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Corrado Alvaro-Il più grande scrittore calabrese

Posted by on Mar 9, 2021

Corrado Alvaro-Il più grande scrittore calabrese

Corrado Alvaro è stato uno scrittore, un giornalista, un poeta, uno sceneggiatore e un intellettuale antifascista italiano. Primo di sei figli, nacque il 15 aprile1895 a S. Luca (RC), un piccolo paese ai piedi dell’Aspromonte, da Antonio, maestro elementare e fondatore di una scuola serale per contadini analfabeti e da Antonia Giampaolo, appartenente a una famiglia di proprietari terrieri.

A San Luca trascorre un’infanzia felice, ricevendo la prima istruzione dal padre e da un vecchio maestro del luogo: “Avevo passato dieci anni in quel mucchio di case presso il fiume, sulla balza aspra circondata di colli dolcissimi digradanti verso il mare, i primi dieci anni della mia vita, e pure essi furono i miei più vasti e lunghi e popolati” (dal suo libro Memoria e vita). Dopo le scuole elementari frequentò per cinque anni, dal 1905, il prestigioso collegio gesuita di Villa Mondragone a Frascati, dove c’erano pure i figli dell’alta borghesia romana e quindi della futura classe dirigente italiana. Nel 1910 fu espulso da Villa Mondragone perché sorpreso mentre leggeva testi di Giosuè Carducci e di Gabriele d’Annunzio, allora proibiti dalla Chiesa Cattolica. Proseguì cosi gli studi, nel collegio di Amelia, in provincia di Perugia, dove terminò il ginnasio e nel liceo “Galluppi” di Catanzaro. Nella cittadina calabrese restò fino al gennaio del 1915, anno in cui fu chiamato a prestare il servizio militare, prima nel reggimento di fanteria a Firenze e poi nell’Accademia militare di Modena per svolgere il corso allievi ufficiale, uscendone con il grado di sottotenente. All’inizio di settembre dello stesso anno fu inviato in zona di guerra e a novembre in prima linea. Ferito alle braccia nei pressi di San Michele del Carso (GO), nel 1916, fu decorato con una medaglia d’argento e poi trasferito a Roma. Nella Capitale iniziò a collaborare con Il Resto del Carlino fino a quando non ebbe l’incarico come redattore, che di conseguenza lo portarono a trasferirsi a Bologna. Dopo la tragica esperienza vissuta in guerra pubblicò, nel 1917, la raccolta poetica “Poesie grigioverdi”. Nella città emiliana conobbe e sposò nel 1918 la ragioniera e poi traduttrice di lingua inglese Laura Babini da cui ebbe l’unico figlio, Massimo. Nel 1919 si trasferì a Milano divenendo collaboratore del Corriere della Sera. Sempre nel 1919 conseguì la laurea in Lettere all’Università della stessa città. Nel 1920 pubblicò il romanzo La siepe e l’orto. Nel 1921 diventò corrispondente da Parigi de Il Mondo di Giovanni Amendola e collaborò pure al giornale satirico Becco giallo. Manifestò un forte disappunto per l’ascesa del fascismo, tanto che dopo il delitto Matteotti, avvenuto nel 1924, fu tra i firmatari del Manifesto degli Intellettuali Antifascisti di Benedetto Croce. Nel 1926 pubblicò il romanzo L’uomo nel labirinto. Considerando che in quel periodo era difficile lavorare tranquillamente nel mondo culturale italiano, in quanto controllato dal regime mussoliniano, Alvaro intraprese la carriera di giornalista come inviato dall’estero. Così, dal 1928 fu corrispondente da Berlino per La Stampa e L’Italia Letteraria. Nel 1929 uscì la sua raccolta di racconti L’amata alla finestra e il 1930 fu il suo anno d’oro. Infatti pubblicò il romanzo Vent’anni ma, soprattutto, venne alla luce la sua opera più famosa, la raccolta di novelle Gente in Aspromonte che gli fruttò nel 1931 il primo importante premio letterario italiano bandito da La Stampa. Tornò in Italia nel 1930, poi visitò la Turchia nel 1931 e la Russia nel 1935. Nonostante il suo sincero antifascismo, nel 1934 pubblicò un reportage sulla bonifica della “Agro pontino”, per le edizioni dell’Istituto fascista di cultura. Perciò fu accusato nel dopoguerra di essere stato elogiativo del fascismo; lo scrittore calabrese replicò così nel suo Ultimo diario: “Lo scriverei anche oggi, se qualcuno bonificasse qualche cosa, chiunque fosse, essendo io legato al lavoro, alla terra, alla sofferenza umana”. Grazie alla sincera amicizia che aveva con l’intellettuale ebrea e amante storica di Benito Mussolini, Margherita Sarfatti, Alvaro iniziò a scrivere nuovamente sui giornali italiani con una moderata libertà d’espressione. Nel 1937 collaborò con la rivista Omnibus dell’intellettuale Leo Longanesi, con diversi articoli sulla  Rivoluzione d’ottobre del 1917 e la società sovietica, mentre nel 1938 pubblicò L’uomo è forte, un romanzo realizzato dopo il suo viaggio in Russia: una critica al totalitarismo stalinista e non solo, con cui si aggiudicò il Premio dell’Accademia d’Italia per la letteratura. Nel 1941 si recò per l’ultima volta a San Luca per la morte del padre. Tornò comunque spesso in Calabria a Caraffa del Bianco, per visitare la vecchia madre e il fratello prete Massimo. Dal 1940 al 1942 curò la pagina critica teatrale del quotidiano Popolo di Roma e poi, nel 1943, per alcuni mesi ne diventò direttore. Alvaro, nello stesso anno, dopo l’occupazione tedesca della Capitale fu costretto a fuggire perché colpito da un mandato di cattura. Si rifugiò a Chieti con il falso nome di Guido Giorgi, dove impartì lezioni private d’inglese per mantenersi economicamente. Nel giugno del 1944 ritornò a Roma e iniziò a collaborare con il “Corriere della Sera” ma dovette dimettersi dopo essere stato attaccato su stesse pagine per la sua adesione politica al Fronte democratico. Collaborò pure nello stesso periodo, come critico teatrale e cinematografico, con il settimanale dipolitica e cultura il “Mondo” di Pannunzio. Dal 1945 si schierò politicamente col Fronte Popolare, formato dai socialisti e dal PCI, sostenendolo pure in occasione delle prime elezioni democratiche del 1948. La sua militanza nella sinistra si era già concretizzata quando fondò nel 1945, con Libero Bigiaretti e Francesco Jovine, il Sindacato Nazionale Scrittori, dove ricoprì la carica di segretario fino alla morte, e la Cassa Nazionale Scrittori. Nel 1946 pubblicò il romanzo L’età breve e dal primo al 23 marzo fu il primo direttore del Giornale radio nazionale della Rai. Nello stesso anno accettò la direzione del quotidiano Risorgimento di Napoli, dando al giornale una decisa impronta politica di centro sinistra che l’editore Achille Lauro non apprezzò e che lo spinse alle dimissioni nel luglio dello stesso anno. Nel  1949 pubblicò la tragedia Lunga notte di Medea incentrata sul mitologico scontro di Giasone e di Medea. Nel 1951 vinse il premio Strega con Quasi una vita, superando in finale le opere concorrenti di Soldati, Levi e Moravia. Alvaro fu anche un valente sceneggiatore e autore di film per la Rai. Nel 1954, infine, colpito da un tumore addominale, si sottopose a un delicato intervento chirurgico. La malattia lo portò alla morte, che avvenne nella sua casa di Roma, nell’appartamento di Piazza di Spagna con terrazzo sulla scalinata di Trinità dei Monti l’11 giugno del 1956, vegliato fino alla fine dalla scrittrice e poetessa Cristina Campo. La cerimonia funebre, nella chiesa romana di Santa Maria delle Fratte, fu officiata dal fratello don Massimo. Corrado Alvaro fu sepolto nel piccolo cimitero di Vallerano, in provincia di Viterbo, dove aveva acquistato nel 1939 una grande casa in mezzo alla campagna. I manoscritti conservati a Roma sono stati acquistati della Regione Calabria e donati alla Fondazione Corrado Alvaro, con sede proprio a San Luca. La biblioteca comunale di Reggio Calabria, che contiene gli arredi, i tappeti, i quadri e i libri dello studio dello scrittore, donati dalla moglie Laura e dal figlio Massimo, gli ha intitolato una Sala, mentre dal 2015 il Palazzo della provincia di Reggio Calabria, già Palazzo Foti, è stato rinominato Palazzo Corrado Alvaro. Vie a suo nome sono presenti in tutta Italia. Corrado Alvaro, l’unico degli scrittori calabresi del secolo XX ad entrare nella dimensione della classicità, ha sparso i suoi articoli nelle terze pagine dei maggiori quotidiani italiani. Nelle sue opere si condensa e si esalta l’immagine stessa della Calabria, riproposta nella grandezza della sua storia e vi confluisce tutta una linea di tradizione culturale e di civiltà, che va dalle radici della Magno Grecia, a Cassiodoro, a Gioacchino da Fiore, a Campanella, a Telesio, a Padula, ecc. Alvaro fu prevalentemente un giornalista di tendenza liberale-democratica prima del fascismo e di centro sinistra nel primo dopoguerra. Sempre presente fu nel pensiero alvariano il rifiuto dell’idea totalitaria in ambito politico e culturale. I personaggi delle opere di Alvaro hanno in comune la condizione di “strappato” che lo stesso Alvaro sperimentò quando da ragazzo fu quasi catapultato dalla realtà provinciale e chiusa calabrese alla realtà cosmopolita delle grandi città italiane prima ed estere in seguito. Anche i personaggi alvariani cercano allora e sempre il loro riscatto altrove, ma sono sempre inquieti e insoddisfatti, sempre in fuga dal luogo natio, avaro di opportunità, per una “fuga civile” dove però si ritrovano estranei e incompresi fino in fondo. Il tema dello sradicamento alvariano è molto simile a quello affrontato con sfumature leggermente diverse da altri scrittori calabresi come i poeti Franco Costabile e Lorenzo Calogero. La Calabria di Alvaro è descritta come un microcosmo a sé, un “paradiso perduto”, scrigno di memoria astorica, eterna, mitica. Il linguaggio letterario alvariano ben si presta a questa descrizione della sua Calabria poiché già da esso si denota un continuo esercizio di “liberazione” da una condizione atavica di “subordinazione culturale” per l’acquisto di una coscienza civica nazionale e di respiro europeo, usando anche per questo scopo un taglio narrativo dal sapore verghiano, asciutto e realista fino in fondo. Alvaro fu dunque al contempo uomo antico e moderno. Egli criticò la modernità che stava esplodendo in Italia dal dopoguerra non per restaurare un passato non più ripetibile, ma per tentare di fondare un nuovo umanesimo che non dimenticasse i valori autentici, il senso religioso, le fondamenta di una civiltà si d’origine contadina, ma genuina e concreta in ogni suo aspetto essenziale.

Opere

Polsi nell’arte, nella leggenda, e nella storia (1912), Poesie grigioverdi (1917), La siepe e l’orto (1920), L’uomo nel labirinto (1926), L’amata alla finestra (1929),Vent’anni (1930), Gente in Aspromonte (1930), che gli vale il primo importante premio letterario italiano, bandito da La Stampa nel 1931, La signora dell’isola (1930), Itinerario italiano (1933), Il mare (1934), Terra Nuova. Prima cronaca dell’Agro Pontino (1934, L’uomo è forte (1938), Premio dell’Accademia d’Italia della letteratura 1940, Incontri d’amore (1940), L’età breve (1946), primo romanzo, Lunga notte di Medea (1949), Quasi una vita (1950), premio Strega 1951[13], Il nostro tempo e la speranza (1952), Un fatto di cronaca (1955). Belmoro (1957, postumo), Mastrangelina (1960, postumo), secondo romanzo, Tutto è accaduto (1961, postumo), terzo romanzo.

Cinema

L’angelo ferito (1927), Casta diva (1935), L’albero di Adamo (1938), Solitudine (1941), Noi vivi (1942), Addio Kira! (1942), Carmela (1942), Febbre (1943), Resurrezione (1944),La carne e l’anima (1945), Patto col diavolo (1950), Roma ore 11 (1952). 

Sceneggiature

L’angelo ferito (1927), Casta diva (1935), Tagebuch der Geliebten (1935), Il diario di una donna amata 1936), Una donna tra due mondi (1936), L’albero di Adamo (1938), Terra di nessuno (1939), Solitudine (1941), Fari nella nebbia (1942), Una notte dopo l’opera (1942), Noi vivi (1942), Addio Kira! (1942), Carmela (1942), Febbre (1943), La storia di una capinera (1943), Resurrezione (1944), La carne e l’anima (1945), Caccia tragica (1947), Riso amaro (1949), Donne senza nome (1950), Patto col diavolo (1950), Roma ore 11 (1952)

Francesco Antonio Cefalì

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