente perché Roccadarce era situata in una zona centrale nella Valle del Liri, ricca di falde acquifere e di cacciagione. Nella costruzione della strada che da Roccadarce raggiunge il cimitero, vennero ritrovati reperti di ceramiche incise e decorate con scene casalinghe.
In seguito alla vittoria conseguita sull’esercito asburgico a Bitonto e all’ascesa sul trono di Napoli e di Sicilia della dinastia borbonica si crearono le condizioni storiche ideali affinché, le idee assolutistiche di marca esplicitamente illuministica prendessero largamente piede.