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“Cominciava l’arte del boia” Camillo Benso, conte Cavour

Posted by on Nov 12, 2024

“Cominciava l’arte del boia” Camillo Benso, conte Cavour

Non mi arrendo – “Cominciava l’arte del boia”. Ecco chi era Camillo Benso, conte Cavour

Cavour fu un ambiziosissimo personaggio, amico di tutti i più influenti
uomini della massoneria europea, frammassone egli stesso, che cominciò
a farsi conoscere sulla scena politica con una decisione cinica:
mandò incontro alla morte 15 mila soldati piemontesi in Crimea,
al fianco di Francia, Inghilterra, Austria e Turchia contro i Russi,
solamente per poter sedere al tavolo della pace e “guadagnarsi”
l’alleanza della Francia e dell’Inghilterra.


Per le spese avrebbe provveduto il governo inglese. con un prestito
di un milione di sterline; questo prestito verrà in massima parte
rimborsato dal Regno d’Italia, che lo estinguerà solo nel 1902.
In Crimea, i Piemontesi dovettero vedersela soprattutto con il colera,
che ne fece morire 1300, fra cui il generale Alessandro La Marmora,
fratello del comandante in capo, Alfonso: nel tanto esaltato
combattimento alla Cernaia (agosto 1855), i Piemontesi ebbero
appena 14 morti e 170 feriti. Al termine delle operazioni di guerra,
furono tuttavia contati complessivi 5.000 morti: un terzo dell’intero
contingente di spedizione.
Ma in Crimea, oltre allo scandalo di nazioni cristiane che combatterono
contro la cristiana Russia in favore dei Turchi, nello specifico caso
del coinvolgimento del Piemonte, si arrivò addirittura al paradosso:
il Regno di Sardegna, che si stava preparando ad una guerra
di “liberazione nazionale” contro l’Austria, al momento sua alleata,
combatteva per difendere le ragioni dell’impero ottomano, per secoli
nemico storico della cristianità e “conculcatore dell’indipendenza
e della libertà” degli stati della penisola balcanica.
Camillo, all’età di nove anni, fu rinchiuso all’Accademia Militare,
all’epoca considerata il rifugio dei somari.
La terminò a sedici anni, con esami splendidi in tutte le materie,
meno che. in italiano. Lo parlava male e lo scriveva peggio,
perché la lingua di casa Cavour era il francese. Per tutta la vita,
parlò e scrisse in italiano traducendo dal francese, mentre,
in privato continuò a parlare e scrivere in francese.
Dovevano correggergli i discorsi, che pronunciava
con voce stridula e cercando le parole.
Secondogenito e, quindi, non erede del patrimonio paterno,
in pochi anni riuscì, con attività senza scrupoli, a diventare
milionario (di quei tempi); analogamente si comportò in politica,
fino ad essere nominato capo del governo.
Speculava in Borsa, anche se, almeno una volta, le cose
gli andarono male. Infatti, nell’agosto 1840, fiutando una guerra
tra la Francia e l’Inghilterra nel Medioriente, giocò al ribasso;
ma la guerra non scoppiò, i titoli rialzarono e fu il disastro.
“Ciò che avevo guadagnato in tre anni, – scrisse – l’ho perso
in un giorno, e ora mi trovo debitore di 45.000 scudi: o pagarli,
o farsi saltare le cervella”.
Sfortunatamente per noi, non se le fece saltare: i debiti li pagò il padre.
Purtroppo, invece, ebbe molta fortuna quando giocava d’azzardo
in politica: quante somiglianze fra la sua e la “carriera”
del piccolo Piemonte!
I Cavour erano considerati abilissimi “nel far quattrini”:
quando in Piemonte fu istituita una tariffa doganale con dazi
elevatissimi per l’importazione del fosforo, questo provvedimento
sembrò, contemporaneamente, ingiustificato ed inspiegabile.
In seguito, si seppe che il conte era cointeressato in un’azienda
(che, nel giro di qualche anno andò in liquidazione) di prodotti
chimici e farmaceutici che produceva quella sostanza.
E durante una carestia, quando il costo del pane era salito alle stelle,
una folla inferocita assaltò il palazzo della famiglia Cavour,
che rappresentava la maggioranza degli azionisti dei mulini
di Collegno, incettatori di farina e di grano; polizia e soldati
riportarono l’ordine, spedendo alcuni manifestanti in ospedale
ed altri in prigione.
Nel 1848, i Gesuiti erano stati espulsi dal Piemonte; nel 1849,
Cavour fu eletto al Parlamento piemontese (la prima volta
che si era presentato alle elezioni, a Torino, era stato “trombato”
prendendo solo 11 voti!).
Nel 1850, in Piemonte, fu approvata la legge Siccardi, che colpiva
il clero, aboliva alcune festività religiose e toglieva ai preti e agli
Ordini religiosi la facoltà di acquisire proprietà senza autorizzazione
governativa. In agosto, un padre servita negò gli ultimi sacramenti al
ministro dell’Agricoltura e Commercio, Pietro Derossi di Santarosa,
a causa della sua adesione alla legge Siccardi.
Per rappresaglia, l’Arcivescovo fu condannato all’esilio perpetuo.
Cavour prese tranquillamente il portafoglio divenuto vacante
per la morte del Derossi: il governo d’Azeglio perseverò
nella sua azione contro la Chiesa.
Nel novembre 1852, Cavour fu incaricato di formare un nuovo
governo e si alleò con Urbano Rattazzi, capo del Centro-Sinistra,
per sviluppare il suo programma di opposizione alla Santa Sede,
con l’assenso del re Vittorio Emanuele II.
Il 10 marzo 1845, i beni del seminario vescovile furono confiscati.
Nel gennaio 1855, Rattazzi, come ministro dell’Interno, presentò
alla Camera dei deputati (adducendo ragioni finanziarie) una legge
per la soppressione di tutti i conventi e monasteri negli Stati
piemontesi e per il sequestro delle loro proprietà: una legge
chiaramente “anticostituzionale”, atteso che l’allora vigente
“Statuto Albertino” garantiva l’inviolabilità della proprietà privata.
Nonostante che i Vescovi avessero offerto, nell’aprile successivo,
una somma equivalente a 900 mila franchi, la legge fu imposta
al Parlamento e divenne esecutiva il 25 maggio 1855.
Dopo quelli operati dai rivoluzionari francesi, fu il primo colossale
furto di beni della collettività, svenduti ai privati o mal amministrati
e dilapidati dallo Stato: un furto in danno dei poveri, assistiti
dalla Chiesa.
La celeberrima: “Libera Chiesa in libero Stato” fu
una gigantesca truffa.
Questa formuletta è stata sempre presentata come la dimostrazione
del “genio” e della grandezza di Cavour.
Ma è così?
A parte che nessuno sapeva cosa volesse significare, veniva intesa
da ognuno a modo suo. Secondo la concezione di Cavour, la Chiesa
semplicemente non contava e non doveva contare niente nella sfera sociale.
La Chiesa come istituzione, come “corpo di Cristo”, come “popolo
di Dio”, veniva cancellata.
Con questa espressione, si intendeva semplicemente che la Chiesa
doveva essere annullata, inglobata nello Stato: se i sacerdoti
ed i vescovi ostacolavano la sua politica, venivano perseguitati
senza pietà.
Nel corso del 1861, nell’ex Regno delle Due Sicilie, 71 vescovi
su 89 finirono in prigione od in esilio (alcuni vi restarono per molti
anni). Nel 1850, come già detto, lo stesso Arcivescovo di Torino,
monsignor Luigi Franzoni, per essersi opposto alla legge Siccardi,
era stato prima rinchiuso nella fortezza di Fenestrelle
e poi mandato in esilio a Lione, dove rimase fino alla morte,
avvenuta nel 1862.
In nome della libertà e della costituzione, i governi “liberali”
decisero la soppressione di tutti gli Ordini religiosi della Chiesa
cattolica e l’incameramento, cioè il furto, di tutti i loro beni.
Ben 57.492 persone vennero messe sul lastrico, cacciate
dalle proprie case, private del lavoro, dei libri, degli arredi sacri,
degli archivi, della stessa vita che avevano scelto.
Il risorgimento di Cavour è stato anche una guerra di religione,
una guerra contro la religione, una guerra condotta dai liberal-massoni
contro la Chiesa cattolica e contro lo stesso popolo italiano; è stato sì
un “risorgimento”, ma del paganesimo e della barbarie, realizzato
attraverso corruzione, tradimenti, violenze, devastazioni, massacri,
profanazioni, saccheggi, ruberie, intrallazzi e nefandezze d’ogni sorta.
Cavour avrebbe almeno – dicono i suoi ammiratori – assicurato
ai popoli italiani un regime di libera rappresentanza: un’altra menzogna!
Nel Regno di Sardegna avevano diritto al voto 90.839 persone
(appena il 2%), su di una popolazione di 4.325.666 abitanti.
Quando il maresciallo Vittorio Della Torre gli fece notare
che la legge per l’espropriazione dei beni della Chiesa
era “impopolare”, Cavour rispose che, se gran parte della popolazione
era avversa a questa legge, non gliene importava niente: “Io, in verità,
non mi sarei mai aspettato di vedere invocata dall’onorevole
maresciallo l’opinione di persone, di masse, che non sono
e non possono essere legalmente rappresentate”.
Per questo grande liberalone “padre della patria”, le masse
popolari, in realtà, non contavano nulla!
Tanto è vero che, nello Stato di Cavour, il 98 per cento
della popolazione era escluso dalla vita politica.
Questo “padre della patria”, per preparare l’alleanza con la Francia,
ricorse ad ogni mezzo: usò perfino sua nipote, la contessa Virginia
di Castiglione (la quale, a giusta ragione, per i servigi resi in alcova,
potrebbe essere qualificata come “madre della patria”), per far
invaghire l’imperatore Napoleone III e convincerlo ad appoggiare
la politica espansionistica e aggressiva del Piemonte!
E convinse lo stesso re Vittorio Emanuele II a sacrificare
sua figlia Maria Clotilde, dandola in sposa al nipote
di Napoleone III, il depravato principe Girolamo Napoleone.
Nel 1857 ci fu la “spedizione di Sapri”, organizzata da Carlo Pisacane
e Carlo Nicotera (i quali si prefiggevano di promuovere un’insurrezione
nel Regno delle Due Sicilie, simultaneamente ad un’insurrezione
mazziniana a Genova: di qui l’ostilità di Cavour al progetto
ed ai suoi autori). In quell’occasione, Cavour scrisse: “I fatti
di Ponza e di Sapri hanno costituito un delitto di ribellione
e di latrocinio, punibile colle leggi penali ordinarie”.
Se fosse stato coerente, avrebbe dovuto condannare
allo stesso modo anche la spedizione di Garibaldi del 1860,
da lui voluta e organizzata!
Contrariamente a quello che si pensa, Cavour rovinò l’economia
del Piemonte con il libero scambio, adottato per compiacere
gli alleati inglesi e francesi e che, scrive Cesare Cantù, “sacrificò
all’Inghilterra tutte le manifatture italiane, e punì i più animosi
imprenditori. Destro negli affari di Borsa, concluse prestiti
vantaggiosi, ma i suoi stessi panegiristi l’accusano della leggerezza
con cui trattava le finanze: gravò la proprietà, ruppe l’equilibrio
fra l’agricoltura e le industrie.
Come disse Ottavio Thaon, conte di Revel, il suo trattato commerciale
con l’Inghilterra, “più politico che commerciale”, aveva messo
il Piemonte sotto la tutela mercantile inglese; il suo trattato
con la Francia fu ugualmente rovinoso per l’agricoltura piemontese.
Commissionò a Garibaldi la criminale aggressione al Sud,
detta “spedizione dei Mille”, fornendogli i due battelli Lombardo
e Piemonte, i finanziamenti necessari (nel bilancio del Regno
d’Italia, presentato nel 1864 da Quintino Sella al suo successore
Marco Minghetti, figuravano 7.905.607 lire, pari a circa 31 milioni
di euro, attribuite a “spese per la spedizione di Garibaldi”)
ed i rifornimenti (a Talamone).
Nell’ottobre, con il ridicolo pretesto di difenderli, invase
i territori dello Stato della Chiesa e strappò le Marche
e l’Umbria al Papa; subito dopo, invase il Sud senza dichiarazione
di guerra, per difenderlo dall’anarchia e dalla rivoluzione,
che proprio lui, con la complicità sfacciata dell’Inghilterra,
aveva organizzato, favorito e finanziato!
Il conte, il 25 aprile 1860, pochi giorni prima della partenza
delle camicie rosse, ebbe addirittura la sfacciataggine di chiedere
al proprio ambasciatore a Napoli l’invio sollecito di “10 o 12
esemplari della carta topografica della Sicilia in 4 fogli”,
di una copia della carta del Regno di Napoli dello Zanoni
o, in mancanza di questa, di altre “rinomatissime carte del Regno
delle Due Sicilie”.
L’ambasciatore Villamarina provvide immediatamente,
inoltrandole a Genova tramite il piroscafo Lombardo della
(manco a dirlo!) Società Rubattino!
L’ammiraglio Carlo Pellion, conte di Persano, nel suo Diario racconta
gli sforzi economici profusi da Cavour per “comprare” gli ufficiali
della marina borbonica; in una lettera assicura al conte: “Possiamo
ormai far conto sulla maggior parte dell’officialità della regia marina
napoletana” ed, in un’altra, egli scrive: “Noi continuiamo, colla
massima segretezza, a sbarcare armi per la rivoluzione, a tergo
delle truppe napoletane che sono a Salerno”.
Fu un feroce nemico del Sud ed, insieme a Vittorio Emanuele II,
definì “canaglia” i soldati napoletani prigionieri di guerra;
proprio loro che, canagliescamente, avevano favorito
e completato l’invasione del Regno delle Due Sicilie,
mentre si proclamavano amici del Re di Napoli, Francesco II.

Si favoleggia circa la “umanità” di Cavour, ma in una lettera
del 25 ottobre 1860, indirizzata a Persano, chiedeva di “inviare
i prigionieri napoletani a Genova” (in condizioni igieniche
vergognose), da dove avrebbero proseguito per i “campi
di concentramento” in Lombardia, Piemonte, Val d’Aosta.
Grande dovette essere la meraviglia di questo losco figuro,
quando venne a sapere dal generale La Marmora, incaricato
di un’ispezione nei campi di prigionia, che quel “branco di carogne”
rifiutava di arruolarsi tra le truppe sarde e “non voleva prestare
un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco II”.
Migliaia di ufficiali e decine di migliaia di soldati semplici
furono imprigionate, con infiniti patimenti ed un alto numero
di morti per malattie, per fame, per freddo.
Coloro che riuscirono a sopravvivere, odiati come ex nemici
in armi, derisi come soldati di Franceschiello, disprezzati
come cafoni meridionali, rientrati nei loro paesi d’origine,
molto spesso, andarono ad ingrossare le file della rivolta contadina
(dai piemontesi chiamata “brigantaggio”).
Nell’ottobre 1860, Cavour aveva fatto organizzare la farsa
dei plebisciti (in cui vi furono solamente intimidazioni, violenze
e brogli elettorali), che sancirono l’annessione del Regno di Napoli
al Piemonte.
Alcuni anni fa fu rinvenuto il manoscritto-confessione
di una “spia”(agente segreto) che aveva operato per conto
del governo piemontese, Filippo Curletti.
Da quelle pagine ingiallite dal tempo emergeva, in tutto
il suo tragico squallore, l’incredibile perversione del conte
di Cavour; una schiavitù psicologica, una malefica schizofrenia
che condizionò fortemente la vita politica dello statista piemontese.
Egli, infatti, non esitò a tramare con diabolica e, spesso, gratuita
ferocia contro le istituzioni degli altri Stati sovrani della penisola
e contro la stessa gente del popolo.
Quelle confessioni, scritte sul letto di morte da uno dei principali
testimoni di quelle nefandezze, sono servite a diradare quel misticismo
storico menzognero, che ha fatto del Cavour un simbolo sacro
ed intoccabile di una nazione nata male e sviluppata peggio,
dove una parte di essa, il Sud, dopo quasi un secolo e mezzo,
ancora langue in una condizione di sottosviluppo economico
e di abbandono politico e sociale.
Nella sua qualità di agente, Curletti venne messo al corrente
dei numerosi segreti e complotti, che erano stati alla base
degli avvenimenti sfociati, poi, nell’unificazione della penisola
italiana e nella vittoria definitiva dei liberali.
Tali segreti lasciano emergere finalmente come il risorgimento,
ben lungi dal poter essere definito un movimento popolare, voluto
dalla gente e realizzato da eroi disposti a sacrificarsi in nome
della libertà, fu invece in realtà un’azione lungamente programmata
e pianificata da alcune élites borghesi che, machiavellicamente,
non esitarono ad adottare stratagemmi tutt’altro che onesti
o eticamente ortodossi, per giungere allo scopo.
Leggere i carteggi riguardanti i cosiddetti “padri della patria”
lascia sgomenti, in quanto il loro contenuto è rivelatore
di una vicendevole ostilità che contraddice drammaticamente
l’idea scolastica di una reciproca stima ed affezione.
Come siamo lontani, anni luce, da quella oleografia risorgimentale,
così bene presentataci e fattaci studiare sui libri di scuola!
E, purtroppo, vuoi per disinformazione, vuoi per pigrizia mentale,
vuoi per malafede, vuoi per disinteresse verso tali argomenti,
ancora oggi, sono moltissimi gli Italiani ad essere convinti
che gli avvenimenti storici in questione si siano svolti proprio
come è stato loro “dato a bere” e che i protagonisti degli stessi
siano stati dei “grandi uomini”, piuttosto che individui loschi,
spregevoli, disonesti e mascalzoni.
Il 17 marzo 1861, grazie agli intrighi di Cavour, alle sue invasioni
banditesche, ai suoi bugiardi dispacci ed ai suoi plebisciti-truffa,
veniva proclamato il Regno d’Italia. Cavour, in Parlamento,
sentenziò che bisognava “imporre l’unità alla parte più corrotta (sic!).
Sui mezzi non vi è dubbiezza: la forza morale e, se questa
non bastasse, quella fisica”.
Della forza morale non fu possibile scorgere alcuna traccia.
La forza fisica, invece, fu assicurata da una siepe di baionette
che risultarono assai affilate.
Giacinto de’ Sivo commentò: “Cominciava l’arte del boia”.
Ecco chi era Camillo Benso, conte Cavour!

fonte

https://forum.termometropolitico.it/79254-20-settembre-1870-2010-140-potere-massonico-italia.html

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