Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo (II)-Mi toccò in sorte il numero 15
DALL’ESERCITO AUSTRO-UNGARICO ALL’ESERCITO ITALIANO
(marzo 1858 – settembre 1860)
Mi toccò in sorte il numero 15
Mia partenza da coscritto sotto il governo dell’impero austriaco, detto «il tiranno».
Io Margolfi Carlo, nato in agosto del 1837 (3), mi toccò in sorte il numero 15 (4) nel 1858. Il 4 marzo andai a Sondrio per la visita e mi feci abile al servizio militare.
A dire la verità non mi andava tanto a genio di andare sotto uno straniero che non si capiva niente di tutto quello che diceva. Quindi ero molto disturbato essendo abile al servizio.
Trovandosi vicino a me tre de’ miei patrioti, mi dissero: «E meglio fare poi il soldato che morire così giovane, come fece il povero Giuseppe Vaninetti morto dal vaiolo!».
«Come? – dissi – è morto?» pensando che poco tempo prima abbiamo fatto una festa da ballo in compagnia, anzi, andai nella sua cantina nuova a prendere un fiasco di vino.
Allora cominciai a pensare: «Perdìo, è meglio fare il soldato che morire». Quindi a poco a poco mi son messo sul retto sen- tiero per fare anch’io il mio dovere e non lasciarmi cadere in quella malattia del pensare dove sta il campanile.
Mi hanno messo nel Corpo dei Cacciatori, 18° Battaglione, diretto per l’Ungheria in Finfchirchen [Fùnfkirchen] (5).
Andando a Fùnfkirchen passai la seguente via: Sondrio, Co- rno, Milano (6), Verona, Venezia, imbarcandomi in un vascello per Trieste, indi Graz, Pest, Buda, indi Fùnfkirchen (7).
In un paese poco discosto fu successo un fatto, che hanno arrestati 8 assassini che svaligiarono la diligenza postale che por- tava lire 18.000 fiorini. Quindi furono condannati ad essere im- piccati nel suo paese nativo.
Mandarono 30 gendarmi per fare l’esecuzione, ma non hanno potuto, perché la popolazione si sollevò.
Allora mandarono il mio battaglione. Uniti coi gendarmi, ab- biamo fatta l’esecuzione di questi individui balordi, senza che succedesse il minimo intoppo per parte della (popolazione).
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Terminata poi l’esecuzione di questi assassini, fummo messi in 5 o 6 per famiglia per punizione (8) , trattandosi poi che erano quasi tutti della medesima specie gli abitanti del paese.
Siamo rimasti finché un giorno viene un ordine di recarsi a Bugdan (?) passando di Graz e S. Andrea, che avessero disarmati tutti gli italiani lombardi, indi consegnarli alla truppa italiana (9).
Al 29 settembre 1859 siamo stati disarmati e condotti alla fortezza, in Italia, di Peschiera. Appena giunti, consegnavano tutti i disarmati lombardi alla potenza italiana, sotto il re Vittorio Emanuele II. Quindi partenza per Brescia, passando di Desenza- no, Lonato, indi Brescia.
A Brescia, trovandomi con l’amico Corti Albino e con Festa Stanislao (10), trovandoci in un giorno di paga, ad una mia aspi- razione [ispirazione?] gli dissi: «Dobbiamo andare a Delebio a trovare la nostra famiglia, che quando vorranno verremo di nuovo ad un suo avviso di chiamata».
Ma loro erano titubanti, avevano paura di essere disertori, e tante altre cose. Ma infine, quando mi videro salire in ferrovia io, decisero di venire anche loro in compagnia.
Arriviamo a Bergamo, indi a piedi siamo venuti a Delebio (11).
<Basta, basta, vi spedirò a Cuneo…»
Appena giunti in Delebio, al mattino appresso mi vidi compa- rire il Cursore, dicendomi che, per ordine del sig. Sindaco Corti Giovanni, di consegnarci immediatamente a Sondrio, del resto saressimo stati arrestati e consegnati, e quindi disertori.
Con tutto questo siamo rimasti a Delebio 8 giorni, e poi ci siamo consegnati di bel nuovo a Sondrio.
Recandoci al comando di Piazza, ci domandò se eravamo volontari. Noi rispondemmo di no, che eravamo soldati licenziati dal governo austriaco.
«Basta, basta, disse – vi spedirò a Cuneo, e là penseranno il da farsi».
Giunti a Cuneo, vi passammo anche giorni felici, dopo mi fecero fare la strada diretti a Volta Mantovana, per raggiungere il sesto Battaglione Bersagliere.
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Imparando la nuova istruzione militare italiana, percorremmo tanto le posizioni di Solferino e S. Martino (12). Dopo siamo partiti per Goito, rimanendo vari giorni anche là, indi siamo andati in Casale Maggiore [Casalmaggiore] diretti per Bologna, rimasto un sei mesi in guarnigione.
Un giorno arriva un ordine di recarci a Ferrara a disarmare due reggimenti di fanteria volontari.
Difatti partiamo per la bella Ferrara, ma giunti appena in città mi chiusero in una chiesa, facendone restare 2 giorni senza poter sortire.
I soldati, trovandosi chiusi, cominciarono a rovistare, [a] vedere una cosa e l’altra, finché uno trovò una porta: aperta che fu, si trovarono in cantina del prete, e c’era una botte di vino di circa sei ettolitri.
I soldati che fecero? Tirarono fuori la spina, correndo con bidoni e gamellini, e parte andò a terra, finché la botte restò bella vuota. Potetevi immaginare la consolazione del soldato, senza pensare quello che poteva succedere.
II pret,/trovando la botte vuota, fece rapporto al Maggiore.
Che fece il Maggiore? Pagò il vino, ed a un prezzo elevato, a ciò che il prete non poteva lagnarsi, facendo poi le ritenzioni ai giorni di paga, fintanto che la somma sarebbe raggiunta all’importo pagato.
Dopo difatti siamo sortiti diretti al quartiere di questi 2 reggi- menti di volontari da disarmarsi, perché si sono rivoltati coi su- periori dicendo che loro erano venuti per fare la guerra, non per fare la piazza d’armi.
Senza nessun incidente si sono disarmati per l’avvedutezza del Maggiore, dicendogli: «Siete tutti in libertà di andare in seno alle vostre famiglie». Disarmati che furono, sono stati accompagnati a Bologna.
Noi siamo rimasti a Ferrara portando via una potente febbre, che ho fatto tre mesi di ospitale, sortendo il 27 agosto.
Poco dopo fatto la mia convalescenza, nel soldato si vociferava di una prossima campagna di istruzione militare (13).
continua…..