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Combattettero come leoni. Morirono da eroi. Li chiamarono briganti (parte seconda)

Posted by on Nov 13, 2024

Combattettero come leoni. Morirono da eroi. Li chiamarono briganti (parte seconda)

Come abbiamo detto nell’articolo precedente, l’eroismo dei briganti viene spesso descritto dagli stessi militari dell’esercito di occupazione, i quali, però, non sempre sono disposti a riconoscere il valore dell’avversario sconfitto. Non sfugge a questa triste consuetudine il giovane sottufficiale Paolo Negri, che su incarico del colonnello Federico Rossi nella ‘Storia del 46° reggimento-brigata Reggio’ racconta le vicende della sua brigata dal 1860 fino al 1870. 

Il 46° reggimento venne utilizzato nella lotta al brigantaggio e tra gli episodi che Negri racconta c’è quello della distruzione della banda Carbone, composta da 22 elementi, sorpresa in una masseria a Borreana, nei pressi di Venosa, da un drappello di suoi commilitoni guidati dal sottotenente Ricci. Ecco quello che il militare scrive nel suo libro: “Già le uscite erano state occupate, il sottotenente Ricci intima alla banda di arrendersi non essedovi più scampo alla sortita. Si risponde con furibonde bestemmie e colla detonazione delle armi, di cui la banda era oltremodo provvista. In breve tempo il Ricci trova modo di fare avvertire la truppa di Venosa e di Lavello, e rimane l’intera notte di guardia ai 22 briganti, che feroci quasi come tigri, prima che arrivi il soccorso possono darsi ai più disperati partiti… I briganti non si scoraggiano ed incominciano un fuoco vivo dalle finestre e da alcune feritoie che avevano praticato nei muri della masseria, ma la costanza ed il sangue freddo del Ricci e dei suoi soldati rendono vani gli sforzi dei briganti che vedono avvicinarsi la loro fine. Difatti all’albeggiare arriva da Lavello il luogotenente Garavaglia con 30 uomini, giungono pure i cavalleggeri di Saluzzo da Venosa e le guardie nazionali, e si decide di forzare la masseria. Il luogotenente Podetti ed il
sottotenente Ricci, sfondata una porta, si inoltrano nella masseria, ma una scarica micidiale li accoglie ed il soldato Sentimenti vi lascia la vita e diversi altri soldati rimangono feriti. Non volendo menomare un così bel risultato con altre ed inutili perdite, si prende la risoluzione di lanciare sul tetto materiale incendiabile, per abbruciare i briganti ostinati a non voler sentir parlare di resa.

Dopo quattro ore, sconquassate ed arse le porte in mezzo ad una nebbia di fumo, la truppa rinveniva gli avanzi non ancora del tutto bruciati degli uomini e dei cavalli, che componevano la banda del famigerato Carbone. Da diverse e molte detonazioni intese dentro la masseria pare che i briganti, che da due ore non facevano più fuoco, vista la impossibilità di scampo abbiano prima ucciso i cavalli e poi loro stessi,
lasciandosi abbruciare piuttosto che arrendersi. Meno le canne dei fucili, le lame dei pugnali, dei coltelli, e sette baionette, tutto rimase in preda alle fiamme. Noi non ascriveremo ad eroismo (come in quel tempo fu detto) il lasciarsi bruciare piuttosto che arrendersi; no di certo. Lo chiameremo invece fanatismo, una falsa credenza… ‘Chi muore combattendo contro i nemici della religione e del nostro Re
Francischiello vola al godimento del regno dei cieli.’ Con questa fede troppo vecchia e inconcussa si affronta con disprezzo profondo la morte e lo abbiamo più volte veduto nel cinismo addimostrato dai briganti fatti prigionieri. I briganti da noi fucilati andavano alla morte con passo fermo, fumando e bevendo al grido di Viva Francischiello.”

Qui finisce il racconto di Paolo Negri, che tra le righe ci dice molto più di quanto lui stesso intendesse fare. Innanzi tutto il militare ci dice che la fine eroica dei componenti della banda Carbone non è stata per nulla un’eccezione. Anzi, per i briganti (secondo le sue parole) era la
regola affrontare la morte con dignità e coraggio. Paolo Negri ci dice anche (come anticipavo nel precedente articolo) che l’opinione pubblica restava colpita e ‘ascriveva a eroismo’ il comportamento dei briganti negli ultimi attimi della loro vita. 
A questo proposito tenta di sminuire il loro valore, utilizzando argomenti generalmente utilizzati in casi simili dalla pubblicistica di regime e cioè parlando di fanatismo, di false credenze o di una fede antica. Non si rende conto, però, che in questo modo esalta le loro qualità di veri combattenti. Quale esercito non sarebbe onorato di avere tra le proprie fila uomini così fedeli al proprio leader e così profondamente convinti della causa per la quale combattono?

Enrico Fagnano

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