Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo (IX)-Mi toccò in sorte il numero 15
SECONDA SPEDIZIONE CONTRO IL BRIGANTAGGIO
nei monti delle province di Napoli, Avellino e Benevento (luglio-settembre 1861)
«… E guai a chi manca»
Sabato giorno 29, giorno di S. Pietro e Paolo, partimmo in ferrovia diretti alla città di Nola. Là abbiamo fatto sosta di un’ora, dopo siamo partiti di pattuglia su quei monti d’intorno, tutta la notte, senza un piccolo riposo. Dopo siamo retrocessi di nuovo a Nola, dopo 11 ore di marcia.
Luglio, giorno 1: partimmo solamente la mia compagnia, passando di S. Maria, S. Felice e Arienzo, riposando un poco; quindi, dopo 6 ore di marcia, siamo giunti in Arpaia – seconda tappa -togliendo dai carri pane e carne, e fecero il rancio.
Martedì giorno 2, partimmo circa le ore 10 antimeridiane per Ariola [Airola] rimanendo sino il giorno 14, facendo sempre delle perlustrazioni nei dintorni.
Domenica giorno 14, partimmo alle 10 antimeridiane diretti per S. Martino, Paolisio [Paolisi], Redonda [Rotondi] e Cervinara dopo 5 ore di marcia.
Lunedì giorno 15, facciamo partenza diretti per [la] città di Avellino, dopo 9 ore di marcia.
Martedì giorno 16, il Maggiore mi raccomandò di non per- dermi in città, perché quasi notte si doveva partire, quindi si raccomandò che tutti ci sia, e guai a chi manca. Mi viene in mente, vedendo soldati del 39° Fanteria, che ci doveva essere un Corti Benedetto, mio patriota ed amico. Infatti corro difilato in suo quartiere, domando, e precisamente Corti Benedetto c’è.
Quale consolazione per tutti e due esserci trovati! Dopo i soliti saluti d’uso siamo andati per la città a berne qualche bic- chiere alla nostra salute e raccontarci a vicenda le nostre peripe- zie.
Circa un’ora prima di notte dico all’amico: «Bisogna andare, perché devo partire col battaglione». Infatti ci avviamo, ed arriva- ti nel luogo dove erano, quale fu la mia sorpresa non vedendo più nessuni, e portarono con sé anche il mio fucile. Allora il Be- nedetto mi disse: «Fermati, fermati, non stare ad andare», non sapendo nemmeno preciso dove fossero, ed era quasi notte, quindi non si poteva arrischiarsi, uno solo, ad andare. «Parlerò io
con l’Aiutante (58), gli diremo come sta la cosa, infine non sei un disertore». Ma io non potevo resistere trovandomi senza il battaglione, e nessuna persuasione fu fatta nella mia mente.
Per combinazione trovo uno con un biroccino, e gli dissi:
«Quanto vuoi a menarmi a Monteforte [Monteforte Irpino]?» –
«Quello che voglia» – Io: «Ebbene, andiamo».
Mi avviai di corsa verso Monteforte, e mi son messo sdraiato sul fondo del biroccino, che era fatto di corda, e il postiglione mi mise del fieno sopra per non lasciarmi vedere, perché da quelle parti era un affare serio, un soldato a marciare solo con la gran quantità di briganti. Per fortuna ho trovato il vetturale tutto italiano (59), del resto l’avevo fatta grossa, sentirete come si fa seria.
«Per la marona, ci sta lo brigante»
Circa [a] metà strada incontrammo della gente. Il vetturale gli disse: «E passato lo barsagliere?» – «No», risposero. Allora di sotto, pian piano, gli dissi: «Andiamo a l’Ospitaletto [Ospedaletto]», e via di corsa. Circa [a] metà strada incontrammo di nuovo gente. Il vetturale gli domandò: «È passato lo barsagliere?» – «No, non ci sta lo bersagliere».
Mi cominciava a tremare la coscienza, facendosi notte oscu- ra, dicevo tra me: «Quanto mai mi son messo in viaggio, potevo dare ascolto al Benedetto», ma intanto c’ero nella trappola, quindi coraggio, forse passerà anche questa.
Di nuovo, di sotto, gli dico: «Basta, andiamo a S. Martino», e lui, povero diavolo di vetturale, indietro. Arriviamo in S. Martino, il vetturale domanda di nuovo: «Ci sta lo bersagliere?» –
«No», gli risposero. Quale fu la nostra sorpresa: ma dove mai saranno andati? «Basta – gli dico – prandiamo una scorciatoia e andiamo a Montefusco». Difatti mi dice di sapere la detta strada, ed io, sempre sotto al fieno, pensando al mio povero caso.
Verso due terzi di strada fatta verso Montefusco, tutto ad un tratto sento fermare il biroccino, e mi dice il vetturale: «Per la marona, ci sta lo brigante». Quella parola è stata come un coltello al mio cuore: «Ora è la mia fine, che fare?» Il vetturale stava quasi per tornare indietro, ma, ma… il fatto sta che arrivarono
, due briganti a cavallo, e il vetturale, con presenza di spirito, gli disse: «Sta lo bersagliere a Montefusco?» «Per la marona che ci
sta, e noi siamo in fuga. – Perché?» – «Perché ci ho un figlio anch’io, e voglio farlo scappare da questa briganta bersagliera». I due briganti si avvicinarono, e passarono senza toccare, che ap- pena avrebbero messo le mani sul fieno mi avrebbero toccato.
Quasi quasi il mio cuore non palpitava. Andiamo avanti e trovammo un bersagliere morto, il quale dopo si seppe che era l’ordinanza (60) del dottore, perito da 4 o 6 coltellate al ventre.
Quando sentii a dire: «C’è lo bersagliere morto», e sentimmo dei colpi di fucile, dico: «Forse l’ho scampata». Difatti quasi subi- to mi trovai vicino al paese, e vedendo i nostri cariaggi, gli dissi:
«Quanto ti devo della mia condotta?» al vetturale. Lui mi rispose: «Alla sua generosità». Gli messi in mano 2 lire, e contento fu stato, retrocedendo subito. Appena giunto, guardo, e per com- binazione trovo subito il mio fucile sopra il cariaggio. Lo presi e subito andai coi compagni, e quasi subito hanno cessato il fuoco, e fecero una caccia di 232 briganti, fra i quali c’erano i preti del paese e tutte le autorità del paese, rimanendo nel paese sino al sabato giorno 20, guardando i prigionieri cioè i briganti
«Tirate a quel galantuomo»
Domenica giorno 21, partimmo tutto il batttaglione, compo- sto in maniera che una compagnia [era] davanti, 2 compagnie una da [una] parte e l’altra [dall’altra], in mezzo i carcerati inca- tenati a due a due uniti insieme, e di dietro l’altra compagnia, coll’ordine, passando dai paesi, al minimo movimento della popo- lazione [di] fare fuoco, ed eravamo diretti in Avelline
Giunti in Avellino, pochi briganti abbiamo lasciato, quindi partimmo per Nola, dove vi era il generale Pinelli (61), coman- dante il movimento [di repressione] del brigantaggio.
Giunti in Nola, su un gran piazzale si fece sosta, avvertendo il Generale di venire a vedere la caccia ed ordinare il da farsi. Giunto il generale Pinelli, fece gli elogi della bella caccia che ave- vamo fatto.
Sortì una voce dicendo che lui era galantuomo (62), ed era figlio del sindaco. Pinelli allora gli disse: «Bene, allora mettetevi da una parte, ed il resto si conduca verso montagna», lontano circa 50 passi da noi, e noi nel centro, che dai tre lati c’era la Fanteria di guarnigione al presidio facendo cordone, in caso di sollevazione dei cittadini. I detti briganti, facendogli fare front’indietro, e
poi diede l’ordine: «Per tre, fate fuoco». Al comando: «Fuoco» tutti cascarono per terra morti.
Rimase solo il figlio del sindaco, che credevamo proprio che la vita fosse salva.
Pinelli gli disse: «Dunque sei figlio del sindaco e sei un galan- tuomo?» – «Si, signor generale». «Ebbene, andate, andate, ma di questa parte». Appena fece un trenta passi, che il generale Pinelli disse: «Tirate a quel galantuomo». Difatti fu colpito, e cascò an- che lui vicino agli altri suoi compagni.
Ritornammo, e siamo passati di Mercogliano, giunti siamo in Summonte, bel paese di circa 1.500 abitanti, dopo 5 ore di mar- cia, rimanendo sino al 4 agosto, giorno di domenica, partendo di pattuglia, passando S. Angelo [S. Angelo a Scala] e la Rocca [Roccabasserana], e dopo 6 ore di cammino, circa le ore 6 di sera, marciando tutta la notte, passando di Monteforte, Migna- no, Sparone, Tasino e Cimifili [Mugnano del Cardinale, Spero- ne, Tufino e Cimitile] sempre pattugliando, di nuovo siamo giunti a Nola dopo 14 ore di marcia.
Mercoledì giorno 7, montammo in ferrovia per Cancello, un bel paese di 1.400 abitanti. Arrivati al paese ci siamo messi in cammino, passando di S. Felice, Arienzo, Arpaia e Montesar- chio, rimanendo un 2 ore di riposo, indi avanti per la città di Benevento, dopo 14 ore di marcia.
L’indomani, venerdì 9, alla sera ci prepariamo per la parten- za; difatti all’una dopo mezzanotte, dopo 5 ore di marcia, arri- viamo al punto dove c’era ‘lo brigante’.
Alll’alba circondavamo il paese, e principiando a fare fuoco e salendo alla baionetta, dopo un tre ore di combattimento pren- demmo la posizione, trovando 29 morti e 2 feriti e prendendo 28 cavalli. Di noi fu morto un bersagliere e il Maggiore ferito.
Pensando poi che la forza dei briganti era di 400, noi erava- mo soltanto 147, tra linea e bersaglieri. Infine entrammo nel pae- se di Pietrelcina, un paese veramente borbonico: abbiamo trova- to bandiere e ritratti dei suddetti Borboni.
Dopo un’ora di riposo, partimmo per Paio [Pago Veiano], decima mia tappa. Nel paese ci siamo riuniti con altre compagnie ed alla mezzanotte partimmo per S. Marco [S. Marco dei Cavo- ti]; bel vedere il popolo di questo paese di S. Marco, son venuti incontro tutti in processione con l’immagine di Maria Vergine, per il timore che noi avessimo incendiato il villaggio.
Noi abbiamo oltrepassato il paese rimanendo in pianura; alfa mezzanotte partimmo pei monti. In questa notte fu per noi un gran movimento: dopo esserci nascosti dietro un colle si videro i briganti che facevano pattuglia, ed erano 4, che furono presi su- bito a fucilate; avvicinandoci al paese ne abbiamo presi altri 4, il resto degli abitanti erano fuggiti. Appena spuntò l’alba siamo en- trati nel paese chiamato S. Giorgio [S. Giorgio la Molara]. Dalle autorità rimaste nel paese abbiamo avuto pane, vino a gratis a- more dei, ed abbiamo chiesto anche dei denari.
Dopo 4 ore di riposo, partimmo alla volta di Pago; in questo siamo rimasti un 3 ore di riposo, quindi partimmo per Pietrelcina, giunti alla sera dopo una marcia di 24 ore.
L’indomani, martedì giorno 13, rimanemmo in riposo sino le 6 di sera; dopo di nuovo partenza, continuando tutta la notte.
Pontelandolfo, un nido di briganti
Al mattino del mercoledì, giorno 14, riceviamo l’ordine supe- riore di entrare nel comune di Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, ed incendiarlo.
Difatti un po’ prima di arrivare al paese incontrammo i bri- ganti attaccandoli, ed in breve i briganti correvano davanti a noi. Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare i preti (63) ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l’incendio al paese, abitato da circa 4.500 abitanti. Quale desolazione, non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case.
Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pa- ne, vino e capponi, niente mancava, ma che fare? non si poteva mangiare per la gran stanchezza della marcia di 13 ore: quattor- dicesima tappa.
Fu successo tutto questo in seguito a diverse barbarie com- messe dal paese di Pontelandolfo: sentirete, un nido di briganti, e la posta la svaligiava ed ammazzava la scorta, fra i quali l’ultima volta che svaligiarono la posta era scortata da 8 soldati, e pure perirono i 8 soldati, lo stesso fu per il posti[gli]one e conduttore, e lasciarono in balia cavalli e legno (64).
Prima di questo poi era successo un caso molto strano al paese: essendo di passaggio in perlustrazione, una compagnia ha
Prima di questo poi era successo un caso molto strano al paese: essendo di passaggio in perlustrazione, una compagnia ha
pernottato in una chiesa, ed era piena di paglia; i soldati [erano] molto contenti col dire: «Questa notte riposeremo un poco».
Come sia stato, i paesani volarono (65) la sentinella senza il minimo rumore, e l’hanno squartata, tagliata a pezzi, e diedero fuoco alla paglia da un buco di loro conoscenza, quindi che han- no fatto questi poveri soldati? la figura precisamente che facevano adesso loro: abbrustolire dentro. Proprio quale barbaro paese fu questo Pontelandolfo, ma ora si è domesticato per bene.
Venivano incontro con rami d’olivo
Circa le ore 4 pomeridiane, partimmo alla volta di Fregnedo [Fragneto Monforte]; la mattina prossima partimmo circa le ore 6 e siamo entrati in Fregnedo Abate [Fragneto l’Abate].
Il comandante distacca una pattuglia di 35 uomini dicendo:
«Perlustrate il bosco, e quindi ritornate a dare il risultato». Par- timmo io con altri 34 ma, dico la verità, andava poco a genio perlustrando il bosco con sì poca forza, pensando che il giorno prima c’era ‘lo brigante’, e difatti c’erano ancora.
Allora indietro ad unirsi alla colonna, ed avanti. Allo spuntar del sole entrammo nel comune di Campolattaro, dopo una mar- cia di 19 ore, stanchi dalla fatica.
Sentite com’è bella: entrando in paese tutti gli abitanti veni- vano incontro con rami d’olivo, a piangere e pregare, dimandan- do di non bruciare ‘lo paese’, ed avrebbero indicato ‘lo brigante’. Infatti in paese non si fece che qualche fucilazione.
Siamo venuti in cognizione che gli abitanti avevano nascosto tutte le loro sostanze in luoghi sicuri: mi venne in mente [che] anche a Delebio nel ’48 è successo un fac-simile, di nascondere tutto (66).
Subito dopo partimmo alla volta di Pircello [Circello]: sedice- sima mia tappa. Stanchi stanchi, non si poteva più andare avanti, facendo 2 tappe in 24 ore. Giunti nel paese, ci siamo collocati più morti che vivi.
In questo paese poi erano italianissimi, ed avevano la sua Guardia Nazionale (67), e che hanno fatto? Sono fuggiti dal suo paese per il timore dei briganti. Bella, che qualità di guardia!
L’indomani, sabato 17, alle ore 6 di sera siamo partiti in un bosco lungo e largo più di 30 chilometri, e siamo giunti in Castel
pagano, e via via, di nuovo, marce sopra marce, passando di S. Luca [S. Lupo], S. Lorenzo [S. Lorenzo Maggiore], e di nuovo Pontelandolfo, il quale lo vidi di nuovo dopo l’incendio: quale ro- vina si vedeva!. Di nuovo marcia, passai di Cerreto [Cerreto Sannita]: diciannovesima tappa. Un continuo marciare, perlu- strare, una vera vita da martire.
Nel mercoledì, giorno 21, siamo rimasti in riposo. Il giorno 22, all’alba, circondammo Pietraroia con metà delle nostre forze, ed altri entrarono nel paese, catturando 2 preti, un capobrigante ed altri, con unite molte donne che portavano da mangiare ai loro briganti, e ritornammo in Cerreto. Quindi abbiamo riposo, pas- sando la visita di sanità e di polizia [pulizia].
Domenica, giorno 25, partimmo passando di Cosano [Cusa- no Mutri], rimasti un paio d’ore di riposo, quindi salire boschi da una parte e dall’altra [della valle]. In questo giorno mi capitò il caso di rompermi la testa contro un sasso correndo a dietro un brigante in discesa; come ho fatto? feci un salto cascando, e rotolai un po’ di monte, intanto il galantuomo se l’è svignata.
Mangiando pane e neve
Prendemmo una vallata oscura, e con segnali di tromba [ci] siamo riuniti alla colonna, e circa le 4 pomeridiane li riuniva (68) altra truppa nel Lago Matteo [Lago del Matese]. La truppa riuni- ta era di 3.000 soldati, senza un ricovero da stare nella notte.
Abbiamo fatto dei grandi fuochi, standogli attorno in mezzo a questo bosco, e pioveva come un diluvio, e vento.
L’indomani siamo partiti e, dopo 11 ore di marcia, siamo giunti in Cerreto, rimanendo sino al giorno 28, di mercoledì. Par- timmo passando da Casal Vagune [Castelvenere?], Sopagno [Castelpagnano?], Amoroso, Milizzano e Mignono (69) [Moia- no?] [che] si trovano tutti sui monti, quasi impraticabili, non es- sendo[ci] strade un poco appena praticabili. Di nuovo giunti sia- mo in Ariola [Airola], rimanendo sino il giorno di venerdì 30, che di sera partimmo di corsa veloce per recarci a Moiano, che prendemmo 4 briganti e 3 donne, e li abbiamo condotti ad Airola.
Di nuovo partenza per Paolisi, riposandoci in una stalla. Settembre, domenica giorno 1, giornata memorabile: par- timmo al mattino, salendo il monte (70), che dopo 9 ore di cam
mino siamo attaccati dai briganti nella situazione denominata Piano Maggiore, che abbiamo costretto i briganti a fuggire.
Circa un’ora dopo, di nuovo si torna a vedere i briganti: di nuovo attaccammo, e [dopo] circa due ore di combattimento li abbiamo messi in dispersa fuga.
Riposammo un’ora, e poi siamo ritornati indietro per trovare un qualche ricovero. Difatti, dopo 2 ore di marcia, abbiamo tro- vato una giazzera (71) per la neve, quindi rimanemmo lì stanchi a riposare in tutta la notte, mangiando pane e neve; al mattino partimmo per Airola stanchi e morti di sete e fame [e], siamo giunti alla sera. Al mattino, di nuovo partenza pei monti, ed alla sera in Airola.
Al giovedì giorno 5, circa le ore 6 pomeridiane, si partiva alla volta di S. Agata [S. Agata dei Goti]; sui monti quella notte era- vamo circondati se i briganti fossero stati avveduti.
Passammo una notte terribile, pioggia e vento, che non si vedeva dove si poteva porre il piede. Ritornammo in S. Agata dopo 14 ore di marcia, riposando un 3 ore, e poi continuammo per Airola.
Domenica giorno 8, circa alle ore 9, partimmo alla volta di S. Agata per salire sui monti. Entrammo in Rossano [Rosciano], facendo un riposo di 2 ore, e di nuovo siamo ritornati in Airola, stanchi e morti dalla fame.
Al martedì giorno 10, partimmo con armi e bagaglio per A- riezzo [Arienzo], alla sera unendoci [a] tutto il battaglione, onde partire tutti uniti pei monti, alla caccia dei famosi capi briganti Cipriano [e Giona] La Gola [La Gala] (72), e ritornammo in Arienzo.
Venerdì giorno 13, partimmo alla volta di Napoli; giunti in Cancello, montavamo in ferrovia per Napoli. Fine della mia spedizione terza [seconda].
continua…..