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Dostoevskij, Sulla Rivoluzione francese

Posted by on Giu 28, 2019

Dostoevskij, Sulla Rivoluzione francese

In questa lettura, tratta da un’opera minore, Dostoevskij manifesta la sua opinione sulla Rivoluzione francese ed in particolare su “Fraternità, Libertà, Uguaglianza”.

F. M. Dostoevskij, Note invernali su impressioni estive

Di chi aver dunque paura? Degli operai? Ma adesso anche gli operai son diventati tutti dei proprietari nell’anima: tutto il loro ideale sta nel divenire proprietari e nell’accumulare la maggior quantità di cose possibili: cosí è la loro natura.

E la natura degli uomini non vien data loro cosí, per niente. Tutto ciò è stato coltivato nei secoli, e dai secoli è stato plasmato. Non è facile cambiare il carattere nazionale, non è facile staccarsi da abitudini secolari, ormai penetrate nella carne e nel sangue. Allora, dei contadini? Ma i contadini francesi sono i proprietari piú ottusi, ovvero il migliore e il piú completo ideale di proprietario che ci si possa immaginare. Dei comunisti, allora? O, infine, dei socialisti? Ma questa gente s’è duramente screditata, a suo tempo, e il borghese, nella sua anima, nutre per essi un profondo disprezzo; la disprezza, sí, e intanto, comunque, ne ha paura. Sí, ecco, è questa gente che egli ancora teme. Ma ci si potrebbe chiedere che cosa mai abbia da temere. L’aveva in fondo già predetto l’abate Siéyès nel suo celebre pamphlet che il borghese è tutto, “Che cos’è il tiers état? Nulla. Cosa

dev’essere? Tutto.” Ed è proprio successo come lui aveva affermato. Di tutte le parole proferite a quel tempo, solo queste si sono realizzate; loro soltanto son rimaste. Ma il borghese continua ancora in qualche modo a non credere a ciò, benché tutto ciò che è stato detto dopo le parole dell’abate Siéyès sia stato soltanto uno sproposito, e sia scoppiato come una bolla di sapone. E infatti: poco dopo di lui han proclamato: Liberté, égalité, fraternité. Molto bene. Che cos’è la liberté? La libertà. Quale libertà? La libertà, per tutti uguale, di fare quello che si vuole, nei limiti della legge. Quando è possibile fare tutto quello che si vuole? Quando si possiede un milione. La libertà dà un milione a testa? No. Che cos’è un uomo senza un milione? Un uomo senza un milione è colui che non fa tutto quello che vuole, bensí è colui del quale si fa tutto quello che si vuole. Cosa dunque ne consegue? Ne consegue che, oltre alla libertà, c’è ancora l’uguaglianza, e precisamente l’uguaglianza davanti alla legge. Di quest’uguaglianza davanti alla legge si può dire soltanto che nelle forme in cui essa viene adesso applicata, ogni francese può e deve prenderla per un’offesa fatta a lui personalmente. Che cos’è dunque rimasto della formula? La fratellanza. Bene, quest’articolo è il piú curioso e, occorre riconoscerlo, ha costituito fino ad oggi la principale pietra d’inciampo dell’occidente. L’uomo occidentale discorre infatti di questa fratellanza come d’una grande forza motrice dell’umanità, e non s’accorge che la fratellanza non la si potrà trovare da nessuna parte, fino a che essa non esisterà nella realtà. Che fare dunque? Bisogna realizzare la fratellanza a qualsiasi costo. Fatto sta tuttavia che realizzare la fratellanza non è affatto possibile, in quanto che è lei stessa a farsi di per sé, ed è data, la si trova in natura. Ma nella natura francese, e in genere in quella occidentale, di fratellanza non se n’è riscontrata; s’è riscontrato invece il principio personale, il principio dello starsene per conto proprio, dell’autoconservazione intensiva, dell’autosufficienza, dell’autodeterminazione del proprio Io personale, della contrapposizione di questo Io alla natura tutta e a tutta la restante umanità in quanto singolo principio autonomo, e di per sé solo assolutamente uguale e equivalente a tutto quello che esiste al di fuori di esso. Bene, da una tale contrapposizione non poteva certo derivare la fratellanza. Perché mai? Perché nella fratellanza, nella fratellanza vera non è la singola personalità, non è l’Io che deve arrabattarsi per affermare il proprio diritto all’aver egual peso ed egual valore di tutto il rimanente, ma proprio questo rimanente dovrebbe esso stesso andare da tale singola personalità che rivendica il proprio diritto, da questo io singolo, e, senza che glielo si chieda in alcun modo, ammetterne l’equivalenza in peso e valore con se stesso, cioè con tutto quel che esiste al mondo. Non solo, ma questa stessa personalità ribelle ed esigente dovrebbe, dal canto suo, in primo luogo sacrificare tutto il suo Io, tutta se stessa per la società, e non solo non dovrebbe esistere un diritto suo personale, ma, al contrario, dovrebbe cederlo alla società senza condizione alcuna. Ma la personalità occidentale non è abituata a un tale andamento delle cose: essa rivendica con la lotta, esige questo preciso diritto, vuole che tutto venga ben spartito: e non ne viene certo fuori la fratellanza.

fonte http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaD/DOSTOEVSKIJ_%20SULLA%20RIVOLUZIONE%20F.htm

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