Posted by altaterradilavoro on Dic 12, 2018
L’ aggettivo «moderno» nasce con il
significato neutrale di «recente» o «contemporaneo» e indicava all’origine
soltanto l’attualità, ma nel tempo, in particolare dal Rinascimento, è stato
caricato di una valenza ideologica, definendo con una connotazione positiva e
ottimistica ciò che è «nuovo» e che, per questo solo motivo, è necessariamente
«buono» in sé e rispetto a ciò che è accaduto prima. In questo senso la
«modernità» non è la qualificazione di ciò che è recente bensì una categoria di
giudizio, un valore. Di conseguenza l’«età moderna» — quale definita in Italia
dalla storiografia laica e liberale del secolo XIX sulla scia della
storiografia illuministica — è letta generalmente come il superamento
dell’oscurantismo e della stagnazione e l’inizio di un periodo di conquiste
progressive.
Più
di recente, però, ha cominciato ad affermarsi un’altra interpretazione, che
intende la modernità come un processo non di liberazione ma di graduale
coercizione, contrassegnato da una presenza dello Stato sempre più invasiva e
da un crescente condizionamento politico dei comportamenti sociali o, in altri
termini, da un maggior «disciplinamento sociale», secondo la dizione
utilizzata per la prima volta dallo storico tedesco Gerhard Oestreich
(1910-1978) (1).
Fra
gli studiosi che hanno indagato attentamente su tutti questi aspetti della
«storia moderna» figura senz’altro Alberto Tenenti (1924-2002), di cui è stato
ripubblicato — a distanza di oltre venti anni dalla prima edizione del 1980 e a
quasi dieci dalla nuova edizione del 1997 — il manuale su L’età moderna.
XVI-XVIII secolo (2).
Alberto
Tenenti nasce a Viareggio nel 1924, si laurea in Lettere e Filosofia alla Scuola
Normale Superiore di Pisa e nel 1948 ottiene una borsa di studio con la quale
si trasferisce in Francia, prima a Parigi, dove prende contatto con gli storici
Lucien Febvre (1878-1956) e Fernand Braudel (1902-1985), poi a Besançon (3). Rientrato in Italia dopo aver vinto, agli
inizi degli anni 1950, un concorso nazionale come dirigente presso gli Archivi
di Stato, soggiorna prima a Venezia e poi a Brescia, iniziando una lunga e
feconda frequentazione della documentazione archivistica. Con la pubblicazione
in Italia de Il senso della morte e l’amore per la vita nel Rinascimento (4) il suo nome s’impone alla comunità scientifica
europea per la raffinatezza e la sensibilità del percorso intellettuale e per
la vastità e lo spessore delle problematiche storiche. Alla fine del decennio
Tenenti viene chiamato come chef de travaux presso la sezione Sciences
Economiques et Sociales dell’École Pratique des Hautes Études di Parigi da
Braudel, che apprezzava la sua capacità di mantenere uniti gli interessi per la
storia della cultura con quelli più prettamente economici. Direttore della
scuola dal 1965, nell’anno accademico 1966-1967 inizia un proprio corso con un
insegnamento dalla denominazione ampia di Histoire Sociale des Cultures
Européennes, che svolge per 35 anni. Pubblica numerosi saggi e manuali di
storia moderna, da Alle origini del mondo moderno (5)
a I rinascimenti (6),
nonché una raccolta di studi sullo Stato (7).
L’ultimo saggio, Dalle rivolte alle rivoluzioni (8),
testimonia che sino alla fine Tenenti ha saputo fondere la descrizione di
panoramiche globali con questioni di carattere generale e tematiche di lunga
durata. Muore nella sua casa di Parigi nel 2002.
Storico
della cultura, o delle mentalità, come si diceva un tempo, membro della British
Academy, della Real Academia de la Historia e dal 1997 dell’Accademia dei
Lincei, direttore della rivista Civiltà del Rinascimento, di Roma, che
chiuderà i battenti alla sua morte, Tenenti ha pubblicato circa 400 opere fra
monografie, recensioni e interventi a convegni. Fra gli argomenti studiati
figurano il passaggio dal Comune alla Signoria, la trasformazione delle città,
le attività commerciali e marinare, l’architettura e gli apparati iconografici,
la famiglia e i patrimoni, i sentimenti e l’evoluzione del senso della morte, i
rapporti fra la cultura e il potere.
1.
Il Cinquecento
Organizzato
secondo una tripartizione cronologica, dal secolo XVI al secolo XVIII, L’età
moderna da un lato descrive analiticamente il lento svolgimento di una
storia complessa e dall’altro lato cerca di individuare i momenti di svolta,
talora repentini, ma sempre decisivi.
Nella
densa Introduzione (p. 11-51) Tenenti svolge alcune considerazioni
generali, sottolineando innanzitutto la precarietà delle periodizzazioni — cioè
delle suddivisioni di un processo storico in termini cronologici — e quindi
delle prospettive storiografiche ad esse sottese, che riflettono a loro volta
tendenze culturali o ideologiche. Anche le definizioni generali utilizzate
dagli storici non sono mai puramente tecniche o culturalmente neutre: egli
impiega, dunque, termini come Umanesimo, Stato, Riforma e Controriforma nella misura
in cui corrispondono a fenomeni veri e propri, evitando per quanto possibile il
vocabolo Rinascimento, che risente troppo di una visione unilaterale e
cronologicamente sfuggente, e ricorrendo con cautela al concetto di Barocco —
che pure evoca un insieme di caratteri e di sfumature particolari nel campo
letterario, architettonico, musicale e anche politico —, pur nella
consapevolezza che «quando una nozione storica si è affermata o radicata,
per quanto la si impugni con giuste ragioni, è estremamente arduo giungere ad
espungerla o a farla abbandonare» (p. 12).
Tenenti
descrive, quindi, la svolta che si delinea in Europa fra i secoli XIV e XV,
richiamando i fattori che avevano cominciato ad agire come elementi di
trasformazione: lo sviluppo e l’organizzazione graduale di un’economia e di una
cultura che prescindevano dalla visione cristiana, fino ad allora dominante; il
parallelo mutamento di sensibilità e la comparsa di nuovi orizzonti artistici,
di stampo dotto e intellettuale e dunque più distanti dalla spontanea vena
popolare, che si trova quasi emarginata in una dimensione provinciale e
gergale; l’emergere di tecniche e di conoscenze scientifiche che imprimono un
ritmo e un volto assai originali alla civiltà europea, assicurandole una netta
preminenza sui popoli degli altri continenti.
Le
conseguenze di questi mutamenti si manifestano con gradualità, con
caratteristiche diverse da paese a paese, con velocità differenti a seconda dei
settori interessati ed è molto difficile individuare date intorno alle quali
tutti o quasi i fattori concorrano o indichino cesure significative. Per quanto
riguarda l’organizzazione statale, su cui Tenenti si sofferma in apertura della
prima parte, Il Cinquecento (pp. 55-217), la trasformazione è molto
lunga, compiendosi «fra la guerra dei Cent’anni e l’Illuminismo» (p.
55), cioè fra i secoli XIV e XVIII, nei quali si compie il lento passaggio da
una concezione contrattuale dell’autorità a un sistema assolutista di dominio,
di cui costituiscono un prototipo le signorie e i principati instauratisi
nell’Italia Centrale e Settentrionale a partire dal secolo XIV: «Tale
processo costituisce uno dei caratteri peculiari dell’età moderna, appunto nel
senso che esso fu caratterizzato non meno dai progressi che dalle resistenze
delle forze contrarie» (p. 59). Queste ultime alimentano una serie di
rivolte, dettate generalmente da motivi congiunturali o locali e prive sia di
collegamenti fra loro sia di qualsiasi spirito di contestazione dell’autorità.
In realtà, il primo grande fattore che coagula resistenze di carattere
rivoluzionario — cioè dettate dal proposito, più o meno consapevole, di mutare
l’ordinamento politico della società, quando non la società stessa — è quello
religioso, che dal secolo XVI dà origine alla Riforma protestante, anche se
occorre sottolineare «[…] che il vulcano della Riforma non eruttò
la sua lava da un magma di sola spiritualità e che la massa dei suoi lapilli
non fu esclusivamente di natura teologica» (p. 101). A essa «[…] si
addice in pieno la qualifica di rivoluzionaria. […] La Riforma
costituì una svolta epocale che a buon diritto può far individuare un prima
nettamente diverso dal dopo. Ad essa partecipò in gran parte direttamente o
almeno indirettamente tutto l’Occidente europeo, su ogni piano ed in ciascuna
sfera tellurici i suoi bradisismi continuarono a ripercuotersi per oltre un
secolo da una zona all’altra, non senza riemergere sino al Settecento» (ibidem).
La
Riforma — non un evento ma un processo di lunga durata — agirà gradualmente ma
profondamente entro la dimensione della sensibilità, giungendo a infrangere
l’universo saldo e compatto del cristiano.
La
rottura dell’unità religiosa della Cristianità si accompagna al passaggio da un
tipo di relazioni internazionali relativamente statico e compartimentato a un
altro più dinamico e interdipendente, a «un cambiamento di voltaggio» (p.
78), in virtù del quale gli avvenimenti cominciano a ripercuotersi gli uni
sugli altri a ritmo più accelerato e la scala locale diventa secondaria
rispetto a quella mondiale. Questa evoluzione va di pari passo con l’espansione
islamica nei Balcani e sul mare, favorita sia dalla struttura interna
dell’Impero Ottomano, concepito come un’immensa macchina bellica, sia alla
divisione dei Paesi cristiani.
Alla
fine del secolo XVI si può situare l’inizio del trapasso dalla preponderanza
spagnola a quella delle potenze marittime protestanti, cioè il Regno
d’Inghilterra e le Province Unite, od Olanda, meno interessate dal pericolo
islamico: «Eppure, se il mondo germanico tardava ad organizzarsi contro
l’avanzata turca, la cattolicità meridionale preparava le sue energie per la
controffensiva. Fattore non secondario di tale processo sempre più vasto era il
concretizzarsi di uno slancio religioso al quale partecipavano molti elementi
della nobiltà cattolica europea, in primo luogo italiana ed iberica» (p.
160).
Grazie
a questi sforzi, spesso coordinati dai Pontefici, che danno vita a una vera e
propria internazionale del mondo cattolico, alla fine del secolo XVI si vedono
le avvisaglie di una riconquista cristiana delle terre occupate dai turchi, che
va di pari passo con la Contro-Riforma, intesa nel senso più ampio del termine:
«Se si guardasse unicamente ai fenomeni religiosi, si dovrebbe parlare
piuttosto di riforma cattolica che di controriforma. In realtà, tuttavia, lo
sviluppo della sua spiritualità e soprattutto le sue iniziative ecclesiastiche
non andarono disgiunte da prese di posizione politico-diplomatiche e militari,
oltre che culturali e sociali […] che nel loro insieme meritano
appunto di essere chiamate controriforma» (p. 136).
2.
Il Seicento
Le
grandi scoperte e l’inizio della colonizzazione europea — eventi che modificano
la scala geografica di riferimento degli avvenimenti storici — chiudono la
prima parte del libro e introducono la seconda, Il Seicento (pp.
219-408).
Il
secolo XVII è letto come una cerniera, vera e propria articolazione fra due
fasi distinte, caratterizzata da fenomeni contrastanti e dall’incrocio di forze
contraddittorie, con una tensione costante su tutti i piani, nonché dalla
maturazione di alcuni processi di fondo che investono la vita culturale e
politica, sociale ed economica. Il passaggio dagli orizzonti dei mari chiusi
europei a quelli degli oceani porta anche all’instaurazione di rapporti
marittimi e culturali fra i continenti, pur con differenze significative fra le
varie forme di colonizzazione: mentre l’aspetto di molte aree d’oltremare,
soprattutto costiere, viene riplasmato sulla falsariga degli usi e dei modelli
di vita vigenti in Europa, i contatti con gli indigeni sono improntati alla
tolleranza reciproca e alla mescolanza razziale solo nelle realtà iberiche. È
sintomatico in proposito che le grandi compagnie olandesi non s’interessassero
mai di attività missionarie e che gli obiettivi di espansione religiosa, pur
non venendo meno, cedessero gradualmente il posto a quelli economici.
Una
delle tendenze generali della civiltà europea in quel periodo è proprio la
progressiva laicizzazione, cioè la dissociazione di ogni realtà dai condizionamenti
religiosi. «Si è trattato di un processo molto lento, in vari paesi
addirittura in corso ancor oggi, che in Europa si manifesta almeno dal Duecento
in poi, nei campi e con i ritmi più diversi» (p. 331).
Nel
secolo XVII, inoltre, comincia a prevalere l’assolutismo — inteso come tendenza
all’accentramento autoritario del potere nello Stato a scapito della società —,
anche se con situazioni abbastanza eterogenee da un Paese all’altro che danno
all’espressione «età dell’assolutismo» una validità molto relativa. Non si può
ridurre la storia europea dell’epoca moderna al rafforzamento graduale degli
organismi statali, ma questo processo ne rappresenta una delle direttrici
principali. Fra i fattori che favoriscono l’accentramento dei poteri vi è anche
la necessità per ciascuno Stato di mostrarsi più solido nel gioco sempre più
rude dei rapporti internazionali, in cui la guerra appare sempre più come lo
sbocco naturale delle rivalità economiche. «Schematizzando, ai motivi
dinastici di conflitto propri dell’Europa trequattrocentesca ed a quelli
confessionali innestativisi nel Cinquecento si aggiunsero ora quelli
specificamente economici» (p. 269).
Tutto
il periodo dal secolo XVI al XVIII è caratterizzato dalla ricerca di un
assestamento, che non viene trovato, anche perché il campo di lotta si è fatto
troppo vasto. Inoltre, il processo di progressiva interdipendenza fra gli Stati
continua a intensificarsi e gli interessi religiosi che vi erano congiunti
rendono ancora più fitta la catena di azioni e reazioni. Da qui la ricerca di
un equilibrio, come era già avvenuto temporaneamente nella penisola italiana
con la pace di Lodi del 1454.
E
a proposito degli Stati italiani Tenenti rifiuta ogni scenario condizionante e
le «[…] prevenzioni mentali e storiografiche più o meno
squilibranti. Anzi, le ripercussioni di queste ottiche congiunte si sono
rivelate tanto persistenti da rendere anche attualmente una presentazione
adeguata delle congiunture e delle situazioni seicentesche. Occorrerà comunque
cercare di distaccarsi dalle figurazioni preconcette di quella che avrebbe
“dovuto” essere la storia d’Italia» (p. 316), sottolineando fra le
caratteristiche del periodo il mantenimento di una pace interna relativamente
benefica, l’affermazione di una comunità culturale e artistica e la sua difesa
sul fronte orientale — soprattutto da parte della Repubblica di Venezia —
contro l’aggressione turca, che dà vita a un’epopea poco nota al grande
pubblico: «È pur strano che i ricercatori di epiche gesta abbiano lasciato
queste largamente in disparte» (p. 319).
3.
Il Settecento
Il
secolo XVIII — preso in esame nella terza parte, Il Settecento (pp.
409-612) — vede l’affermazione dell’assolutismo e il proseguimento di una
politica di potenza e di spregiudicata competizione internazionale — «Proprio
dal Settecento si fece luce altresì, e talora già si realizzò, il brutale
disegno di disgregare gli Stati altrui, di spartirsene il territorio in spregio
dei legami che avevano tenute unite le loro popolazioni» (p. 477) —, ma
soprattutto assiste a un mutamento generale, che coinvolge le prospettive
morali, le idee politiche e le aspirazioni collettive.
Tuttavia,
il quadro europeo non è rigidamente definito. All’organizzazione statuale
prussiana, più orientata in senso assolutistico, si contrappone quella
asburgica, caratterizzata da autonomie locali e particolarismi notevoli, che
trovavano il loro collante nella cultura cattolica, rafforzata nell’area
danubiana dalla vittoria della Contro-Riforma, visibile anche artisticamente
grazie alla diffusione in quell’area del barocco, soprattutto quello religioso,
fra il 1680 e il 1720. «Questa architettura militante, ispirantesi al
Bernini [Gianlorenzo (1598-1680)] ed al Borromini [Francesco
Castelli detto (1599-1667)], si adatta all’apologetica antifilosofica del
XVIII secolo. L’enorme diffusione di queste basiliche, chiese abbaziali e
monasteri celebra la vitalità o il prestigio della religione in quest’area
largamente asburgica» (p. 467).
Più
in generale, però, e guardando in particolare alle élite, a partire
all’incirca dal 1700 si assiste a un processo complesso d’inaridimento e di
svuotamento dei fenomeni religiosi abituali, di distacco da essi in nome di
convinzioni che erano in parte ancora cristiane ma in senso molto diverso e
sempre più flebile, che porta alla costituzione di un nuovo orizzonte culturale
e dunque politico ed economico. Com’era accaduto con la precedente grande
svolta della sensibilità, cui aveva fatto seguito la crisi protestante, si
manifesta una forte interazione fra il contesto religioso e le nuove forme del
sapere, le tecniche e in particolare le aspirazioni e i modi di vita. «Ad
una vasta corrente deistica e newtoniana, sostenitrice anche di un governo
monarchico e della supremazia dei ceti più fortunati, se ne contrappose sempre
più nettamente un’altra, panteistica e politicamente democratica» (p. 418).
Inoltre,
come già durante il periodo rinascimentale una schiera d’intellettuali, gli
umanisti, si erano fatti portatori di valori culturali e morali per rispondere alle
nuove esigenze della società laica, nel secolo XVIII altri intellettuali,
denominati illuministi o «filosofi», si fanno banditori di un sapere diverso e
in contrasto con quello popolare, però in un contesto a loro più favorevole
rispetto ai predecessori, sia perché la forza delle credenze religiose si era
affievolita, sia perché un buon numero di sovrani fa proprie alcune prospettive
illuministiche in vista di un rafforzamento del regime assolutistico, sia
grazie allo sviluppo del network propagandistico e organizzativo
costituito dalle logge massoniche: «Sia pure in maniere diverse, i massoni
furono su vari piani dei contestatori dell’ordine stabilito. […] È
veramente arduo misurare il peso specifico effettivo della massoneria
settecentesca, ma più la si studia più sembra essere stato notevole» (pp.
437-438); certo è che «[…] anche l’apparato giacobino all’epoca
della Rivoluzione francese venne appoggiato da società massoniche» (p.
439). Le elaborazioni filosofiche, dunque, diventano sempre più prese di
posizione politiche, anche se, venuti meno in buona parte gl’ideali religiosi e
politico-culturali della Cristianità, non era ancora apparsa la loro traduzione
moderna, rappresentata dalle ideologie.
L’anticlericalismo,
tuttavia, diventa il veicolo e l’espressione di un attacco in profondità contro
l’Antico Regime e uno dei tramiti fra le idee dei «lumi» e l’incitamento ad
agire sul terreno pratico, cosicché la Rivoluzione Francese, che chiude di
regola l’età moderna — anche se «il Settecento si presenta come parte o
premessa essenziale del mondo contemporaneo» (p. 583) —, costituisce lo
sbocco dei fermenti e delle tendenze in via di maturazione da diversi decenni.
Con
gli eventi rivoluzionari si conclude il grande affresco di Tenenti, che ha
descritto i mutamenti politici, economici e demografici dell’Europa, prestando
attenzione non solo ai «fatti», ma anche alle realizzazioni istituzionali,
culturali, artistiche e scientifiche che hanno accompagnato le vicende storiche
e alle mentalità di cui sono state espressione.
Note
Questo articolo-recensione è apparso sul bimestrale Cristianità. Organo ufficiale di
Alleanza Cattolica, anno XXXIV, n. 337-338, Piacenza settembre-dicembre
2006, pp. 29-32.
(1) Gerhard Oestreich, Problemi di strutturadell’assolutismo europeo, 1969, trad. it. in Ettore Rotelli e PierangeloSchiera (a cura di), Lo Stato moderno. vol. I, Dal Medioevo all’etàmoderna, il Mulino, Bologna 1971, pp. 173-191 (p. 173); per la ricezionedel concetto in Italia, cfr. Paolo Prodi (a cura di), Disciplina dell’anima,disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo ed età moderna,il Mulino, Bologna 1994, e in particolare il saggio di P. Schiera, Disciplina,Stato moderno, disciplinamento: considerazioni a cavallo fra la sociologia delpotere e la storia costituzionale, pp. 21-46.
(2) Cfr. Alberto Tenenti, L’età moderna.XVI-XVIII secolo, il Mulino, Bologna 2005 [672 pp., € 29,00]. Tutti iriferimenti fra parentesi nel testo rimandano a quest’opera.
(3) Cfr. Pierroberto Scaramella, Il senso dellastoria: un profilo bio-bibliografico di Alberto Tenenti, in Idem (a curadi), Alberto Tenenti. Scritti in memoria, Bibliopolis, Napoli 2005, pp.11-30.
(4) Cfr. A. Tenenti, Il senso della morte el’amore per la vita nel Rinascimento. Francia e Italia, Einaudi, Torino1957.
(5) Cfr. A. Tenenti e Ruggiero Romano (1923-2002), Alleorigini del mondo moderno (1350-1550), Feltrinelli, Milano 1967.
(6) Cfr. A. Tenenti, I rinascimenti. 1350-1630,Le Monnier, Firenze 1981.
(7) Cfr. Idem, Stato: un’idea, una logica. Dalcomune italiano all’assolutismo francese, il Mulino, Bologna 1987.
(8) Idem, Dalle rivolte alle rivoluzioni, ilMulino, Bologna 1997.
Francesco Pappalardo
fonte
http://www.identitanazionale.it/stmo_4001.php
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