Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

DI UN NUOVO PONTE SOSPESO A CATENE DI FERRO SUL GARIGLIANO

Posted by on Mar 4, 2023

DI UN NUOVO PONTE SOSPESO A CATENE DI FERRO SUL GARIGLIANO

…Me ego turbidus minaxque
Vix passus dubius prius carinas
Iam pontem fero, perviusque calcor.
Stat. L. IV. Silv.

Chiunque si faccia a traversar quello spazio che dagli Appennini corre in lungo fino al mare tra Sessa e Gaeta, se già non abbia cuor villano ed ingegno in odio alle Muse, dovrà tutta sentirsi calda la mente di magnifiche idee. E come leggendo i versi di Omero vi fu chi giurava esser cresciuto per modo prodigioso della persona, così ove pur voglia misurare questo paese a corsa d’occhio, per poco crederà vivere anch’esso ne’ splendidi giorni della Romana grandezza. Che di certo, sarei per dire, non ci ha una sola pietra la quale non rinnovi nel pensiero illustri nomi 0 fatti maravigliosi.

Il fiume che sulla via ti si para d’innanzi è il Liri, da Strabone dinominato altresì Ciani, che divideva la Campania dal Lazio. Niuno avrebbe saputo dipingerlo un tratto come quel poeta del secolo di Augusto che lo disse taciturno, lento, e che mordea coll’onda quota lo rive. Antico ponte era li presso e puoi vederne ancora i laceri avanzi. Cicerone nelle lettere ad Attico il chiama Tirezio, o come altri leggono.

Un secondo ponte, ma ne’ campi Fregellani dieci miglia più in là, fu distrutto per soprattenere l’esercito d’Annibale, e far sì che prendesse vantaggio chi dovea arrecare quel pauroso annunzio al Senato.


Alcuni ardii di non ignobile acquidotto in gran parte caduto, e varie mura d’un teatro e d’un foro, ma spiombate e minaccianti ruina, son ciò che resta di Minturno. Ed a tal voce chi non ricorda essersi nelle circostanti maremme nudo rimpiattato e dal fango coverto fin sopra al mento, quel feroce vegliardo che avea già tratto per lo strade di Roma Giugurta carico di catene, e con incredibile arte di guerra sgominati ed uccisi trecento mila Cimbri e Teutoni presso le Aeque Sestilic e nello pianare di là del Po? Ma queste e più grandi coso meritevoli d’esser narrate con uno stilo, come lo chiama Bacone, ambizioso, ti varrebbero solo per meditare sulle vicende tristissime dello nostre contrade.

L’antica Minturno fu disfatta, crollò quel ponte, lo popoloso campagne si cangiarono in regione guasta, e i Cimbri e i Teutoni non ebbero più a lemorc d’un Mario.

Ancora il fiume di placido e quoto riuscì minaccioso e gagliardo; e col) allarga re sformatamente divenne por colpa di tristi casi infame, intanto che l’aere grave e mortifero sopra interminabile spazio di terra si diffondeva.

Non erano più i giorni quando un Traiano in quella rara felicità di tempi ad Apollodoro ed a Giulio commetteva di costruire novelli ponti per ogni dove; o allor che un Severo li facea tutti ristaurare comandando che vi rimanesse X onorato nome di Traiano, come abbiam da Lamprklio!

Se il vecchio ponte sul Liri sia caduto per gli oltraggi irreparabili della età o per la mano dell’uomo, ed in qual tempo, non è ben chiaro. Forse senza tema d’ingannarti puoi credere che nelle prime inondazioni de’ barbari gli stessi abitanti della Campania lo avranno distrutto: però che questa era la sola vigliacca resistenza che osavano opporre a’ nemici, traendo poi colle famigliuole sbigottite alle rocche inaccessibili ed a luoghi più muniti per natura o per arie. E sì un giorno la loro patria fu da’ Romani chiamata subsidium belli!

Nel novecento ed otto dell’Era cristiana, allorché le bande de’ Saraceni già da venticinque anni stanziavano sul fiume, non era questo da alcun ponte soggiogato.


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In quel torno Alenolfo principe di Benevento pietoso degli eccidi e de’ desolamenti che que feroci da per tutto a man salva portavano, volle provarsi a snidarli dal Minturno e, stretta lega con Gregorio duca di Napoli e con gli Amalfitani, popolo in que’ tempi indipendente, con poderosa ragunata si mosse, ed arrivando congiunse gli argini opposti col mezzo di barche ricoperte di tavole.

Questo ponte in una notte buia rintronò por altissime grida e gran tumulto e fiero rumor d’arme, e fu orribilmente insozzato di sangue: perocché i Saraceni inaspettati ed improvvisi assaltarono i cristiani, e a mal partito li conducevano, se costoro rannodandosi in quel sito, e virilmente combattendo non avessero rincacciato il nemico fino a’ suoi covili.

Dopo un tale avvenimento non si parla di altro ponte, giù fino a’ tempi degli Aragonesi. Clic anzi sta scritto aver limaccio da Montone nel mille quattrocento ventuno guadato il fiume dove le acque eran più larghe e profonde con due mila cavalli: aggiugnendosi dallo storico che di tanta soldatesca tutta grave di elmi di corazzo di schinieri di ferro, un solo uomo non andò perduto ne’ gorghi, si che per la maraviglia ne venne al passo il nome di guado di Braccio.

Nel mille quattrocento quarantaquattro adunque Re Alfonso d’Aragona volle che un ponte contesto di travi, e raccomandato a grosse spranghe di ferro si gittasse sul Garigliano. E qui puoi notare che il Liri fu col volger degli anni chiamalo Minturno e Traetto, e solo verso il mille, non prima come spaccia l’Ostiense, prese la denominazione di Garigliano che gli è rimasta.

Sarebbe disagevol cosa indagare chi si fosse e d’onde l’architetto del ponte, ma fantasticando puoi credere che vi abbia dato opera un Giuliano da Maiano fiorentino chiamato a Napoli per edificarvi il palazzo detto di Poggio Reale, che ora ti è conceduto vedere solo ne’ disegni del Serlio, e la magnifica porla tutta marmi ad intaglio e d’ordine corintio ch’è nel Castello Nuovo.


Rafferma tale opinione il sapersi che molto adoperati) dal Re fu Giuliano, e visse lungo tempo fra noi, dove morì già vecchio in settanta anni, forte rimpianto dall’Aragonese il quale volle assistessero a’ funerali del suo intrinseco ben cinquanta persone di bruni panni vestite.

Convien dire per altro che il ponto non riuscisse gagliardo a sufficienza contro la piena prepotente delle acque, se pur non sia stato guasto e distrutto a disegno, essendo che dopo soli cinquantanove anni più non era. Abbiamo in fatto per le storie, che nel mille cinquecento tre dal Marchese di Mantova condottiero de’ Francesi uno se n’ebbe a ordinare di barche. Ma se que’ soldati colla loro solita furia nel gittarlo guadagnarono il passo, protetti dalle artiglierie le quali sfolgoravano dalla riva che sopraggiudica i nemici, non poterono nel di seguente passare, per la virtù di Consalvo di Cordova, il quale con grande animosità sino a mozzo il ponte gli rimise. E lo stesso Consalvo, dolio qualche tempo, adoperando miglior sentita di guerra, fatto fabbricare sotto molto silenzio in un casale vicino Sessa un ponto estemporaneo, di barelle come scrive il Guicciardini, di bolli e tavolo legate insieme come alcuni dicono; e adattatolo a quattro miglia sopra la posta de’ Francesi, assaltò e mise in rotta costoro, e gì inseguì bravamente fino agli spaldi di Carta.

Vuolsi che il Gran Capitano abbia fatto ricostruire l’antico ponte degli Aragonesi assicurandolo con salde catene di ferro. Ne attribuiscono altri il pensiero, più d’un mezzo secolo appresso, al Duca di Alba. Ma sia clic dal primo o dal secondo di questi duo solenni maestri di guerra abbia preso nonio il novello ponto, certo ogni gentil persona dovea nel varcarlo riandar con ribrezzo i giuramenti violati e gli atroci assassinii commessi in Italia e in Olanda.

Durava il ponto fino al milleseicentotrentasei quando il duca di Medina los Torres vicerè di questo regno si univa per matrimonio con una dama napolitana della famiglia Caraffa. Allora fu disfatto, e dicevasi per comando espresso del Duca. Ma chi potrebbe render ragione delle violenze e de’ capricci d’un Viceré in que’ tempi nefandi! Ben il Gesualdo nel millesettecento cinquantaquattro scriveva starsi ancora a’ suoi giorni nel fondo le grosse catene spezzate.


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Al ponte successe una scafa, e con questo mezzo ebbero principal traffico lunga pezza tra loro Napoli e Roma, che tanto è a dire quanto due delle più magnifiche e belle città del mondo. E soventi fiato gravi disastri accadevano, e nel verno la soprabbondanza impetuosa delle acque o trabalzava la scafa o sopratteneva il traghettare, si che ogni comunicazione, con quanto rapito ognun sei vede de due paesi, finiva.

Re Ferdinando nel mille settecento ottantotto volle che gli si proponesse il disegno d’un ponte sul Garigliano. E fu immaginato di pietre, in un solo arco, della corda di cento cinquanta palmi napolitani, colla impostatura a dieci palmi dalle acque basse, la freccia di palmi trenta, e ‘l pavimento elevato a poco meno di quaranta sulle campagne laterali. Questa opera non fa menala ad effetto per colpa della ingente spesa che richiedeva.

Ma un ponte di battelli fu in vece edificato negli anni appresso; e parlavasi molto di fondarne uno al tutto stabile di legno, e poi un altro di fabbrica. Addimandavasi pel primo la somma di ottantamila ducati, se ne chiedevano dugento ventimila pel secondo. Vari disegni intanto uscivano in campo; ed alcuno anzi si cominciò a mandare ad esecuzione: imperocché poco sotto corrente del ponte a battelli nel mille ottocento undici furon gittate massicce fabbriche ad uso di fondamenta, e riunito travi e tavole per lo centine dell’arco, e pietre e calcina in buon dato. Ma il lavoro nell’anno dopo fu sospeso, e ‘l materiale ad usi diversi assegnato.

Parca d’altra parte ogni dì farsi più manifesto che non avrebbe mai potuto esser fabbricato un ponte di pietra sul Garigliano, se già non ci si voleva impiegare gran denaro e lungo tempo, e correr rischi gravissimi.

Perciocché il fiume all’intorno un otto miglia, a cominciare dalla corrente giù sino alla foce, scorre sopra strati tutti alluvione di sabbia mista con argille di varia consistenza.

E sprofondata la trivella sino a cinquanta palmi ne son riusciti sempre i medesimi saggi. Però vedea ognuno esser il fondo compressibile, e forse non per modo uniforme; di là gli ineguali assettamenti da produrre casi pericolosi d’assai in costruzioni di fabbrica.


Erasi è vero proposto, fin da gran tempo, una platea generale fra le due rive, da farsi a secco fuori dell’alveo nella corda di un gomito del fiume. Ma simile lavoro profondo ad un bel circa quaranta palmi sotto il pelo basso delle acque, sarebbe stato oltre modo difficile e dispendioso, e forse da non esser mai portato a buon termine; anche ove si fossero deviale le acque dall’antico nel nuovo letto tramutandole.

Per tutte queste ragioni nel mille ottocento ventitré in dato fuori il disegno d’un ponte in ferro fuso: e que’ che per Sovrano comando si fecero ad esaminarlo avvisarono sarebbe costato ducati cento sessantamila.

Nell’anno seguente ne fu annunziato un altro, ma con un nuovo metodo di ferri tessuti da pagarsi ducati cento settantamila.

Senza riandar le molto cose ventilate in questa occasione, basterà dire che fu allora fermo doversi edificare un ponte sul Garigliano, ma sospeso a catene di ferro.

Era questa ed è tuttavia una novità per la Italia, e poco meno che una novità per l’Europa. Ne fu dato il carico al Cavalier Luigi Giura napolitano, il quale fin dal mese di Dicembre mille ottocento venticinque distese la proposta del ponte, e fu il suo parere ottenuto, e vi ebbe un Rescritto del Re.

Il Signor Giura avea dunque di tutto punto perfetto il disegno dell’opera, prima assai d’intrapendere quel viaggio che poi nell’anno appresso esegui passando in Francia e in Inghilterra; e questo vuolsi notare non senza ragione.

Abbiam già detto che un ponte sospeso a catene di ferro eia una novità per la Italia, e lo crediamo in quanto alla pratica. Ci sia ora permesso dar breve sunto di ciò che per noi si è raccolto intorno a questi lavori. E se non ragioneremo di cose pellegrine per que’ dotti che hanno veduto i libri del Navier, del Seguin, del Pope, dello Stewcnson, sporremo almeno cose non al tutto ovvie per la maggior parte de nostri lettori, alla istruzione de’ quali mira in ispezìal modo l’Opera degli Annali Civili.

La congegnatura de’ ponti sospesi può ridursi a cinque ragioni.


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I. Situansi ne’ due piani verticali delle teste del ponte una o più catone, le quali formando quella curva che chiamano catenaria nello spazio sovrastante l’alveo, poggiano in un punto sopra ciascun de’ pilastri elevati a determinata altezza nelle sponde, e son poi confitte e raccomandate a forti massi di fabbrica profondamente gittati sotterra.

Dagli archi a rovescio delle catene così disposte cadono alcune aste verticali dette sospensòri le quali sostengono il pavimento.

Ogni catena allora consta di tre rami o tratti: del mezzano cioè fra i due pilastri cui sia sospeso il pavimento, e dicesi di sospensione; degli altri due i quali dalle cime de’ pilastri si conficcan ne’ massi, e che essendo destinali a sostener l’altro di sospensione, chiamansi di ritenuta.

Quel punto dove il ramo o tratto di sospensione si congiunge all’altro di ritenuta, cioè dove la catena tocca le vette de’ pilastri dicesi punto di sospensione; come son detti punti di ritenuta quelli dove i tratti di ritenuta colle loro estremità son conficcati in muri, in massi o diversamente.

II. Hacci pochissimi casi ne’ quali, per condizioni particolari del luogo, i capi de rami di sospensione possono essere attaccati a dirittura alle rocce prominenti sulle sponde; ed allora si dismettono i rami di ritenuta.

III. Pe’ ponti così detti leggieri s’innalza talvolta uno o più pilastri nell’alveo, e le catene passando sopra di quelli fanno un ramo di sospensione disposto in duo o più archi rovesci, e due rami di ritenuta, i quali dalle velie de’ pilastri estremi in direzione inclinala scendono nello ripe laterali.

IV. In altri casi, anche meno frequenti, col fondare un solo pilastro nel mezzo della corrente, le catene si sono ordinate in due semi-archi rovesci di sospensione, de quali una estremità si è allogala sulla cima del pilastro, l’altra in ciascuna delle due sponde.

V. Da ultimo, nel ponte sospeso fatto sul Tamigi i di:e pilastri sorgono nell’alveo, ma a poca distanza delle spendo, in modo che le catene fanno un arco intero rovescio e due semi-archi laterali.

La più preziosa qualità de’ ponti sospesi, dice il Seguin, sia in ciò, che puoi edificare senza sostegni o puntelli nel mezzo sia di pietre sia di travi, anche per cento dugento e fino trecento metri di lunghezza (quattrocento ottocento e mille dugento palmi).


Ed il Signor Navier, più magnifico, questa lunghezza fa ghignerò a cinquecento metri (duemila palmi); rafforzando il suo dire con giudiziose e sottili ragioni dalla Scienza Meccanica ricavato.

Ecco un tratto dileguarsi le innumerevoli malagevolezze elio ti si schierano innanzi quando vuoi gittar solidamente mura, o piantar palafitte in un fiume rapido e profondo. Ed eviti quel restringere il corso dello acque onde le fabbriche sono scavale, o coni-; dice il Milizia sgrottate; e quello straripar furioso che no deriva; per tacere poi del risparmio e di denaro e di tempo, che non è certo cosa di lieve momento.

Il primo libro a stampa dove facciasi motto di ponti sospesi a catene di ferro o a funi, e se ne dia la figura, è un libro pubblicato in Italia, e propriamente in Venezia senza alcuna data (forse nel mille seicento venticinque, dal più al meno), della forma dell’infelice. Eccone il titolo.

Macchinae notae Fausti Verantii Siceni, cum declaratione Latina, Italica, ispanica, Gallica, et Germanica.

Vi si passano a rassegna macchine d’ogni genere, ordigni per far volare le persone, oriuoli a fuoco, e chiese e ponti e strani edifizi, talvolta osservati dall’Autore ne’ suoi lunghi viaggi, più spesso ancora trovati e dati in luco, come egli scrive, per suo gusto e di quelli pochi i quali erano per fama qualche conio.

Nacque il Veranzio in Sebenico nella Dalmazia sul cadere del secolo decimo sesto, e riuscì uno spirito de’ bizzari ed irrequieti so mai ve ne furono. Si tramutò in molte parti, e dettò cose fra loro disparatissimc; come jer esempio le regole della Logica, e quelle della Cancelleria del Regno di Ungheria; con infelice successo le une e le altre, perocché le prime non soddisfecero a’ dotti, le seconde alla Corte. Scrisse pure, oltre un Vocabolario in cinque lingue messo a stampa, una Storia della Dalmazia, la quale per comando dell’autore manoscritta fu chiusa con lui nel sepolcro, e forse noi meritava.

Ecco intanto ciò ch’egli dice sul nostro proposito.


Ponte di ferro. (*)


Questo ponte noi chiamiamo di Ferro, perciocché egli pende noi mezzo di duo Torri, posto ne l’una, e l’altra ripa di un Fiume,


* Si e copiata a bella posta l’ortografia del


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sospesa da molte catene di Ferro, è lo Torri haveranno le sue porte, per dare o prohibire il passo a li viandanti.


Ponte di Canapo.


Questo Ponte depende da due o più Gomene grosse, legate a due Travi drizzati in alto, da l’una e l’altra Ripa, ma a ciò ch’egli stia dritto, e non si pieghi troppo, dal peso de’ passagieri; si potranno tirare e ralentare quando e come si vole, quelle corde, quali pendono da lo gomene. Questo Ponte è portatile, e per ciò commodo per li eserciti.

Le figure punto per punto somigliano a quelle de’ nuovi edifizi de’ quali trattiamo.

Se vuolsi per altro prestar fede allo relazioni de’ viaggiatori, una simile foggia di ponti è nella Cina antichissima.

Presso la Città di King-Tong dicono esservene uno sterminato tutto travi e tavole, sospeso a venti catene ili ferro, le quali stanno appiccate alle vette opposte di due altissimi monti.

Il maggiore Rennel ne descrive uno simile nell’Indostana, e propriamente sul Sampoo lungo secento piedi parigini (quasi settecento cinquanta palmi).

E quando gli Europei

Balzaron giù da’ loro aviti sogli

Re messicani e generosi Incassi;

ara in uso nel Perù una congegnatura presso a che di tal genere, e solo in vece di catene di ferro tendeansi corde fatte colle barbe della Agave americana, e con vari arbusti artifiziosamente avvincigliati e raggiunti.

Il Paw il quale, come disse Gian-Rinaldo Carli, avea ereditata l’anima di Valverde, faceasi beffe solenni di cosi rozza e gretta architettura; né per le mille il canonico di Liegi avrebbe indovinato a quanto onore dovea quella architettura innalzarsi non più che cinquantanni da che egli pubblicava il suo libro.

E si che ad alcuni anzi è sembrato un andar troppo a ritroso, e farsi quasi ad emulare i selvaggi, obliando che noi abbiamo quelle agiate volte di fabbrica, quegli archi con si beli’ ordino condotti, e poi cosi solidi così maestosi lasciatici da’ Romani.


Veranzio dal suo libro che potrai vedere in questa Real Biblioteca Borbonica.


So non che un valentuomo (lo Stevenson) autorevolmente grida doversi riferir grazie grandissime all’architetto che ti dà mezzi spediti e facili come valicar fiumi ed anche bracci di mare, là dove non mai per forza umana si sarebbero alzate muraglie o conficcate travi; e questo lo abbiam notato di sopra.

Credesi clic il primo ponte a catene di ferro in Europa sia slato il ponte di Winch edificato verso il mille settecento quarantino f:a lo Contee di Durham e di Yorch. Sia descritto nelle antichità di Durham per Hutchinson pubblicale a Carlisle nel mille settecento novantaquattro; libro rarissimo essendosi quasi per intero perduta l’edizione in un incendio.

Vuolsi fatto il ponte per comodo de’ minatori. Lungo settantadue piedi parigini (novanta palmi circa) largo soli due (palmi due e mezzo), non ha sponda che da un fianco e pende soppeso sur un burrone spaventevole, dove se ti basta l’animo di lanciar lo sguardo, vedrai i vortici e gli sprazzi e le cadute del torrente Tees. Aggiungi che ud valicar quest’orribile passo provasi un ondeggiare cosi sconcio ed affannoso, che per poco ti farebbe ricordar il ponte gittate da’ diavoli sull’abisso nel poema di Milton.

Gli Stati Uniti di America, al riferire di uno scrittore che pubblicava il suo Trattato de’ ponti nel mille ottocento undici, videro nel breve corso di tre anni ben otto ponti sospesi a catene di ferro.

Il più nobile sembra quello destinato a valicar la riviera Merimas nel Massacciusset: dicesi lungo dugento quarantaquattro piedi parigini (palmi trecento ventitré), largo trenta (palmi trentasette), ripartito in tre bande da’ quattro ordini di catene che lo reggono. I due margini estremi son destinati alle carrozze ed a’ carri, che per tal guisa non possono mai affrontarsi, e la strada di mezzo porge a’ pedoni comodo varco e securo da qualsivoglia sinistro accidente.

Ritornando da capo ci mondo in Europa non faran motto di altri ponti sospesi di minor importanza fatti nell’Alemagna ed in Francia e nella Svizzera, ma si alquanto ci fermeremo attoniti innanzi a quello veramente colossale di Bancor sullo stretto di Menai in Inghilterra.

Sta questo innalzato un cento piedi parigini (cento ventitré palmi) sul livello del mare in mo(lo che mentre vi rumoreggian sopra carrozze e cavalli, vi passa per di sotto a vele gonfie una nave.


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La lunghezza dell’arco è di palmi 657.78, la larghezza del pavimento di palmi 32. 312. Le catene sono disposte a quattro piani verticali, che dividono in tre passaggi il ponto.

In ogni piano ci ha quattro filari di catene di sospensione ciascun de’ quali a cinque ordini di maglie. La sezione riunita di tutti i sedici rami è di millimetri quadrati 167,74-2 (pari a palmi quadrati 2,378). Le catene ne’ loro rami di ritenuta per lunghissimi spazi si distendono fino alle colline che sorgono da una banda e dall’altra, e penetrano profondamente nelle roccie mediante cuniculi scavati un settanta palmi nella pietra viva. Due smisurati pilastri fabbricati a foggia di piramide formano i sostegni di sospensione; hanno questi la base lunga palmi quaranta, larga trenta. Il ferro impiegatovi ha oltrepassato il peso di 20,960 cantari napolitani.

Il ponte, opera del Signor Telford, fu del tutto compiuto nel 1823, e costò meglio di novecentomila ducati di regno.

Nella proposta erasi fatto ragione che se ne sarebbero spesi un quattrocentoventimila.

Dopo sì lunghe peregrinazioni non incresca a chi legge adagiarsi di bel nuovo sulle spende del Garigliano, e considerare con quanta bravura un valoroso nostro concittadino sia giunto a toccar quella meta dove erasi inutilmente per altri aspirato.

I ponti sospesi a catene di ferro, se hanno di vero tutti que’ vantaggi per noi discorsi più sopra, lasciavan sempre, e convien dillo, una certa dubitanza sulla loro solidità; spezialmente se non eran fatti pe’ soli pedoni come quello di S. Sofia in Vienna, 0 quando non si appoggiassero a sterminate moli di pietra, come quello di Menai, 0 da ultimo allor che i pilastri di sospensione non fossero tra loro congiunti e riuiianc&ti da muri come d’ordinario si pratica. E per certa anche senza aver salutato le leggi della scienza meccanica si comprenderà di leggieri quanto sia ardua cosa tentar simile impresa.

Può farne fede il dottissimo Signor Navier il quale, dopo due viaggi in Inghilterra nel mille ottocento ventuno e nel milleottocentoventitrè intrapresi per istudiarvi le nuove maniere di ponti da quell’ingegno stupendo del Signor Brunel ideate, dopo aver messo a stampa un’opera classica su i ponti, in grazia della quale mancamente


se gli schiusero le porte dell’Accademia delle Scienze in Parigi, quando venne a metter le prole in fatti ed a costruir anch’egli un ponte sulla Senna, che con titolo malaugurato dovea dirsi deli Invalidi, un ponte sospeso a catene di ferro sopra colonne isolate, come bello e saldissimo il nostro sul Garigliano sta, quell’opera andò fallita, e si ebbero a demolire le fabbriche già innalzate, ed a sgomberare de’ tanti materiali le sponde. E pure ci si erano spesi oltre due anni di assidua fatica, e i lavori delle pietre e del ferro apparivan bellissimi! (Moniteur, 29 Février 1828). Né con ciò vuolsi per menoma parte la fama oscurare del valentuomo, che sarebbe assunto ingiusto e scortese, e da cui rifugge il nostro animo, ma ‘l trarne argomento che provi esser grandissime quelle difficultà da noi toccate pur ora; e le quali meglio saranno chiarite da quanto ci faremo a dire.

Tutto il peso, del quale può esser carico un ponte, dee necessariamente aggravare sopra i rami di sospensione delle catene, e dar loro una tensione che variando ne’ diversi punti, divien massima ne’ punti di sospensione. Da questi sì comunica a’ rami di ritenuta, e le due tensioni riunite cimentano poi con la loro pressione i pilastri. Forze tali sono di notabilissima intensità; ed anche ne’ ponti ordinari sommano a più. migliaia di cantari: ne 1 ingegno conosce facili mezzi come equilibrarle.

Oltre a questo i cangiamenti dell’atmosfera operano sul ferro, e debbono far variare la lunghezza, e con essa la tensione de’ rami di ritenuta. Di là quell’agitarsi continuo, quell’attrito profondo ne’ punti di sospensione, e quindi ne’ pilastri di sostegno un urtare un riurtarc uno scrollimeuto non interrotto.

Dopo molte disamine e replicate sperienze e svariatissi mi saggi sembra essersi ornai conosciuta la vera forza del ferro, e stabilite norme por far catene, le quali reggessero validamente alle tensioni a che debbono essere esposte.

Parimente ne’ punti di ritenuta, conosciutisi gli sforri che ivi fanno le catene, son note le regole come proporzionare i massi di fabbrica jor la dovuta resistenza.

Quinto a’  punti di sospensione, potrebbe per avventura sembrare di primo lancio, che le stesse regole dovessero seguitarsi, e cosi farli di una conveniente stabilità: e pure non è.


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Questi punti per moltiplici cagioni sono esposti a sforzi a spinte variabili, di ben altra specie che quella cui soffrono le catene ed i punti di ritenuta: e pare che gli architetti non sieno stati fra loro d’accordo intorno al miglior metodo come allogarli.

Ancora la sperienza giornaliera ci fa accorti riuscire soventi fiate la stabilità reale de’ massi di fabbrica, benché di materiali sceltissimi e con iscrupolosa diligenza condotti, inferiore d’assai alla stabilità determinala dalla scienza del calcolo. E sene hanno prove non dubbie nell’edificare i ponti, dove la stabilità vera de’ piedi dritti forse non e a mala pena la terza parte di quella assegnata dalle teoriche.

Per ciò che appartiensi adunque alle proprietà de’ punti di sospensione sembra chiaro che quella congegnatura sarà ottima la quale adempia due condizioni.

I. Che in qualsivoglia stato di variazione di temperatura nell’atmosfera, o di carico nel pavimento del ponto, la risultante delle tensioni di ritenuta e di sospensione sia sempre verticale.

II. Che i punti di sospensione sieno mobili, in modo che liberamente acconsentano alle variazioni di tensione e di lunghezza de’ rami delle catene, senza produrre verun movimento ne’ pilastri.

Fra quanti hanno preceduto il nostro Cav. Giura nel costruire ponti sospesi, sembra che il Sig. Brunel in quelli apprestati a Londra per l’isola di Borbone abbia immaginato l’ordino più ingegnoso rispetto a’ punti di sospensione. Gioverà farne rapidissimo cenno.

Ogni ramo di sospensione è unito al corrispondente di ritenuta per mezzo d’un perno sorretto presso le sue estremità da due grosse maglie vote le quali stanno sospese ad un altro perno immobile, intorno a cui possono girare. Nelle variazioni di lunghezza e di tensione de’ rami delle catene, il perno inferiore muovesi a destra o a sinistra oscillando a maniera d’un pendolo intorno al perno superiore, sì che questa disposizione potrebbe acconciamente esser detta a pendolo. Chiamata a la distanza fra gli assi da’ due perni, e b la massima deviazione orizzontalo cui può andar soggetto il perno inferiore, l’angolo clic forma la risultante delle tensioni con la verticale avrà la tangente, la quale in ultimo grado può giugnere ad essere = b/a.


Quindi è chiaro che dando ad a una sufficiente lunghezza, la direzione della risultante anche ne’ casi più svantaggiosi puossi far cadere a picciolissima distanza dalla verticale. In questa congegnatura adunque la prima delle due proprietà cui debbono avere i punti di sospensione, giusta le condizioni da noi proposte di sopra, trovasi quasi poerfettamente adempiuta.

Siccome poi al movimento non si oppone che il semplice attrito di terzo genere, il quale è di ben tenue valore, cosi quel movimento debbe esser molto agevole e libero, e la seconda condizione si troverà anche adempiuta.

Acro è che questo artifizio è adoperato per que’ ponti leggieri dove non ci ha che una sola catena in uno stesso piano verticale: e però il pendolo è semplice e tu non incontri difficultà nella esecuzione.

Nel caso del ponte sul Caricano era altro; imperocché trattavasi di due catone in un piano verticale. Ora ceco in qual morto il Cavalier Giura, senza lasciar di mira il principio che fu in parte veduto dal Sig. Brunel, lo ha nell’applicazione perfezionato.

Le figure 1, 2, e 3. della Tavola I mostrano la pianta, il taglio per lungo, ed il taglio per traverso di questa disposizione.

Il ramo superiore di sospensione (fig. 2.) è congiunto al corrispondente di ritenuta, e l’articolazione di unione A sta sospesa al pendolo ABC che può oscillare intorno al perno B, il quale per mezzo di sei piastroni è sospeso alla grossa traversa C. Il taglio por l’asse del pendolo (fig. 3.) fa con più chiarezza conoscere la traversa superiore DE, il perno superiore FG, e l’articolazione IL nella quale si uniscono i due rami.

Il pendolo è formato da tre grosse maglio verticali ognuna della larghezza media di palmi 0. 970, e della grossezza di 0. 160.

La distanza poi fra i centri de’ fori, elio consideriamo come la lunghezza del pendolo, è di 1. 60.

A sottilmente disaminar la cosa, il pendilo steso potrebbe altresì oscillai intorno alla traversa superiore ch’è di sezione circolare; ma siccome questa è del diametro di 0.666, quando il porno FE è del diametro di 0. 333: cosi nel computo della deviazione della risultante per maggior sicurezza puoi dire che il moto di rotazione avvenga intorno al porno, e non già intorno alla traversa: ed il fatto lo ha provato.


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Nella Figura i. vedrai come le maglie del ramo di sospensione, e dell’altro di ritenuta sieno disposte nell’articolazione comune.

Nella fig. 4. scorgesi come i due rami inferiori di sospensione e di ritenuta vadano ad unirsi in M (fig. 2.) nel secondo pendolo M N 0, ch’è al lutto indipendente dal primo.

Questo secondo pendolo è composto e sostenuto nello stesso modo dell’altro, se non che esso è più lungo, ed ha fra i centri de’ fori la distanza di palmi 3.06. Ne’ due voti che restano fra le tre grosso maglie di questo pendolo, passano le quattro maglio del ramo superiore di ritenuta.

Le due massicce traverse superiori poggiano in due cannelle di una grossa piastra o tavola circolare di ferro fuso, che è doppia due terzi di palmo nella parte di mezzo dove stanno le traverso, e o.2 5 negli orli. Il suo diametro è di 5. 8.

Quattro spranghe verticali di ferro attraversano il masso sottoposto di fabbrica, e la colonna per la intera sua altezza.

E quattro poderose viti nelle estremità superiori delle stesse spranghe saldamente stringono la lastra di ferro fuso sull’ultimo filare di pietra, il quale corona la sommità del capitello della colonna.

Ogni colonna consta di 11 filari di grosse pietre d’intaglio: il primo ed il sesto di un solj pezzo, gli altri di due.

Nel capitello, il filare a b (Fig. 2. e 3.) è pure di un pezzo solo di palmi 7.4o. di diametro, e della grossezza di 2.4

Il filare ed. superiore al precedente è composto di due pezzi efg, efg, (Fig. 1.) e fra questi due pezzi ci ha il vóto in cui passano lo catene. In fine, l’ultimo filare lm (fig. 2. 3. 5.) è parimente d’un solo pezzo e contiene il foro A’B’ in cui sono allogati i due pendoli. Sopra questo ultimo filare sta poggiata ed incastrala la lastra di ferro fuso.

Volgendoli ora ad esaminare il modo come operano le tensioni delle catene in questa congegnatura, è facile convincerli che la risultante è quasi sempre verticale.

Siccome nel primo adagiare del ponte sonosi per modo situate le calane, che gli assi de pendoli riuscivano perfettamente verticali, cosi n’ è seguito che le risultanti delle tensioni in questo sfato sono del pari verticali, e verticali sono le pressioni che operano sulle colonne.


Vedi ora la ragione delle teoriche comprovata di tutto punto dal fatto.

Le variazioni di carico e di temperatura non possono far muovere orizzontalmente i perni inferiori dei pendoli, so non in una quantità che può giugnere nell’ultimo grado a 0.0835. verso i rami di sospensione, ed a p. 0.0281. verso quelli di ritenuta; e la risultante in questo caso non cade mai a distanza maggiore dal centro della base di 0.689 verso i rami di sospensione, e di 0.82 verso quelli di ritenuta; di modo che oscilla sempre mantenendosi vicino all’asse della colonna, né può giugnere, per qualsivoglia accidente, a discostarsi oltre un palmo dal centro del!a base.

I movimenti de’ pendoli son facili e senza scosse nelle colonne; imperocché i loro raggi riescono molto lunghi a rispetto di quelli de’ perni. L’attrito è tenuissimo a fronte della pressione; ed il movimento negli assi superiori de’ pendoli è quasi come impercettibile. L’attrito forse non è neppure di terzo ma di secondo genere, essendoché il semplice vento de’ fori attorno al perno superiore può fare accadere il movimento pressochè insensibile di rotazione, senza che il perno s’esso strisci sulla superficie del foro.

Ed a recar le nulle parole in poche, la deposizione de’ punti di sospensione architettata dal Cav. Giura ha tutti i requisiti i quali possono desiderarsi per non arrecare che il menomo d’ogni tormento a’ pilastri di sospensione; ed è perciò la meglio ideata e la più perfetta di (piante mai siensi messe in opera fino a questo giorno nell’Europa e negli Stati Uniti di America.

Per ciò che riguarda poi i diversi pezzi di ferro che compongono l’intero sistema, sono questi assai più validi del bisogno e di dimensioni più eccedenti che scarse. Di fatto le poderose traverse superiori hanno il diametr0 di 0.666, e potrebbero quindi essere sopraccaricate d’un peso maggiore più di sette volte del massimo peso che vi può mai aggravare. I perni inferiori de’ pendoli hanno una resistenza otto volte e mezzo di là della necessaria; ed i perni superiori sono ancora più robusti, e d’assai, perocché le pressioni operano sopra tratti di minor lunghezza.


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Le grosse maglie in fine de’ pendoli stessi nelle corone intorno a’ fori, che son le parti meno valide, soffrono ne’ casi più svantaggiosi a millimetro quadrato poco più della terza parte della tensione, che senza alcun timore si è da tutti creduto potersi far tollerare alle maglie delle catene. E però se anche vuoi tu immaginare che a’ punti di sospensione si comunichino con violenza le scosse prodotte nello strato del ponte dal passaggio delle carrozze e de’ carri, niun sinistro accidente puoi temere intorno alla resistenza de’ mentovati pezzi. Ed a farne convinto il più sofistico degli uomini, basterebbe solo mettere a paraggio lo sforzo che si esercita ne’ perni inferiori, i quali nel nostro sistema sono i meno saldi, con quello sforzo che il Sig. Brunel ha creduto poter fare impunemente soffrire a’ perni del suo ponte Noi trasandiamo questo ragguaglio come quello che a molti riuscirebbe di noia, restringendoci a dire che i perni del nostro ponte sono tre volte e due terzi più gagliardi che quelli ideati dal Signor Brunel.

Ma non vogliamo tacere che il metallo si è tutto lavoralo nelle Ferriere del Cavalier Carlo Filangieri di Gaetano principe di Satriano, sotto la direzione del Cavalier Michele Carascosa: essendosi, a provare la forza e la elasticità fino d’ogni brandello, adoperati sottilissimi esperimenti con una macchina acconciatamente fatta fare dallo stesso Cav. Giura.

Quanto alla resistenza, la quale si può aspettare da’ pezzi di pietra che compongono i capitelli delle colonne, noterai che la massima pressione su ciascuna di esse non può oltrepassare i Kil. 308,282/2 = Kil. 154,141 (cantari 1,726:87). Questa per mezzo del lastrone circolare di ferro fuso trasmettesi nel pezzo di pietra sottoposto, sopra una superficie di palmi quadrati 21.13, pari a centimetri quadrati 14,726.

La pietra che si è adoperata è del più duro calcareo da non essere schiacciata se non quando fosse sotto una pressione di Kil. 600 a centimetro quadrato. Laonde non aggravandola che di un decimo di tanto peso può reggere alla pressura di Kil. 883,360, e quindi risulta che la resistenza di tali pezzi è presso che sei volte maggiore di quella che sarebbe necessaria.


E solamente ne’ rari casi del massimo carico accidentale del ponte, la pressione a centimetro quadrato potrà essere quasi di Kil. 10.112, laddove nello stato ordinario non è oltre i 6. Kil.

I due pezzi che compongono il secondo filare in ogni capitello siccome hanno i letti una volta e mezzo più grandi della superficie precedentemente considerata nell’ultimo filare, così non sono aggravati che da Kil. 4 a 7 per centimetro quadrato. E però egli è evidente tutte le parti d’ogni colonna esser tali da opporre una resistenza infinitamente più valida di quella che per avventura potrebbe mai esser richiesta. Che se ti piaccia toccar con mano questa verità, confronta per poco la pressione, cui sono sottoposti i pezzi delle nostre colonne, con quella che soffre la pietra in vari insigni edifizi dalla esperienza predicati meritamente come solidissimi.

Pressione che la pietra soffre per ogni centimetro quadrato ne’ seguenti edifizi.

Pilastri della cupola di S. Pietro in Roma. 16 1/3

di S. Paolo in Londra. 19 1/3

degli Invalidi a Parigi. 14 2/3

di S.a Genoveffa a Parigi. 29 1/3

Colonne di S. Paolo fuori le mura di Roma. 19 2/3

della Chiesa di tutti i Santi d’Angers. 44 1/5

Fu molto ragionevolmente detto esser difficilissima cosa in architettura unir la bellezza alla solidità; e questo si verifica per ispezial modo nell’edificare un ponte. Ora noi confidiamo, che quello affatto nuovo sul Casigliano dovrà essere come un progresso dell’arte additato.

Vedine il prospetto e la pianta. Tavola II. Quattro colonne isolate di architettura egiziana, ciascuna ventotto palmi noli’ altezza, e dieci nel diametro, s’innalzano sul fiume, due sulla sponda destra, e due a rincontro sulla sinistra.

Adagiansi tutte solidissimamente sopra dadi massicci di fabbrica per vaga maniera rivestiti con pietre ad intaglio; e sorreggono quattro catene di ferro in due piani verticali e paralleli disposte.


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Ogni catena è lunga in tutto palmi cinquecento diciotto. Trecento sei compongono l’arco rovescio, da noi chiamato ramo o tratto di sospensione, il quale ha la corda di palmi trecentotrè, e la freccia a nn bel circa di venti; e gli altri dugento dodici fanno i rami o tratti di ritenuta. Spiccansi questi dalla cima d’ogni colonna sotto la direzione di ventotto gradi dall’orizzonte, e vanno sotterra per più di quaranta palmi conGtti in profondi massi di pietra. Altre robuste fabbriche rinfiancano i massi ed alle fondamenta delle colonne li congiungono.

Cento ed otto aste di ferro cadenti dall’arco rovescio tengon sospeso lo strato del ponte. Esso è lungo palmi dugento ottantasei, largo ventidue e in tre sentieri scompartito. I laterali, che i latini avrebber chiamato decursoria (1), per comodo de pedoni, e quindi più rilevati, il mezzano per gli animali e le ruote.

Lungo i primi camminano parapetti, a quali se li affacci crederai essere in una svelta ed ariosissima terrazza che sporga sul fiume. Le aperture de cunicoli, dove si affondano le catene di ritenuta, son ricoperte da salde basi di pietra con sopra sfingi che ritraggono dall’antico.

Ne mancano, a’ quattro lati, scalini che a tuo bell’agio potranno menarti fino a’ greti dove il fiume bimbe le rive.

I capi del ponte alle due estremità rispondon ciascuno in una piazza di forma ottagona adorna di due casette di eguale architettura fatte per comodo de’ custodi e delle guardie, e con alberi frammessi, i quali aggiungono vaghezza, quanta non puoi credere, al resto.

L’opera fu di tutto punto compiuta all’uscir di Aprile dell’anno 1832, essendocisi consumato poco più di quattro anni.

Il ferro per le catene pesava Kit. 68,807 (cantari 786. 76).

L’intera spesa ha sommato settantacinquemila ducati di regno.

Convien ora da quel sito veder la magnifica mostra che fa di se il nuovo ponte librato come in aria sul fiume, nel bel mezzo di vasta pianura. Tu scopri da una parte colline e monti che pittorescamente e svariatamente si prolungano fin dove giunge lo sguardo; dall’altra un mare sfogato ed azzurro che alle grigie torri di Gaeta fa specchio. Byron lo avrebbe detto il ponte delle Fate.


E perché poi non manchi vita e movimento alla scena ci ha un andare, un venire, tino scontrarsi continuo di carrozze, di carri, di barche, d’uomini, di donne, spesso con abbigliamenti e fogge bizzarre e capricciose de’ contadi prossimani; e tutto questo sotto il più lucido ciclo del mondo, e in mezzo alle memorie sublimi di tanti fatti gloriosi!

Da ultimo chi passa leggerà una iscrizione dettata dal Canonico Cavalier D. Francesco Rossi, la quale può far fede non essersi a questi di rotta la stampa dell’Egizio e dell’Ignarra. E vogliamo qui i nostri leggitori prcscntarne.


FERDINANDUS II


REGNI UTRIUSQUE SICILIAE ET HIERUSALEM REX

P. F. AUG.

REGENDIS IMPERIO POPULIS NATUS

NE QUANDO RATIBUS FLUMINI TRAIICIENDO IN PONTIS VICEM

CONNEXIS

EXUNDANTIUM AQUARUM IMPETU DISSOLUTIS

VEHICULARIS CURSUS

ET COMMERCIA MALO PUBLICO INTERCIPERENTUR

MAIORUM AEMULATUS MAGNIFICENTIAM

PONTEM FERREIS AD LATERA SUBTENTIS CATENIS

INCONCUSSA STABILITATE SUSPENSUM

SINGULARI ARTIFICIO OMNIQUE OPERUM NITORE

FIERI IUSSIT

QUEM REGIO MILITARI STIPATUS COMITATU

PRIMUS OMNIUM

FAUSTIS OMINIBUS PRÆTERGRESSUS

SUI NOMINIS AETERNITATI CONSECRAVIT

ANNO R. S. M. D. CCCXXXII

REGNI SUI II

EXPLETA OMNIUM GENTIUM EXSPECTATIONE


Nella quale epigrafe toccasi di un fatto onorevole alla Maestà di Ferdinando II, come quegli che il di 10 Maggio volle il primo cimentar la saldezza del ponte; e postosi nel mezzo di esso fece innanzi a se passare di trotto due squadre di lancieri e sedici tràini di artiglieria;

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senza por mente al risico a cui si esponeva, anzi resistendo alle reiterate e rispettose istanze del suo seguito perché di là si rimovesse. E soddisfatto del buon successo della pruova, volle indi esaminare i più minuti particolari di quella costruzione, e di bella lode rimunerò il Cavalier Giura che glieli andava mostrando.

Edificare un ponte, era nella opinione degli antichi santissima cosa, e vi si adoperavano, come abbiam da Varrone, cerimonie e pratiche religiose: che anzi solamente ristaurarlo aveasi come impresa oltre modo onorata, sì che i legati per questo obietto erano da’ giureconsulti fra quelli ad pias causas annoverati. Ove un giorno siavi ne nostri nipoti il cuore e la virtù degli antichi, benediranno essi il regno di Ferdinando II e la nuova opera che dell’Augusto suo nome va gloriosa: e forse taluno soggiungerà essersi con bellissimo pensiero innalzato il primo ponte, che di tal genere abbia veduto l’Italia, presso i campi Formiani dove già nacque il principe dell’architettura Vitruvio Pollione (2).


(1) Per questo vocabolo, cui forse non posero mente il Forcellini ed il Du-Cange, vedi L. B. Alberti nel libro De Re Aedificatoria, ed il Bergier nell’opera che ha per titolo Histoire des Grandi Ciemins de l’Empire Romain.

(2) Il Cavalier Giura, mostrando vero quel detto


E gentilezza dovunqu’è vertude,


ha permesso che da noi si fossero consultati due suoi scritti non per anco di pubblica ragione; de’ quali il primo ha per titolo «Progetto di un ponte di ferro sospeso sul Garigliano nel Regio cammino di Roma».

E ‘l secondo:

»Memoria sulla disposizione più vantaggiosa de 5 punti di sospensione ne’ ponti sospesi, coll’applicazione al nuovo ponte sul Garigliano»

Sappiasi aver noi dalla seconda di queste dissertazioni attinto tutto che riguarda la sposizione della nuova congegnatura adoperata dall’Autore; mettendoci del nostro le sole lodi che ogni uom dabbene vuol tributare al valore quando ne ha l’occasione.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/banchi/banchi_1833_annali_civili_Due_Sicilie_storia_1734_1830_societa_anonime_2012.html#Appennini

1 Comment

  1. Un primato italiano di cui andar fieri…voluto e fatto realizzare dal Re Borbone Ferdinando ii ad opera del Giura…ancora oggi stupendo e funzionante… vanto come tanti altri primati del Regno Due Sicilie! caterina

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