Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo (V)-Mi toccò in sorte il numero 15

Posted by on Gen 6, 2024

Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo (V)-Mi toccò in sorte il numero 15

ASSEDIO DI GAETA

(novembre ’60-febbraio ’61)

Si vedevano intorno ai fuochi i nostri nemici

Ora siamo all’assedio della famosa fortezza di Gaeta.

Siamo stati accampati nella medesima posizione sino al 10 di novembre, e che giorni infelici fu[rono] per noi pel motivo della pioggia. Il giorno 10 leviamo le tende e ci siamo recati sul monte Tortona [Tortono]. Nella notte mi trovai solo con tre bersaglieri  di piccol posto.

Circa la mezzanotte incominciarono a fare fuoco coi cannoni, e noi siamo rimasti fino al mattino del giorno 11 nella medesima posizione. Infatti in quel giorno era successo un parlamento

(36) di dar tregua al bombardamento per raccogliere morti e feriti di ambo le parti.

Come si discorreva tra noi militari dovevano succedere 10 colpi di cannone, col quale avviso sarebbe stato o la resa del forte o la continuazione del bombardamento.

Ordine del Generale Cialdini, che noi bersaglieri di tenerci sempre pronti nella notte per ogni occorrenza.

Il nostro bravo Generale Cialdini che fece? Fece piazzare sul colle Tortono 10 obici, facendogli fare 10 colpi per uno a mitra- glia, mentre di notte si vedevano intorno ai fuochi i nostri nemici. Infatti si ebbe un buon risultato, che fecero sgomberare la posizione, facendo un buon numero di prigionieri.

Abbiamo rilevato i posti avanzati (37), siamo retrocessi dal colle, quindi ci alloggiavamo parte in grotte, [in] sotterranei, e in parte nelle sepolture, rimanendo in questi alberghi (38) sino al giorno 12. Nelle sepolture c’erano ancora delle donne, che i soldati gli tagliavano delle ciocche di capelli per memoria.

In questo giorno 12, circa le ore due pomeridiane, i nemici attaccarono i nostri avamposti, e noi coraggiosamente all’assalto; abbiamo disceso il colle S. Agata facendo retrocedere il nemico, facendo prigionieri un battaglione del 15° Cacciatori, con un tempo piuttosto piovoso: cadevano le palle da tutte le parti e pure, dopo 4 ore di assalto e di fuoco, il nemico ha dovuto ritirarsi nel forte.

In questa posizione siamo rimasti dal 12 [novembre] al 2 dicembre, facendone sempre travagliare per  nostra  difesa,  facendo strade, barricate, eccetera, un lavoro quasi insopportabile, perché? Perché la notte non si  poteva dormire  né spogliarsi, non si poteva nemmeno abbandonare l’arma un’ora.

«Sono qui a tenere i nemici in fortezza»

Prima sortita. Mi ricordo che era precisamente il giorno 29 novembre: appena spuntava l’alba si udirono colpi di fucile, quindi lasciavamo quel colle alla corsa veloce, ed eravamo nel mezzo delle bombe e dei colpi di cannone, e ci siamo portati al colle Cappuccini, rimanendo collocati ad aspettare il nemico.

Dopo 4 ore di fuoco siamo stati costretti a ritirarci lasciando dei morti e feriti: noi altri del 6° non abbiamo potuto lamentarci, perché abbiamo avuto 7 bersaglieri feriti, ma nissuni mortali. Alle ore 11 antimeridiane eravamo già entrati nei nostri posti.

La mattina seguente di nuovo ci fecero salire il colle Cappuc- cini, per il timore che il nemico facesse un’altra sortita. Mi comandarono di guardia, come infatti fui collocato vicino ad una pianta, coll’ordine di stare a vedere nella fortezza se avesse a succedere movimento, indi avvisare il Corpo, quando ad  un  tratto vedo un compagno d’armi mio patriota, carico di un sacchetto di sabbia, facendo delle trincee. Gli dissi: «Ciao, come va, caro Bartolomeo?» Allora alzò gli occhi [e] vedendomi mi rispose: «Cosa fai qui?» Gli risposi: «Sono qui a tenere i nemici in fortezza, onde lasciarti libero di circolare con quel carico». Si può immaginare quale gioia a trovare un amico mio patriota, ci siamo scambiati i saluti e di nuovo ci siamo lasciati.

Gli domandai al mio sergente un po’ di tabacco

Mese di dicembre. Il giorno 2 di questo mese, si  partiva diretti al Borgo [Di Gaeta], rimanendo sino al 13 febbraio: in questi giorni passavamo dei più crudeli strapazzi.

Il 4 dicembre, ha cominciato la pioggia, continuando 24 ore; dopo la mezzanotte sortiva di nuovo il nemico, ma dopo pochi, colpi di fucili si sono ritirati nel forte, rimanendo [noi] sotto un casotto di terra in mezzo al fango.
Nel giorno 13 dicembre, circa le ore 11 e 1/2 è successo un falso allarme. Fu per noi una notte delle più terribili, sotto una quantità di mitraglia, bombe e racchette (39), infine poi poco danno è successo per ambe le parti.

Il 20 dicembre, è successo un caso, si può dire, strano. Era- vamo sotto questo casotto improvvisato per la circostanza, ed eravamo in 27. Gli domando al mio sergente un po’ di tabacco; lui mi rispose: «L’ho nel sacco, va’ a prenderlo». Vado, non lo trovo; allora il sergente mi dice: «Vengo io a trovarlo». Siamo appena fuori dall’uscita che sentiamo un certo rumore, ed infatti era una bomba diretta precisamente al mio povero tugurio.

Non ho avuto [tempo] di gridare, quando precisamente è ca- scata nel centro, battendo sopra un tronco di una pianta tagliata appositamente per fare il casotto. Scoppiò e tutti rimasero feriti, chi da una parte, chi dall’altra, fuorché un povero milanese che gli fracassò la testa rendendola quasi una poltiglia. Il motivo? perché si trovava vicino al detto tronco.

Anche qui posso dire di averla scampata bella, quasi quasi posso dire miracolosamente.

Al mattino, di nuovo al lavoro per preparare un nuovo albergo.

Il giorno 24 dicembre, una pioggia continua, acqua da tutte le parti; combinazione, nella mezzanotte, proprio nella nascita del Nostro Signore, mi passò per mente, e dicendo ai miei amici: «In questa notte i nostri a casa passano divertendosi, e noi invece siamo qui»; ed eravamo precisamente in mezzo all’acqua.

«Compagni, allegri, qui abbiamo la fortuna»

1861, gennaio giorno 5: trovandomi stanco in mezzo all’acqua, e per di più mi sentivo un po’ di febbre, quando mi sento chiamare dal portalettere, e mi ha consegnato difatti una lettera. Dicevo tra me: «Chi sarà che mi scrive?» guardo, e quale fu la mia sorpresa vedendo un vaglia di L. 10. Allora gridando: «Com- pagni, compagni, allegri, qui abbiamo la fortuna!»

In quel tempo i soldati non gli piaceva a tenere dei soldi in bisaccia, difatti cosa farne dei denari? da un momento all’altro potevamo esser morti.

Quanti ringraziamenti gli feci nella risposta della lettera al buon cuore e [al]la lealtà del signor Mazzoletti Giacomo (40) autore. In questa occasione gli feci sapere un po’ di quello che mi è succeduto durante la campagna.

Non abbiamo sentito l’alt dato tre volte

Primo bombardamento: il giorno 8 gennaio, verso le ore 7 di mattino, i nostri cominciarono a bombardare la fortezza. Per un’ora il nemico non si fece sentire, ma circa le ore 8 incominciarono un terribile fuoco di ambe le parti sino le 5 ore di sera. Questa giornata per noi non fu stata di gran danno; per i nostri nemici invece hanno avuto una grande perdita, principale poi [per] quelli che si trovarono sui bastioni.

Il 9 gennaio, trattarono 15 giorni di tregua, vale a dire un armistizio. In questi giorni quale lavoro abbiamo dovuto fare, giorno e notte lavorare onde preparare le nostre batterie.

[Secondo bombardamento]: il 22 di mattina, col segnale di un colpo di cannone tirato dal nemico, e da noi fu data subito rispo- sta. Il mio Maggiore, non sapendo cosa poteva essere, comanda subito a una quadriglia di portarsi subito alla marina ed osservare cosa succedeva. La quadriglia era composta da me come co- mandante, un certo Cristòi e Fogliozzi piemontesi, ed un lodi- giano. Quindi ci avviammo con la nostra consegna, ma sempre eravamo in mezzo al fuoco.

Discendiamo il monte, ed a basso, tutto ad un tratto, mi sento scosso da un Maggiore di fanteria, dicendomi: «Cosa fanno questi bersaglieri a non rispondere? Dovevate esser morti, se io comandavo il fuoco».

Infatti era proprio così: abbasso gli occhi, vedo un battaglione al «pronti». Tra il rumore, il pensiero eccetera, non abbiamo sentito l’alt dato tre volte, quindi, se non era il buon senso del Maggiore, noi 4 saressimo rimasti morti senza gusto.

Mi era venuto a tremarmi la vita pensando al caso, quando il Maggiore mi disse: «Dove andate? – «Vado alla marina a vedere cosa c’è di nuovo» – «Ritornate pure indietro, che qui ci siamo noi, e non c’è nulla di nuovo» – «II mio Maggiore mi disse di recarmi alla marina, ed alla marina voglio andare». – «Andate pu- re», mi disse il Maggiore. Non feci 30 passi, che mi casca morto davanti in terra il mio compagno Cristòi. «Perbacco», dico tra me. Vado avanti un 10 passi ancora, il povero Fogliozzi anche lui cascò in terra morto;

figuratevi in che triste posizione. Dissi tra me: «Avanti e corag- gio», infatti [non] vedo niente, ritorno indietro, e prima di giunge- re al battaglione cascò in terra morto anche il lodigiano. Arrivo al battaglione, il Maggiore mi disse: «Dove avete lasciato i vostri compagni?» «Li ho lasciati morti in via». A dire la verità, poi, il mio cuore mi palpitava, insomma la vita mi tremava pensando al caso.

In questi giorni vi fu un combattimento con molte perdite di uomini da parte nostra. Il motivo? non avevamo terminato i lavori di difesa come richiedevano.

Alla sera poi nel nostro campo vi fu un momento di allarme:  il motivo? un piccolo deposito nostro di polvere fu scoppiato lasciando dei morti e feriti.

La mattina del 23 cessarono il fuoco, ma sempre qualche colpo di cannone arrivava nel nostro campo, onde disturbarci nei nostri lavori di difesa. Il giorno 25 un bellissimo tempo, ma una gran quantità di bombe arrivarono sul nostro accampamento.

Abbiamo fatto scoppiare una grossa polveriera

Terzo bombardamento: correva il giorno 5 febbraio di matti- na, circa le ore 5 antimeridiane, di nuovo abbiamo principiato col cannone, ed i nemici subito risposero con terribili cannonate; ma circa le ore 11 antimeridiane la nostra batteria minacciava la fortezza con 50 e più proiettili ogni discarica che faceva.

Alla sera, alle ore 7 pomeridiane, abbiamo fatto scoppiare una grossa polveriera di fianco alla città. Questo fatto fu per il nemico [causa del]la perdita del generale del Genio, [di] diversi ufficiali e di più di 400 soldati, di più la perdita di 7 famiglie che si trovava[no] in casa chiuse (41).

Cessarono il bombardamento, rispondendo con qualche colpo.

Il giorno 8, trattarono un armistizio, ricevendo 300 soldati ammalati, e li abbiamo condotti a Napoli.

Il giorno 9, viene in campo un prete, pregando il nostro Maggiore di lasciarlo entrare in chiesa del Borgo di Gaeta per ritirare tutte le cose sacre. Allora il Maggiore comandò 20 soldati, fra i quali c’ero anch’io, ad accompagnare il prete in chiesa. Il prete ha tolto tutte con sé queste cose sacre, e prima di partire ha

o a noi che l’abbiamo accompagnato, di una immagine di S. Cosma e Damiano. Questa immagine la tengo ancora per mia memoria.

Nello stesso giorno, 4 battaglioni di bersaglieri mi rilevarono perché eravamo di avamposti, per riposare un poco, onde essere pronti al segnale per l’assalto della fortezza.

Quarto bombardamento: il giorno 10 di mattina fu principiato il quarto bombardamento, ma con una terribile scarica da parte nostra, che faceva dei morti e feriti e diminuiva le batterie nemi- che, che gli hanno messo in pensiero.

Essendo di riserva noi bersaglieri, e sapendo che [nel] 24° Reggimento Fanteria avrei trovato dei patrioti sono andato a ritrovarli, ed infatti trovai il Corti Serafino, Ceciliani Pietro, l’Acquistapace di Nogherèe ed altri. Si può bene immaginare quale consolazione ho avuto trovandomi fra amici dello stesso paese; quindi gli portai la notizia che presto sarebbe arrivato il giorno per dare l’assalto. Dopo qualche ora, a mio malincuore, ho dovuto lasciare gli amici e recarmi al mio battaglione.

In questo giorno medesimo, i nostri hanno fatto scoppiare un altro grosso magazzeno di polvere.

Il giorno 11, rispondevano a colpi di cannone a più non posso, con la speranza di convincere il nostro Generale che a prendere la fortezza sarebbe stato un affare serio, ma fu invano il suo tentativo e la sua speranza, perché il fuoco continuava da parte nostra facendo morti e feriti. Le bombe devastava[no] a più non posso la fortezza; nella fortezza non c’erano più ospitali per met- tere i malati, e per di più avevano il tifo: vedete in quali circostanze anche il nemico si trovava.

Il giorno 12, il nemico rispondeva ai nostri colpi, ma con mi- nore intensità dei nostri, perché prima rispondeva con 475 bocche di cannone, in questo giorno invece si sono diminuiti a 120 bocche.

Siamo entrati in forte rampicandoci con le mani

II giorno 13, gran bel giorno: il Governatore della fortezza in tutto il giorno mandava dei parlamentari (42), e sempre furono rifiutati dal nostro Generale Cialdini per le sue ingiuste pretese. Alla sera un altro parlamentario veniva con patti che facevano la resa, ma volevano gli onori militari.   

Circa le 7 antimeridiane, cessarono il fuoco in ambe le parti. Non sapevamo cos’era successo, perché noi avevamo l’ordine di stare pronti per l’assalto: infatti tutta la notte nessun colpo, un perfetto silenzio.

Il giorno seguente, 14, al mattino, ordine di mettersi in armi e bagaglio, e siamo entrati in forte dalla parte dei bastioni, rampi- candoci con le mani (43), onde occupare tutte le batterie, per lo scopo di [prevenire] un qualche tradimento; quindi noi abbiamo occupato la Torre d’Orlando (44), accampandoci alla cima.

In questo giorno fino a sera continuava a sortire la guarnigio- ne della fortezza. Sortì Francesco II (45) col suo seguito il giorno 15, imbarcandosi in un piccolo vapore di guerra spagnolo (46), perciò dopo la sua partenza abbiamo fatto l’entrata in città.

Il giorno 18 fu, per ordine del nostro generale Cialdini, cele- brato un solenne ufficio e messa cantata in Piazza Monte Secco, pei prodi combattenti periti durante l’assedio di Gaeta da ambe le parti (47).

Nel giorno stesso ha fatto un encomio ai nostri Maggiori dei 4 battaglioni Bersaglieri, essendo sempre stati di avamposti, e che l’assedio – ha detto – deve sempre essere sostenuto dai Bersaglie- ri, quindi non badando di essere d’avamposti abbiamo fatto di tutto onde fortificarci, e facendo strade al pari degli altri Corpi.

E pure fu stato un giorno di grande consolazione per noi, vedendo che il nostro bravo Generale Cialdini ha tenuto calcolo delle nostre fatiche.

Evviva il Generale Cialdini.

Siamo rimasti sino il giorno 21 onde disbarazzare un po’ la città immonda di frane, eccetera (48).

Ci siamo imbarcati sulla fregata Carlo Alberto diretti per Messina, città della Sicilia. Ma per il tempo troppo burrascoso siamo rimasti in Gaeta sino al 1° marzo.

continua……….

                                                                     

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.