Alta Terra di Lavoro

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1130 Regno di Sicilia primo Parlamento

Posted by on Ott 17, 2019

1130 Regno di Sicilia primo Parlamento

Il Parlamento Siciliano viene considerato uno dei più antichi del mondo assieme a quello dell’Isola di Man, islandese e faroese, i quali però non avevano poteri deliberativi, circostanza che rende il Parlamento siciliano il primo in senso moderno, nel 1097 ci fu la prima assise a Mazara del Vallo convocata dal Gran Conte Ruggero I di Sicilia, di un parlamento inizialmente itinerante. Il parlamento siciliano era costituito da tre rami “feudale”, “ecclesiastico” e “demaniale”.
Il ramo feudale era costituito dai nobili rappresentanti di contee e baronie, il ramo ecclesiastico era formato da arcivescovi, vescovi, abati e archimandriti, mentre il ramo demaniale era costituito dai rappresentanti delle 42 città demaniali della Sicilia.

Il primo parlamento normanno non era deliberativo, ed aveva solamente una funzione consultiva e di ratifica dell’attività del sovrano, specialmente nella tassazione, nell’economia e nella gestione dei rapporti con le potenze straniere. I deputati erano scelti fra i nobili più potenti.
Fu nel 1130 con la convocazione delle Curiae generales da parte di Ruggero II a Palermo, nel Palazzo dei Normanni con la proclamazione del Regno di Sicilia che si può parlare di primo parlamento in senso moderno.
Primo cambiamento radicale si ebbe con Federico II di Svevia, che permise l’accesso parziale anche alla società civile.
Il parlamento costituzionalmente aveva il compito di eleggere il re e di svolgere anche la funzione di organo garante del corretto svolgimento della giustizia ordinaria esercitata da giustizieri, giudici, notai e dagli altri ufficiali del regno.
Nel 1410 il parlamento siciliano tenne al palazzo Corvaja di Taormina, alla presenza della regina Bianca di Navarra, una storica seduta per l’elezione del re di Sicilia in seguito alla morte di Martino II e nel 1446 ancora a Castello Ursino una seduta con Alfonso V d’Aragona, e sedute ovunque convenisse il re.

Con i successivi sovrani aragonesi la Sicilia perse la sua autonomia politica e un viceré governò l’isola, affiancato da un presidente del Regno, che presedeva le sedute del parlamento.
Fu Carlo V nel 1532 a convocare di nuovo il parlamento a Palermo nella “sala gialla” di Palazzo Reale, che continuò a riunirsi anche sotto Filippo II, conservando una sua autorevolezza nei confronti del viceré, che risiedeva anch’esso al palazzo Reale di Palermo.
Nel 1637 il Presidente del Regno Luigi Moncada, Duca di Montalto, fece affrescare da artisti come Giuseppe Costantino, Pietro Novelli e Gerardo Astorino, la sala Duca di Montalto, antico deposito delle munizioni, trasformandolo in sala delle udienze estive del Parlamento
A Palermo, il 19 luglio 1812, il Parlamento siciliano, riunito in seduta straordinaria, promulgò la costituzione siciliana del 1812, decretò l’abolizione della feudalità in Sicilia ed approvò una radicale riforma degli apparati statali. La Costituzione prevedeva un parlamento bicamerale, formato da una Camera dei Comuni, composta da rappresentanti del popolo, con carica elettiva, e una Camera dei Pari, costituita da ecclesiastici, militari ed aristocratici con carica vitalizia e di nomina regia. Le due camere, convocate dal sovrano almeno una volta l’anno, detenevano il potere legislativo, ma il re deteneva potere di veto sulle leggi del parlamento. Il potere esecutivo era affidato al sovrano; mentre il potere giudiziario era detenuto da giudici formalmente indipendenti, ma, in realtà, sottoposti alle decisioni della corona.
Con il trattato di Vienna del 1815 Ferdinando IV tornò a Napoli, abrogando di fatto la costituzione e nel dicembre 1816 riunì i due regni, anche formalmente, nel regno delle Due Sicilie, proclamandosi Ferdinando I delle Due Sicilie, sopprimendo così di fatto costituzione e parlamento siciliano. Con i Borboni la Sicilia così si ritrovò governata da Napoli e l’istituzione del parlamento riebbe con i moti del giugno 1820 quando fu riaperto il parlamento, ripristinata la costituzione siciliana del 1812 e venne proclamato un governo che durò pochi mesi, fino a quando fu inviato dal neo parlamento napoletano un esercito che riconquistò l’isola.
Fu soprattutto nella rivoluzione del 1848, che riacquistò la sua centralità. A Palermo infatti, il 25 marzo dello stesso anno, si riuniva il “Parlamento generale di Sicilia” nella chiesa di San Domenico, con un governo rivoluzionario composto da un presidente ed i ministri eleggibili dallo stesso presidente. Vincenzo Fardella di Torrearsa fu eletto presidente del parlamento e Ruggero Settimo capo del governo. Si dichiarò decaduta la dinastia borbonica, proclamato il Regno di Sicilia come monarchia costituzionale, e si offrì il trono vacante di Sicilia al Duca di Genova Alberto Amedeo di Savoia, figlio secondogenito di Carlo Alberto di Savoia, che non accettò. Il 10 luglio il parlamento decretò una nuova costituzione, sopprimendo anche la Camera dei Pari del Regno di Sicilia.
La vita del Parlamento del 1848-49 durò 15 mesi, mentre con il cosiddetto “decreto di Gaeta” del 28 febbraio 1849 Ferdinando II di Borbone iniziò a riprendere possesso della Sicilia, e l’assise si sciolse il 14 maggio 1849. La ricostituzione del Parlamento Siciliano si ebbe con la fine del secondo conflitto mondiale, quando, per soffocare la forte espansione dell’Indipendentismo Siciliano sul territorio, fu insediata nel febbraio 1945 la Consulta regionale siciliana che elaborò uno statuto speciale, promulgato dal Re Umberto II con R.D. del 15 maggio 1946 che accetto lo Statuto Siciliano.
Rinacque così, dopo le elezioni regionali del 30 aprile 1947, il 25 maggio 1947, un Parlamento Siciliano declassato come “Assemblea Regionale Siciliana” ma che ci poneva e ci pone come forma giuridica uno Stato Federato allo Stato centrale italiano.

Patrizia Stabile

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LOMBROSO, IL MUSEO ITALIANO DEGLI ORRORI SUL NOSTRO POPOLO

Posted by on Set 6, 2019

LOMBROSO, IL MUSEO ITALIANO DEGLI ORRORI SUL NOSTRO POPOLO

La Suprema Corte ha sentenziato che l’origine del razzismo contro il meridionale, la teoria lombrosiana e il teschio del brigante Villella resteranno nel museo della vergogna.

Sono finite mestamente , intrise nella rabbia e nella malinconia, le speranze di veder restituito, il cranio del brigante calabrese Giuseppe Villella, al comune di Motta Santa Lucia, da sempre supportato dal Comitato No Lombroso. Battaglia portata coraggiosamente avanti affinché si fosse potuta dare degna sepoltura ,che restituisse un briciolo di dignità, ad un nostro conterraneo al quale , menti poco pensanti e ancor meno umane , hanno macabramente sostituito col suo teschio, un fermacarte , nel museo degli orrori:

684 crani di meridionali, 27 resti scheletrici umani, 183 cervelli, migliaia di fotografie di criminali, folli e prostitute, folcloristici abiti da “briganti” esposti in bella mostra nelle nove sale del museo, sono solo una parte del triste inventario del “Museo della vergogna”, una galleria degli orrori progettata da un medico veronese, Cesare Lombroso, al quale Torino e lo Stato Italiano hanno tributato, nel 2011, in occasione dei 150 anni dall’unità d’Italia, anche l’onore di un Museo.
Vi chiederete: ma un Museo è un luogo della storia perché allora opporsi a quello lombrosiano?
Perché con la legittimazione dello Stato e, dopo il 18 agosto con la definitiva sentenza, a quest’aberrante teoria, c’è racchiusa la motivazione dell’imperitura “Questione Meridionale”. 
Analizzando uno dei suoi tanti “ trofei “di guerra, quale appunto il teschio del brigante calabrese Villella, il veronese Lombroso trasse una sua folle teoria : chi possedeva la fossetta occipitale interna , così come aveva riscontrato nel povero Brigante, era un essere inferiore alla stregua di un animale e con forte predisposizione a delinquere. Caratteristica riscontrata frequentemente, per lo scienziato, nelle “genti del Sud” 
Le sue teorie razziste divennero molto pericolose quando vennero utilizzate e poste al servizio di uno Stato Italiano che del Sud non conosceva nulla e servirono a sostenere e a giustificare “scientificamente” ed ignobilmente la violenza della criminale Legge Pica, atta e reprimere il fenomeno del brigantaggio. Fu supportato, in questo da vili traditori della nostra Terra, dai cosiddetti “antropologi positivisti”, tra i quali : Niceforo Alfredo , Giuseppe Sergi, siciliani e Pasquale Rossi, cosentino , che uniti alle teorie del capostipite saranno alla radice di un pregiudizio fortemente antimeridionale. Pregiudizio che negli anni, dall’Unità d’Italia in poi, strumentalmente, ha alimentato anche l’azione di qualche movimento politico e di tante politiche governative contro la nostra Terra tradita, in più, anche da politici autoctoni svenduti e senza amore . Teorie che influenzarono la consuetudine, negli Stati Uniti , agli inizi del Novecento, di distinguere i milioni di emigrati (quasi tutti dal Sud) in “razze”, tant’è vero che a Ellis Island, l’isola dove sbarcavano gli emigrati, si divisero gli italiani del nord in “bianchi” mentre gli italiani del sud in ”Bianchi scuri”di razza inferiore. Ed ancora, delle loro raccapriccianti teorie se ne servirono altri popoli per “giustificare” l’olocausto e le leggi razziali durante il Terzo Reich teorizzando appunto l’inferiorità della razza. 
Non faccia meraviglia, quindi, la “levata di scudi” di tante persone, del Sud o di altre latitudini, nel chiederne la chiusura non per obliare la Storia ma perché dedicare un museo a Lombroso è come dedicare un campo di concentramento alla memoria di Josef Mengele. E così come alcune leggi del Medioevo sancivano che se due persone fossero state sospettate di un reato, delle due si sarebbe dovuta considerare colpevole la più deforme, Lombroso volle convincere che la costituzione fisica sia la più potente causa di criminalità.

Quella per Villella è una battaglia simbolica. Lui, semplice bracciante con un passato di ladro di ricotte e che, invece, la criminosa legge Pica del 1863, volle trasformare in un pericoloso brigante nemico del nuovo Stato costituito, dell’usurpatore sabaudo, fu rinchiuso, dopo un sommario processo, nel carcere di Vigevano, morì poco dopo di tifo, tosse e diarrea scorbutica.
Per l’Università “quel” teschio è un bene culturale, «la prova che la scienza procede anche per errori». Ed ha, anzi, rilanciato: “Attualmente il museo Lombroso ha 50 mila visitatori l’anno, un buon numero. Abbiamo, addirittura un progetto di espansione” 
E che ne è della violazione della normativa vigente in materia di trattamento e conservazione dei resti umani e di tutela del sentimento di pietà verso i defunti?
E che ne è della solidarietà degli altri Comuni meridionali, se la maggior parte non ha neanche aderito al Comitato NO LOMBROSO ?
Si possono continuare ad accettare teorie criminali che sostengono una inferiorità razziale dei “meridionali dolicocefali, con cranio allungato, quindi pigri, ipocondriaci, in contrapposizione ai nordici brachicefali con cranio quadrato, con più materia encefalica, quindi iperattivi ed efficienti”?
“E’ noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle classi settentrionali: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale” così denunciava Antonio Gramsci nel 1926 e, ad oggi non è cambiato nulla e la Questione Meridionale conserva il suo substrato razzista e la sentenza nr 21407 della Corte Suprema lo dimostra e che sancisce che in questa diatriba vincono le ragioni dell’Università di Torino ( che di fatto gestisce il Museo), perché “ l’interesse scientifico deve prevalere”, nonostante le aberranti teorie lombrosiane siano state ampiamente sconfessate, illo tempore, da luminari della Scienza, riducendo Cesare Lombroso ad un losco e grottesco personaggio dalle ambizioni fallite. Ora non resta che rimetterci all’iter presso la “Corte Europea dei diritti dell’uomo”, nella speranza che almeno un senso, uno solo, di stare in questa Europa, lo diano.

Patrizia Stabile per il Roma del 5 settembre 2019
Comitato No Lombroso

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LA CATTIVA AUTONOMIA DEL NORD CHE POGGIA SUI SOLITI INTRALLAZZI E RUBERIE.

Posted by on Lug 13, 2019

LA CATTIVA AUTONOMIA DEL NORD CHE POGGIA SUI SOLITI INTRALLAZZI E RUBERIE.

L’unica soluzione possibile è la nostra autonomia. Nel frattempo fermiamo questa ennesima furbata leghista.
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“Cos’è il 518 ?
l disegno di legge 518 presentato dal leghista Calderoli è il progetto con cui vengono prosciugate la casse dello Stato.
Veneto ma anche Lombardia, Liguria e presto anche le altre regioni del Nord sono pronte a trattenere tutte le tasse pagate al Nord.
Non si tratta di una secessione si tratta dell’autonomia fiscale rafforzata. Le tasse pagate in veneto restano al 90 % in Veneto.
Obietterete: Ma cosa c’è di male ?
Le tasse che sono pagate in veneto sono il frutto di tutti i prodotti e servizi che loro vendono al Sud. Qualsiasi cosa compriamo compresi i servizi elettrici, bancari e assicurativi, gas, telefono, mobili. cibi, bevande, vestiti, scarpe provengono dal Nord. Le tasse che loro pagano in realtà sono pagate con i nostri soldi. Se noi smettessimo di comprare loro non dovrebbero più pagare nessuna tassa per lo Stato e per il Sud.
Il Sud è stato spremuto e non ha più un tessuto produttivo, un sistema finanziario. Nulla di Nulla. Da 160 anni é ridotto ad una colonia interna. Il federalismo fiscale é forse cosa giusta, ma prima di attuarla, chi ci ha distrutto deve restituirci il bottino e mettere il Sud in condizione di crescere da solo.
Allo stato attuale, le reti elettriche, banche, assicurazioni, stabilimenti industriali, infrastrutture di rete, ecc che sono installate al Sud sono in realtà di proprietà delle lobby del Nord. Come facciamo a crescere se loro si sono impossessati anche delle nostre risorse naturali ed energetiche?
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Con il ddl 518 lo Stato non riceverà più soldi dalle tasse del Nord e quindi sarà costretto a tagliare tutte le spese che oggi sostiene al Sud.
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Al SUD. verranno chiusi ospedali, scuole e università. Verranno ridotte le prestazioni sanitarie e di welfare. Verranno ridotti di un terzo gli investimenti per strade, ponti, dissesto idrogeologico, ecc…
Il Sud continuerà ad essere pattumiera per i rifiuti pericolosi del Nord.
Verrano ridotti gli organici di Polizia, Carabinieri, Giustizia, Scuola, ecc..
Con l’approvazione del 518 al Sud tutti dovranno pagare le medicine, le analisi e le visite specialistiche. .. E tanto altro ancorea …
IL PARLAMENTO RAPPRESENTA TUTTI GLI ITALIANI E BOCCIARE IL 518 SE E SENZA MA . !
NESSUNA TRATTATIVA
CONDIVIDIAMO TUTTI LA CAMPAGNA.

Grazie per questo interessante post ad Agenda Sud – Calabria

Patrizia Stabile

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Questione Meridionale di Patrizia Stabile

Posted by on Lug 2, 2019

Questione Meridionale di Patrizia Stabile

V’è un libro famosissimo. Il protagonista è un gigante serio, affidabile, produttivo e industrioso, che si porta appresso un’enorme palla al piede abitata da esseri microscopici, indolenti, pigri, inferiori, pelandroni, inaffidabili.
Il libro lo conosciamo tutti, si chiama Storia: con la S maiuscola.
Il gigante è il Nord, la palla al piede al Sud.
L’ambientazione è l’Italia. Quell’Italia unita che vi ha raccontato, appunto, la Storia.
Basterebbe, però, avere il coraggio di spazzolarla contropelo per conoscere la verità.
L’unificazione dell’Italia è stato un gesto di inaudita violenza, una pagina scritta nel sangue: rapine, omicidi e sfruttamento ne furono i momenti fondamentali. Il nord aggredì il sud e lo “piovrizzò”, per riprendere l’efficace formula di Gramsci: ne sfruttò le risorse come base per lo sviluppo industriale a Torino, Milano e Genova. E condannò il sud al ruolo di perenne subalterno. A suffragarlo è, oltretutto, il mistero dell’oro di Napoli: la città più ricca e fiorente della penisola sprofondò nella miseria, a unificazione avvenuta, per via della vorace rapacità del nord. Ma – si sa – la terra è rotonda e si è sempre a sud di qualcun altro. Ora infatti l’Italia tutta intera, il nord virtuoso e il sud sprecone, scopre di essere la questione meridionale dell’Europa unita: che, come è noto, ha per capitale Berlino e per moneta il Marco tedesco. Ma nessuno lo deve dire. Perché la storia è il racconto del più forte. Oggi come ieri. Anche in questo caso, alla storia reale sono interamente sconosciute le retoriche apologetiche che magnificano l’ordine eurocratico: l’Europa garantirebbe pace e prosperità, benessere e integrazione. E invece sta generando puntualmente gli effetti opposti: miseria per i paesi mediterranei, disgregazione dei ceti medi e delle classi lavoratrici, potenziamento delle élites finanziarie, e vere e proprie guerre economiche: la Germania ha invaso la Grecia. Non con mitra e carri armati, ma con troika e spread, pareggio di bilancio e schiavitù del debito. Con un inaudito dispiegamento di violenza economica, la Germania sta letteralmente depredando le nazioni dell’area mediterranea, ingenerosamente chiamate PIIGS. Alle quali attribuisce, con palese razzismo, le colpe della miseria a cui li condanna: i Greci pelandroni, gli Italiani perdigiorno… La storia si ripete e continua a impartirci insegnamenti: ma non ha scolari e, così, siamo costretti a riviverla. Con tutte le sue tragedie e le sue contraddizioni. Per rovesciare le tendenze in atto, e per reagire alle questioni meridionali (in Italia e in Europa), occorre ripartire dal principio di solidarietà comunitaria: e quindi dall’idea dell’interesse nazionale come via di uno sviluppo pacifico e rispettoso delle pluralità, alternativo ai due estremi del nazionalismo e del mondialismo. Dobbiamo congedarci dal modello della crescita infinita a cinismo avanzato. Dobbiamo ripartire dall’unione delle classi lavoratrici e del ceto medio imprenditoriale, per porre in primo piano l’interesse nazionale: per tornare a considerare la società come una “famiglia universale” (Hegel), con cittadini portatori di eguali diritti ed eguali doveri. Chi lotta può perdere. Chi rinuncia a lottare ha già perso.

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Il giacobinismo e la massoneria dietro tutte le trasformazioni storiche

Posted by on Giu 4, 2019

Il giacobinismo e la massoneria dietro tutte le trasformazioni storiche

Servirebbe il revisionismo storico anche per riscrivere il decennio post rivoluzione francese, 1789-1799, (giustizia sommaria, beni confiscati, ruberie di stato, chiese distrutte e incendiate, ostie e reliquie profanate, preti imprigionati e massacrati, suore stuprate e uccise, credenti umiliati e trucidati, in nome degli “immortali” principi di Libertè, Egalitè, Fraternitè senza dimenticare il genocidio della Vandea ) per poter comprendere come le spinte giacobine e massoniche abbiano influenzato gli avvenimenti storici successivi e come continuino a condizionare quelli presenti. Il giacobinismo nato dalla volontà di strateghi “illuminati” è in realtà il risultato di un complotto massonico fondato apparentemente sul culto della Patria, ma che, di fatto, spingeva su ideologie come quella del progresso, dell’uguaglianza astratta e dell’individualismo sfociate in una vera e propria dittatura di un’élite che, modernamente, viene chiamata “Nuovo Ordine Mondiale”.
Il giacobinismo ( “Societè des amis de la Constitution”, “Società degli amici della Costituzione”) nacque quindi a Parigi nel 1789 nell’ex convento domenicano di San Giacomo ( di qui il nome) . Finto apportatore di ideali di libertà, fraternità ed uguaglianza ha avuto un gran numero di seguaci in Italia che ricordiamo, per mano di Napoleone (il vero ideatore del vessillo italiano tricolore), si concretizzò nella costituzione delle 4 Repubbliche Sorelle ( Cispadana, Cisalpina, Romana e Partenopea) assoggettate completamente all’esercito francese, che assorbiva terre e denaro da inviare in Francia per risanarne i debiti.
Si assiste, così,come ci ricorda Benedetto Croce in “Storia del Regno di Napoli” ad un radicale cambiamento: dall’attività massonica speculativa si va verso l’attività politica con la trasformazione delle Logge in centri di aggregazione dei Giacobini: «…gli ingegni napoletani… sul cadere del Settecento, primi in Italia, cioè fin dal 1792, … si misero in corrispondenza con le società patriottiche francesi, e i più giovani e ardenti riformarono le loro Logge massoniche in club giacobini…»

Ricordiamo brevemente di come quindi, preparato il terreno, le truppe francesi entrano a Napoli e istituiscono ( con la complicità “illuminata” della borghesia e dei nobili napoletani), la Repubblica Napoletana, conosciuta anche come Repubblica Partenopea. Nata per l’idealismo di pochi borghesi e nobili fintamente illuminati ma nella realtà meschini traditori dei Borbone e di tutto il popolo e lontana dai bisogni di quest’ultimo, resiste solo pochi mesi, infatti, il 13 giugno del 1799, grazie alla rivolta che partì dalla Calabria guidata dal Cardinale Ruffo e dai lazzari napoletani (cautamente appoggiati idealmente anche da Ugo Foscolo, nei suoi “Commentari” ) cessò questa nuova e poco amata forma costituzionale che cercò di soppiantare con l’inganno la monarchia dei Borbone. I repubblicani giacobini si resero colpevoli anche dell’uccisione di 60mila sudditi napoletani , vittime mai ricordate da Istituzioni sorde impegnate invece a commemorare le 122 impiccagioni a Napoli, che si susseguirono ininterrottamente da giugno a settembre,più altre centinaia nel resto del Regno, di traditori tra i quali la nobile Pimentel De Fonseca, Francesco Caracciolo, Domenico Cirillo, “vittime” della giustificata ritorsione dei Borbone ( peraltro realmente addolorati anche dal vile tradimento di quelli che consideravano fedeli amici).
Una nota folkloristica e religiosa: Sant’Antonio prese, in quel frangente e solo per un breve periodo (dal 1799 al 1814), il posto di San Gennaro come Patrono nel cuore dei Napoletani accusato di essere “nu Sant Giacubino” in quanto “consentì” il miracolo della liquefazione del sangue anche dinanzi al nemico francese.
Quanto incise invece il giacobinismo durante le fasi del Risorgimento e dopo?


Secondo gli accordi scaturiti dal Congresso di Vienna del 1814 si ripristinò l’Antico Regime cancellando di fatto tutte le conseguenze della Rivoluzione francese e del regime napoleonico, “la Lombardia e l’antica Repubblica di Venezia divennero province dell’Impero asburgico, mentre il Granducato di Toscana e i ducati di Parma e Modena vennero assegnati ai membri della dinastia asburgica. Lo Stato pontificio con le Legazioni fu restituito a papa Pio VII, che rientrò a Roma fra le ovazioni dei popoli della penisola. Nel Mezzogiorno il Regno di Napoli e Sicilia ritornò Ferdinando IV, che assunse il nome di Ferdinando I, re delle Due Sicilie. Sia il Papa, che addirittura concesse all’Austria di mantenere una guarnigione a Ferrara, sia i sovrani dei ducati della Toscana e di Napoli confidavano nella protezione austriaca. Solo il Piemonte, ingranditosi con la Liguria, restò autonomo dalla influenza austriaca, con la solita funzione di Stato Cuscinetto tra la Francia e l’Austria.”
Questa Restaurazione però per colpa anche di pesanti restrizioni imposte dalle vecchie Monarchie non spense le fiammelle repubblicane di un giacobinismo mai sopito che invece, come ricorda Antonio Gramsci dalle sue bellissime lettere dal carcere, fu un modo tutto borghese di fare politica, “sinonimo di politico settario ed elitario in senso deteriore” che introdusse una forte spinta laicista, anticattolica e totalitaria e che innescò, per colpa di quelle ideologie malate, l’insana regola di ordire complotti e strategie subdole per il raggiungimento ad ogni costo del Nuovo Ordine Mondiale. Oggi come allora che in quel contesto storico avevano lo scopo di “liberare” l’Italia dai vecchi Stati feudali e dalla Chiesa cattolica. E così in un apparente stravolgimento di alleanze ed amicizie, con la complicità della massoneria inglese e la neutralità di quella francese, l’Italia fu unita. E sappiamo come. La stessa Massoneria internazionale dirigerà successivamente tanti altri eventi con un’abilissima regia: gli scontri che porteranno alle guerre mondiali e la conseguente sconfitta dei grandi nazionalismi italiano, tedesco e giapponese, e alla conseguente divisione del mondo in due blocchi, decisi, a Yalta nel 1945, da Roosevelt, Churchill e Stalin. I due mondialismi materialisti di un’ipotetica Repubblica Universale si spartivano così il pianeta: da una parte il “capitalismo liberaldemocratico, agnostico e tollerante”, dall’altro il “comunismo ateo e totalitario”. Ci sono sempre i “fratelli massonici” dietro le libertà dei figli dei fiori sessantottini così come la diffusione dell’LSD,una strategia mirata della CIA deliberatamente voluta per creare incapacità di pensiero critico .
Ci sono sempre loro nell’ 1989 quando il comunismo crollava e gli Usa, burattini dei sionisti, veri deus ex machina dell’umanità, diventavano i padroni del mondo tanto che Bush nel 1991 affermò che si era giunti all’alba di un “nuovo ordine mondiale”. Ed infatti aveva ragione: siamo giunti quasi alla deriva di una società multietnica e multiculturale che annullerà tutte le culture e le fedi a cominciare dall’Europa, disarmata intellettualmente e in crisi d’identità, interessata dall’invasione di immigrati provenienti dall’Est, dall’Africa, dall’America Latina e dall’Asia, la maggior parte dei quali di fede musulmana “incompatibile con gli ordinamenti civili occidentali che crea incomprensioni e problemi di convivenza, ma che ai progressisti,ai custodi del politically correct e proprietari dei mezzi di comunicazione( che condizionano le menti di improbabili radical-chic o di semplice gente generosa che non ragiona se non con il cuore), la cosa sembra non importare.
John Foster Dulles, presidente della Fondazione Rockefeller tristemente preannunciava, in piena Seconda guerra mondiale: «Un Governo mondiale, la limitazione immediata delle sovranità nazionali, il controllo internazionale di tutti gli eserciti e di tutte le marine, un sistema monetario unico, la libertà di immigrazione nel mondo intero». E la Chiesa che avrebbe potuto essere l’ultimo baluardo di difesa se non si adeguerà a queste strategie mostruose non sarà che una pedina già fortemente compromessa dal di dentro, “corrotta moralmente ed in balia di scandali sessuali, battaglie per la soppressione della veste talare, matrimonio dei preti, revisione dei dogmi in funzione del progresso universale, sconvolgimento della liturgia, l’Eucarestia ridotta a un semplice simbolo della comunione universale ed il vecchio Papato ed il vecchio sacerdozio abdicanti di fronte ai preti dell’avvenire”.
Di certo esisterà una massoneria buona ma con questi presupposti io quando mi troverò al cospetto di simboli giacobini di sicuro cambierò strada. Numerosi e “striscianti” e che veicolano messaggi subliminali soprattutto quando è l’arte il mezzo: berretti frigi,alberi della libertà, la livella che alludeva all’uguaglianza, i fasci consolari dell’autorità romana, il caduceo simbolo della pace conquistata grazie all’abbattimento delle tirannie, la piramide e l’occhio onniveggente, la squadra ed il compasso, l’archipendolo o la cornucopia.

Brutte storie. Alla fine non ci resta che aggrapparci a tutti i valori allora demonizzati e banditi dal NWO (Nuovo Ordine Mondiale): attacchiamoci alla famiglia e ai suoi valori, rispettiamo il nostro passato, riscopriamo le nostre tradizioni,il cibo,gli usi e i costumi della nostra Terra, ancora una volta fondamentali per non perdere l’ identità che siamo riusciti a conservare accogliendo tutti i popoli che hanno avuto bisogno di noi. Ma soprattutto coltiviamo amore.

Patrizia Stabile

per Napoli giornale gratuito, direttore Alessandro Migliaccio

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MA QUALE 2 GIUGNO? DI PATRIZIA STABILE

Posted by on Giu 3, 2019

MA QUALE 2 GIUGNO? DI PATRIZIA STABILE

Oggi, domenica 2 giugno, si celebra la Festa della Repubblica in ricordo del controverso Referendum del 1946 dove per la prima volta poterono votare anche le donne e col quale, formalmente ed ufficialmente, per due milioni di voti in più rispetto alla Monarchia sabauda, vinse la Repubblica. La Repubblica Italiana, un progetto pre-risorgimentale di Giuseppe Mazzini che nel 1831 concorse a legittimare arbitrariamente il disegno di un’Italia unita che si perfezionò con Cavour (che però la consegnò nelle sanguinarie mani della monarchia sabauda).

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