Alta Terra di Lavoro

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CIORLANO / TORCINO / MASTRATI. Annotazioni di Ecologia Umana di Ciorlano con Torcino e Mastrati

Posted by on Dic 24, 2023

CIORLANO / TORCINO / MASTRATI. Annotazioni di Ecologia Umana di Ciorlano con Torcino e Mastrati

Il Consorzio Bonifica Sannio Alifano fu costituito con Regio Decreto n.8240 del 27 settembre 1927. La prima sede era in Piazza Ercole d’Agnese e la seconda in Piazza Giovanni Caso. In quegli anni il Consorzio si limitò al controllo degli argini del Torano e del Fiume Volturno.

Uno dei primi studiosi del Matese è stato il venafrano Nicola Pilla. Egli descrisse minuziosamente le rocce della cima di monte Miletto. Nicola, medico e geologo, fu il padre di Leopoldo Pilla, morto in battaglia nel Risorgimento, ma non in difesa dei Borboni dei quali il padre era un fedele amico e li conduceva a caccia nel vicino territorio Torcino, che è una frazione a nord di Ciorlano. I Borboni dalle case reali di Napoli e Caserta cacciavano a Torcino, ma mangiavano le trote del Biferno di Bojano (CB). Intorno al 1960, mio padre, che era quasi di casa a Ciorlano (CE) dove molti lo conoscevano, mi volle far conoscere una strada di montagna ciorlanese che da Ciorlano conduceva a Torcino. Percorsi a piedi tale stradina montuosa e mio padre mi indicò la pietra dove sedeva il re dei Borboni, quando si recava a caccia di cinghiali nel territorio di Torcino. Ebbi l’impressione quasi di scorgere il re dei Borboni con i servitori che lo ossequiavano mentre si riposava su quel trono roccioso. A Torcino spesso passo con l’automobile d’estate e riconosco ancora il bel viale alberato in pianura, che da piccolo osservavo dai monti di Ciorlano. Là, nei pressi, vi è ora un agriturismo con un’azienda che si estende su 320 ettari adibiti a pascolo, bosco ceduo, campi di grano, mais, oltre a numerosi specchi d’acqua e un’area adibita a “Riserva di pesca sportiva”. L’azienda si trova ai confini del Parco del Matese in un area totalmente inibita alla caccia dove si possono incontrare numerosi animali allo stato naturale tra i quali falchi, anatre selvatiche, aironi cinerini, fagiani, cinghiali, volpi e tanti altri animali, il grado di naturalità del posto è stato premiato in questi ultimi anni dagli incontri sia con un gatto selvatico che con alcuni lupi. Una vecchia casa contadina, una piccola stalla riattata ed una antica torre di guardia borbonica, risalente alla fine del 1700, sono le nostre strutture agrituristiche circondate dal verde della campagna, in uno scenario naturale ricco di storia, d’arte e di tradizioni secolari, di profumi e fiori che si alternano secondo le stagioni:questo è l’agriturismo, in provincia di Caserta, al confine con le campagne venafrane. Tali ricordi mi permettono di entrare nell’ambiente ciorlanese naturale e sociale, ancora oggi poiché là, più di qualcuno, dei 1000 abitanti degli anni Cinquanta, mi riconosce bene. A me pare che non si possa agilmente anche leggere la storia della fauna del Matese senza prendere in considerazione quella sua appendice naturale posta nella piana tra Venafro e Capriati al Volturno. Venafro, la cui stessa etimologia sembra ricordarlo, è sempre stata legata alla caccia ed alle “fiere” che abitavano i suoi boschi. Ciorlano oggi, è il comune meno popolato della provincia di Caserta con meno di 500 residenti su di una superficie territoriale di 28,65 kmq. Oggi Ciorlano è un borgo medievale interessante da visitare, soprattutto per un fresco venticello estivo tra i suoi vicoli caratteristici (vicini al Murorotto dove era la casa della mia madrina Albina Palumbo, con marito Alessandro Ricci e tre figli tra cui Sabatino, che mi ha fatto una visita con la sua signora di Mastrati a Padova una ventina d’anni fa) posti a soli 330 metri di quota. Come feudo dal 1651 appartenne ai nobili Gaetani d’Aragona. I confini di Ciorlano nel passato furono incerti e non mancarono lotte con Torcino, Mastrati e Capriati al Volturno, nel 1328 il Giustizierato di Terra di Lavoro ebbe ordine di stabilire i limiti territoriali. Con Pratella, Ciorlano ha avuto sempre stretti legami tramite la frazione di Mastrati che giunge quasi al limite del più popolato comune dove c’è la mitica Acqua Lete. Tale fama ricevette, nel XVIII secolo, un riconoscimento “ufficiale” grazie alla vicinanza del bosco di Torcino e Mastrati (così detto dal nome di due antichi villaggi diruti). Carlo III di Borbone, infatti, acquisì il bosco di Torcino per adibirlo a riserva di caccia. Probabilmente se ne era già invaghito fin dal 1734 quando, infante di Spagna e duca di Parma e Toscana, mentre l’esercito spagnolo dirigeva su Napoli occupata dalle truppe imperiali, egli si dedicava alla caccia tra Alife, San Germano e Maddaloni. Il figlio Ferdinando IV incrementò il tenimento con l’acquisto del feudo di Mastrati. A causa del famigerato “miglio di rispetto”, il divieto di caccia si estendeva anche alle seguenti località limitrofe alla tenuta:- nella parte superiore: le Mortine di Laurenzana, la Masseria di Rossi, Cervarecce, il Ponte di Capriati, Pilella, Noce dell’Isola, Selvozza, Cesa del Gallo, Ponte romantico, Masseria della Corte, Grotte di Ciorlano;– nella inferiore: la Masseria Lucenteforte, Andrioli, le fontane o Pantanello, Pontenuovo, il Molino di Sesto, Chiusa, il Pizzone ed il Ponticello sotto Presenzano. Per poterla raggiungere più agevolmente Carlo III fece proseguire fino a Venafro la rotabile che collegava la capitale con Capua e costruì il ponte sul Volturno chiamato “ponte reale”. In seguito, l’antica casa dei Coppa venne trasformata in un piccolo palazzo reale commettendone gli affreschi a Francesco Celebrano (1729 – 1814) che vi dipinse “Le Cacce” oggi purtroppo andati perduti. La reale caccia di Venafro portò notorietà ed indubbi vantaggi alla cittadina non fosse altro per le strutture realizzate e perché ogni anno vi giungeva la corte con un folto seguito di persone di ogni rango. Meta di personaggi reali anche durante il breve governo francese, la restaurazione borbonica vide Ferdinando I e Francesco I continuare, sebbene a lunghi intervalli, la tradizione di famiglia; ma Ferdinando II, preso da tutt’altri interessi che non quelli venatori, abolì la riserva, e ne fece dissodare una vasta zona. Vittorio Emanuele II, dopo la giornata del Garigliano, si recò a visitarla -il 7 novembre 1860- rimanendo colpito dalla bellezza dei luoghi e dalla varietà dei panorama. L’impressione che ne ricevette e la non smentita fama di “re cacciatore” fecero sì che iniziasse ad accarezzare l’idea dell’acquisto. Vi tornò nel febbraio del 1872 in compagnia del principe Federico di Prussia, nipote dell’imperatore Guglielmo, probabilmente per essere confortato da un autorevole parere. Fu così che, per assecondare i reali desideri, lo Stato italiano mise in vendita Torcino e Mastrati. L’asta fu celebrata il 20 ottobre 1872 nell’Intendenza di finanza di Campobasso. Rimase aggiudicata per 660.800 lire alla banca italo-germanica, che a sua volta -con atto pubblico rogato in Campobasso dal notaio Enrico Pistilli il 4 novembre dello stesso anno- dichiarò di aver fatto l’acquisto per conto e nell’interesse del patrimonio privato del re. Il notaio Pistilli, avendo rinunciato all’onorario dovuto per la stipula dell’atto, ricevette in dono da Vittorio Emanuele II un bellissimo remontoir in oro ornato delle lettere iniziali del nome reale, con catena e sigillo. Di questo periodo abbiamo una suggestiva descrizione della tenuta redatta dal Rosati, capitano di caccia di sua maestà. La Reale Tenuta di Torcino e Mastrati in quel di Venafro venne acquistata da Carlo III. La sua estensione è di circa ettari 1.000 tra il coltivatorio e la selva ed il perimetro che la circoscrive è di quasi miglia 20 pari a chilometri 39,39. Il bosco è porzione della pianura ed il rimanente si prolunga in una catena di monti e colli, gli alberi che vi allignano sono le querce, i cerri, i pioppi, gli olmi, gli aceri, il pero, il melo etc. Il Volturno per la più grande parte ed i fiumicelli Sava e Lete ne circondano la vallata. Si penetra nella tenuta per un sontuoso ponte chiamato Ponte Reale eretto dal suddetto Re. Torcino e Mastrati due paesi ormai distrutti e sono rinchiusi nell’attuale tenuta hanno lasciato il nome alla Reale Riserva. Vari fabbricati, tortuosi viali ed ameni ruscelli interni grandemente adornano questo bel sito di caccia. A pochissima distanza dal Barraccone o Casino di Torcino, si ammira una specie di circo costruito per la cosiddetta caccia “sforzata” che facevasi a cavallo: provocati dai cani i cinghiali entravano impetuosamente nel recinto murato ed ivi a colpi di lancia erano atterrati. Il bosco abbonda di cinghiali della più bella specie, di capri, lepri, volpi, lupi nonché di molti volatili come beccacce ed anitre selvagge di inverno e di starne e pernici nell’està. Molte cacce vi furono fatte negli scorsi tempi da diversi sovrani cioè da Carlo III, da Ferdinando IV, da Gioacchino Murat, da Francesco I, da Ferdinando II. Gli illustri cacciatori si trattenevano per vari giorni nella casina reale di Venafro ove pernottavano ed il mattino si recavano al bosco per la caccia. Anche il nostro prode Re Vittorio Emanuele nel dì 7 novembre del 1860 dopo la battaglia del Garigliano muovendo da Sessa onorava di sua presenza quel mentovato bosco ove si divertì alla caccia per più ore. Rimase sì fattamente impressionato da questa riserva che fra i primi beni assegnati alla lista civile mostrò desiderio di averla. Sua Altezza Reale il Principe Umberto vi venne due volte: la prima nel gennaio 1870 e la seconda nel marzo 1871, in entrambe pernottò al Barraccone stesso ove s’aggiustarono alla miglior maniera gli alloggi per la prelodata Altezza Reale e per i nobili cacciatori del suo seguito. Le cacce che vi dette riuscirono brillantissime. La prima volta partì da Napoli accompagnato dai Principi di Gesualdo e di Piedimonte, dal cavalier Maurizio dei Baroni Barracco, dal cavalier Giovanni de Sangro, dai generali Pallavicino e Strada e dal maggiore Montabono. Furono eseguite quattro cacce nei giorni 7, 8, 9 e 10 gennaio e morì la seguente selvaggina: lupi 4, cinghiali 17, capri 17, lepri 6, volpi 2, beccacce 22, beccaccine 2, pernici 2, totale 72. Nel primo giorno si battettero quei punti del bosco conosciuti coi nomi di Selvotta e di Colle Torcino nonché l’altro chiamato le Navi ove morirono i cinghiali più grossi e feroci. Nel secondo giorno il Selvone e la Grande Mortina, nel terzo la Mena nuova di San Nicola e si ripigliava una parte del Selvone. Nel quarto si ripeterono le battute del primo giorno. Le beccacce furono uccise nella Mortina della Colonna a poca distanza dal Volturno ed i lupi nel Selvone. La seconda volta che Sua Altezza Reale onorò questa Riserva fu, come dicemmo, nel mese di marzo 1871, venne da Roma accompagnato dai signori romani Principe di Teano, conte Cini, signori Silvestrelli, Mura e Pandolfi nonché dal Direttore Generale delle Reali Cacce conte Baldelli, dal marchese di Incisa, dai conti Taverna e Bertola e dal conte polacco Broblisky, ai quali si aggiunsero, provenienti da Napoli, il principe di Gesualdo, il cavaliere Maurizio dei Baroni Barracco, il marchese Pallavicino ed il cavalier Giovanni de Sangro. Si dettero due cacce nei giorni 7 e 8 del predetto mese e morirono i seguenti animali: cinghiali 34, caprioli 6, lepri 2, volpi 2, martore 1, beccacce 2, falconi 1, totale 49. Le battute furono quelle del 1870 e malgrado che la stagione fosse già avanzata pure le due cacce riuscirono bellissime e i signori romani rimasero lietamente meravigliati e della bellezza del posto e del prodotto delle cacce. Questa riserva di per sé stessa importante acquista ora maggior pregio con la residenza della reale famiglia in Roma, Torcino non dista che cinque ore e mezzo dalla capitale: ore quattro con treno celere da Roma a Caianello ed un’ora e mezzo in carrozza da Caianello al Barraccone. Sempre che non si voglia ancor più risparmiare tempo costruendo un tronco di ferrovia da Caianello a Venafro, aspirazione di tutti i naturali di quei paesi che farebbero qualunque sacrificio per ottenerlo. Si potrebbe abbreviare ancor di più il viaggio costruendo un ponte, simile al ponte reale sul Volturno, all’estremità opposta del bosco e propriamente alle Mortine di Mastrati che corrispondono a Presenzano e quindi ad un terzo d’ora di cammino dalla stazione di Caianello, ma anche vicino all’area piedimontese dove i Borboni erano di casa al palazzo del principe Gaetani. I due anziani genitori della mia madrina di Ciorlano, Giuseppe Palumbo e Rosina, riposano al camposanto nella bassa valle del Sava, vicino al fiume, dove si andava a pescare insieme a Gaspare e Gioacchino di Maria Palombo, sorella di Alba . La casa della madrina Alba oggi è chiusa e i tre figli vivono altrove: 2 migrati da Ciorlano e una rimasta in piazza centrale. Tale piazzetta fu ampliata con donazione generosa di un medico ciorlanese emigrato in USA. Davanti alla chiesa ciorlanese dell’Annunziata vi era zia Guglielmina, sorella di Albina, con la sua bella casa che dava sulla piazza e con un retrocasa alberato di melograno e di un vigneto, che ho rivisto in agosto scorso. Di Ciorlano era anche un medico, molto amico del dr. Luigi Ferritto letinese migrato a Piedimonte d’Alife. Tra letinesi e ciorlanesi qualche legame antico esiste ed è stato riportato a pagina 336 del mio ultimo saggio ”Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio”. Là, scrissi e confermo: ”Pare accertata l’origine del VII sec. C. del muro sud della chiesa letinese di San Giovanni il Battista, dove nel lato interno della parete e quindi nella chiesa c’è il degrado degli affreschi, che sono del 1575, pagati ed ordinati da Cesare Pitocco di Ciorlano e dedicati a S. Egidio, S. Giovanna d’Arco e S. Antonio Abbate”. Nel mio saggio precedente: ”Letino tra mito, storia e ricordi”, oltre a citare egli affreschi suddetti, citai Sabatino Riccio, figlio della mia madrina di battesimo, che sosteneva di scorgere nelle ragazze letinesi una spiccata bellezza soprattutto per la pelle più liscia, che attribuii all’acqua salutare del fiume Lete, sperimentata dalla greca principessa Letizia nel mito sull’origine dei letinesi e di Letino. Il marito della mia madrina, morto qualche anno fa, si chiamava Alessandro Riccio ed era stato emigrato in Venezuela, mentre il mio padrino, fratello di Alba emigrò in Argentina con la sorella. Tra Alba ed Alessandro ci fu una bella storia d’amore che mi veniva spesso raccontata a Ciorlano, dove serbano bene il ricordo giovanile di mio padre, che lavorava spesso con una famiglia ciorlanese la cui casa era posta sotto le mura medioevali vicino all’Annunziata. A Ciorlano ricordano ancora il pozzo d’acqua scavato da mio padre vicino alla prime case a sinistra del bivio entrando a Ciorlano. Nel corso dei secoli Ciorlano ebbe diversi nomi: Zurlanum, Zurlano, Cerolano, Cerolari, Ciorlano. Nel 569 d.C., in epoca dei Longobardi, fu un Pagus e solo successivamente divenne Castello con Torre Casero Cerolano. Nel 1064 il castello di Ciorlano con tutti i suoi possedimenti e un quarto delle terre di Torcino, fu donato da Pandolfo, conte di Venafro, ai Benedettini divenendo in tal modo prima proprietà dell’Abbazia Benedettina di Montecassino poi di quella di San Vincenzo al Volturno ed infine dei Cistercensi dell’Abbazia della Ferrara di Vairano Patenora, dove vi è il rudere di uno storico castello normanno, che causò l’incontro avvenuto il 24/01/1272 tra il Papa Gregorio X e il Re Carlo I. Nel 1532 il castello di Ciorlano fu concesso a Isabella Mobel ed infine ai Conti Gaetani di Laurenzana di Piedimonte d’Alife (Matese dal 1970). Nel 1738, dopo che Ciorlano era divenuta più ricca, il duca di Laurenzana donò al re Carlo III la tenuta di Torcino che costituiva la zona più bella della contrada e dove ho rivisto un mio nipote letinese, Giovanni Ferritto, esperto custode dell’azienda zootecnica con centinaia di vacche. All’interno, la Chiesa di S. Egidio e S. Nicola presenta un affresco della Pietà e una bella tela della metà del XVIII secolo raffigurante la Madonna tra Santi. La tenuta di Torcino è custodita da un Luogotenente di caccia, da un sergente, da due caporali e da nove guardie, tutti a cavallo. Ma detta forza è insufficiente per frenare le contravvenzioni di caccia e forestali che ogni giorno avvengono, specialmente le ultime. I naturali di Venafro, sia detto a loro lode, sono i soli che rispettano scrupolosamente questa riserva per la quale hanno una specie di culto. Fra le tante contravvenzioni che si sorprendono nel corso dell’anno vi è da scommettere con sicurezza che non avvenne alcuna a carico di un venafrano. I contravventori alla caccia sono per lo più dei comuni di Sesto Campano e di Ciorlano, quelli forestali di tutti i paesi della vicinanza. La guardiania è divisa nei due punti principali della tenuta: al Barraccone ed a Mastrati, ma per ben custodire questa riserva ci vorrebbe un terzo posto sulla montagna e precisamente nel punto chiamato Formicone. I cinghiali di Venafro sono della più bella specie che forse sia in Italia: di pelo grigio, di grosse sanne, di istinto feroce, essi nei momenti di “rostra” non lasciano di destare una certa emozione tra i cacciatori e di mandare indietro molti cani feriti. Il lupo è comunissimo in Torcino specialmente nel verno, si nasconde a preferenza nel più forte del Selvone. Di notte però non si astiene dal recarsi urlando sin sotto alle finestre delle guardie al Barraccone di dove fugge poi inseguito dalla immensa schiera di cani da mandria che ivi dormono al sereno. In una delle notti poi in cui S.A. Reale il Principe Umberto si trovava in Torcino per le cacce tutti gli invitati furono desti da questa musica importuna: erano tre lupi che si erano avvicinati di troppo all’abitato. Pagarono il fio della loro tracotanza perché vennero uccisi nelle battute del giorno dopo. Anche il caprio di Torcino è della più bella razza e la carne è squisitissima. Il bosco di Torcino è talmente folto e selvaggio che la banda del famoso brigante Fuoco vi ebbe stanza per molti anni senza potervi essere sorpresa malgrado che nei due posti di Torcino e di Mastrati vi fossero accasermati distaccamenti di truppa regolare che facevano continuata perlustrazione in compagnia delle Guardie caccia reali, le quali poi erano oggetto di odio profondo per quei briganti i quali scorgevano in esse le guide dei soldati. E in effetti parecchie volte le povere Guardie caccia si intesero colpire a tradimento da dietro a qualche macchia. Ma ora che il feroce bandito venne ucciso con i suoi compagni quella riserva reale è ritornata nell’abituale sua calma e vi si può accedere con tutta sicurezza sì di giorno che di notte. Anni fa la qualità ambientale d’Isernia era alta, ma adesso pare si sia ridotta un’altra volta. In tutte le classifiche di qualità ambientali non ci sono quasi mai eccezioni: le città del settentrione vengono prima di quelle de meridione che chiudono la classifica. E se si stilasse una graduatoria anche dei Consorzi di bonifica in Italia, quello dell’ambiente pedemontano del Matese campano come si piazzerebbe? L’informazione deve essere superpartes, ma anche non limitarsi a stare troppo fuori o predicare solo come fa il papa, che ha le proprie fonti fedelissime e le tante testate diocesane, ma spesso lontane dalla realtà Democratica ed asservite alla volontà pastorale, che in area provinciale è ben attenta a non urtare i piedi dei potenti di turno. Fece eccezione il Vescovo di Padova inviato nella Diocesi d’Alife nel XVII sec che mise sugli attenti i nobili Gaetani in difesa del cappellano. Ma leggiamo come predica il Vescovo di Roma dalla cattedra di Pietro:”Importante è l’informazione superpartes ma anche per la verità con amore, come dice anche papa Francesco: “Amare la verità vuol dire non solo affermare, ma vivere la verità, testimoniarla con il proprio lavoro. Vivere e lavorare, dunque, con coerenza rispetto alle parole che si utilizzano per un articolo di giornale o un servizio televisivo. La questione qui – dice il papa francescano – non è essere o non essere un credente. La questione qui è essere o non essere onesto con sé stesso e con gli altri. La relazione è il cuore di ogni comunicazione. Questo è tanto più vero per chi della comunicazione fa il proprio mestiere. E nessuna relazione può reggersi e durare nel tempo se poggia sulla disonestà. Mi rendo conto che nel giornalismo di oggi – un flusso ininterrotto di fatti ed eventi raccontati 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana – non è sempre facile arrivare alla verità, o perlomeno avvicinarsi ad essa. Nella vita non è tutto bianco o nero. Anche nel giornalismo, bisogna saper discernere tra le tante e possibili sfumature di grigio degli avvenimenti che si è chiamati a raccontare. I dibattiti politici, e perfino molti conflitti, sono raramente l’esito di dinamiche distintamente chiare, in cui riconoscere in modo netto e inequivocabile chi ha torto e chi ha ragione. Il confronto e a volte lo scontro, in fondo, nascono proprio da tale difficoltà di sintesi tra le diverse posizioni. E’ questo il lavoro – potremmo dire anche la missione – difficile e necessaria al tempo stesso di un giornalista: arrivare il più vicino possibile alla verità dei fatti e non dire o scrivere mai una cosa che si sa, in coscienza, non essere vera. Vivere con professionalità vuol dire innanzitutto – al di là di ciò che possiamo trovare scritto nei codici deontologici – comprendere, interiorizzare il senso profondo del proprio lavoro. Da qui deriva la necessità di non sottomettere la propria professione alle logiche degli interessi di parte, siano essi economici o politici. Compito del giornalismo, oserei dire la sua vocazione, è dunque – attraverso l’attenzione, la cura per la ricerca della verità – far crescere la dimensione sociale dell’uomo, favorire la costruzione di una vera cittadinanza. In questa prospettiva di orizzonte ampio, quindi, operare con professionalità vuol dire non solo rispondere alle preoccupazioni, pur legittime, di una categoria, ma avere a cuore uno degli architravi della struttura di una società democratica. Dovrebbe sempre farci riflettere che, nel corso della storia, le dittature – di qualsiasi orientamento e “colore” – hanno sempre cercato non solo di impadronirsi dei mezzi di comunicazione, ma pure di imporre nuove regole alla professione giornalistica. Rispettare la dignità umana è importante in ogni professione, e in modo particolare nel giornalismo, perché anche dietro il semplice racconto di un avvenimento ci sono i sentimenti, le emozioni e, in definitiva, la vita delle persone. Spesso ho parlato delle chiacchiere come “terrorismo”, di come si può uccidere una persona con la lingua. Se questo vale per le persone singole, in famiglia o al lavoro, tanto più vale per i giornalisti, perché la loro voce può raggiungere tutti, e questa è un’arma molto potente. Il giornalismo deve sempre rispettare la dignità della persona. Un articolo viene pubblicato oggi e domani verrà sostituito da un altro, ma la vita di una persona ingiustamente diffamata può essere distrutta per sempre. Certo la critica è legittima, e dirò di più, necessaria, così come la denuncia del male, ma questo deve sempre essere fatto rispettando l’altro, la sua vita, i suoi affetti. Il giornalismo – conclude Papa Francesco – non può diventare un’“arma di distruzione” di persone e addirittura di popoli. Né deve alimentare la paura davanti a cambiamenti o fenomeni come le migrazioni forzate dalla guerra o dalla fame”. Parole sante soprattutto per la criticità che va usata anche verso i media cattolici, troppo spesso a servizio dei feudi elettorali e non della verità e nelle diocesi periferiche anche il vescovo spesso diventa poco credibile con i suoi media asserviti ai feudi elettorali. L’ex papa tedesco, Benedetto XVI, ci metteva “in guardia dai pericoli di una ragione e di una libertà completamente lasciate a se stesse, agli impulsi di un’arroganza e di un’anarchia senza limiti”. La grande come la piccola storia non si deve inventare solo per comprensibili esigenze di ricerca di una identità storica territoriale di aree marginali ed isolate sui monti del Matese come Letino, San Gregorio M., Ciorlano, ecc. Tantissimi sono emigrati da un paesino medievale ricco di storia e di bontà dei ciorlanesi. Dalla località “Porta” di Ciorlano, il più piccolo comune casertano, si ammira un singolare paesaggio in gran parte della bassa valle del Sava, che scorre vicino al bivio e al cimitero dei ciorlanesi, dove riposano in pace persone care allo scrivente anche per considerarli maestri e benefattori della sua adolescenza. Dal belvedere davanti la chiesetta di Sant’Egidio, oggi San Nicola, tale paesaggio è ancora più suggestivo. Si ribadisce che l’Ambiente è un insieme di Natura e Cultura e non è affatto solo quello naturale, come molti continuano a credere. Analizzare l’ambiente è compito anche dell’Ecologia Umana, scienza di sintesi interdisciplinare ed anche transdisciplinare. L’agricoltura con prodotti d’eccellenza e le aziende zootecniche all’avanguardia delle Pianura Alifana e Valle Telesina devono il merito ai lavori di bonifica fatti negli ultimi cento anni per la regimentazione e la difesa delle acque dei Fiumi Volturno, Torano, Maretto, San Bartolomeo, Titerno, Calore, Isclero, unitamente alla realizzazione di canali per le acque piovane e scolanti. Opere imponenti che hanno eliminato zone paludose infestate dalla temibile zanzara anofele , vettore del plasmodio della malaria, consentendo la coltivazione ed insediamenti abitativi di estesissime aree prima escluse, improduttive ed insane. In Campania un primo esempio di bonifica sono stati i Regi Lagni, ampi canali di bonifica per l’irrigazione dei terreni, realizzati dal 1592 al 1616 da Don Pedro de Toledo ed il Conte di Lemos, Vicerè di Napoli per Filippo III di Spagna. Furono amministrati dalla “Giunta de’ Regi Lagni” e poi dalla” Direzione Generale de’Ponti e Strade”. A questo Istituto nel 1855 nel Regno di Ferdinando II di Borbone si affiancò l’Amministrazione Generale di Bonificazione. Il Sovrano, vedendo Piedimonte d’Alife, ricca di industrie indispensabili all’economia del Regno, nel 1842 spese centomila Ducati per arginare il Torano ed i torrenti Rivo e Valpaterno, suoi tributari, per la protezione della Città (allora i flussi idrici di questi corsi d’acqua erano notevoli). Il 13 settembre 1857 l’alluvione distrusse tutte tali opere con danni gravi e vittime civili. L’Amministrazione Generale di Bonificazione dopo quattro mesi deviò il corso del torrente Valpaterno fuori l’abitato di Piedimonte così come oggi lo conosciamo, irrobustì gli argini e ne ampliò il letto. Nel 1966 ho assistito all’alluvione che fece uscire l’acqua lungo via E. d’Agnese fino a piazza Roma. Intervennero i militari per soccorrere i locali. Sulle alluvioni piedimontesi del Vallone in particolare si interessò il mio ex prof. Ing. Dante Fossa, che aveva acquisito esperienza tecnica in America Latina. Una mia prof.ssa di lettere a Piedimonte d’Alife, molto capace e sensibile si chiamava Vanda Carfi, che era la figlia del Direttore del Consorzio di Bonifica locale, dunque con cultura vasta e spendibile, non accademica. Il Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano fu costituito con Regio Decreto n.8240 del 27 settembre 1927. La prima sede era in Piazza Ercole d’Agnese nel palazzo ove a piano terra vi è un noto fotografo e la seconda in Piazza Giovanni Caso. In quegli anni il Consorzio si limitò al controllo degli argini del Torano e del Fiume Volturno con creazione di canali di irrigazione nella Piana Alifana. Il grande sviluppo del Consorzio si ebbe negli anni Cinquanta grazie alla Cassa per il Mezzogiorno d’Italia che realizzò l’opere tuttora in funzione, unitamente alla nuova sede nel Viale della Libertà a Piedimonte Matese, dove il partitismo locale con i feudi elettorali hanno i loro uomini ben piazzati e non gratis. Laghetto di Guardiaregia e monte Mutria. Le numerose strade consortili di Bonifica indispensabili per i fondi agricoli realizzate fino agli anni Settanta sono state cedute alla Provincia di Caserta e gli elettrodotti rurali all’ENEL. I progettisti locali delle opere irrigue e delle strade di Bonifica che tuttora utilizziamo furono gli ingegneri Conte Ugo Gaetani, Antonio Fossa, Dante Fossa, i geometri Leonardo Bellone, Francesco Mancini, Cosimo D’Alagna. Il Direttore del Consorzio era allora il Dottor Alberto Carfì, la figlia fu mia prof.ssa di Lettere all’Itis di Piedimonte d’Alife nel 1963/65. Il timone politico dell’epoca per la nostra zona era Giacinto Bosco”. Sul Matese nel territorio di Guardiaregia (CB) c’è da tempo un lago artificiale che pare non serve ad alcuno né al Consorzio di Sviluppo sottostante l’area pedemontana di Campochiaro (CB). Un altro spreco delle acque matesine? Esse, invece, potrebbero sia essere utili alle aziende del Consorzio molisano suddetto che ad alimentare l’acquedotto campano-molisano sottostante il monte Mutria. La diga fu realizzata da una ditta siciliana poi finita in inchieste tangentizie, ma il lavoro andrebbe recuperato ed utilizzato anche per la fruibilità maggiore dell’istituendo parco nazionale del Matese. Ad una presentazione del mio saggio “Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio”, a Guardiaregia, presente anche il dr. G. G. Caracciolo, un indigeno mi si avvicinò incuriosito al messaggio da me dato ai molti emigrati guardioli in Canada là presenti, e mi chiese se il parco lo avrebbe beneficiato o meno. Dipende da come verrà guidato ed amministrato gli risposi. Anche il Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano non sempre è stato ben amministrato e con bilanci ultimamente discussi criticamente da commercialisti esperti ed imparziali. I media informano ultimamente che “la giunta regionale della Campania ha approvato il Piano di valorizzazione del comprensorio di bonifica proposto dal Consorzio di Bonifica Sannio Alifano. Il Piano avrà una durata di tre anni e prevede una dotazione finanziaria totale di 3 milioni di euro. Due sono le linee di intervento: La prima prevede l’incremento del personale di sei unità a tempo indeterminato di personale dell’ ex consorzio di bonifica Valle telesina (soppresso) da parte del Consorzio di bonifica Sannio Alifano da destinare alle azioni legate al Piano di valorizzazione del territorio e la seconda linea di intervento prevede l’acquisizione di lavori, servizi e forniture per la redazione del Piano generale di bonifica del territorio oltre a lavori di manutenzione e acquisizione di macchinari. “Siamo soddisfatti della decisione, ha dichiarato L assessore regionale al lavoro, di aver contribuito con questo provvedimento a garantire la salvaguardia della funzionalità e delle finanze del Consorzio di Bonifica Sannio Alifano nonché a mettere in sicurezza i livelli occupazionali”. Dunque la mano pubblica è sempre presente per rimpinguare le casse consortili, nel passato spesso esigue anche per ipotizzati sperperi e nepotismi. Ma leggiamo ancora lo Scriptorum Loci suddetto:”Il Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano il 3 aprile 2002 ha acquisito anche il Consorzio della Valle Telesina, in crisi gestionale, divenendo uno dei più grandi e tecnologicamente avanzato d’Italia con una superficie territoriale totale di 195.000 ettari nelle Province di Caserta, Benevento ed Avellino limitatamente ai Comuni di Cervinara, Rotondi e San Martino Valle Caudina. Cuore del Consorzio è la traversa di Ailano a Mortinelle larga 60 metri con paratoie mobili metalliche che modula le acque del Fiume Volturno guidandole in due ampi canali derivatori della capacità di 4000 litri al secondo. Uno alla sinistra del Volturno (dicesi destra o sinistra nel senso di scorrimento verso la foce) diretto all’importante Centrale di sollevamento Boscarello nella piana di Sant’Angelo d’Alife. Alla destra del Volturno, l’altro canale con l’ausilio di un tunnel giunge a Pietravairano e serve Baia Latina, Dragoni ed Alvignano con condotte intubate a pressione e le classiche canalette della Ditta Rosacometta di Milano. Le centrali di sollevamento e pompaggio distribuiscono le acque provenienti dai fiumi ai campi col governo dei “Comizi” che danno origine a condotte interrate dalle cui bocchette gli agricoltori possono usufruire di un getto ad alta pressione (2.5-3 Bar) per l’irrigazione dei campi. Le romantiche canalette, simbolo della Bonifica di un tempo, si stanno eliminando gradualmente (in molti si concedevano un bagno durante la calura estiva ). Gli agricoltori caldeggiano la loro eliminazione perché limitano l’ agevole lavorazione dei terreni con i moderni mezzi agricoli, aventi dimensioni e sagome imponenti, sconosciute a quelli in uso negli Anni Sessanta e Settanta del Novecento. Sono presenti altre due traverse sul Fiume Lete a Pratella ed Ailano larghe 9.5metri con paratie mobili da cui originano canali derivatori con portate di 660 litri/sec. Una traversa sul Fiume San Bartolomeo a Sesto Campano non è più adoperata, precisa G. G. Caracciolo, che poi passa ad esaminare tecniche e centrali connesse al consorzio del Sannio Alifano. Tecnica degli impianti di sollevamento Centrale Boscarello a Sant’Angelo d’Alife: 5 gruppi motori elettrici asincroni trifase e pompe disposti verticalmente. Le pompe hanno una eccezionale portata di 1225 e 1550 l/sec avendo delle giranti a geometria variabile che consente di cambiare il grado di inclinazione delle pale. Riceve le acque del fiume Volturno grazie al canale derivatore in sinistra Volturno lungo 5.5 Km che origina dall’Impianto di Mortinelle in Ailano. La torre piezometrica consente alle acque di raggiungere gli altri impianti per differenza di quota. E’ presente una vasca di accumulo in cemento armato delle acque di 8000 mc. Nel 1986 il canale derivatore che proseguiva verso l’impianto Forma è stato sostituito con una condotta in acciaio del diametro reale interno 1240 mm della lunghezza di km 6,758. Centrale Forma ad Alife zona Madonna delle Grazie: sei gruppi originari del 1953 perfettamente funzionanti ed estremamente affidabili disposti orizzontalmente con motori e pompe da 300 l/sec. Le acque sono sollevate con una nuovissima condotta con diametro nominale di 1200 alla vasca di carico “D’Ambrosio”, che alimenta con condotta l’Impianto Fosse. Centrale Fosse ad Alife, zona Varanelle, dotata di sei gruppi orizzontali con motori e pompe da 200 l/sec. Interessante è il piccolo sollevamento “Tre Mulini” ad Alife, in realtà un pozzo, situato prima del ponte sul Torano lato Cartiera che con due elettropompe centrifughe da 50 l/sec e serve i noti “Orti d’Alife” all’interno delle storiche mura. L’acqua arriva con una condotta dall’Impianto Fosse. Centrale Epitaffio a Piedimonte Matese all’ingresso della Città con due gruppi verticali e pompe Pellizzari da 60 l/sec. L’acqua è addotta dall’Impianto Boscarello. Per l’irrigazione dei campi nella zona di competenza vi è il canale Epitaffio-Campanelli. Centrale Gioia, zona Torre Duca a Gioia Sannitica: 4 gruppi motore pompa verticali del 1981; uno da 100 l/sec e tre da 50 l/sec. L’acqua arriva dall’Impianto Boscarello. Centrale Fosso Lagno Gioia Sannitica: ex Impianto della Valle Telesina, è stata recentemente rinnovata completamente con 4 potenti gruppi verticali costituiti da motori e pompe con portate di 70 e 35 lt/sec. E’ ubicata sulla riva sinistra del fiume Volturno da cui preleva l’acqua direttamente con un’opera di presa. Impianto Marzanello di nuovissima costruzione progettato e diretto dall’ingegner Massimo Natalizio, entrato in funzione nel 2009. Le acque (1900 l/sec) sono prelevate dal Volturno a Capo Torcino dalla traversa della Centrale Idroelettrica Enel di Capriati al Volturno e trasportate con una condotta in acciaio lunga 15 Km ed un tunnel di 1700 metri nel Monte Sant’Angelo di Vairano Patenora in due enormi vasche di carico che servono per l’irrigazione dei terreni agricoli di Pietravairano, Presenzano, Riardo e Pietramelara alla destra del Volturno. Quattro potenti gruppi sommergibili con portate di 390 e 190 l/sec alimentati da moderni trasformatori in resina sollevano le acque dalla vasca principale di 10.000 mc ad una seconda sita più in alto di 5000 mc che consente una ulteriore disponibilità idrica. L’acqua della centrale idroelettrica di Capriati al Volturno utilizza le acque del lago di Gallo M., che fu realizzato espropriando molti terreni pianeggianti dei gallesi anche se si opposero agli espropri, costretti ad emigrare senza ritorno e l paesetto da 2500 ab. è ridotto a meno di 500. La centrale di Capriati al Volturno però è moderna ed efficiente come la quasi dirimpettaia e pure moderna centrale di Presenzano (Ponticello), che raccoglie le acque dal bacino inferiore prelevate sempre dal Fiume Volturno della Centrale idroelettrica di Presenzano e le invia con l’interposizione di un torrino piezometrico al secondo impianto. Lavorano quattro gruppi verticali con motori Ansaldo e pompe Rotos da 185 l/sec. Seconda Centrale di Presenzano: possiede sei gruppi di sollevamento con pompe Pellizzari da 71 l/sec. C’è del marcio in Danimarca (ed anche in Svezia, Finlandia e Norvegia)!”; lo diceva già qualche secolo fa Shakespeare… e chi sono io per contraddirlo? Ma parliamo di aria pura. Il Matese è ricco di faggete soprattutto e Letino è il comune che ha più di sezioni boschive dei 17 comuni comunitari montani dell’Ente Comunità Montana “Matese” con sede a Piedimonte Matese, città baricentrica tra Campania e Sannio. Esse ricambiano l’Atmosfera matesina continuamente e in modo benefico oltre a dare un notevole contributo alle casse comunali quando vengono venduti i boschi nonché per usi civici. Gli alberi, tra l’altro, hanno la funzione di stoccaggio del carbonio e di ossigenazione. La concentrazione di CO2 atmosferica pare stia subendo negli ultimi decenni una preoccupante crescita; dagli anni Cinquanta, quando si registravano mediamente circa 310 ppm, siamo giunti agli attuali 410 ppm. In pratica stiamo subendo un incremento di circa 2 ppm /anno, con tutte le conseguenze climatiche di cui sembra che molti se ne accorgano. L’ albero, in tale contesto alterato, svolge un ruolo fondamentale e primario in quanto, grazie ai processi biochimici di fotosintesi, assorbe ingenti quantitativi di anidride carbonica dall’aria; una pianta di 23-30 cm di diametro assorbe circa 30 kg di CO2 all’anno. Allo stesso modo, ogni albero produce in media 20 – 30 litri di ossigeno al giorno e, considerando che ogni uomo necessita in media 500 litri di ossigeno al giorno per vivere sano, tale fabbisogno viene soddisfatto in media da circa 15 alberi. Allo stesso modo gli alberi compensano le emissioni annue di CO2 delle auto o degli impianti di riscaldamento. Tale CO2 viene puntualmente sottratta all’aria e bloccata nei tessuti legnosi in modo da abbassarne la percentuale libera nell’aria che respiriamo, contribuendo a far arretrare l’effetto serra. Già solo questo aspetto dovrebbe farci guardare all’albero come ad un nostro amico, come qualcuno che combatte per noi, ma non sempre è così, gli abbattimenti per futili motivi sono all’ordine del giorno. Il ruolo di “spazzino dell’aria” non si limita solo all’ azione sulla CO2, ma una serie di sostanze inquinanti quali Ozono, Polveri sottili, ovvero le famose PM10, anidride solforosa e biossidi di azoto, vengono puntualmente captati dalle foglie producendo un “Miglioramento della qualità dell’aria che respiriamo”. Chi abita nei pressi delle autostrade saprà ben illustrare anche i vantaggi che possono derivare da una barriera verde “fonoassorbente”. Gli alberi hanno infatti la capacità di attutire anche del 70 % i rumori generati dal traffico e dalle normali attività cittadine. Importanti sono le funzioni di antierosione e smottamento a valle del terreno montano e collinare. Le piante d’ulivo che vivono nei terrazzamenti del Cila e del basso monte Muto a Piedimonte lo dimostrano. Non dobbiamo poi dimenticare il ruolo rivestito dagli apparati radicali in terreni in pendenza come deterrenti ai fenomeni erosivi e franosi anche di giardini pensili; in ambito urbano probabilmente tale aspetto è meno evidente, a meno che non si tratti di alberi messi a dimora su pendii poco coesi. Ai vantaggi ambientali si affiancano poi quelli Sociali, Economici ed Ecologici. Interessante sul piano ecologico della prevenzione inquinamento agricolo è l’articolo di Domenico Pelagalli:“Continuiamo ad apprezzare quanto la giunta regionale ed il presidente della Regione Campania fanno per l’agricoltura e la zootecnia dei nostri territori, ma in attesa di una maggiore chiarezza di intendimenti sul caso dell’applicazione della Direttiva nitrati 91/676/Cee non potevamo astenerci dalla legittima tutela degli interessi degli agricoltori e degli allevatori campani”. Con queste parole Fabrizio Marzano, presidente di Confagricoltura Campania, commenta il decreto presidenziale del 21 febbraio 2020 emesso dalla V sezione del TAR della Campania di Napoli, che ha sospeso l’efficacia della delibera di giunta della Regione Campania n. 762 del 5 dicembre 2017, contenente la nuova delimitazione delle Zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola (Zvnoa), unitamente alla relazione tecnica di accompagnamento, basata sui dati dell’ArpaC. La delibera sospesa aveva sostituito la precedente delimitazione del 2003 ed estendeva su un territorio molto vasto il limite di 170 chilogrammi per ettaro anno di azoto totale alle fertilizzazioni dei terreni. La richiesta di sospensiva era stata avviata dai legali di Confagricoltura Campania e di un gruppo di aziende associate a tutela degli interessi legittimi degli imprenditori agricoli, in particolare degli allevatori, che si intendono ingiustamente lesi dalle norme contenute nella delibera. La camera di consiglio collegiale di merito per il richiesto annullamento della delibera oggetto di sospensiva cautelare si terrà il 24 marzo 2020. Fino a nuove disposizioni, il limite alle fertilizzazioni azotate sulle nuove zone vulnerabili ai nitrati designate dalla delibera sospesa è da intendersi di 340 chilogrammi di azoto totale per ettaro, come previsto per le zone non vulnerabili dai vigenti regolamenti regionali in materia. La Campania, come scriveva l’Agronomo P. Ciliberti, è vocata per l’agricoltura e lo storico ITAS (Istituto Tecnico Agrario Statale) “A. S. Coppola” di Piedimonte d’Alife fu ben diretto dalla sua Cultura approfondita con attenzione al sociale come lo è anche l’attuale Dirigente Scolastico e Naturalista nativo di San Potito S., che guida pure l’ITIS “G. Caso”.

Giuseppe Pace (Sp. in Ecologia Umana Inernazionale all’Università di Padova).

fonte

https://www.matesenews.it/ciorlano-torcino-mastrati-annotazioni-di-ecologia-umana-di-ciorlano-con-torcino-e-mastrati/

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