Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Due Sicilie di Lord Ninni

Posted by on Gen 2, 2022

Due Sicilie di Lord Ninni

Ops, quasi ci dimenticavamo:
Il nostro carissimo amico, al quale dedico questa prima puntata e che ci ispirò questa cronaca semi seria, si chiama Rocco Salvatore Farina che quando torna a casa fa sempre le feste al suo padrone: Artù, un simpaticissimo cagnolino juventino!
La cronaca, fedelissima, inizia nell’anno 1767 ed è da noi raccontata perché stavamo proprio là.

Il primo personaggio di questa storia non nasce quando nasce, ma il 12 gennaio 1767, cioè quando diventa maggiorenne. Da quel momento, finita la Reggenza, diventa veramente il re delle Due Sicilie. parlo di Ferdinando I di Borbone, forse il re più preso in giro di tutta la storia d’Italia. Ma scusate un’attimo: con lo zio pazzo, il padre malinconico, la madre isterica, il fratello maggiore completamente deficiente, lui farà quello che può poveretto, non è certo colpa sua. 
Quando nasce Filippo, l’erede al trono, re Carlo e la regina Maria Amalia vanno pure a ringraziare san Gennaro per la grazia di un maschio dopo ben cinque figlie femmine, di cui quattro fortunatamente morte in tenera età. San Gennaro, che evidentemente già sa come andranno le cose, appena un anno dopo fa nascere un altro maschio, Carlo. Poi si distrae ancora con una femmina, la quale però si affretta ad andarsene dopo pochi mesi, e fornisce un terzo maschio. Noi ci fermiamo qui, questi sono quelli che ci interessano, l’elenco completo sarebbe troppo lungo: la regina ne mise al mondo tredici, anche se parecchi inutilmente. Il fatto si spiega, perché re Carlo, che è un terribile mandrillo come solo i bigotti sanno esserlo, tanto per non sbagliarsi qualche notte, nel suo appartamento il letto non l’ha fatto mettere proprio, così è obbligato ad andare a infilarsi in quello di Maria Amalia, che evidentemente non lo accoglie di malavoglia, anche perché questo passa il governo.
Quando Filippo ha sette anni, i genitori abbandonano la speranza che possa diventare, anche se non un re, uno come tutti gli altri. Allora pensano a Ferdinando, perché Carlo, il secondo maschio, è destinato a succedere al padre sul trono di Spagna. Ferdinando non è questa grande intelligenza, ma è un fanciullone robusto ed esuberante. Messo in mano a buoni allevatori di re, potrebbe anche migliorare. Purtroppo re Carlo diventa Terzo e deve partire per la Spagna con tutto il resto della famiglia. Lascia Filippo, perché non sa che cosa farsene, e lascia arbitro del regno il ministro Bernardo Tanucci, un bravo e onesto Reggente che però sta attento a non far progredire minimamente lo sviluppo mentale del futuro re. Ferdinando cresce così circondato da cortigiani noiosi, ma da servi spassosissimi che lo adottano e lo trattano come un figlio loro; egli parlerà per tutta la vita con il loro dialetto.
Se i napoletani ben educati potessero vedere il re nell’intimità, si farebbero il segno di croce con la mano sinistra, come si dice a Napoli per indicare stupore o sconcerto. Basti dire che era proibito assistere ai suoi pasti, figuriamoci quello che combinava.
Come il padre, Ferdinando si teneva il più possibile fuori dagli affari di Stato, come se fossero affari che non lo riguardavano, il suo carattere gioviale e chiassoso lo allontanava già da adesso da ogni futuro dovere.
Allo studio delle scienze politiche preferiva le remate nel golfo e le galoppate a Capodimonte, non siamo tra quelli che gli danno completamente torto.
In moglie avrebbero voluto dargli l’arciduchessa Maria Giovanna, figlia della grande Maria Teresa, imperatrice d’Austria, ma morì di vaiolo. Allora fu fidanzato con la sorella, l’arciduchessa Maria Giuseppa. Il giorno prima della partenza per il Regno delle Due Sicilie, Maria Giuseppa morì anche lei, sempre di vaiolo, queste arciduchesse sorelle morivano una dopo l’altra come i fratelli Orazi della storia romana. Ma ce n’era pronta una terza, Maria Carolina. Pare che prima di partire cominciasse a star male anche lei e nacque il panico, alla Corte d’Asburgo, perché le sorelle erano finite, c’era un fratello, Giuseppe, ma per ovvie ragioni non andava bene. Però questa volta Maria Carolina guarì subito e i guai futuri risparmiati dalle sorelle se li prese tutti lei. Anche lei, come Ferdinando, capitò sul trono di Napoli per uno scherzo del destino.
Aveva diciassette anni, lo sposo poco meno di diciotto. Dopo la prima notte di nozze, la mattina il commento più gentile di Ferdinando riguardo alla sposina fu che “sudava come un porco”.
Da parte sua, passati i primi giorni di sbigottimento, Maria Carolina lo osservava, a volte perfino divertita, come un simpatico scimpanzé. Aveva già imparato da lui molte frasi dialettali che, mescolate al suo italiano zeppo di parole tedesche, doveva risultare oltremodo divertente.
Quando giunse in visita il fratello Giuseppe, imperatore d’Austria, per valutare personalmente il quoziente d’intelligenza del cognato, Ferdinando lo pregò di fargli compagnia mentre era seduto sul vaso. A cose fatte, corse con il vaso dietro ai suoi ciambellani, non si sa con quale intenzione. L’imperatore si era già messo in salvo dalla sorella.

Che cosa sta facendo Ferdinando il 25 marzo 1767? Probabilmente è a caccia a Procida o a Caserta. Se potesse sapere chi sta nascendo in quel giorno e che cosa gli combinerà da grande, non sarebbe tanto allegro. Perché in un villaggio della Francia del Sud sta venendo al mondo uno che, per quel che lo riguarda, al mondo non dovrebbe venire. Il neonato si chiama Gioacchino Murat. Passa un anno, e in un paesello della Corsica ne nasce un altro di quelli buoni: Giuseppe Buonaparte (All’inizio era così e dopo venne cambiato).
Il 15 agosto dell’anno dopo, certamente Ferdinando starà in mezzo al golfo, a pescare. Se potesse sapere chi sta nascendo in quel giorno in un’altra città di mare, e quello che gli combinerà anche lui, si abbandonerebbe addirittura alla disperazione: sta nascendo Napoleone. E così si potrebbe dire di tanti altri, che oggi sono lattanti o non ancora nati, ma da grandi pioveranno a Napoli, per disgrazia sua. Per adesso può campare ancora un po’ tranquillo, poi cominceranno gli arrivi.
Ecco il capitano di marina John Acton, sulla quarantina, deve dare una mano a riorganizzare la flotta, visto che gli inglesi suoi connazionali hanno il vizio di venire ogni tanto con i vascelli davanti alla reggia per chiedere con modi bruschi le cose più impensate. Anche per questo re Carlo ha voluto la reggia di Caserta: per stare a prudente distanza dal Vesuvio, dal mare e dalla terribile plebe di Napoli. Si dà il caso, però, che Acton cominci ad allungare una mano anche sulla regina, la quale porge volentieri l’altra guancia.
Ecco apparire un’altra protagonista: Emma Lyon. Sir William Hamilton, il non più giovane ambasciatore di Gran Bretagna, la presenta in giro come la ex amante di suo nipote con la disinvoltura di uno che dica: è appena uscita dal collegio. Ma non spiega tutta la storia, a noi poi ce l’hanno raccontata coloro che la conoscevano.
Il nipote, Charles Greville, nel 1782 se la prende come amante quasi direttamente dalla culla, quando Emma ha appena diciassette anni. Ciò nonostante ha già un passato che un marinaio definirebbe burrascoso. Il nipote Charles, però, essendo a un certo punto inguaiato di debiti, pensa di regalare Emma allo zio, che in cambio i debiti glieli salderà. Fatto il patto fra gentiluomini, Emma arriva a Napoli e nel 1791, dopo alcuni anni di buona condotta, sapete a che cosa si allude, Sir William la sposa addirittura. Ma in realtà, senza saperlo, il nipote l’ha spedita a Napoli perché possa incontrare il grande amore che la farà passare alla Storia.
È Horatio Nelson, bel nome britannico-latino. Con lui e con la coppia Acton-Maria Carolina abbiamo completato il quartetto che per alcuni anni farà del Regno delle Due Sicilie quello che vuole.
Dopo la vittoria di Aboukir e la distruzione della flotta di Napoleone, Horatio Nelson sbarca a Napoli come un pavone, per finire direttamente tra le braccia di Lady Hamilton. È passione vera. Nelson vorrebbe portarsela in giro per il Mediterraneo sull’Agamemnon, facendo della nave ammiraglia una garçonnière da ottanta cannoni. Ma lei deve sfruttare ancora un po’ il marito, non gli si può dare interamente. Del resto anche Nelson non è più tutto intero, in ogni battaglia perde un pezzo: prima un occhio, poi un braccio, a Trafalgar una cannonata gli finisce di togliere il resto e non se ne parla più.
Ma forse stiamo correndo un po’ troppo, rischiamo di non accorgerci della Rivoluzione francese. La polizia borbonica entra subito in allarme. Mentre a Parigi lavora la ghigliottina, a Napoli comincia a darsi da fare la forca. Ma quando verrà ghigliottinato Luigi XVI e poco dopo Maria Antonietta, nella reggia si diffonde il terrore. Per Maria Carolina la morte della sorella è un grande dolore. Attraverso le cronache raccontate dagli émigrés, che si sono sparpagliati per tutta l’Europa e molti sono venuti ad aspettare la fine della Rivoluzione sotto il sole di Napoli, abbiamo saputo che Maria Antonietta ha ascoltato con dignità la lettura della sua condanna a morte. Da lei forse non ce lo saremmo aspettato, dopo un passato di sperperi e di orge.
Sebbene avesse le mani legate, dicono che è scesa da sola dalla carretta che l’ha portata davanti alla ghigliottina, in piazza della Rivoluzione. Che è salita sul palco con aria di sfida, senza dire una parola né al popolo né al boia. A mezzogiorno e un quarto preciso la sua testa è caduta nel cesto. In tasca le hanno trovato il ritratto di Luigi XVI e del generale La Fayette, che ha tentato di salvarla.
Qualche mese prima, dopo la decapitazione di Charlotte Corday, il carpentiere Legros aveva alzato la testa staccata della trasognata accoltellatrice di Marat e l’aveva schiaffeggiata; il viso di Charlotte era arrossito, come di sdegno.
Si temeva una replica, ma a Maria Antonietta è stato risparmiato l’atroce oltraggio.

A Napoli i giacobini cacceranno la testa fuori in ritardo. Dal 9 termidoro sono passati cinque anni. Robespierre è salito sulla ghigliottina, ne ha verificato di persona il funzionamento. Saint-Just un giorno gli aveva scritto: “Io non vi conosco, ma voi siete un grand’uomo”. Lo seguirà sempre, anche adesso su quel palco da loro preferito.
L’“Arcangelo della morte”, il “Giovane atroce e teatrale”, il “Sogno della Repubblica di Dracone” – come l’hanno definito – nel suo Progetto di Costituzione letto all’Assemblea nazionale il 24 aprile 1793, nella parte che si riferisce alle “Relazioni con l’estero”, con la sua voce di ragazzo ha detto queste splendenti parole:

“Il popolo francese dichiara di essere amico di tutti i popoli, rispetterà religiosamente i trattati e le bandiere; offre asilo nei suoi porti a tutti i vascelli del mondo; offre asilo ai grandi uomini, ai virtuosi sventurati di tutti i paesi; i suoi vascelli aiuteranno in mare i vascelli stranieri nelle tempeste.
La repubblica francese non prenderà mai le armi per asservire un popolo e per opprimerlo.
Essa non concluderà trattati che non abbiano per oggetto la pace e la felicità delle nazioni.
Il popolo francese vota la libertà del Mondo.”

Oggi le armate francesi, con vari pretesti, stanno portando la guerra in tutta l’Europa, per tacere dell’Egitto. Stanno asservendo e opprimendo i popoli. I giacobini di Parigi o sono fuggiti o sono stati deportati o se ne stanno con la coda fra le gambe. Dopo il 9 termidoro, Parigi è diventata un bordello. Andando via, il Terrore ha lasciato il posto alla Licenza. Basti dire che il sindaco si chiama Cochon, non occorre la traduzione. A governare la Francia c’è un Direttorio di ladri, sul tipo di Carnot, la Reveillière-Lepeau, Rewbell e il più grande di tutti, Barras, che prende mazzette sottobanco da tutti i regnanti d’Europa. Napoleone, tornato dall’Egitto, mentre prepara il colpo di stato dirà, con la sua abituale eleganza, che “ai giacobini del Direttorio veniva voglia di pisciarci addosso”.
E i giacobini napoletani, con gli orologi che vanno indietro, rischiando il collo per quegli insudiciati ideali, cominciano la rivoluzione adesso. Ci vuole un bel coraggio a farla in un paese – almeno così lo vede Nelson – “di suonatori e di poeti, di puttane e di briganti”.
Madonna, stiamo messi proprio bene.

Alla prossima va e cordialità.

Aderimmo, volentieri, all’istanza dell’amico Diadumeno (noto Avvocato del Foro di Napoli) e mettemmo: L’Inno del Regno delle due Sicilie, compensivo di Testo sequenziale. Grazie

fonte

1 Comment

  1. La storia la si puo’ raccontare anche sul registro tragicomico come qui si legge, ma a viverla sappiamo che e’ tutt’altra cosa… dipende dal carattere e per fortuna qui si parla solo di cose lontane!… Chissa’ cosa diranno di noi… forse che ci sta tutto bene madama la marchesa… Mi rattrista il pensiero ma forse e’ meglio che me lo tenga solo per me… caterina ossi

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.