CHE FINE HA FATTO DAMIANO VELLUCCI? COME PERDERE LA MEMORIA (STORICA)
Nell’ambito di una mia ricerca, tuttora in corso, sul brigantaggi postunitario in Terra Aurunca (parte fondante dell’allora Terra di Lavoro), mi occupai di Damiano Vellucci, interessante ed importante figura della resistenza antipiemontese, nativo di SS. Cosma e Damiano, oggi in provincia di Latina. Grazie alle poche fonti bibliografiche ed ai documenti da me reperiti negli Archivi di Stato di Caserta e Frosinone ero riuscito a tratteggiare, anche con buona dovizia di particolari, le sue vicende fino alla scarica di fucileria alle spalle che, all’alba del 7 Ottobre 1863 (dato unanimemente accertato), aveva posto fine alla sua giovane vita. L’esecuzione era stata eseguita nella fortezza di Gaeta, a seguito di sentenza del Tribunale Militare Straordinario di Gaeta, a sua volta, mostruosa espressione giuridica della famigerata Legge Pica di pochi mesi prima.
Peraltro nel fondo dei Tribunali Militari Straordinari di Guerra esistente nell’Archivio Centrale di Stato di Roma, tra decine di altri fascicoli, sobbalzai quando rinvenni gli atti del processo istruito davanti al Tribunale Militare proprio a carico di Damiano Vellucci!! Mi affrettai a consultarlo e fotografarlo integralmente: era, semmai ce ne fosse stato bisogno, la conferma ufficiale della sua tragica storia. Vi trovai tutto: capi d’imputazione, dispacci e verbali dei militari e delle autorità che avevano proceduto alla sua cattura, gli atti istruttori e la requisitoria dell’Avvocato Fiscale (il P.M. militare per intenderci) In merito la Legge Pica, peraltro, non gli lasciava alcuno scampo: era stato catturato “armata mano” come si diceva, dopo aver sparato contro la truppa. La pena ineluttabile era la morte per fucilazione.
Tutto quadrava quindi, tranne un particolare di non poco conto: mancava la sentenza! Si trattava di una circostanza alquanto sconcertante perché un processo, seppur militare, completo di tutte le sue componenti, deve necessariamente concludersi in un qualche modo, sia pure con un’assoluzione (impossibile) o con un non luogo a procedere, ma una conclusione qualsiasi deve averla! Invece niente!
Per la verità, forte della mia quasi quarantennale esperienza in campo investigativo poliziesco, non mi ci era voluto molto a capire cosa fosse successo. Esaminando bene il fascicolo, infatti, mi resi conto che mancavano delle pagine, evidentemente quelle della sentenza, non strappate, bensì con accuratezza tagliate via, forse con un taglierino o un oggetto simile.
Feci ovviamente notare la circostanza ai funzionari dell’Archivio Centrale che non potettero che concordare con me sulla scomparsa delle pagine incriminate, ma, in maniera incontrovertibile, mi opposero che loro erano deputati alla conservazione e fruizione al pubblico dei documenti, ma non alla verifica della loro integrità. Per quella avrei dovuto rivolgermi all’organo o ufficio che aveva trasmesso il documento all’Archivio. Giusto! Rimaneva senza risposta la domanda più importante: che fine aveva fatto Damiano Vellucci?
Ho provato allora a cercare tra gli atti d’anagrafe e parrocchiali di SS. Cosma e Damiano: nulla. Strano anche questo perché le sentenze, almeno quelle ai lavori forzati a vita e di morte, venivano stampate, pubblicate e trasmesse al comune di residenza del condannato. Non è improbabile però che a distanza di oltre un secolo e mezzo la sentenza stampata sia andata perduta, ammesso che sia stata spedita e ricevuta.
A questo punto mi sono chiesto se di quella tragica morte non fossero rimaste tracce nel luogo dell’esecuzione, ovvero Gaeta, ma dalla consultazione del Portale Antenati dell’Archivio di Stato di Caserta (ricordo che fino all’istituzione della provincia di Latina, Gaeta ha fatto parte storicamente di quella di Caserta) ma incredibilmente risultavano mancanti i registri anagrafici di quasi tutti gli anni ’60 del 1800. Così iniziava la mia personale partita con la burocrazia ed il muro di gomma delle istituzioni, una paradossale vicenda che, iniziata a maggio, si è conclusa solo ad ottobre, tra richieste orali, telefonate, solleciti e email, spesso senza risposta delle quali conservo ovviamente traccia.
In estrema sintesi, contattavo l’Ufficio Storico del Comune di Gaeta (via Annunziata, bellissima struttura, peraltro) dove mi veniva detto che tutta la documentazione relativa a quanto avvenuto nella fortezza era tuttora custodita nell’archivio particolare di quel castello. Dopo la chiusura dello storico carcere militare ivi ubicato però la fortezza era stata presa in carico dalla Guardia di Finanza di Mare ai cui referenti avrei dovuto rivolgermi. Bene! Procedo ad individuare i responsabili della G.d.F., mi ci è voluta qualche settimana ma alla fine mi hanno risposto che tutta la documentazione di archivio era stata a suo tempo trasmessa al Comune di Gaeta!
Ritorno così al punto di partenza e riattacco con le mie mail. Dopo altre settimane mi viene finalmente risposto che sì, la Guardia di Finanza aveva ragione ma che loro, sbadati, avevano dimenticato la circostanza della restituzione! Mi viene allora spiegato che comunque quei documenti, per mancanza di idonei locali erano stati trasportati, in via provvisoria, ovviamente, presso l’Archivio dell’Arcidiocesi di Gaeta. Incredibile a dirsi ma mi veniva fornito addirittura l’inventario con le coordinate archivistiche precise dei documenti che avrei dovuto lì richiedere per la consultazione.
Dopo ulteriori traversie ed alcune settimane di giri a vuoto mi veniva finalmente rivelato che avrei dovuto rivolgermi specificamente al Parroco della Parrocchia “Cattedrale”, incaricato, evidentemente della cura dell’archivio. Colpo grosso! Riesco stranamente solo dopo pochi giorni a parlare con il sacerdote che mi conferma che i documenti sono effettivamente lì, ma che c’è un problema, (e sembrava troppo facile…) perché trattandosi di documenti di proprietà non della Chiesa, ma del Comune, per poterli consultare avrei dovuto munirmi di specifica autorizzazione scritta del Sindaco di Gaeta.
La mia pazienza e tenacia professionale erano messe a dura prova, ma non ho mollato e dopo diversi tentativi di contatti, di preghiere e blande minacce sono stato finalmente autorizzato. Concordo il giorno e l’ora e, verso metà dello scorso ottobre, mi presento pieno di aspettative all’Arcidiocesi. Ero atteso e bene accolto e l’incaricato mi chiede di attendere in sala studio che mi avrebbe portato i documenti: benissimo! Passa però una mezz’ora e scorgo l’incaricato andare avanti ed indietro fino a che ritorna con un foglio di carta. Lo riconosco, è l’inventario mandatomi dal Comune. Il pover’uomo, un po’ mortificato mi dice che gli atti di morte purtroppo non si trovano! Gli oppongo che loro stessi mi avevano confermato la loro sussistenza e lui, contrito, mi accompagna dal Parroco che conferma la versione dell’impiegato e, foglio alla mano (che ho ovviamente fotografato) mi spiega che, sì, effettivamente come da inventario del 1988 quei documenti risultavano essere stati trasportati nei locali dell’Arcidiocesi, ma che poi, da un successivo inventario del 2022 non risultavano più presenti. Ci risiamo. E dove erano andati a finire?
Il sacerdote borbotta tra i denti che non si dovrebbe mai “fare un piacere a nessuno” e mi suggerisce di tornare al Comune, questa volta all’Ufficio Anagrafe, che, evidentemente se li era ripresi. Inutile precisare che di tutti questi movimenti non si trova alcuna traccia cartacea.
A quel punto, determinato ad andare anche dal Presidente della Repubblica, mi sposto all’Anagrafe dove, dopo i soliti solleciti, il responsabile mi conferma l’assunto del sacerdote. Bene. E dove sono i registri? Incredibile a dirsi, mi dice che come tutti gli atti anagrafici non recenti erano custoditi presso l’Ufficio Storico del Comune, ricordate, quello di via Annunziata?
Era una specie di gioco dell’oca e dopo tre mesi ero ritornato al via! A via Annunziata trovo una cortese funzionaria, la stessa peraltro dalla quale il gioco era iniziato, e che senza ricordarsi di me, (avevo con lei avuto solo contatti telefonici) prova a rimandarmi all’archivio della fortezza. Con cortesia ma risolutezza le spiego che ho già fatto tutto il giro del Monopoli e che non ho la minima intenzione di farne un altro e che non me ne sarei andato di lì senza una risposta definitiva.
La funzionaria si muove a compassione e mi chiede di seguirla in un dei locali dove mi mostra in bell’ordine su degli scaffali i registri degli atti anagrafici a partire dal 1809, invitandomi a cercare io stesso quelli che volevo. Ed ecco che arrivo fino al 1859 quando la numerazione si interrompe per poi riprendere nel 1867, in pratica ciò che avevo già rilevato nel Portale Antenati dell’Archivio Storico di Caserta.
Mi giro verso la dottoressa con aria interrogativa ma senza parlare e lei scrolla le spalle e mi oppone che è lì da sette anni ma che quegli atti, a sua memoria, lì non ci sono mai stati e non sa dove si trovino. La ringrazio quanto meno per la sincerità, ma le dico che difficilmente potrò tenere nascosto come il Comune di Gaeta si sia “persi” tutti gli atti dal 1860 al 1866, periodo, si capirà, quanto meno cruciale nella storia non solo di quella città, ma, direi, anche della storia d’Italia. La dottoressa annuisce e mi confida che mi capisce. La ringrazio e le dico che anche io penso di capire lei. Saluto e vado via.
Visto che ormai sono a Gaeta, ritorno dal Parroco perché voglio verificare un’altra pista: prima di fucilarlo qualche prete, un parroco o un cappellano militare deve aver sicuramente impartito l’estrema unzione a Damiano Vellucci prima della fucilazione e di questo sarà pure rimasta qualche traccia nei registri di morte della Parrocchia di competenza, ovvero, come visto, quella della Cattedrale!
Il prelato spegne però subito i miei facili entusiasmi. Per prima cosa, a suo dire i parroci non hanno alcun obbligo di registrare le estreme unzioni, bensì solo i funerali da loro officiati e per di più solo dei loro parrocchiani. Va da sé che il povero Damiano non ha mai avuto un funerale, ma il suo cadavere sarà stato buttato in qualche fossa comune; in ogni caso Vellucci non apparteneva certamente alla parrocchia di Gaeta-Cattedrale ma semmai a quella di SS. Cosma e Damiano, ma lì, come abbiamo già visto non c’è traccia della sua morte, Non ho neanche provato a cercare i suoi resti nel cimitero di Gaeta. A prescindere da quanto già detto, mi veniva spiegato che il camposanto era stato completamente ristrutturato probabilmente negli anni 60 e tutti i resti anonimamente finiti negli ossari (quando andava bene, aggiungo io).
Dimenticavo di dire che ho poi verificato che decine di altri processi tenuti davanti alla Corte Marziale di Gaeta dall’agosto del 1863 alla fine del 1865 presentano le medesime mancanze di sentenza e tutti con i ricordati stessi tagli di fogli. E’ singolare che l’unica sentenza di morte per fucilazione di un cittadino della Terra Aurunca l’ho trovata presso il Tribunale Militare Straordinario di Guerra di Campobasso sedente in Venafro. Forse a Gaeta erano bravi e non fucilavano nessuno!
E’ evidente che sono andato anche io, come tanti altri ricercatori, a sbattere contro il muro di gomma della damnatio memoriae. Rimanendo in tema e gergo poliziesco-giudiziario, che è quello che più mi si attaglia l’assassino ha fatto sparire tutte le prove del suo crimine. In questo caso non solo dei fucilati dal Tribunale Militare, ma finanche delle centinaia e forse migliaia di deceduti nell’assedio ed in conseguenza di esso.
E quindi? Ai fini legali non è successo niente; nessun fucilato, nessun soldato o civile morto, niente di niente. Tanti indizi sì ma nessuna prova. Allora è andata perduta la memoria di un popolo ed è evidente che semmai dovessi parlare in qualche incontro di Damiano Vellucci (e di tanti altri) e della sua fine qualcuno potrebbe anche legittimamente obiettare che le mie sono solo illazioni senza alcuna prova documentale, insomma, le solite deliranti fantasie da neoborbonico.
Certo che una mezza idea di chi possa essere il colpevole me la sono certamente fatta, come penso anche il lettore, ma è improbabile che si sia tenuto le prove in casa e poi quella casa non è accessibile ai non omologati…
E così,mi sono dovuto fermare, anzi, no, perché se qualcuno leggerà mai questo sfogo. Vi prego: aiutatemi a capire che fine hanno fatto Damiano Vellucci e tutti i nostri caduti dimenticati. Penso che meritino tutti che gli venga restituita la dignità della memoria storica, non solo delle loro vite ma anche delle loro morti. Gli spetta di diritto ed è nostro dovere cercare di ridargliela. Grazie anticipate.
8 Novembre 2024
Pino Cervo