Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

ATLANTIDE

Posted by on Gen 11, 2019

ATLANTIDE

Un viaggio nella memoria. Smentito ad ogni passo, vuoi per un asfalto recente vuoi per un tetto o una facciata rifatti. Solo le candele di una centa sembravano sempre le stesse, quelle di oltre sei lustri fa, quando seguimmo una delle tante vie aperte da chi se ne era andato prima di noi, verso l’isola felice del socialismo italiano, regione modello per eccellenza.

Altre volte eravamo riandati a Sud, nei decenni passati, spinti dalla nostalgia o da impegni familiari. Stavolta però il viaggio nella memoria era denso di presunzioni e di illusioni “duosicilianiste”.

Come prima tappa l’omaggio ad un maestro, Nicola Zitara, uno storico che ha fatto della dignità meridionale una ragione di vita ed un progetto politico: la indipendenza del paese meridionale quale soluzione unica e improcrastinabile al problema dei problemi, l’assenza di lavoro.

L’incontro si snoda tra appassionate ed estenuanti discussioni notturne e viaggi in luoghi simbolo della cultura e della storia meridionale, Gerace, Stilo, la ferriera di Ferdinandea, le fabbriche di armi e gli altiforni di Mongiana.

Appassionate discussioni notturne

Sullo sfondo sia delle parole che dei passi sempre lei, l’isola felice. Per noi, immagine-ricordo ingombrante, dove ormai sostano tanti affetti. Per gli altri, immagine-modello di un nord ordinato, opulento, invidiato e invidiabile. 

Da imitare. 

Modena, ah Modena, Reggio Emilia… gli asili all’avanguardia. Lo avremmo sentito dire tante volte nel corso di questo viaggio nel Sud, tra Campania, Calabria e Lucania.

A sud, invece, tutto da rifare, non funziona nulla. Solo mafia, corruzione, insipienza politica. Iniziative zero.

“Questo sud ha bisogno di uno scossone morale. I destini dei meridionali della diaspora e di quelli che oggi vivono al sud si divaricheranno sempre di più, per interessi contrapposti.”

La necessità di una scossa morale la condividiamo, le modalità  per generarla un po’ meno. Forse da lontano si vede male, distorto, non si percepiscono appieno la profondità e la vastità delle contraddizioni di una società devastata dalla emigrazione prima e dal mito dei soldi facili poi. Un mito che ha coinvolto tanti: a testimoniarlo una militarizzazione veramente impressionante del territorio [la Locride].

Le scorribande tra passato, presente e futuro si inseguono e si intersecano nei pochi giorni – o, meglio, soprattutto nelle notti! quando Zitara dava il meglio di sé nelle discussioni – di permanenza a Siderno

Uno dei filoni d’indagine che meriterebbe di essere esplorato – secondo il nostro ospite – è il “trattamento riservato alle opposizioni” nei primi anni di vita unitaria. Sicuramente si usarono maniere forti ed era pressoché impossibile opporsi. 

Noi suggeriamo che fu il “brigantaggio” la vera rovina del Sud: la paura dei briganti impedì alle classi dirigenti meridionali di far valere le proprie ragioni nei confronti del nuovo stato. Giocarono di rimessa, consegnando l’ex regno nelle mani dei piemontesi, senza contropartite.

Tra una discussione e l’altra riusciamo a convincere Zitara a postare un messaggio – intanto un amico napoletano dà un preavviso per informare gli iscritti che eventualmente vogliano replicare o porre delle domande – nel forum di Terra e Libertà. 

Zitara percepisce la potenza del mezzo e le possibilità di dialogo fra persone lontane che esso offre ma non ha un accesso personale diretto a internet e dopo la nostra partenza non ci risulta abbia proseguito il dialogo.

Per chi è interessato a leggere le repliche che non riportiamo in quanto dovremmo chiedere le autorizzazioni agli iscritti al forum, basta collegarsi a https://www.ngsoft.it/forum/ e leggersi – finché non verranno archiviati – i messaggi della discussione intitolata: Sondaggio: autonomia o indipendenza?

Gerace

La Firenze del Sud, deve il suo nome a Jerax, sparviero, secondo altri all’antico nome Bizantino “aghia kiriaki’” (S. Ciriaca). Il borgo poggia su un rilievo arenario da cui si domina la quasi totalità del territorio della Locride.

Il centro urbano conserva l’originaria struttura medioevale, è ricco di chiese, palazzi, e strutture architettoniche particolari (Gotiche, Bizantine, Normanne e Romaniche), i portali, le stradine, i monumenti, la bellissima cattedrale Normanna, il castello, le chiese del X, XII sec.

Di Gerace oltre alla straordinaria vista panoramica, ci ricordiamo di uno “strano” particolare, l’essere rimasti al sole per diverso tempo senza aver avuto alcun problema – quando a Siderno si trovava difficoltà a fare una passeggiata sotto il sole anche alle sei del pomeriggio.

Stilo

Situata alle pendici del Monte Consolino, dette i natali a Tommaso Campanella. Centro di storia e cultura tra i più rappresentativi di tutta la Calabria, tra le varie chiese e monumenti, di notevole interesse la cattedrale detta “Cattolica“, esempio unico di arte bizantina.

Ci siamo immersi nel respiro del silenzio che invita alla meditazione all’Eremo di Monte Stella, risalente all’epoca dei primi insediamenti di eremiti.

Nella chiesa bizantina di San Giovanni Theristis, risalente al X sec., officiata dai monaci greci, oltre a Padre Kosmas Aghiorita abbiamo incontrato Francesco, giovane e altero calabrese, reduce dalla partecipazione alla Fiera di Rimini, giugno 2005, al “Premio per il miglior sito comunale” per il sito https://www.bivongi.com.

Ferdinandea

Chi ama la storia di questo sfortunato paese e passa per le Calabrie non deve sottrarsi a questa sorta di pellegrinaggio che noi – assolutamente ignari di cosa avremmo trovato – abbiamo intrapreso tra fitti e verdi boschi di faggi, guidati dall’instancabile Franco Z. e dalla vulcanica Antonia C., insostituibili compagni di viaggio.  

Ma questa è Atlantide!” ha esclamato mia moglie di fronte all’imponenza del complesso che prorompe dalla vegetazione che l’ha sommersa e nascosta alla vista in più parti.

Ferdinandea, emblema di un glorioso passato sconosciuto alla stragrande maggioranza degli stessi meridionali – lo avremmo verificato nel prosieguo di questo viaggio a sud. Un nome che non è finito sui libri di storia, almeno quella insegnata nelle scuole e nelle accademie, rimanendo perciò ignota. Venne destinata, nella prima metà del 1800 a sede della direzione delle Regie Ferriere e della Fonderia, stabilimenti già in funzione da tanto tempo, e costituenti fonte di reddito per tutta la zona.

Il complesso residenziale comprende una Cappella o Oratorio, che esiste tuttora ma a cui è vietato accedere.

All’interno della tenuta, dimora estiva di Ferdinando II, accanto al laghetto artificiale, abbiamo incontrato due giovani con un gruppo di scout. Siamo rimasti piacevolmente sorpresi nello scoprire che essi avevano un opuscoletto contenente alcuni appunti su Ferdinandea [ringraziamo Maria Federica di Bovalino per averci dato copia delle due pagine che riproduciamo per intero]. Una prova tangibile che a Sud la vulgata risorgimentale si sta incrinando, che iniziano a circolare documentazioni storiche che negli scorsi anni erano appannaggio di pochi isolati cultori di storia meridionale.

Mongiana

Per evitare di tornare indietro, vista la distanza da Siderno, lasciamo la visita a Mongiana per il giorno della partenza, del ritorno in Campania, destinazione Vallo di Diano.

A Mongiana sono ancora visibili i resti di un vero e proprio complesso siderurgico sulle rive del fiume Allaro, di un altoforno sopravvissuto alle intemperie e alla incuria degli uomini e di una fabbrica d’armi, destinata alla produzione di cannoni, doppiette, sciabole, ma anche di utensili (bracieri, mortai) e balconi – mia moglie faceva notare, passeggiando per il paese, le personalizzazioni delle ringhiere visibili nei balconi meno recenti di quasi tutte le case.

Dopo la visita alla fonderia [vedi foto] , in Via Carbonile incontriamo un gentilissimo signore del luogo che ci chiede se abbiamo bisogno di passare dietro casa sua. Noi non resistiamo alla tentazione di domandargli cosa avesse sentito dire da piccolo dagli anziani del paese. Ne nasce una intervista non programmata, dove la storia con la esse maiuscola si incrocia con quella personale di emigrante prima e di forestale dopo, con tanti rimpianti per una vita che sarebbe stata diversa se non avessero smantellato la fabbrica di Mongiana e portato tutto a Brescia [forse la storia non andò proprio così ma ci è andato molto vicino]

Tra le altre cose che il signor Angelletta dice – durante la conversazione che riportiamo per intero – è che “a quei tempi quando suonava la campana si passava a prender la paga, non come adesso che ti fanno aspettare anche sei mesi“.

La fabbrica d’armi, edificio essenziale, la cui entrata è sormontata da due enormi colonne doriche di ghisa massiccia, è in restauro e non abbiamo potuto visitarla. In questa fabbrica furono fusi i binari della prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici.

L’altra tappa è stata la fabbrica dei cannoni, di cui si è persa finanche la memoria negli stessi abitanti di Mongiana. Dopo alcune domande senza risposta, un anziano signore ci ha indirizzati per un sentiero che porta a valle, lungo il fiume Allaro. Ci siamo incamminati in cinque ma un giovane abitante incontrato lungo la strada ci ha vivamente sconsigliato di proseguire. E così siamo andati avanti solo in due, chi vi scrive e l’infaticabile Franco. Solo una buona dose di follia o una grande passione può spingerti sotto lo schioppo del sole del primo pomeriggio, per giungere qualche chilometro più in basso, oltre il ponte di cui aveva parlato l’anziano signore delle prime indicazioni, ad un muracene che solamente una pietra rossastra tipico scarto da fusione testimoniava l’antica esistenza di una fabbrica di cannoni. Vana la ricerca di qualche segno più evidente tra le siepi che ricoprivano tutto.

Poco prima del ponte l’insegna del famoso “Sentiero naturalistico Frassati” un sentiero che per i luoghi che tocca costituisce una sorta di crocevia in cui s’intrecciano le vie del monachesimo, del naturalismo e della civiltà industriale.

Sul tardo pomeriggio giunge quell’ora – triste  per ogni viaggiatore – in cui dobbiamo salutare i nostri ospiti che se ne tornano verso la costa jonica, a casa propria. Noi decidiamo di pernottare. Una decisione davvero, saggia, in quell’albergo di Mongiana abbiamo riassaporato il piacere del silenzio dopo aver sofferto la chiassosa Siderno notturna.

All’indomani di nuovo sull’A3 – stavolta oltre i cantieri esistenti tra Lamezia e Rosarno – verso il Vallo di Diano. Il solito mistero dell’obbligo di procedere a 60 km all’ora  nella zona di Sibari lungo un pezzo di autostrada in cui i lavori parevano terminati. Ovviamente nessuno rispettava quell’assurdo e incomprensibile limite – avremmo scoperto di lì ad una settimana che era dovuto – parola di giovane camionista conoscitore del tratto che percorre spesso – alla cedevolezza del fondo stradale appena realizzato [verità o leggenda metropolitana?].

La capitale

Napoli, bella e maledetta. Vi capitiamo in uno dei giorni più torridi di luglio. Lasciata la stazione, dalle parti di via Torino finiamo in un dedalo di vie,  una delle quali completamente colonizzata da extracomunitari, dai marciapiedi ai negozi, al via vai di camion che scaricavano e caricavano merci.

Abbandoniamo l’idea di proseguire a piedi. Ad una fermata dei bus incontriamo il “solito napoletano” che ti spiega con dovizia di particolari cosa prendere per andare dove vuoi andare. Si tratta probabilmente di una questione fortuna, ma tutte le volte che passiamo per Napoli incontriamo sempre non i soliti scippatori ma i soliti napoletani gentili che se potessero ti accompagnerebbero direttamente alla tua destinazione. Con questo non vogliamo dire che Napoli sia la città più sicura del mondo, ma quando si gira in una qualsiasi metropoli del mondo bisognerebbe muoversi con un po’ di circospezione invece che con i paraocchi del pregiudizio.

Il nostro primo appuntamento è col direttore de “ilbrigante” col quale riusciamo finalmente a incrociarci in Piazza Municipio  per poi andare a rifugiarci via Partenope a due passi dal mare, al ristorante  “Anema e Cozze” dove resteremo per qualche ora a parlare del Nord e del Sud, ovviamente. E anche qui, un nostro interlocutore occasionale col cuore che batte a destra – politicamente parlando – si spertica in lodi del modello emiliano-romagnolo. Praticamente una rivisitazione riveduta e corretta del “FUJETEVENNE” di eduardiana memoria. E noi venuti dal nord ordinato e opulento, finiamo per dover erigere barricate contro i soliti luoghi comuni sul malcostume e il malgoverno meridionali, cercando di sostenere le ragioni di un sud da cui siamo lontani da decenni e di cui forse conserviamo una visione mitologica e intellettualistica.

Il nostro secondo appuntamento – sempre a Piazza Municipio, dove ci conduce il direttore de “ilbrigante”, a cui ormai abbiamo bruciato, pur senza volerlo, tutto il pomeriggio – è con un giovane amico dell’agro nocerino-sarnese strappato al ristoro delle acque del Tirreno e catapultato a Napoli in pieno solleone. Un altro gesto di sincera amicizia difficile da dimenticare. Andiamo in un bar a Mergellina,  dove nonostante la calura insopportabile, trascorriamo due ore piacevoli, finalmente con un paio di meridionali – G. ed E. – che non fanno professione di autorazzismo e non hanno timori reverenziali verso alcun nord.

Era il sud che cercavamo, anche se si tratta di un sud minoritario. Per ora.

Quando su Mergellina cala la sera, dobbiamo abbandonare i nostri amici e riprendere il treno verso Battipaglia. E finire sull’inferno della A3, un vero incubo tra Contursi e Atena lucana, un corridoio strettissimo con le macchine che ti abbagliavano contro ed un disgraziato (sudico o nordico che fosse, si trattava di un vero delinquente) che ci tampinava ad una paio di metri col suo camion –  e non è che noi potessimo andare più veloci visto che a un centinaio di metri ci precedeva un gruppo di auto ad andatura regolare. Ad Atena Lucana termina l’incubo e ci salutiamo con un reciproco e sonoro “vaffan….”.

Il Cilento

Per noi il Cilento è il luogo dell’anima, perché è il luogo dell’adolescenza: vi abbiamo frequentato elementari, medie, secondaria superiore.

Partendo da Teggiano, la cittadina della “Congiura dei Baroni”, ci siamo mossi tra Sacco, Piaggine, Roscigno vecchia, passando il più delle volte per la Sella di Corticato. Una volta per il passo della Sentinella, partendo da San Rufo, il paese di Nicola Marmo, poeta e scrittore, autore dell’amara satira postunitaria “Roma liberata”.

Prima di partire per il Sud, mi diceva per telefono un amico napoletano che ora risiede in Lombardia “dove son nato io, ora c’è un gommista”, ebbene dove son nato io, nel Vallo di Diano, ora c’è un posto macchina! Ma la nostalgia non è per quel posto macchina, è tutta per il Cilento, terra dei tristi al tempo dei borbone, terra d’emigrazione dai piemontesi ai giorni nostri.

Il terremoto ha stravolto il paesaggio urbano facendo fare un salto di decenni negli standard abitativi, ma ora diversi angoli del paese si riconoscono a fatica e tante case rimesse a nuovo sono completamente disabitate! 

Una classe politica incapace e soggiogata al centro politico padano-romano ha dilapidato una occasione sprecando un fiume di miliardi in assurde e inutili ricostruzioni di case oggi rifugio di qualche barbagianni.

Scrive Alessandro Cavalli in “COME REAGISCE LA COMUNITA’”, 1998:  

“E qui la variabile cruciale è la cultura delle élites locali – politiche, economiche e culturali – che sono in fondo le depositarie della memoria e dell’identità collettiva, e che guidano, magari attraverso processi dialettici e conflittuali, il processo della ricostruzione. Perché un disastro è sempre un’occasione, peraltro non cercata, per riflettere su se stessi, per riflettere su cosa si è e su cosa si vuole essere nei confronti del proprio passato e del proprio futuro.”

E ci siamo chiesti e continuiamo a farlo perché il modello Friuli che pur si è cercato di adottare – secondo noi sbagliando perché si trattava di un modello importato, estraneo alla nostra cultura e alla nostra storia – da noi non ha avuto successo: si ricostruiscono o si creano ex-novo le attività produttive, poi con i redditi da lavoro si ricostruiscono anche le case. 

Una ricetta semplice, per un’area contigua alle aree economicamente forti, forse meno praticabile in un sud bloccato tanti anni fa da una guerra civile nel suo percorso verso la modernità.

Non è stato poco e non è vero che non è cambiato niente, è cambiato eccome” ci scriverà poi, in questi giorni, il giovane amico dell’agro nocerino-sarnese, a proposito del tracollo del Regno delle Due Sicilie e della sua annessione al Piemonte. Ma per molti è roba vecchia passata. Non ne vogliono sentir parlare, secondo tanti meridionali col Sud di oggi non c’entra granché. Oggi i problemi del Sud sono altri, non certo come si è formato questo paese.

A questo ci hanno ridotto.

Peccato che si tratti di un passato che non passa. Da cui tutto discende, sottosviluppo ed emigrazione. Una guerra civile che ha visto migliaia di uomini in armi combattersi con ferocia e crudeltà e che ha lasciato un astio profondo tra il nord e il Sud del paese, che ha alimentato le diffidenze reciproche e non ha mai aiutato a far decollare uno sviluppo armonico dell’intera Italia. 

Anche la terminologia testimonia lo scontro decennale tra esercito e guardia nazionale da una parte e guerriglieri meridionali dall’altra, “quelli del Nord” e “quelli del Sud” sono le espressioni migliori del vocabolario nazionale postunitario. Anche oggi, o no? Pensate alla vostra esperienza personale e datevi una risposta.

Noi, in questo ennesimo viaggio dei luoghi della memoria, nel salutare amici che non vedevamo da otto-dieci anni ci siamo sentiti rivolgere battute tipo: “sei ancora neoborbonico”, “fai ancora parte del movimento di liberazione del Sud”  e altre amenità del genere. Ovviamente non siamo né iscritti al Movimento Neoborbonico [nel caso, non ce ne vergogneremmo e comunque abbiamo amici carissimi che ne fanno parte] e né siamo separatisti, anzi non lo siamo mai stati. Anche di questo non ci vergogneremmo, ovviamente,  nel caso lo fossimo.

Abbiamo solo fatto qualche lettura che non accetta la vulgata risorgimentale, tutto qui. Riteniamo che questo paese sia nato sopra un imbroglio e che sarebbe da rifondare sottoponendo ad una operazione di verità la sua storia fondante. Solo così i meridionali avrebbero qualche ragione per non vergognarsi di se stessi e i settentrionali qualche ragione per non sentirsi superiori ad essi.

Cosa non da poco.

Anche stavolta, estate 2005, siamo finiti impantanati nelle solite discussioni, nelle solite visioni palingenetiche e messianiche in cui non crede più nessuno, ma qualche amico meridionale invece sì. Stiamo parlando della sinistra, nel caso non lo si fosse capito. L’emigrazione sarebbe ripresa solo ora, con questo governo [di cui a noi importa meno di nulla, ma i fatti sono fatti] e non negli anni 1997-98 quando le statistiche già parlavano di 60-70mila persone che abbandonavano il Sud ogni anno, ma sui giornali non se ne parlava, ora invece si fanno i paginoni sul “fenomeno in ripresa”. 

Del decreto fiscale 56/2000, approvato dal governo di centrosinistra e applicato da quello di centrodestra, non sa niente nessuno. Se parli di Vera Lutz [che tanto piace al nostro presidente del consiglio] e delle sue teorie sulla necessità di concentrare al nord lo sviluppo,  ti guardano come un marziano.

Il destino dei popoli è simile a quello degli individui: esistono persone fortunate, a cui va tutto per il verso giusto e altre, invece, a cui la sorte matrigna riserva bocconi amari in quantità.

Il popolo meridionale prima della unificazione nazionale viveva in uno stato indipendente, che marciava con un suo particolare ritmo verso la modernità, possedeva una delle migliori marinerie del tempo, alcuni insediamenti industriali, delle buone leggi, un’agricoltura in trasformazione.

Una serie di sfortunate coincidenze storiche e geopolitiche [da tempo l’Inghilterra voleva dare una sistemata al Mediterraneo, a testimoniarlo un articolo apparso su “The Globe” del 12 maggio 1849, dove si tracciava una nuova configurazione dell’Europa che prevedeva, tra l’altro, in Italia un regno dipendente da casa Savoia] ne decretarono il tracollo militare, politico ed economico e resero questo paese una delle zone più arretrate dell’Europa occidentale.

Se il problema – su questo possiamo essere d’accordo – è quello della formazione di una nuova classe dirigente, come si fa a generarla o a farla emergere senza uno scatto di orgoglio che parta dalla propria storia?

Lo si potrà fare non certo rimestando i soliti luoghi comuni, ma chiarendo quelli che sono stati i punti cardine della formazione dello stato unitario prima e della ricostruzione del secondo dopoguerra poi.

* * *

Altre due tappe di un’estate in bilico tra memorie d’infanzia e ricerca storica avrebbero dovuto essere una seconda visita a Rionero in Vulture, patria di Crocco (di cui quest’anno ricorreva l’anniversario della morte), e una visita all’Archivio di Stato di Salerno nel quale si troverebbero notizie sul processo seguito ai fatti di Pontelandolfo e Casalduni, ma dei banali problemi tecnici alla nostra vettura lo hanno impedito.

fonte https://www.eleaml.org/sud/atlantide/atlantide.html

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IL BASSO PREZZO DEL DENARO

Posted by on Dic 22, 2018

IL BASSO PREZZO DEL DENARO

 All’indomani della fine della guerra, Giustino Fortunato – prefazionando “Il Mezzogiorno Agrario quale è”, di Eugenio Azimonti -, legava la redenzione economica del Mezzogiorno a “il basso prezzo del denaro”. Era questa una felice intuizione che quel grande spirito meridionale ebbe già per tempo. S’augurava, per conseguirlo, “una politica di parsimonia e di libertà” dello Stato italiano.


 Ora, a sei anni di distanza da quelle constatazioni, quanto già dissi nel precedente scritto, mi porta invece, in proposito, a pormi e a porre la seguente domanda: – Può il Mezzogiorno (facendo leva su sue risorse) fare in modo che il prezzo del denaro necessario pei suoi bisogni sia in futuro men caro che non al presente?


 Al lettore, ne son sicuro, non sfugge l’importanza del tema propostomi. Tema eminentemente positivo, di quella categoria a cui egli non può non concedere il suo interessamento.

***


 È da credersi che tutti, sia pure col solo buon senso dell’empirico, sappiano in qual modo si possa parlare di un “mercato nazionale del denaro”, e perché abbia a porsi la restrizione “nazionale” laddove si sa che il capitale, psicologicamente, è “internazionale”. Volerne qui discutere porterebbe troppo oltre. Comunque, si può notare che v’è tutta una serie di ostacoli allo scambio, che è valida solo nelle relazioni tra nazioni e nazioni (economiche), e non nell’interno di ciascuna di esse.


 In Italia, attualmente, si assiste ad una tenace azione di svincolo delle principali banche libere dalla soggezione agli Istituti di emissione, nel senso che quelle si sforzano a crearsi un mercato del denaro a sè, reagendo – per quanto più è possibile – alla dipendenza del tasso ufficiale di sconto ed alla politica monetaria che gli si riferisce.

 Questa tendenza, pur essendo contrastata dalle crisi, esiste, idealmente e di fatto, ed è confortevole.


 Però, come meridionale, mi corre l’obbligo di avvertire che l’evoluzione, nel senso su messo, delle grandi banche libere significa più attiva politica di prelievo dei capitali meridianali, o “pompaggio” di essi, come comunemente si dice.


 Questo fatto particolare, di tanta dannosa attuosità pel Mezzogiorno, sinora non è stato avvertito da nessuno: porlo, mi pare – per ciò – della massima importanza.


 Le grandi banche libere, per vieppiù disimpegnarsi dal ricorso agli Istituti di emissione, hanno d’uopo, tra l’altro: a) di meglio conoscere le varie categorie di risparmiatori, e di venir premurosamente loro incontro con offerte di accettazioni meglio idonee (sostanzialmente e formalmente) ad affrettarle come più esaurientemente è possibile; b) pigliar sempre più accorto interessamento pel capitale meridionale, così che esse, facendo con esso prevalenti “operazioni passive”, abbiano per meno insicura la possibilità di svolgere quei cicli di intermediazione produttiva specifici dell’istituto banca.


 Il risparmio meridionale, una volta acquisito dalla grande banca, viene adoperato, in principal modo, in finanziamenti nel Nord. Cosicché il Mezzogiorno, che pur ha imprestato a poco prezzo i suoi capitali, se ne richiede, a sua volta, in prestito alla grande banca, o non li ha, o deve subire vivaci angarie, il che, praticamente, fa lo stesso, per il fatto che la produzione meridionale lavora e vive su “margini” esigui, di mezzo punto percentuale di guadagno, ed ancor meno.


 Se poi il meridionale si rivolge alle banche indigene, non è a meravigliarsi dell’alto prezzo d’uso dei capitali – spesso insopportabile – richiestogli da esse; pochi depositi, sovente ricevuti solo per l’altezza del saggio d’interesse su di essi costrette a corrispondere, per richiamarli, non possono consentire certamente sconti od aperture di credito o mutui ipotecari a tassi vantaggiosi pel ricercatore di denaro a scopi produttivi, cosicchè esse banche son costrette a largheggiare in operazioni di prestiti “consuntivi”. Queste operazioni pregiudicano: a) l’economia regionale; b) l’educazione morale, per l’imprevidenza a cui abituano, o a cui indulgono.

 La colpa, per tutto ciò, è anche delle banche locali, in quanto anch’esse dovrebbero sospingere a questo rinnovamento di coscienze che andiamo invocando. È semplicistico ed erroneo, però, voler addossar loro la “causa” del fatto suddetto: questa è della “realtà”, che va combattuta per un migliore assetto del Mezzogiorno.

***


 Sorge così, per quanti meridionali hanno amor per la Patria e pel Mezzogiorno, il problema di sospingere a creare l’ideologia della banca regionalistica: più ancora, e complessivamente, a creare un mercato meridionale del denaro.


 Qui non si invocano volontarismi, sebbene sia presupposta una “volontà” che ora non esiste ancora, ma si ragiona così:


 Il Mezzogiorno ha un’economia storica speciale, ed è incontestabile che nel suo insieme ha peculiari aspetti “unitari”, mantenutigli da una tonalità bassa di vita che non gli consente di bene “equilibrarsi”, interregionalmente. Ora, in questo ambiente, sorge il problema di crearsi un mercato del denaro, in cui la domanda, per i bisogni del Mezzogiorno, sia soddisfatta con capitali del Mezzogiorno.


 Così messa la questione, essa si inquadra in quella più generale di creare uno stato d’animo nuovo, di dignità, nel Mezzogiorno, e dipende da esso.


 Non ho detto dei vantaggi. Essi sono: a) maggior coordinamento tra vicende economiche locali e credito; b) più gran copia di capitali disponibili, per i bisogni del Mezzogiorno; c) più basso prezzo del denaro, per quanta in b) e perchè vi sarebbero richiamate quelle categorie di capitali che attualmente si accontentano… presso istituti non locali – anche di poco frutto, perché al presente pensano di trovarvi maggiore sicurezza che non presso le banche locali; d) ritmo più accentuato di un’evoluzione fondiaria meridionale, per cui le terre ora poco coltivate son portate a più fruttuosa produzione.


 E’ questa evoluzione che ad un certo punto del suo divenire dovrebbe consentire l’equilibrio interregionale cui sopra abbiamo accennato. Il Mezzogiorno allora, con più notevole peso, entrerebbe veramente nell’economia italiana. Il mercato meridionale del denaro non avrebbe da quel momento ulteriori ragioni e convenienza di essere, se, prima ancora, non ne fosse impossibile l’esistenza.


 Concludo così: Il Mezzogiorno può progredite (ed “il basso prezzo del denaro” sarà possibile) se e quando i meridionali comprenderanno le veraci esigenze di esso. Lo Stato, in questa prima fase, non c’entra menomamente. Chiamarlo in causa, direttamente, è non avere la sensazione storica delle cose.
GIUSEPPE DELLA CORTE

fonte https://www.erasmo.it/liberale/testi/1653.htm

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PRIMERANO di NICOLA ZITARA

Posted by on Dic 18, 2018

PRIMERANO di NICOLA ZITARA

Anni ’50. Bovalino, andata e ritorno

Non credo che chi, in passato, avviava un’industria in Calabria fosse spinto dallo spirito del profitto. L’avarizia era connessa alla rendita, al commercio, alle libere professioni. Semmai, nelle attività industriali, il profitto era il metro che misurava il successo, mentre le perdite erano l’indicatore opposto. Prima e durante la guerra, nell’antica terra del padronato fondiario, arrivò il tempo dei pastifici e dei mulini. Fu una gara a chi ci sapeva fare, come nelle corse in bicicletta dei dilettanti. Ne sorsero dovunque. In un certo senso fu una rivolta della provincia contro Napoli e il suo hinterland, nonché la messa in discussione di Messina che, con i Molini Gazzi, esercitava una sua indiscussa egemonia sulla panificazione in Calabria. D’altra parte, a quel tempo, il porto di Messina faceva da struttura di sbarco per le merci dirette in Calabria e in partenza dalla Calabria, in particolare per le arance e i limoni che andavano in Inghilterra e nei paesi del Nord. Una rivolta contro il passato rusticano. Da vecchio sidernese, ricordo il successo che ottennero il pastificio e il molino Cataldo; da (in quegli anni) studente di stanza a Locri quello di un altro pastificio Leonardi e del Molino Fiamingo.

Queste imprese partivano con un capitale proprio. La banca (di regola il Banco di Napoli) aggiungeva come è naturale una parte o tutto il capitale d’esercizio. Siccome nuora non fa cosa che suocera non sappia, anche se non ho mai studiato l’argomento, credo di poter dire che il Banco si muoveva in forza di una direttiva del governo. La prevalenza delle imprese a capitale proprio è un indicatore negativo che rivela la modestia del capitale investito e l’involuzione del sistema meridionale rispetto all’ultima età borbonica, allorché la forma della società per azioni ebbe tale e tanta fortuna da sorprendere positivamente un’economista della statura di Ludovico Bianchini. Nel Sud unitario questo tipo d’impresa, che raccoglie i capitali presso il vasto pubblico divenne (ed è) una cosa di cui si legge sui giornali che il Nord ci manda. Comunque, più che il credito bancario, l’agevolazione a favore dell’industria molitoria proveniva da una disposizione legislativa, in base alla quale i molini, dovunque insediati, ottenevano il grano allo stesso prezzo; cosa resa possibile dall’ammasso obbligatorio del grano, con lo Stato che fissava il prezzo di conferimento e il prezzo di vendita. Traducendo la regola in termini di opportunità concrete, avveniva che i grani teneri centrosettentrionali potevano arrivare alle piccole imprese del Sud senza pagare una mediazione ai grossisti e franco magazzino (espressione del gergo commerciale per dire che il trasporto viene effettuato a carico e a rischio del fornitore)

Fino a che non ci fu la levata di scudi contro il Mezzogiorno da parte della Confindustria, del Corriere della Sera, di quel furfante di Montanelli, il quale insaporiva con l’arte della scrittura i peggiori veleni distillati nei laboratori del municipalismo padano, i nostri poveri paesi di Calabria videro un pullulare di piccole iniziative industriali. Mauro-Caffè (in appresso salita di scala), Spatolisano, Canale Costantino, Lecce, D’Alessandro, il saponificio Audino, i lanifici e i cotonifici nell’Alto Tirreno cosentino, le fabbriche di laterizi e le raffinerie delle sanse dovunque, la Calce idrata D’Agotino sono un ricordo personale e non certo un elenco esaustivo, che forse neppure la Camera di Commercio ha mai compilato.

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RASSEGNA DEGLI ERRORI E DELLE FALLACIE PUBBLICATE DAL SIG. GLADSTONE

Posted by on Dic 15, 2018

RASSEGNA DEGLI ERRORI E DELLE FALLACIE PUBBLICATE DAL SIG. GLADSTONE

RASSEGNA DEGLI ERRORI E DELLE FALLACIE

PUBBLICATE DAL SIG. GLADSTONE

IN DUE SUE LETTERE

INDIRITTE AL CONTE ABERDEEN

Sui processi politici nel bearne delle Due Sicilie

NAPOLI

STAMPERIA DEL FIBRENO

1851

 Scrive Salvatore Mandarini, giudice della Gran Corte Criminale di Napoli e socio di varie accademie scientifiche e letterarie, in uno dei primi opuscoli di parte borbonica che contestò le lettere del reverendo Gladstone:

“Il fervore con cui taluni de’ giornali stranieri han pubblicato o contentato con maligno compiacimento due lettere dell’onorevole sig. Gladstone al Conte Aberdeen sui processi di Stato nel Reame delle due Sicilie, ha eccitato un giusto sentimento di ansietà per sapere se gli straordinarii fatti in esse allegati abbiano alcun che di veridico e di reale. Imperocché narransi di tali e tanti dolori cui soggiacciono nelle napoletane contrade gl’imputati per reati politici, di un così esagerato ed incredibile numero di essi, di tali arbitrarie forme nel giudicarli, e di sì dure pene loro inflitte, che anche coloro i quali ignorano gl’interni ordinamenti del reame, ed il modo secondo cui vi si amministra la giustizia, non possono facilmente condursi ad aggiustar fede alle notizie con tanta leggerezza spacciate come vere dal predetto scrittore, ed alle fosche descrizioni che ne va delineando nel suo lavoro.”

Ovviamente le contestazioni di parte borbonica non sortirono alcun effetto – dilagarono quelle a sostegno delle lettere, prima fra tutte quella del Massari a Torino. Copia delle lettere del Gladstone furono diffuse in tutte le ambasciate e circoli culturali d’Europa.
Il destino delle Due Sicilie iniziava a delinearsi e marciava speditamente verso il crollo del Reame. 

fonte 

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1851_mandarini_rassegna_errori_fallacie_gladstone_2018.html

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I NAPOLITANI AL COSPETTO DELLE NAZIONI CIVILI di Giacinto De Sivo

Posted by on Dic 13, 2018

I NAPOLITANI AL COSPETTO DELLE NAZIONI CIVILI di Giacinto De Sivo

Si tratta di un testo noto, anche noi lo pubblicammo diversi anni fa – nel 2006 – ora lo ripubblichiamo completo di appendice – la edizione è datata Livorno 31 dicembre 1861 – ma a noi pare improbabile, dovrebbe essere successiva.

Uno stralcio dal testo:

 “Fu necessità salire su’ monti a trovar la libertà. É quasi un anno che combattiamo nudi, scalzi, senza pane, senza tetto, senza giacigli, sotto i raggi cocenti del sole, o fra’ geli dell’inverno, entro inospitali boschi, sovra sterili lande, traversando fiumi senza ponti, traversando muraglie senza scale, affrontando inermi gli armati, conquistando con le braccia le carabine e i cannoni, e strappando pur su’ piani campi di Puglia e di Terra di Lavoro la vittoria a superbissimi nemici.”.

Zenone diElea – Novembre 2018

CON APPENDICE
CONTENENTE

  • 1.° Lettera diFrancesco II a Sua Em. il cardinale Arcivescovo di Napoli pe’ danneggiati diTorre del Greco.
  • 2.° Lettera delSignor Carlo de Ricci al Direttore del Lombardo di Milano.
  • 3.° Lettera delComitato Patriota della Guardia Nazionale.
  • 4.° Lettera diFrancesco II alla Guardia Nazionale di Napoli.
  • 5.° Letteradatata da Firenze al Giornale il Cattolico di Napoli.

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LE MEMORIE DEI MIEI TEMPI PER SALVATORE COGNETTI GIAMPAOLO

Posted by on Dic 11, 2018

LE MEMORIE DEI MIEI TEMPI PER SALVATORE COGNETTI GIAMPAOLO

Siamo nel 1874, tutte le illusioni sull’antico reame delle Due Sicilie si sono consumate – il brigantaggio è stato battuto, Venezia è stata sottratta agli austriaci, Roma al Papa.

Cognetti non fa sconti a nessuno e descrive la caduta del Regno e l’atteggiamento delle classi dominanti meridionali nei confronti della casa reale, prima e dopo la caduta.

Vi consigliamo di porre attenzione particolare al suo viaggio in Calabria, una missione affidatagli da Liborio Romano, durante la quale rischiò di perdere la vita.

Riportiamo un brano che ben descrive l’opposizione che egli fece al nuovo regime:

“Partito Francesco II, mi posi al posto d’un attento osservatore. E dissi a me stesso, poiché è assurdo nelle fata dar di cozzo, e bisogna subire il fatto compiuto quasi con il beneplacito europeo e con il concorso potente dei governi di Londra e di Parigi; vediamo, se veramente questi repubblicani e questi murattisti siansi convertiti all’unità italiana, vediamo, se con un governo saggio, provvidenziale, giusto, indipendente essi dimostreranno ai popoli d’Italia ed all’Europa, che essi vengano davvero rigeneratori e riparatori degli errori dei governi caduti, tra cui quella famosa negazione di Dio del Reame delle Due Sicilie.

Osservai, e vidi troppo sollecitamente ciò che ho narrato nel Capitolo IX.

L’opinione, la coscienza pubblica, che io non perdeva di mira, si pronunziavano contro i sistemi politici, amministrativi e finanziari del nuovo governo, e cominciarono a manifestarsi col mezzo della stampa.

Così si videro spuntare diversi giornali conservatori, come l’Aurora, il Flavio Gioia, il Monitore, l’Ape Cattolica, la Stella del Mattino, l’Eco di Napoli, la Tromba cattolica ed altre effemeridi, che non ricordo; ma le passioni politiche ribollivano ancora; e questi arditi periodici, appena nati, erano spenti, meno per ire fiscali, quanto per violenza partigiana.

Mi avvidi, che già profondamente disgustati erano i democratici, rimasti sul terreno, essendo passato il potere tutto nelle mani dei moderati, che chiamarono Consorti, dipendenti ciecamente dal Conte di Cavour e dal Bonaparte. “

Uno dei bersagli principali fu Napoleone III, da lui ritenuto il vero artefice della caduta del Regno. A nostro modesto avviso non ha tutti i torti, anche se negli ultimi anni l’attenzione del revisionismo storiografico si è indirizzato contro la “perfida Albione” le responsabilità della Francia sono evidenti a chi conosca minimamente i fatti.

Basti dire che la flotta francese si pose di fronte a Gaeta non a garanzia dei regnanti borbonici quanto per dissuadere la Russia dall’intervenire.

Buona lettura e tornate a trovarci.

Zenone diElea – 7 ottobre 2018

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/01-1874-cognetti-memorie-dei-miei-tempi-2018.html

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/01-1874-cognetti-memorie-dei-miei-tempi-2018.html

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