Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

DELLA STORIA ECONOMICO CIVILE DI SICILIA del Cav. Lodovico Bianchini

Posted by on Mar 18, 2023

DELLA STORIA ECONOMICO CIVILE DI SICILIA del Cav. Lodovico Bianchini

CAPITOLO III.

Provvedimenti dati da Re Carlo per certe manifatture indigene – Chiama gli ebrei a stabilirsi nel regno, non guari dopo li espelle – Isola d’Ustica popolata – Pace fermata coll’Impero Ottomano e colle reggenze d‘Affrica – Legge di navigazione – Istituzione ed abolizione del Supremo Tribunale di commercio – Si cenna di varie cose economiche in tempo di Re Ferdinando II – Seminario nautico – Ordinamento per varie branche di indigena industria – Provvedimenti del medesimo Be emanati in proposito nella sua dimora in Sicilia dopo del 1806 – Codice metrico per la uniformità de’ pesi e misure – Fondato speranze che l’industria siciliana migliorasse. Come restassero distrutte. Si narra di quali tristi accidenti fosse causa la dimora e la influenza degl’inglesi in Sicilia dal 1806 al 1815 – Condizione dell’industria siciliana dopo questo tempo – Trattati di commercio con potenze straniere – Trattati del 1816 coll’Inghilterra colla Francia e colla Spagna, danni che cagionano – Trattati con Algeri Tunisi e Tripoli nel 1816  – Trattato con Tunisi nel 1833 – Trattato del 1838 colla Francia e coll’Inghilterra per l‘abolizione della tratta dei negri – Legge di navigazione – Stato della marina mercantile – Condizione dei porti – Navigazione a vapore – Quadri della esportazione di prodotti nazionali e della immissione di stranieri dal 1834 al 1839 – Riflessioni all’uopo.

Re Carlo sin dal suo avvenimento al trono richiamò in Palermo a miglior condizione le pratiche del cardare, filare, tessere, e tignere, onde le manifatture di cotone e seta si rendessero pregevoli (). E per meglio conseguire il fine vietava nel 1737 d’introdursi dallo straniero tanto in Napoli quanto in Sicilia drappi di seta di qualsiasi natura fossero anche con oro e con argento. Tale ordinamento venne solo in Napoli eseguito, perocché ‘in Sicilia sia in controbbando sia‘ sotto pretesto che fossero manifattura napolitane continuarono i lavori di sete straniere ad introdursi, sicché vani tornarono da poi altri provvedimenti dati all’uopo (). D’altra parte e sempre nella mira di accrescere la fortuna del reame lo stesso Re Carlo con editto del 3 febbraio 1740 invitò la nazione ebrea a stabilirsi tanto in Napoli che in Sicilia accordandole grazie e privilegi, ma dopo sei anni e propriamente con altro editto del 30 luglio 1747 veniva espulsa dicendosi che non avea corrisposto allo scopo essendo venuti non altro che ebrei poveri di capitali e senza credito, e dominati solo da smoderata avidità d’arricchire a forza d’usura. Popolavasi d’altra parte verso il 1760 l‘isola di Ustica, ma tantosto veniva attaccata dagli Algerini onde di bel nuovo restava quasi deserta ed era necessità farvi fortificazioni militari. Quel che in fatti tornò di non poco giovamento all’economia pubblica fu la onorevol pace e il trattato di commercio fermati tra Carlo e l’impero ottomano nel 1740 seguiti da altri simili trattati colle reggenze affrieane. Un molo veniva costruito in Girgenti. Pubblicavasi intanto la memorabil legge di navigazione nel di 8 dicembre 1751 comune a Napoli ed a Sicilia (), ma essendosi osservato il grave inconveniente che i marinari ed altri individui dopo essersi impegnati sui nazionali legni mercantili non adempivano all’obbligo contratto, e via fuggivano pria di terminare i viaggi, e spesso mossi dalla idea di maggior guadagno senza avere adempiuto al loro obbligo ‘sui legni nazionali passavano a servire in quelli stranieri, vennero nel di 15 giugno 1757 emanati dal Re altri capitoli aggiunti alla citata legge (). Una compagnia di commercio stabilivasi in questo mentre in Messina con editto del 3 settembre 1752.

Avea intanto il medesimo Sovrano nel 28 novembre 1739 instituito anche in Sicilia siccome in‘ Napoli il Supremo Magistrato di commercio (). Quattordeci tribunali inferiori per tale obbietto dipendenti da esso furono in vari luoghi di Sicilia e si chiamaron consolati. Siffatto magistrato era stato dichiarato collaterale del Viceré; n’era capo un Prefetto e componevasi d’un presidente ed otto giudici col titolo di consiglieri, tre dell’ordine della nobiltà, tre della magistratura e due negozianti. Ebbe facoltà di giudicare in tutte le materie di commercio, di dar nome alle cose doganali, alla estrazione delle merci, di badare alla salute pubblica. Ma non appena sorgeva tale utile istituzione tutte le antiche corporazioni dello stato credettero lese le loro incombenze e fecero istanze per conservarle, sicché il magistrato in discorso venne riformato per intendere solo al giudizio delle cause di commercio, e ne fa capo il Presidente del Tribunale del Concistoro. Ma neppure questa riformazione fu sufficiente, perocché il Parlamento del 1746 supplicò il Re per la sua intera abolizione non solo, ma di quella eziandio dei consolati di Palermo e del regno per li gravi sconcerti, trascrivo le stesse parole, inconvenienti e pregiudizi che tutto giorno s’accrescevano in danno e detrimento de’ popoli, acciò non mancasse in tutto come si temeva il commercio del regno giacché; a cagione del riferito magistrato e consolato non pochi eransi ritirati dal commercio, e frequenti erano stati i fallimenti oltre della confusione, dello accrescimento indicibile di s osa e dello sconvolgimento delle antiche leggi e costumanze. Abolì il Re il magistrato e i consolati, ingiugnendo dovervi essere sol due consoli in Palermo, e quattro nei caricatoi di Licata, Girgenti, Termini e Sciacca; si conservassero in Messina gli antichi consoli. Giudicassero essi consolati delle cause di commercio fossero tra cittadini 0 con forestieri ().

Non rilevanti cose osservi farsi nei primi tempi del regno di Ferdinando; e l’industria siciliana seguitava a giacere in abbandono, mentre quella di Napoli rilevavasi per ogni verso. Nondimeno questo Monarca per perfezionare i lavori di seta in Catania spedì artieri dalla colonia di S. Leucio, e donò al real Albergo dei Poveri in Palermo una ingegnosa ed importante macchina che tuttavia vi s’ammira per filare la seta. Dopo la catastrofe del tremuoto di Messina nel 1783 onde non si diminuisse il traffico di quella città venne allargato il limite del porto franco. Abolivansi da poi vari dazi per la parte di terra e concedevasi libertà al cabotaggio. Nel 1789 il medesimo monarca approvava il seminario nautico fondato in Palermo dall’illustre monsignor Gioeni alla di cui filantropia molte cose di beneficenza deve la Sicilia. Siffatto seminario tantosto prosperava, ed il sovrano gli accresceva la rendita e vi destinava a Direttore il capitano Giovanni Fileti di Sorrento, per la di cui opera si son prodotti molti valorosi marini Siciliani. Ad imitazione del Seminario di Palermo si stabilirono due scuole nautiche sotto la scorta del medesimo Fileti nel 1810, l’una in Trapani l‘altra in Cefalù. Venuta la Corte in Sicilia nel 1806 furono aboliti tutti i dazi sulla seta tanto quelli pagati al filatoio e sulla sua manifatturazione, quanto sull’interno traffico, riducendosi essi ad un solo di baiocchi quindeci a libbra non meno sulla seta grezza che sulla lavorata sì per la sua produzione che per la sua estrazione; disposizione che in qualche modo sottraeva il commercio delle sete da molte vessazioni. Toglievasi al Senato di Palermo e di Messina la privativa che aveano di vendere l’olio e le paste lavorate la carne ed il vino e rendevansi libere tali vendite. Riducevasi meno compliata in qualche modo la pratica doganale per la estrazione ed immessioni delle merci. Da ultimo rendevansi nel reame uniforme i pesi e le misure su di che uopo è alquanto intrattenerci.

Sentivasi in Sicilia sin dal secolo decimoterzo il danno della difformità di pesi e delle misure, sicché Re Federico III proccurò in qualche modo ovviarvi ordinando con minaccia di pene, che al di quà del fiume Salso si valessero le genti del tumolo di Siracusa e del cantaio di Messina, e al di là del fiume stesso de’ pesi e delle misure di Palermo (). A malgrado che tali disposizioni fossero state rinnovate da Ile Alfonso (), Pure non sortirono alcun effetto e le doglianze continuarono. Di proposito occupossi il parlamento adunato nel 1582 d’obbietto sì importante (), e però esponendo gl’inconvenienti resi ormai insoffiribili dimandò che i pesi e le misure dell‘intero regno dovessero essere uguali ed uniformi. Rimase sospesa per ben altri diciannove tal dimanda e non prima del 30 agosto 1601 sulle reiterate istanze dell’universale, essendo viceré Macqueda venne emanata prammatica () nella quale fu ingiunta la bramata uniformità e conformità. Ma anche siffatto ordinamento si rese inutile, e dal suo nascere giacque inosservato, perocché non somministrava alcuna norma riguardo alla dannevole moltiplicità delle corde per misurar le terre; non s’eran fatti precederei modelli 0 campioni, accennandosi che si sarebbero dappoi costruiti secondo l’esempio che si farebbe, non si considerarono gli ostacoli che s’avrebber potuto incontrare nella esecuzione, non si diedero tutte quelle disposizioni da ultimo che potessero serbare inalterabili le prefisso norme. Da questo tempo caddero le cose in maggiori disordini, onde’ si contavano in Sicilia cento e più misure diverse per le lunghezze, altrettante per le cose aride, altrettante per le liquide e così discorrendo per gli altri obbietti. In un paese eravi un sistema di pesi ed a pochi passi di distanza ne vigeva altro, e tutti incerti insecuri.

Intanto in Francia nel 1790 dietro le investigazioni di chiari uomini nelle scienze esatte adottavasi pei pesi e per le misure quel sistema addimandato metrico per eccellenza fondato sulla natura medesima, la di cui unità fondamentale vien costituita da una decimilionesima della quarta parte del meridiano terrestre, sicché da essa deriva ogni misura di lunghezza, di superficie e di capacità. Ogni lunghezza non ha che una sola misura c0’ suoi multiplici e summultiplici, e così ogni superficie ed ogni capacità; il peso è determinato dal cubo d’acqua distillata della centesima parte dell’unità fondamentale; pesi e misure progrediscono in ragione decupla, la nomenclatura infine per dare alle parole l’esatta espressione delle cose è tolta dalla greca favella. A seconda di tal sistema venne sanzionato che la indicata decimilionesima parte detta metro fosse la unità invariabile della misura di lunghezza. Il quadrato di dieci metri costituisce l’are, unità di superficie. Il cubo del metro dà lo stero, unità di misura pei solidi. Il cubo d’un decimo del metro da il litro unità comune agli aridi scorrevoli ed a’ liquidi. Il cubo d’un centesimo del metro d’acqua distillata al massimo di sua densità forma il gramma unità de’ pesi. Una moneta d’argento del peso di cinque grammi nel quale un decimo sia di liga costituisce il fianco elemento delle monete. La progressione decimale crescente e decrescente applicata ad ogni specie di unità somministra i multiplici e summultiplici che essi stessi considerati soli diventano tante unità. I multiplici d’ogni specie sono indicati dalle voci greche deca dieci, ella cento, chilo mille, mirìa diecimila; li summultiplici colle voci dcci decimo, conti centesimo, milli millesimo, che tutte precedono il nome della unità. Onde sono espressi dalle parole chilometro mille metri, decimetro decimo di metro, ettolitro cento litri, centistero centesimo dello stero, chilogramam il peso di mille grammi e così via discorrendo.

Tale avvenimento fece desiderare anche in Sicilia quella uniformità da gran tempo prescritta per legge ma non conseguita nel fatto, e però se ne fece ragionata inchiesta nel parlamento del 10 luglio 1806; sulla quale il Re nel 19 febbraro 1808 dispose che l’illustre astronomo Giuseppe Piazzi assistito da Paolo Balsamo professore di civile economia, e dall’ingegnere Domenico Marabitti si occupasse a formare il progetto dell’equazzione su’ principî delle scienze esatte, e con quelle norme che le più culte nazioni guidate da [àmosi matematici han finora seguite, ‘ che procurasse eziandio che i risultati delle sue operazioni fossero semplici e alla portata dell intelligenza comune ritenendo per quanto si potesse le antiche denominazioni.

Tale giunta occupossi con sommo impegno dell’incarico rintracciando e discutendo tutto quello che concerneva alle diverse misure ed ai pesi di Sicilia; osservò che in essa da tempo assai rimoto combinandosi le multiplici misure e denominazioni loro da’ romani, dai greci e dagli arabi introdotte si fosse formato un sistema metrico semplice spedito e sicuro che senza dubbio fu comune a tutta l’isola e che per le vicende de’ tempi posteriori era caduto in dimenticanza, e del quale tuttavia n’esistevan prove manifeste nelle misure e nei pesi di Palermo che poggiavano sopra unico elemento tranne il palmo che alquanto erasi alterato. Laonde la giunta s’avvisò richiamar le cose alla pristina condizione; rinvenne la corda originale per la misura delle terre, tolse alcune lacune, verificò e riordiné le altre misure secondo le antiche norme, ristabili in miglior forma i campioni, e tutto raccolse in un solo corpo, e ne presentò la corrispondente relazione al Ile nel 1 febbraro 1809. Attenendosi quindi agli antichi pesi e alle misure di Sicilia non credette la giunta espediente lo adottare il sistema metrico francese, del quale disse in siffatta relazione esser egregio sono le proprie parole quante volte si trattasse di darlo o ad una nazione che non ne avesse alcuno o ad una società di filosofi. Ma non tale certamente ne per la Francia istessa né per il rimanente di Europa. Una rivoluzione generale in un affare di tanta grandezza e di tante conseguenze opera non è ne del momento, né forse di secoli e secoli. Opinare diversamente egli è non voler conoscere né la cosa di cui si tratta, né l’indole de’ popoli in ciò che riguarda i loro usi e le loro abitudini. Oltre di che ove insorgesse qualche dubbio sulla vera lunghezza del metro che si farebbe mai? Converrebbe misurare un arco del meridiano. Facile e lieve travaglio per verità, ma si faccia. E se la nuova misura per diversità di stromenti, di luogo e d’altra accidente risulterà alquanto diversa dalla prima come si risolverà la quistione? Converrà non v’ha dubbio ricorrere ad una misura convenzionale etc. etc. etc. . . . . . . . . . .

Non è del mio storico lavoro il discutere se bene o mal fondata fosse siffatta opinione; ma solo stimo necessario il far riflettere che se non poche difficoltà incontrò la giunta a restituire un sistema a cui si legano nazionali reminiscenze, certo è che sarebbe stata impossibil cosa il vincere tutte le abitudini, e trapiantare in Sicilia in tutta la estensione il, sistema‘ metrico francese. Che che ne sia il Re ordinò, avendo fatto primamente render di pubblica ragione il lavoro della giunta, di là a poco alla medesima di formare analogo progetto di legge, che con lievissime modificazioni venne sanzionato dal Sovrano nel di 31 dicembre 1809, da avere esecuzione dal 1 gennaro 1811. Venne stabilito in tale legge il palmo quale unità delle misure di lunghezza, otto palmi costituiscono la’ canna, il di cui quadrato chiamato quartiglio è l’elemento delle misure agrarie. Il cubo del palmo dà il tumolo unità delle misure degli aridi. Lo stesso cubo del palmo da la quartara l’unità delle misure de’ liquidi. Questa quartara cubo del palmo riempita d’acqua vino o liquore contiene venti guartucci, ma riempita d’olio d’olivo puro e netto e pesato sotto la pressione media corrisponde al peso esatto di venti rotoli, onde un quartuccio d’olio somministra esattamente il peso del rotolo ch’è l’unità del peso. Un tale accordo avea creduto la giunta non potersi trovare per mezzo dell’acqua colla quale si sarebbe alterato il rotolo e le statere, e guastato l’ammirevole nesso del sistema. Medesimamente vennero dettate norme e stabiliti uffici come per l’avvenire, mantenere il sistema illeso da qualsiesi alterazione. Tanto la divisata legge quanto tutti gli altri ordinamenti che la precedettero e la seguirono di unita alle tavole di riduzione dei pesi e delle misure per lo innanti usate furon raccolte e pubblicate in quel libro che Codice metrico siculo s’addimanda. Sono scorsi anni trenta ed il sistema d’egualità e conformità di pesi e misure si mantiene in Sicilia incolume nelle sue norme, tranne nelle sole misure de’ terreni per le quali i possidenti ed i villani rapportano tuttavia i loro calcoli alla estensione alla quale erano abituati, cosa impossibile ad evitarsi del tutto ().

Tutti questi cambiamenti eran preliminari di più importanti e generali riforme. L’universale rendevasi intanto di giorno in giorno più istruito de’ suoi interessi, i lumi della scienza della civile economia si andavano spargendo. La dimora istessa della real famiglia in Sicilia sarebbe stato di molto giovamento. Erasi adunque, nel tempo di cui narro, in liete speranze allorquando furon questa di là a poco distrutte e venne la Sicilia in maggiori calamità da un avvenimento straordinario che a prima vista sembrò essere apportatore di prosperità; e tale avvenimento fu la permanenza e la politica ed economica influenza che ebbero gli Inglesi in Sicilia. Ha già osservato il lettore quanto sfavorevoli tornassero alla Real Corte ed all’universale i trattati conchiusi coll’Inghilterra nel 1808, 1809, e 1812. Di tal che a prezzo troppo caro pagossi il sussidio Inglese, e come la Sicilia invece d’esser soccorsa, soccorresse ella invece l’Inghilterra. Per effetto di tali trattati vennero a rompersi del tutto le relazioni politiche ed economiche della Sicilia col continente e fu la medesima soltanto aperta agl’Inglesi che la ridussero quanto alle cose politiche una stazione come essi dominar potessero nel mediterraneo, e come infestare il continente con cui erano in guerra, e quanto alle cose economiche una specie di loro fattoria e d’emporio per vendere, e per introdurre in controbbando le loro merci, le quali in quel tempo erano rifiutate dalla più parte d’Europa pel sistema detto continentale imposto dallo Imperatore Napoleone. Questo accidente per se stesso produsse un notabile cangiamento nella economia di Sicilia, perocché in un momento la inabilitava ad avere manifatture nazionali da sostenere la concorreuza colle simili inglesi di esatto lavoro ed a mercato oltremodo basso. Inoltre metteva in circolazione una estraordinaria quantità di valori e di capitali tanto in oggetti quanto in moneta non prodotti da lei ma per altrui conto, e nei quali niun interesse avea. Quindi sembrava a dismisura cresciuta la nazional ricchezza in apparenza, e seco il commercio e l’industria, mentre in sostanza era una fortuna artificiale che da un momento all’altro poteva scomparire.

S’aggiunse il danaro che versava l’Inghilterra nella stessa Sicilia per pagare la flotta e la truppa di terra, e di più i sussidi che come ho detto eran pagati allo erario siciliano. Afferma Nicolò Palmeri aver egli avuto nelle mani in quel tempo i conti che dal Commissario generale dell’esercito Britannico in Sicilia doveansi presentare al suo governo, donde rilevava che in cinque anni eransi spesi

ben venticinque milioni di lire sterline, di tal che quello scrittore calcola che unita tale somma ai capitoli provvenienti dalle speculazioni particolari de’ negozianti si potesse argomentare che ben dodeci milioni l’anno d’once si versarono in Sicilia (12). Laonde ne seguitò che l’eccessivo e subitane0 aumento del danaro, unito all’accrescimento degli stranieri consumatori fecero elevare del pari il valore ed il prezzo d’ogni produzione, e però la sorprendente copia di moneta, di manifattura, e d’altre produzioni che introduceva l’Inghilterra non bastava a pagare ciò che la Sicilia le dava in permuta, onda il cambio della moneta diventò svantagiosissimo a quel paese pagandosi in Sicilia tari quarantacinque una lira sterlina che alla pari ne valeva sessanta. Nei mercati non contrattavasi altrimenti che con monete d’oro di Spagna, giunse il grano al prezzo di otto once la salma e più volte sempre in proporzione crescente aumentò ad once diciotto. Colla medesima proporzione con cui cresceva il prezzo di qualsiasi produzione aumentava il valor delle terre, il prezzo dei lavori, i salari. La rendita ordinaria per cui davansi in fitto le terre da una oncia e mezza a due, aumentò a cinque e sette la salma. Tutti in quel tempo non potendo esser proprietari prendevano terre in fitto, si facevano contratti di tal natura con anticipazione di molti anni. La gran quantità di moneta si sparse nel più basso popolo e nelle stesse campagne, e finanche le spigolistre altravolta ignude e lacere, facevano estremo consumo di tele, di drappi e di minuterie di oro e d’argento.

Fermata la pace generale in Europa ed aperte le comunicazioni col continente, usciti gl’inglesi di Sicilia venne in questa a cessar la causa straordinaria dell’abbondanza di moneta e di produzione e della carezza de’ prezzi, quindi ne seguitò che la molta copia di moneta non trovando a rappresentare e mettere in circolazione la stessa quantità di prodotti andò naturalmente ove trovava maggior Valore. Dall’altro verso i prodotti siciliani, mancato il numero dei consumatori stranieri, perdettero gran parte del valore che per ispeeiale accidente acquistato aveano finché pel corso ordinario delle cose si posero nell’ordinario livello. Il grano ribassò al prezzo di poco più di due once la salma. Ma tale equilibrio fece aperta una triste condizione per la Sicilia; non era in essa un industria propria da reggere a questo avvenimento e. da mettersi a confronto cogli altri popoli, e d’altra parte le fortune ch’eran sorte in dieci anni non poteano precipitare in un istante senza apportare danni ai particolari; quindi sgomenti, clamori, scontentezza in ogni ordine di persone, fallimenti nel commercio, diminuzioni di mercedi, ribassi estremi ne’ prezzi. Il quale ribasso non avvenne, né il potea in tutte le cose colla stessa proporzione, sul riflesso che i fitti convenuti, le terre già date a censo perpetuo, le mercedi pattuite, i pesi pubblici e molte altre spese restarono sullo stesso piede. Cominciarono i capitali a mancixre per un lato, e dall‘altro a ristagnare, per il che si ricorreva al prestito, il più lieve interesse aumentò al dodici e quindici per cento, quando le terre non davano il quattro. Per fatalità s’accrebbero i mali in questo tempo perché tra il 1814 ed il 1816 credendosi penuria di grano se ne acquistò per l’annona di Palermo una quantità come dissi di ottantamila salme al prezzo di sei once e tari tredici per ciascuna; quindi copia di numerario estratto senza utilità, e inutile ammasso di derrate che i frumenti di Sicilia faceva maggiormente invilire. Venne la rivolta del 1820 a scomporre maggiormente lo stato, molte private fortune sofferirono rovine, oltre del danno rilevantissimo alla pubblica economia, i capitali vieppiù sparirono della circolazione, si sminuì il credito pubblico e la fiducia tra i cittadini; e mentre altrove ferveva lo spirito d’associazione in Sicilia taceva non solo, ma in suo luogo sorgeva la diffidenza. Ne le tariffe daziario che promulgava il Governo nel 1824, per immegliare il sistema delle dogane, onde quasi tutte le merci indigene furono disgravate dal dazio d’esportazione, ne vari altri provvedimenti dati in proposito per animar l’indigena industria, né gl’incitamenti, né la vista dei progressi dell’industria in altri stati furon sufficienti a rilevar la Sicilia dallo abbandono in cui era caduta. Si giunse da taluni ad estimar pericoloso il movimento industriale che scorgevasi nella vicina Napoli, quindi proponevasi distruggere la libertà del cabotaggio tra l’une e le altre regioni, temendosi che la concorrenza delle napolitane manifatture fosse stato un male per la Sicilia (13). Dicevasi pure da altri essere in parte illusoria tal libertà e sfavorevole in tutto per la stessa Sicilia, le quali opinioni eran dettate da carità pel suolo nativo, ma che in fatti non aveano appoggio ed erano contrarie. ai buoni principi di civile economia.

Ma la vita prospera delle nazioni non sta nelle improvvide gare e discordie commerciali, bensì dipende dal saper esse ben conoscere i propri interessi, e dallo sviluppamento ed impiego delle loro forze. Stato di abbandono era in Sicilia, ma non d’assolnto mancamento o impossibilità. E quando si considera la feracia del suo suolo, l’ingegno degli abitatori e la sua posizione dominatrice nel mediterraneo sì prossima al continente in Europa e si agevole pei traffichi nelle orientali regioni, non può rivocarsi in dubbio che la vita di lei non potrebbe esser sempre giovane e con forze ognora rinascenti. Ed a torre l’abbandono va disponendo il governo che si rimovessero quegli ostacoli che tengono tuttavia in abbietta condizione la proprietà e l‘agricoltura, che si rendessero agevoli le comunicazioni, che in fatti s’eseguissero tutti quei provvedimenti dettati da lui stesso per vantaggiare la industria, i quali in gran parte giacciono, quasi direi, inutili ed inosservati,. che da ultimo più attiva fosse la circolazione della moneta, e l’associazìon de’ capitali cominciasse a fugare la diffidenza e la mala fede. Non ovvi mancanza di numerario in Sicilia, evvi bensì ristagnamento cagionato per un verso dalla inerte industria e dall’altre dalla medesima diffidenza, e da taluni sistemi che fan restare tuttora inutili masse di numerario, come ad esempio quello delle cauzioni. In un secolo in cui quasi in tutte le parti d’Europa si moltiplicano prodigiosamente i capitali, ed il danaro ha svariati rappresentanti onde una stessa somma servisse a più usi e rapidamente movesse, in Sicilia dannata è la moneta a star rinchiusa; non carte di banco ‘o di società ed intraprese di commercio, non cedole della finanza 0 di pubblici prestiti sono in corso, e tranne poche città in tutto il resto non circolano neppur lettere di cambio.

Ma tralasciando le generali riflessioni non posso esentarmi per continuare la storica narrazione, d’andare esponendo i più importanti provvedimenti e le istituzioni che hanno riguardato il commercio di Sicilia e dirò prima’ mente dei trattati colle altre nazioni.

Discorsi nel capitolo quinto del libro quinto della Storia delle finanze di Napoli de’ trattati detti dei Pirinei e di Madrid del 1667, e di quelli statuiti in Utrecht nel 1713 e 1715 secondo i quali gl’Inglesi i Francesi e gli Spagnuoli fra gli altri privilegi, reciprochi per altro con noi, pretendevano che le loro navi nel commercio col nostro regno dovessero essere fiancate)da visite a bordo, il che privilegio di bandiera addimandavasi. Dissi anche nel capitolo “, del libro sesto della medesima opera che Be Carlo Borbone regnando in Ispagna nel 1766 con apposito editto dichiarò aboliti tali diritti, de’ quali quasi niun uso erasi fatto da moltissimi anni, di tal che da poi ed eziandio quando Murat regnava in Napoli invano i Francesi reclamavano quello antico privilegio. Alla egual sorte furono soggette nelle medesime regioni di Napoli le navi inglesi dopo dello armistizio del 3 febbruro 1814. Ma ritornato Re Ferdinando sul napoletano trono nel 1815 si destarono le antiche pretensioni non ostante che i cennati trattati niun valore avevano avuto sin dal secolo passato, essendo cessato ogni diritto reciproco e la ragione e le condizioni per le quali furon fatti; aggiungasi che messo per ipotesi che i trattati del 1667 si fossero un tempo estesi per Sicilia, pure eran caduti col fatto, perocché i posteriori trattati d’Utrecht non poteron risguardarla sul riflesso che la medesima era già passata sotto il dominio di Vittorio Amedeo duca di Savoja‘. A malgrado di tali fatti, e ad onta dei nuovi ordinamenti

litici e civili in tutta l’Europa dopo del congresso di Vienna del 1815, pure il nostro governo divisò che potessero essere obbietto di nuovi trattati. E però la prima convenzione fu fatta coll’Inghilterra a’ 26 settembre 1816, di poi si fermarono le altre colla Francia e colla Spagna a’ 15 agosto dello stesso anno, e tutte e tre furon publicate colla legge del 30 marzo 1818 che ne ordinò la esecuzione non meno per Napoli che per Sicilia ancora. Con tali convenzioni restarono aboliti per sempre i privilegi di bandiera ossia la esenzione della visita a bordo pretesa da quelle tre nazioni, ed in compenso venne ad esse accordato un diminuimeuto del dieci per cento sulla quantità dei dazi da riscuotersi sulle produzioni e sulle merci della Gran Brettagna, della Francia e della Spagna e delle loro possessioni e dipendenze che s’ introducessero nel regno delle due Sicilie. E di vantaggio venne aggiunto che quel diminuimeuto accordasse sol quando le immissioni si facessero con xxvi di quei popoli. Da siffatti trattati ne risultarono due conseguenze rovinose pel reame? l’una che la finanza di Napoli perdette in ogni anno come si calcolò in quel tempo una somma di ducati 200,000, la quale somma è andata sempre più crescendo per l’aumentata immissione; in proporzione ha pur perduto la finanza Siciliana. L’altra conseguenza fu la rovina alla marina mercantile, perocché quel beneficio del dieci per cento cagionò che le marine delle indicate nazioni fossero privilegiate sopra tutte le altre ed anche sulla nostra che quel beneficio non godeva. Ne a mitigare tanto male giovarono gl’incoraggiamenti che prometteva alla nazional marina lo stesso nostro governo, in ispecialtà l’abolizione fatta del dazio che riscuotevasi sulla immissione e sulla estrazione dei bastimenti, ed il premio accordato a chi ne costruisse di nuovi a norma dei decreti del 27 aprile e 27 luglio 1819, perocché neghittose restando le navi sul lido senza poter fare traffichi ad uguali condizioni cogl’Inglesi e Francesi, niuno ne fabbricava di nuove. Che se da poi il governo vista tanta rovina volle in qualche modo riparare accordando il simil beneficio del ‘dieci per cento alla nazional marina, pure il male dei trattali in molta parte continuò a sussistere, e la riparazione in discorso è stata subbietto di richiami segnatamente per parte dell’Inghilterra e di daziarie aggressioni.

Di non lieve utile riuscì d’altra via alla mercantile marina di Sicilia la pace conchiusa in aprile 1816 per mezzo di Lord Exmouth cogli stati di Algeri, Tripoli e Tunisi, fissandosi dal nostro governo un annua prestanza in favore loro di ducati 40,000 l’anno. Eguali furono le condizioni di sicurezza e di traffico. La quale pace venne resa più stabile sì per la conquista fatta d’Algeri da’ Francesi, sì per altro trattato conchiuso tra il nostro governo ed il Bey di Tunisi il di 17 novembre 1833, di cui ordinossi l’esecuzione con decreto del di 11 giugno 1834. Ma ciò che produsse positivo Vantaggio alla stessa marina fu la legge di navigazione comune a Napoli e Sicilia emanata nel di 25 febbraro ’l826, secondo la quale un bastimento per esser reputato del reame delle due Sicilie deve appartener tutto a persone nazionali che abbiano eziandio nel regno il loro domicilio. E il suo capitano e due terzi almeno dell’equipaggio devono esser nazionali o resi tali nelle forme legali. Altri premi e franchigie di dazi s’accordarono alla esportazione ed alla immissione dei prodotti per via de’ nostri legni quando facessero viaggi in designate lontane nazioni, come ad esempio navigando nel Baltico e ne’ mari delle Indie Orientali ed Occidentali, i quali benefici si sono prorogati senza alcuna limitazione di tempo con rescritto reale del 20 dicembre 1839.

Ma un trattato col quale oltre di quanto può interessar la nostra marina mercantile vi è risguardata l’umanità si è quello col quale l’attuale nostro Be a dimostrare vieppiù l’abborrimento per l’inumano traffico de’ negri si determinò nel 14 febbraro 1838 ad accedere alla convenzione fatta in proposito tra le corti di Francia e d’Inghilterra, trattato e convenzione de’ quali venne ordinata l’osservanza con decreto de’ 17 agosto del medesimo anno. Una legge di proposito emanata nel 14 ottobre 1839 ha poi dettate le norme come prevenire e reprimere i reati relativi al traffico de’ negri.

Premesse queste cose stimo utile riferire lo stato della marina mercantile di Sicilia pel numero delle navi e per la capacità di esse dal 1824 al 1835 non avendolo sinora potuto avere per gli anni posteriori, onde in fatti veggasi che i provvedimenti del governo le sono tornati vantaggiosi sì che ne è risultato il suo progressivo aumento.

ANNONUMERODELLE NAVI.CAPACITA’IN TONNELLATE
1824143725844
1825144825992
1826149427140
1827151727290
1828164432204
1829170834279
1830176335306
1831183436756
1832187738101
1833193039887
1834200040580
1835205841800

Di tratto in tratto si son distinti i marini Siciliani per arditezza nei lunghi viaggi con picciole navi senza rilevante equi aggio. Mercantile nave di Palermo fu quella che nel 1789 mostrò prima d’ogni altra del nostro reame la Reale bandiera nel Baltico; anche palermitana nave fu quella che la fece vedere nel mar Nero nel 1799; pure a Palermo appartenevano que’ legni che nel 1818, 1819 e 1824 i primi tra i nostri visitarono gli Stati Uniti d’America, e Antille ed il Brasile (14), dopo i quali esempi s’è accresciuto il traffico con quelle contrade, di tal che nel 1839 nei soli Stati Uniti oltre a venti legni Siciliani approdarono. 

Ma un fatto permanente che)non lascia dubbio alcuno sulle lunghe navigazioni fatte dalla marina mercantile di Sicilia, e che mostra che la medesima vada progredendo risulta dalla somma de’ premi accordati dal governo per tale obbietto sempre crescente dal 1829 a questa parte.

Eccone lo stato

ANNOSOMMAcalcolata in ducati e grana
DUCATI GR.
182916 30
18303833 17
1831350 39
18324957 24
1833120 06
18348741 44
18334610 46
18368900 18
18372333 33
183823343 48
183927324 24

Non è guari Vincenzo di Bartolo di Ustica movendo da Palermo nel28 ottobre 18 8 col brigantino la Elisa con tredici marinari navigò arditamente e con perizia egli il primo tra i soggetti delle due Sicilie nei mari delle Indie Orientali approdando e facendo commercio in Sumatra in luglio 1839.

Per il che vari incoraggiamenti e distruzioni s’ebbe dal Re, tra le quali la medaglia d’oro del merito civile, e quello di venir nominato alfiere di vascello della real marina col permesso di poter continuare a navigare su’ legni mercantili godendo all’uopo de’ non pochi privilegi accordati alle navi da guerra (15). Il giovine Federigo Montechiaro pilota della medesima nave ebbe nomina per effetto della munificenza dello stesso Re di pilota di terzo grado della real marina, e la medaglia d’argento del merito civile.

Ma nel mentre un progresso offre la mercantil marina che è una delle basi del commercio indigeno, uopo è dirlo con franchezza che mal corrisponde lo stato de’ porti di Sicilia. Tolti quelli di Messina, Palermo, Siracusa e Trapani, Cefalù, Augusta, in tutto il resto se ne manca. Quistioni da molti anni e nulla s’effettua per l’insecura rada di Girgenti, controversie perdurarono per molti anni per la costruzione di un molo in Catania, a malgrado che per esso la Comune abbia fatto il sagrifficio d’assegnare ben trentamila ducati l’anno, ed esiste all’uopo in serbo una somma di oltre a centomila ducati. Ora (1841) discutesi delle condizioni per l’appalto dell’opera intera la di cui spesa si calcola per 354009 ducati a un bel circa (16). Per altre quistioni e gare di municipio non si ha un porto al Capo dei Mulini, la dove sorgeva l’antico porto d’Ulisse (17), manca il più meschino ricovero alle navi nella spiaggia di Riposto luogo. nella provincia di Catania di somma importanza pel traffico coll’America. In Sciacca, donde dal mezzogiorno di Sicilia si fanno la principali estrazioni di prodotti indigeni non solo non evvi molo o rada meno insecura, ma eziandio la strada che mena alla sua marina è impraticabile. Per incuria ed abbandono ora giace chiuso il porto dell’antica e famosa città di Tindaro nel quale ebbe già ricovero la ‘numerosa armata romana di trecento navi comandata da Marcello quando si portava ad assediar Siracusa (18). Ma la speciale cura che il Re pone per tutte le opere pubbliche non lascia senza provvedimenti i porti, ed in proposito è ricordevole che ora si anderà a compiere il porto dell’antica ed industriosa Marsala, il quale sin dal 1812 fu cominciato prima a spese di particolari persone, e poi continuato con danaro del Comune.

Ne le cure del Governo a soli porti estender si dovrebbero, ma alle dogane ancora aumentando negli opportuni siti quelle dette di prima classe, ossia quelle ove può non meno la estrazione delle merci indigene che la immissione delle straniere merci praticarsi.

La navigazione con navi a vapore in un paese come la Sicilia che di troppo ne avrebbe bisogno, poco vi è stata praticata insino al 1840. Per la regione di Napoli a malgrado che sin dal 1817 il governo avesse fatte costruir di tali navi che furono le prime in Italia, pur non ebbe rilevante progresso. Nel2 dicembre 1823 il Re concedette il privilegio di siffatta navigazione per anni dieci per l’intero reame ad una società commerciale. Spiralo questo tempo venne stabilita nel 17 maggio 1836 una real delegazione di battelli a vapore sotto l’immediata dipendenza del Re. Siffatta delegazione era una specie di società di commercio, della quale formaron la base quattro navi a vapore. Poteva ogni individuo nazionale o straniero aggregare a siffatta società o altre navi della stessa natura o capitali per acquistarne e costruirne di nuove. Furon determinati la pratica di amministrare ed i privilegi che la società goderebbe non che il modo come si dividerebbero gli utili e le perdite. Ma nel 15 maggio 1839 il Re istesso dichiarava esser libero a chiunque nazionale o straniero di trasportar qualsiesi oggetto e persone in tutta la estensione del reame con battelli a vapore ovunque fossero stati costruiti purchè provveduti dallo atto detto di nazionalità e di riconoscimento e coverti di real bandiera ai termini delle nostre leggi. Un beneficio fu accordato per tutto maggio 1841 a tutti coloro che o facessero costruire nel regno o introducessero dallo straniero navi a vapore. Gessata la privativa si è accresciuto il numero dei battelli a vapore, i prezzi de’ trasporti son ribassati, e di vantaggio il traffico va alla giornata aumentando e vieppiù aumenterà quando tra pochi mesi saranno in opera altri tre battelli a vapore che il Re ha fatti costruire affinché facessero periodicamente il servigio della posta tra Napoli e Sicilia Nel passato anno 1840 ha avuto luogo una convenzione tra il nostro governo e la Francia con cui sono ammessi i battelli a vapore della amministrazione delle poste Francesi nel porto di Napoli sul piede di bastimenti da guerra. Per effetto di che le indicate navi che sono destinate all’ufficio in parola, tra la Francia ed il Levante passando per Livorno, Civitavecchia, Napoli, Malta, Siria, Atene, Smirne e Costantinopoli, ed al ritorno possono disbarcare ed imbarcare nel porto di Napoli passeggieri ed ora ed argento in verga od, in ispecie monetata.

Queste cose esposte, ed affinché si avessero altre nozioni. dell’attuale stato della industria Siciliana stimo utile inserire due tavolo che riguardano i principali obbietti esportati ed immessi per gli anni 1834, 1835, 1836, 1837, 1838 e 1839. Non è stato possibile alla diligente Direzione Centrale di statistica formar simili lavori pel tempo precedente. Per l’anno 1840 se ne sta occupando.

la‘ìi8 e 1839n0n solo vietare la estrazione, ma permettere e favoreggiare ‘ ‘=econdo (11 ben 149920 cantaia.

Devo avvertire che non essendosi ancora compilate le tavole di commercio per gli anni 1835, 1836 e 1839 che dalla Direzione centrale di statistica di unita alla Direzione generale de’ dazi indiretti si vanno compilando, ho dovuto esporre soltanto la estrazione e la immissione dei principali obbietti dal 1834 al 1839. Non può intanto farsi alcun esatto paragone tra il valore dell’estrazione e quello della immissione, sì perchè vi sono non pochi inconvenienti risultanti da’ doganali regolamenti pe’ quali non è possibile impedire a’ negozianti di manifestare nella esportazione una quantità maggiore della effettiva, sì perché stante la geografica posizione di Messina, si spediscono in essa le mercanzie di Calabria che voglionsi mandare allo straniero, e quindi maggiore apparisce la estrazione di Sicilia. Al che s’ aggiunga che ove pure fossero segnate con minore inesattezza sulle tavole di commercio le quantità esportate ed importate, debbesi far di non poche altre correzioni e giudicare con molla cautela per non incorrere negli errori delle così dette bilancia di commercio (19). Messe innanzi queste osservazioni non voglio ristarmi dal notare lo informe paragone tra il valore esportato ed importato per gli anni 1834, 1837 e 1838 pei quali soltanto è riuscito di farlo alla medesima Direzione di Statistica sulle basi somministrate dalla Direzione dei Dazi Indiretti. Per gli altri anni si sta eseguendo.

ESPORTAZIONE
AnnoValore in ducati egrana
18347,959,49610
18378,353,74377
183810,123,97510
IMPORTAZIONE
18344,414,40110
18374,218,47674
18385,262,65038

Da queste cifre risulterebbe il valore della esportazione quasi il doppio della importazione, e quindi se alla fallacia de’ calcoli delle vecchie idee della bilancia di commercio, volessimo atteuerci, allora si dovrebbe conchiudere non solo la condizione di Sicilia essere prospera oltremodo per se stessa, ma prospera paragonata altresì allo stato degli altri popoli. Non si ritenga dunque come elemento storico il calcolo in discorso, ma sì bene come una prova di quanta cautela e d’uopo avere per giudicare coll’aiuto della statistica ‘della condizione dei popoli, ed a quanti errori nella sua compilazione va la statistica essa medesima soggetta.

Intanto dalle cose che si veggon notate nelle indicate due tavole della estrazione ed immissione si ha un indizio che vien poggiato d’altronde al fatto osservabile della pochezza dalle indigene manifattura, per le quali, spiacemi il doverlo dire, quasi niuna può dirsi bene avviata – Mancano non dirò buone ma mediocre fabbriche di panni di lana. Appena per così dire si fanno de’ saggi di altre stoffe e di tele in ispecialtà di quelle di cotone. Le sole seterie di Catania non fanno di molto desiderare le straniere. Pochissimi sono i filatoi di cotone. Non v’ba fabbriche di cristalli, di porcellana, e di buone stoviglie. Si sente il bisogno di fabbriche di ferro e d’acciaio una sola fonderia si e or messa (1841) in atto per cura dei fratelli Gallo in Palermo ove vi si eseguono lavori non poco esatti di ferro fuso. ll lavorio d‘altri metalli è senza aiuto di acconce macchine e ordigni, e non può dirsi bene stabilito. Col cesello s’eseguono non di meno in Palermo preziosi lavori in oro e in argento. Rare e pessime sono le cartiere. Poche e non buone sono le pelli ed i cuoi tranne quelli del vasto opificio Ottaviani in Messina. Hanno eleganza e sveltezza le suppellettili che di vari legni si costruiscono in Palermo e in altre città, e a moderato prezzo. Pregevoli son pure i cappelli ed i guanti, e meritano attenzione i lavori d’ambra e di lava dell’Etna in Catania, e di corallo conchiglie ed alabastro che si fanno in Trapani. Cominciano altresì a farsi de’ lavori delle superbe agate siciliane. Una legge venne promulgata nel 4 maggio 1824 per accordarsi privativa per cose d’arti e d’industria. Insino ad ora (aprile 1841) le privative accordate sommano a ventinove a contare da agosto 1833 quando per la Sicilia fu stabilito un instituto d’incoraggiamento all’agricoltura alle arti e alle manifatture.

Ovunque però volgi lo sguardo in Sicilia vedi e luoghi fatti dalla natura quasi direbbesi di proposito per qualsiasi stabilimento d’industria, e uomini capaci di tutto e che sovente han dato prove della loro valentia in qualsiesi ramo; le quali prove son poi morte pel nascere senza produrre risultati, di tal che non può farsi a meno di non gemere sul destino di numeroso popolo in cui anche i minimi obbietti di lusso di comodo e fin di minimi bisogni della vita debbono dallo straniero procurarsi. Incoraggiamenti intanto ne va dando il governo per diverse vie, e va rimovendo ostacoli che s’ oppongono al miglioramento; e d’altra parte il desiderio dell’universale è immenso e sentito per conseguirlo.

Nel commercio esterno tranne pochi coralli lavorati, la Sicilia non altro estrae che prodotti grezzi. Il vino, l’olio, gli agrumi ed in generale di molti prodotti agrari, formano la maggior parte di tale estrazione non quanto esser potrebbe ma che può aumentare. Ben infelice è la quantità del cotone che esce, né la sua ‘coltivazione risponde alla feracità di quel suolo che al resto d’Europa il diede. Del grano vedemmo le tristi vicende. Rilevante capo di commercio è il sommacco, ma per avidità di guadagno vi son commesse delle frodi, a malgrado che per ovviare a questo male si fosse comminata una pena sin dal 1834 (). Anche lo zolfo ha costituito importantissimo prodotto, ma come gli accidenti che ne hanno accompagnato il traffico son degni di molta attenzione e memoria, cos? ho creduto spediente trattarne nel seguente distinto capitolo.

CAPITOLO IV.

Miniere sempre comprese tra le regalie dello stato – Talune particolarità attenenti alle miniere di zolfo. Disposizione del 1808 che rendono di esse libera l’apertura pagando dritto al lisce Legge sulle miniere del 18×7 – Norme dettate dal governo prima e dopo questa legge pel bruciamento de’ zolfi – Come si va straordinariamente accrescendo il commercio delle zolfo cogli stranieri Comincia la produzione di questo minerale a crescere in ragion de’ desideri e non di bisogno effettivo – Conseguenze rovinose dell’eccesso di tal produzione che si cumula di anno in anno Proponimenti diversi che si pongono in campo – Si discorre de gli accidenti che precedettero il contratto della compagnia Taix ed Aycard a riguardo del commercio de’ zolfi – Disamina di tal contratto e quali accidenti intravenissero sino a quando il Re lo annullò.

Io già discorsi del diritto Sovrano sulle miniere, le quali erano comprese nel demanio dello Stato ab – antiquo. Dissi pure come sin da tempi di Carlo VI Imperatore si escavassero per conto del governo miniere di argento rame e ferro tanto in Napoli e propriamente in Reggio e Stilo in Calabria, quanto in Sicilia in Fiume di Nisi e Novara. Per la economia e pel cavamento di esse furonvi apposti ufficiali (21), ma come lo erario fece perdite rilevanti in siffatta intrapresa, le quali, afferma il Ferrara, che sotto il solo regno di Carlo Iii Borbone sommarono a 177,000 once, così fu la medesima abbandonata prima che questo Monarca passasse a regnare in Ispagna (22); Nina dubbio che le miniere di zolfo delle quali tanto abbonda la Sicilia, onde sembra averne avuto quasi diresti privilegio dalla natura, si fossero comprese tra le regalie, la qual cosa risulta chiara eziandio dalle riserbe apposte nei tempi ‘andati nelle feudali concessioni; sicché per aprirne alcuna necessitava ottenere special permesso dal fisco. E come cosa preziosa estimavasi lo zolfo, il governo or no vietava interamente la estrazione, or l’accordava per designati luoghi e determinata quantità. Cominciava intanto il commercio di siffatto minerale ad esser proficuo sin dal principio dello scorso secolo, non solo pei bisogni della guerra che per usi della vita e dell’industria, e le molte esportazioni di esso, segnatamente per Livorno Spagna e Portogallo ne fanno fede (23), e crescendo sempre più il suo traffico si credette da ministri fiscali verso il 1806 che potesse venirne profitto all’erario, assoggettando le zolfatare a pagar la decima del prodotto in forza del diritto comune che il fisco ha sulle miniere. Ma per le istanze non meno delle particolari persone che per le ragioni esposte dal Tribunal del Patrimonio, e in vista che il peso in parola sarebbe stato di grande ostacolo e danno non solo alla privata industria, ma eziandio ad un ramo di commercio attivo ed utilissimo, Re Ferdinando con memorabil rescritto del 18 ottobre 1808 sanzione che il diritto del fisco ossia la Suprema regalia dovesse consistere soltanto nel darsi il permesso d’aprire le zolfatare, pel quale fosse d’uopo, pagare per ogni apertura once dieci dovendosi considerare tale permesso simile a quello che il governo accorda in Sicilia per l’uso delle pubbliche acque per animar mulini e macchine idrauliche (24). In tal modo si regolarono le cose per molti altri anni e niun cangiamento fecesi meno quello, che caduti gli antichi sistemi doganali si rese libera del tutto la esportazione dello zolfo. E’ anche degno di osservazione che il governo talvolta vietò lo scavo delle miniere, di che il più recente esempio è nel 1824 (25).

Ordinava intanto Re Francesco col. decreto de’ 27 ottobre 1826 che le miniere tanto metalliche del pari che il carbon fossile, i bitumi, l’allume ed i zolfati a base metallica potessero liberamente essere scavati e senza bisogno d’alcuna sovrana concessione dai particolari proprietari de’ fondi nei quali si rinvengono sia che ciò eseguissero per se stessi, sia per via d’altri. Ma per quanto in Sicilia riguarda le miniere di zolfo venne disposto continuarsi il sistema tenuto per lo passato, val dire esser necessario il permesso del governo per aprirsi nuove zolfatare, e pagarsi ogni volta once dieci in omaggio e riconoscenza di dominio. Il quale sistema non solo non venne alterato dopo del citato decreto, ma il governo cominciò a dettare più di proposito norme pel bruciamento  dei zolfi, onde non s’apportassi a danno alle vicine terre e alla salute pubblica. Talora il governo medesimo anche prima del 1826 aveva vietato questo bruciamento per determinato intervallo (26), ma da questo tempo in poi come andava crescendo la produzione dello zolfo si fecero speciali regolamenti, e tra essi vuolsi citare quello del 15 dicembre 1828 concernente‘ le pratiche da eseguirsi per l’apertura delle zolfatare, e l’altro del 3 novembre 1830 che più particolarmente riguardò il metodo da tenersi per la combustione dello zolfo. Stabilivasi pure nel di Il giugno 1833 quali fossero i mesi nei quali si potesse bruciare il medesimo minerale e nel 18 febbraro e 25 settembre 1834 veniva interdetto il bruciamento in fornaci aperte.

Tali fatti mostrano per se stessi che cresceva sempre più la produzione dello zolfo, ed in realtà gli usi svariati a’ quali veniva esso adoperato per l’industria e segnatamente per le fabbriche d’acido zolforico e di soda artificiale in Marsiglia avean già elevata l’estrazione dei zolfi di Sicilia a trecento in trecentocinquantamila quintali Panno. I prezzi intanto si mantenevano tra i dieci, i dodeci, al più i quindeci carlini (moneta di Napoli) a quintale, netto di spese di produzione che è trai dodeci e quattordeoi carlini. Tanto aumento di produzione era stato per così dire più per accidente che per opera lenta del tempo; pure di sommo vantaggio alla Sicilia tornò perché le schiuse de’ tesori nascosti. Ma di là a poco le ricerche s’aumontano ed in subito ed oltremodo, perocché in Inghilterra stabilite delle fabbriche di soda artificiale come in Francia era necessità acquistare lo zolfo di Sicilia che abbondante più che in altro luogo e di buona qualità trovavasi; medesimamente aveansene ricerche dagli Stati Uniti d’America, dagli Stati Sardi, dall’Austria, dal Belgio e dall’Olanda. Allora incominoiossi a cavare con inudito fervore di nuove miniere e per aver presto il minerale non si serbavan regole nei tagli e cavamenti; inespertezza era nei minatori, trascuraggine nei capi maestri. Rovinavan talune zolfataje, ma ciò non era d’ammaestramento a meglio eseguire i cavamenti; tutto ponevasi in opera tutto si sarebbe sacrificato purché s’avesse presto il desiderato minerale. I prezzi dello zolfo crescevano tra un momento ad un altro, e per bruciarsene molta quantità ed averla pronta al traffico i possessori delle zolfatare dannavano alla sterilità i vicini campi, e quando questi ad essi non appartenevano con rilevanti danni compensavano ai loro padroni. Mancavano ad altri i capitali per cavare le miniere, bruciare gli 1. 016, quindi profittavano delle. offerte d’accorti mercadanti inglesi che le toglievano in fitto a rovinosi patti. Obbligavasi il fittaiuolo a tutte le Spese del cavamento e della fusione, a consegnare allo affittatore un prodotto solo tra il quindeci e il trenta per cento l’anno secondo l‘abbondanza e qualità del minerale ed il volume d’acqua onde sono ingomhrate le gallerie sotterranee e secondoché le miniere fossero più o meno distanti dal caricatoio. Tutto il dippiù a beneficio d’esso fittaiuolo andava.

Sommarono intanto nel 1832 le miniere aperte a ben centonovanta, la quantità di zolfo esportato allo straniero a 400890 quintali per un valore sotto sopra di 1, 282, 848 ducati. Ma taluni prezzi essendo ascesi a cinquantacinque carlini napoletani a quintale, s’animarono sempre più le speranze di maggiori guadagni, quindi la produzione accrescevasi in ragione de’ desideri e non del bisogno e del calcolo commerciale. Non pertanto cresceva la estrazione nel 1833 a quintali 495,769 ‘pel valore di ducati 1,929,006, e nel 1834 a quintali 676,413 per un valore di ducati 1,952,067. 1 prezzi medi erano nel primo anno di ducati tre e grana novantuno a quintale, e nel secondo di ducati due e grana novantasette. Ma nel mentre duravasi in liete speranze formato era già il germe della rovina del traffico dei zolfi. Erasi nel 1832 prodotta una quantità di circa 900000 quintali allora quando la estrazione poco più di 400000 era stata. I prezzi accresciuti da un verso, ed i guadagni che vengono dalle incetta di qualsiasi merce fecero concepire ed effettuare il naturale disegno a’ negozianti Inglesi di riunire  nelle loro mani circa trecentomila quintali di questa superflua produzione. I Siciliani intanto producevano quasi 900,000 quintali l’anno, allorquando il bisogno del commercio non ne richiedeva che seicentomila a un bel circa, quindi altro ammasso di produzione che in parte ristagnava ed in altra era inutile e senza valore, quindi di necessità ribassi e invilimenti nei prezzi. E se i prezzi medi erano nel 1833 e nel 1834 secondo che gli ho indicati, ciò debbesi intendere di prezzi coacervati per gli speculanti e trafficanti che facevano la estrazione dei zolfi, mentre la più parte de’ proprietari delle zolfatale o le aveano date a fitto, o non ne ritraevano che lievissimo frutto come dissi, o per povertà di capitali e per denaro preso ad usura o spaventati dall’idea di triste avvenire vendevano lo zolfo a prezzo si tenne che talune partite furono incettati e al di sotto del costo effettivo che come ho detto è tra i dodeci e quattordeci carlini napoletani. Erano dunque nel commercio dei zolfi per un verso il monopolio, pochi, e la più parte Inglesi, erano ad un tempo quasi diresti produttori perché tenevano le principali zolfatare nelle loro mani, compratori perché incettavano il minerale dai piccoli e poveri proprietari, venditori perché essi poi ne facevano le vendite allo straniero a quel prezzo che loro tornava grado; dall’altro verso eravi eccesso sempre crescente di produzione e proprietari poveri e indebitati, a’ quali mancavano capitali e mezzi da rilevar la produzione, ed eran essi divisi d’interessi e d’opinioni senza che avvertissero donde proveniva la causa che dalla più lusinghiera prospettiva di guadagno li avea gittati nella rovina; e se pure l’avvertivano, tale era l’idea del privato ed esclusivo interesse che ciascuno avrebbe voluto limitar la produzione altrui ma niun sagrificio fare di parte della propria. In tal frangente le immaginazioni s’esaltano, si teme di maggiore rovina; niuno cerca con altri mezzi di trarre profitto dalle ristagnate masse di zolfo sia fabbricando acido solforico o soda artificiale, sia ponendo ufficine per raffinare il minerale istesso; non si pensa per ombra ad associar capitali o almeno ad attendere un qualche equilibrio, una concorrenza, che sono i soli espedienti contro il monopolio, tutti parlavano di danni, di miserie estreme, tutti si rivolgeano a dimandar aiuto dal governo, come se l’azione di questo potesse esser pronta ed efficace anche in fatto di commercio a regolare i discordi interessi o a vincere ostacoli che da questi e dalle svariate vicende dal commercio nascevano. E chi proponeva l’erario acquistasse lo zolfo e lo vendesse, chi l’erario stesso riunisse presso di sé le zolfataie, facesse le spese della produzione e classe un’annua mercede a’ proprietari di esse dopo aver venduto lo zolfo;i più moderati erano coloro, che credevano doversi con apposita legge limitare la produzione e rendere inutile una parte delle zolfataie. In tal frangente e propriamente nel 1834 una Compagnia di commercio propose acquistare a se esclusivamente per anni dieci tutto lo zolfo di Sicilia. Un’apposita Commessione stabilita dal Governo vide manifesto il monopolio, quindi rigettò il pr0ponimento. Scapitavano intanto sempre più i prezzi degli zolfi, e lo sgomento rendevasi ancor più generale, quando nel 4 marzo 1836 a nome d’Amato Taix e di Arsenio Aychard fu presentata offerta d’un contratto pel medesimo obbietto, le basi del quale differivano in qualche modo da quello ch’era stato rifiutato, ma che nella sostanza era lo stesso. Siffatto cangiamento il fece accogliere dai più della Commessione, sul1’ animo della quale molto peso facevano i clamori dell’universale, il deprezzamento che accrescevasi del minerale, la rovina di varie zolfatare. Scriveva in aprile 1837 Wood negoziante Inglese in apposito memoriale indiritto al Re il danno che soffre la Sicilia dall’invilimento de’ prezzi dello zolfo è tale, che sarebbe meglio anche il monopolio. Né mancò chi proponesse la totale rovina de’ più poveri possessori delle zolfatale per favoreggiare i più ricchi. A malgrado che opinione contraria s’ avessero i Direttori che allora stavano nel Ministero presso il Luogotenente Generale di Sicilia, pure il medesimo Luogotenente con ragionato suo parere appoggiò il progetto di Taix e di Aychard. Il Ile incaricò la Consulta a dare il suo avviso.

Era la quistione di alta importanza. Da un lato presentavasi un contratto a cui qualunque fosse la forma che si classe, conteneva sempre una privativa che accordavasi per anni dieci a privilegiata Compagnia per far essa o in tutto o nella massima parte il commercio de’ zolfi, sotto il quale aspetto per mantenere la libertà dei traffichi, non avrebbe potuto dal Governo accogliersi. Ma da un altro lato credeva il Governo doversi ingerire in sul proposito, e adottare degli spedienti onde porre un freno al male avvenuto e salvare da totale rovina le zolfataie; laonde per questo verso la privativa in discorso sembrava conducente allo scopo a cui miravasi, quindi non di vincolo ma di. guarentigia alla proprietà. La Consulta diceva all’uopo. Non è già nella interesse della proprietà che bisogna rispettare gli uomini, ma nella interesse degli uomini deggiono le proprietà essere rispettate. Se il progetto accrescerà il valor della zolfo, se verserà in Sicilia maggior numerario e tutti gli altri vantaggi che esso promette, non ‘offende ma salva i dritti di proprietà. Né doversi temere che forzando alquanto i prezzi la Compagnia Taix ed Aychard potessero gli stranieri per esimersi da ciò rinvenire un succedaneo allo zolfo, perocché questo minerale e sui generis, e d’altra. parte non doversi temere d’un danno incertissimo e solo nell’avvenire. Il Re intanto non vide molta utilità nella offerta in discorso, quindi incaricò il Ministro del«l’Interno per trattare subito con Taix ed Aycard, onde fermar di essa i patti con utile maggiore della Sicilia. Fermati i patti venne dal Be il contratto approvato nel 10 luglio 1838. Obbligavasi la Compagnia a comperare per la durata di anni dieci tutto lo zolfo che si produrrebbe in Sicilia insino a seicentomila quintali. Su di che dice«vasi che ogni maggior produzione erasi trovata eccedente e cagione di danni; ma come negli anni passati la produzione era giunta sino a novecentomila quintali a un bel circa, così a’ produttori sarebbe dato a titolo di premio un compensamento di carlini quattro a quintale su i trecentomila quintali, che erano la differenza tra l’effettiva produzione e quella ridotta legalmente a seicentomila. Il fondo capitale della Compagnia fu stabilito in 1,200,000 ducati; nel primiero progetto era offerto per la metà. Si disse ancora che il Re intento alla riuscita della intrapresa vi si sarebbe associato aumentando il capitale d’altri ducati seicentomila. Fissavasi il modo come determinare l’annua produzione delle zolfataie. Il prezzo che sarebbe obbligato pagare la Compagnia a’ proprietari delle zolfo venne stabilito come segue.

Per la qualità detta di Talamone carlini venticinque a quintale.

Per quella detta prima di Licata carlini ventiquattro.

Per la detta seconda buona e vantaggiosa di Licata, carlini ventitré.

Per la detta terza corrente e terza vantaggiosa di Licata carlini ventidue.

Da ultimo per la detta terza buona e terza corrente carlini ventuno.

La Compagnia intanto non potrebbe vendere lo‘ zolfo al di là dei seguenti prezzi. Quarantuno carlini le terze qualità –  quarantatré le seconde – quarantacinque il talamone e le prime – per ogni quintale spedito alla vela e franco al compratore di qualunque spesa di trasporto imbarco 0 premio. Inoltre a misura che venderebbe lo zolfo riposto ne’ suoi magazzini, ne dovrebbe sostituire altre quantità da quello esistente presso i produttori; di tal che dovrebbe sempre esservene un deposito di quintali centocinquantamila per soddisfare alla richiesta del Commercio. Restava però in piena ed assoluta libertà ai produttori dello zolfo qualora non volessero venderlo alla compagnia, di venderlo a chicchessia o d’asportarlo dai soliti caricatoi per dove loro piacesse, a condizione di pagare alla Compagnia medesima carlini venti a quintale. La Compagnia dovea poi anticipare ad ogni produttore che non offerisse per se o per altri sufficiente guarentigia il terzo del prezzo dello zolfo che dovrebbe produrre e volesse venderlo. Era obbligata la Compagnia nel primo progetto di costruire in ogni anno venti miglia di stra«de atte alle ruote in Sicilia, ‘ed inoltre pagare ducati sei mila pei poveri, ma col contratto fu statuito dover corrispondere annui ducati quattrocentomila all’erario, i quali come narrai vennero in dicembre 1838 destinati a ripianare il mancamento che a questa veniva dalla diminuita tassa sulla macinatura dei grani. Tra quattro anni dal suo stabilimento avrebbe dovuto la Compagnia costruire a sue spese in uno de’ luoghi più opportuni di Sicilia una fabbrica d’acido solforico, di solfato di soda, e di soda intravenendovi allievi siciliani onde apparare i processi di tale ramo d’industria per indi poterli praticare. Da ultimo lo stabilimento di raffinare lo zolfo all’uso di Marsiglia stabilito nel 1837 nel Molo di Girgenti fu fregiato del titolo di reale, ed al suo direttore venne ingiunto di somministrare gratuitamente tutto il fiore dello zolfo necessario per le reali fabbriche di polvere per uso della guerra, in compenso di che potrebbe asportare senza pagar premio alcuno alla Compagnia insino a ventimila quintali di zolfo sublimato a cannuoli, il che dava all’erario un altro beneficio di quarantamila ducati.

Facendo la severa analisi di tale contratto non altro vi si rinviene per sua base fondamentale che una tassa imposta sulla uscita dc’ zolfi di venti carlini a quintale, della quale la Compagnia in discorso era la vigilatrice e la riscuotitrice. E chiaro ciò risulta quando si pone mente che libero a chiunque era rimasto d’asportare lo zolfo pagando la tassa in discorso sotto nome di premio; chiaro ancor risulta quando si riflette che la stessa Compagnia comperava e vendeva a prezzo determinato, perocché limitato era il prezzo di compra l’un caso per l’altro, a ventitré carlini il quintale, e limitato era puranche il prezzo delle vendite che oltrepassar non potevan, l’un caso per l‘altro, i carlini quarantatré. La tassa in discorso fruttava annualmente 1,200,000 ducati, perocché a soli seicentomila quintali erasi diminuita la estrazione, e di essi un terzo andava in beneficio dell’Erario, e gli altri due terzi restavano alla Compagnia per la sopravveglianza e la riscossione del dazio, pel compenso della guarentigia del fissato prezzo de’ carlini ventitré a quintale da pagarsi a’ produttori, più di distribuir loro annui ducati 420,000 pei carlini quattro a quintale da pagarsi ai’ produttori, sui quintali trecentomila dei quali era vietata la produzione, e per altro compenso di dover la Compagnia anticipare una parte del prezzo ai produttori stessi. E perché meglio di ciò possa conoscersi piace decomporre ne’ suoi elementi il cennato prezzo di tari quarantatré a quintale.

CARLINI
Prezzo che la Compagnia pagar dovea al produttore23
Rata dell’indennità di carlini quattro a quintale sui quintali trecentomila dell’annua produzione che restava inutilizzata2
Pel terzo della tassa dei carlini 20 a quintale dovuto all’erario6 1/3  
Spese di sorveglianza e di amministrazione3 1/3
SOMMA35

Il lucro certo che restava alla Compagnia sarebbe stato a un bel circa di carlini otto a quintale.

All’annunzio di tal contratto i negozianti inglesi asportarono grandissima quantità di zolfo e propriamente nel solo mese di luglio quintali trecentomila per Malta e per altri luoghi per ivi tenerlo. E come videro che la intrapresa in discorso toglieva dalle loro mani in grandissima parte il traffico, così levarono contro di essa forti lagnanze e la qualificarono di monopolio non solo ma dissero essersi violato il diritto delle loro proprietà in disprezzo del trattato del 1846 tra la Inghilterra e la Corte delle due Sicilie.

Sembrava medesimamente che gli elevati prezzi insino a quarantatré carlini fossero una aggressione al commercio verso le altre nazioni, quindi s’ unirono le doglianze di quei che professano principi di libertà di commercio senza limiti o restrizione; tanto più che se ne faceva paragone con gl’inviliti prezzi degli anni non e guari scorsi. Da ultimo taluni de’ piccioli proprietari di zolfatale che temevano poter sofferire danno da sì grandiosa intrapresa, e dispesrando forse che non in tutto s’effettuasse, o che l’esecuzione non corrispondesse, mostrarono anch’essi scontentezza. Ma non così i grossi proprietari di zolfataie, i quali tennero il contratto con un bene che assicurava un prezzo a’ zolfi che altrimenti sarebbe stato vano del tutto il potere sperare, quindi con suppliche reiterate in novembre di quel mode» simo anno 4838 insistevano che tosto il Re ne facesse effetti1are la esecuzione. In questo mentre il Re osservando che la intrapresa de’ zolfi avca bisogno della cooperazione d’uomini distinti per sapere e probità compose una apposita Commessione per vegliare ed agevolare l’esecuzione del contratto, e per proporre altresì quanto facesse d’uopo, e di più un particolare regolamento, il che rilevar si può dal decreto del 27 novembre 1838. Per mandarsi ad effetto il contratto furon fissate le quote di produzione per ciascuna zolfatara onde non eccedere i limiti stabiliti, e tali quote si tassaron tenuta presente la produzione degli anni scorsi. Il regolamento venne poi provvisoriamente approvato nel 23 novembre 1839.

Aveano intanto fatto peso nello animo del Ministero inglese i richiami de’ negozianti britannici di Sicilia, e nel Parlamento a loro difensore sorgeva Lord Lyndharst, il quale si spinse a dir finanche esser la perdita di essi di mille sterline al giorno dal tempo del contratto; e però stato era inviato alla nostra Corte Mac Gregor per sostener che via, lato fosse il trattato del 1816. Che non vi fosse violazione alcuna a siffatto trattato manifesto risulta dagli articoli che invocavano gl‘Ingle5i a loro favore (), pei quali i medesimi nelle due Sicilie vengono uguagliati alle nazioni più favorite riguardo alle persone, alla proprietà ed alla imposizione de’ dazi. Qual violazione adunque al trattato poteva esservi sol perché il governo avea imposto un dazio sotto forma di privativa, dazio che riguardava non meno le nazioni più favorite che i soggetti istessi del Re? Certo è che il contratto non rendeva gl’lnglesi privilegiati al di là delle genti delle due Sicilie e degli Spagnuoli e ‘le’ Francesi, coi quali uguali convenzioni s’eran passate.

Certo è che il trattato non(autorizza gl’Inglesi a fare esclusivamente il commercio degli zolfi Che se la fortuna avea loro arriso in tal commercio per molto tempo forza era che da poi ne seguissero le altre vicende. Parlavasi di dritto di proprietà quando gl’Inglesi non eran proprietari di zolfataie. Ma pur fossero stati proprietari non eran per tal fatto soggetti alle leggi del paese?

A malgrado di siffatta cose il governo delle due Sicilie dal canto suo fermato avea co’ capi della Compagnia nel 22 febbraro 1840 di sciogliere il contratto mediante indennizzazione, la di cui quantità sarebbe stata fissata amichevolmente allorché il cavalier Temple ministro d’Inghilterra residente in Napoli diresse una nota al nostro governo con cui dimandò rompersi ali’ istante il contratto, ripararsi con denaro il danno che dicevasi sofferto da’ negozianti Inglesi. Sarà sommamente memorabile nei nostri annali la ferma e dignitosa risposta data dal Re: «Il trattato del 1816 non è violato dal contratto dei zolfi. In luogo di danni gl’Inglesi hanno ricevuto benefici considerevoli. Io ho adunque per me Dio e la giustizia, sicché fido più nella forza del dritto che nel dritto della forza».

E risposero le parole a fatti, perocché in men che baleno preparossi il Monarca a valida difesa rendendo più. forti vari luoghi nel golfo di Napoli, o spedendo eletta mano di soldati a meglio guernire l’importante Siracusa. Un campo militare fu stabilito in Messina. La flotta venne tutta armata. Dava in questo mentre il Console Inglese in Napoli insinuazioni a legni mercantili della sua nazione ancorati nella rada d’uscire fra ore ventiquattro temendo di qualche aggressione. Or non appena ne fu avvertito il Re ordinò tosto che la dogana cessasse da qualsiesi altro lavoro per disbrigar le carte necessarie a tali legni onde accelerarne la partenza, non volendo egli che gl’interessi del commercio avessero a sofferire alcun detrimento per le determinazioni dell’alta politica. Medesimamente ordinò che il commercio inglese continuerebbe ad esser rispettato nel suo regno, e che i porti resterebbero liberi come per lo passato. Intanto un forte naviglio Inglese comandato dall’ammiraglio St0pford nelle vicinanze di Capri e delle circostanti isole in vista della città di Napoli senza esservi alcuna dichiarazione di ostilità cominciò a predare diversi legni mercantili di real bandiera. A quest’atto il Re fu forza che rispondesse con disposizione del 25 aprile ordinando l’embarco su tutti i legni mercantili inglesi che si trovassero sulle coste e nei porti del reame, o che potrebbero in seguito giugnervi (). Era indignato l’universale al massimo grado, tutti sentivano altamente la giustizia della causa che con tanta energia avea il Re intrapresa a sostenere, tutti speravan da lui riparazione a’ torti che la nazione riceveva. Si ponevano intanto con estrema dignità in luce i dritti che aveva avuti il Re a fare il contratto verso le Corti straniere allorché il Re de’ Francesi augusto zio del nostro Sovrano fece spontanea e graziosa offerta d’una semplice mediazione presso il Governo della Gran Brettagna diretta unicamente ad accelerare la diffinitiva composizione della questione in discorso. Tale offerta accettata dal gabinetto inglese non esitò il nostro Re ad accoglierla egli pure, permettendo tra le altre condizioni che la negoziazione si facesse a Parigi. Cambiatesi in questo mentre le corrispondenti comunicazioni tra il nostro governo ed il cavaliere Temple ministro della Corte Brittannica per lo mezzo del visconte Haussonville incaricato dal Re dei Francesi, si stipulò d’accord0 preliminare convenzione (). Cessarono quindi le misure di rappresaglia scambievolmente adoperate da’ due governi sino a’ 26 aprile, in conseguenza di che il nostro Re in questo giorno prescrisse di togliersi il cennato embarco (). Dichiarò il gabinetto Francese non esservi stata violazione del trattato in discorso, niun dubbio che il Re del regno delle due Sicilie potesse imporre qualsiesi gravezza a’ zolfi. Espose nondimeno il suo desiderio che cessasse il contratto Taix perché non confacente co’ sistemi di civile economia adottati dalla più parte delle genti, nel quale caso fossero di diritto le indennizazioni a chi veniva a soffrine. Terminata in tal modo la controversia determinò il Re con decreto de’ 21 luglio 1840 di restare abolito il contratto colla compagnia Taix e Aycard; il principe di Campofranco consigliere di Stato presidente della Consulta del reame assistito dal duca di Cumia procurator Generale presso la Gran Corte de’ Conti di Sicilia fissasse le indennità da darsi alla Compagnia, laddove v’avesse diritto.

Fu stabilito ancora che rimanesse il dazio sull’estrazion dei zolfi di carlini venti a quintale, che non è guari venne ridotto a soli otto, non meno per sopperire alla Tesoreria il mancamento dei ducati 400,000 diminuiti dal balzello della macinatura de’ grani nel 1838 che per pagare annualmente le indennità indicate. Da ultimo fu incaricata la Commessione de’ zolfi eretta, come dissi, nel 1838 di proporre acconci regolamenti pei modi e tempi del cavamento delle miniere di zolfo, onde non ne soffrisse la pubblica salute e l’agricoltura, e non si depreziasse e sciupasse sì prezioso minerale ().

FINE DEL SECONDO LIBRO
ALLA QUARTA PARTE

LIBRI DUE

del Cav. Lodovico Bianchini

DA FAR SEGUITO

ALLA STORIA DELLE FINANZE DI NAPOLI

DEL MEDESIMO AUTORE.

VOLUME II.

PALERMO

DALLA STAMPERIA DI FRANCESCO LAO

1841

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1841_bianchini_capitolo_03_04_storia_sicilia_2016.html#Crocco

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