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Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo (XII)-Mi toccò in sorte il numero 15 

Posted by on Gen 14, 2024

Episodi della vita militare del bersagliere Margolfo Carlo (XII)-Mi toccò in sorte il numero 15 

LA CAMPAGNA DEL 1866

(maggio-ottobre)

San Carpoforo, guerriero anche lui, anzi generalissimo

Nel 1866 di nuovo sono stato chiamato sotto le armi per combattere l’Impero Austriaco, onde discacciarlo dal Veneto e dal Tirolo.

Nel mese di maggio io, con tutti i miei compagni d’armi dele- biesi, prima di partire abbiamo voluto fare una piccola colletta tra noi per funzionare (84) nella chiesa ove abbiamo il nostro Protet- tore S. Carpoforo (85), guerriero anche lui – fu stato anzi Gene- ralissimo sotto il re pagano Decleziano [Diocleziano] – pregandolo di proteggermi un’altra volta, giacché mi fece la grazia di pro- teggermi la vita in battaglia dal ’59 al ’64, quindi sperando che raccoglierebbe le nostre preghiere anche stavolta.

Il 5 maggio, da Delebio a Sondrio, al Comando di Piazza, indi a Corno per Novara, mia destinazione, luogo in cui si riunirono tutti i bersaglieri lombardi in congedo.

Sono partito, dopo 40 giorni di residenza a Novara, per Fa- enza, unendomi alla mia Divisione; in questa occasione trovai l’amico mio Alessandro Rizzi, pure barsagliere, facendoci com- pagnia per tutta la suddetta campagna.

Partenza da Faenza per S. Agata [S. Agata sul’Santerno], Argenta, Giabona [Gaibana], indi Ferrara, rimanendo accampati  2 giorni.

Eravamo in piedi di guerra

II nostro bravo generale Cialdini fece fare il quadrato a tutta  la nostra Divisione, per poi fare un discorso, il quale animava il soldato di fare il suo dovere, di liberare la patria dal nemico no- stro, eccetera. E che eravamo in piede di guerra, onde scacciare l’odioso Impero Austriaco.

Compare una Guida (86) dello Stato Maggiore, dicendo [che] non si può assolutamente passare il detto Po, essendo dall’altra sponda un numeroso nemico.

Siamo ritornati in Ferrara passando di San Biagio passando di Poggio Renatico, San Benedetto, San Giovanni in Persiceto, Modena, S. Prospero, Mirandola, Tremischio [Tremuschio], Fenile dell’Albero, indi Sermide. Abbiamo fatto queste marce forzate, ed essendo nel mese di luglio, il soldato cadeva estenuato di forze, che facevamo pietà a vedersi, una cosa immemorabile.

[Ci]siamo avvicinati al fiume Po e ci siamo accampati, rima- nendo però sempre, il giorno, nascosti dietro l’argine, con proibizione di fare qualunque rumore e qualunque segnale di tromba, perché eravamo di fronte al nemico, trovandosi  di  fronte sull’altra sponda del Po.

«Tieni questo orologio…»

Circa una mezz’ora di notte, mi vidi l’amico  Rizzi  Alessandro [che] mi diede il suo orologio, dicendomi: «Tieni questo orologio, io questa sera con la mia Compagnia mi devo condurre sull’altra sponda, quindi [ho] poca possibilità di restare [vivo], quindi, se sarò morto, mi farai il piacere di mandarlo a Delebio alla mia famiglia, che lo terranno per mia memoria». E salutandomi partì, onde recarsi  alla  sua Compagnia.

Passai circa mezz’ora che viene un ordine: che la mia Compagnia deve fare stesso passo del fiume con la sua. Dico   tra me: «Cosa faccio? Andrò a consegnare l’orologio al Rizzi Alessandro».

Quindi andai difilato, trovai il sergente Rizzi Alessandro [e] gli dissi: «Prendi il tuo orologio, perché vengo anch’io a farti compagnia questa notte, alle ore 11 pomeridiane precise».

Arrivarono i barconi di notte, e piano piano li misero  in acqua pronti. Noi riponemmo i nostri zaini in una cascina e subito dopo entrammo nei barconi, avvicinandoci pacificamente all’altra sponda, che pioveva con tuoni e lampi, che il nemico si approfittò dei lampi per fare fuoco sopra di noi. Difatti, dopo poco viaggio fatto in barca, i nemici tirarono sui barconi, che sembrava una tempesta.

Chi saltava nell’acqua da una sponda, chi dall’altra

I rematori, alla prima scarica, abbandonarono i remi e si get- tarono in acqua. Subito allora il Capitano dello Stato Maggiore

diede il comando di gettarsi tutti nel Po, se non vogliamo esser uccisi dentro la barca, tenendosi però sempre diretti verso il ne- mico.

Chi saltava nell’acqua da una sponda, chi dall’altra, il fatto sta che mi guardo intorno e non vidi più i bersaglieri, tranne che il sergente Cerutti genovese, per mia buona sorte.

Non essendo buono di nuotare, quindi la morte [era] certa, alzo gli occhi al cielo raccomandandomi a Dio. In quel frattempo si getta nel Po il sergente, ed io subito feci il salto tuffandomi nell’acqua, prendendo per la tunica (87) il sergente, e più non lo lascio andare sino giunto alla riva.

Dico la verità, che stata fu una provvidenza del Cielo a poter- lo avere per la tunica: del resto dovevo morire, non essendo buono di nuotare, invece lui era un abilissimo nuotatore. Ma per quanto abile, essendosi attaccato, ha dovuto fare di tutto per mettersi in salvo.

Giunti alla riva, ci avviciniamo all’argine, onde scoprire il ne- mico in che posizione poteva essere.

Erano italiani essi pure

Appena all’argine, sentiamo subito un rumore come di pedate di una cavalleria: difatti, dopo un quarto d’ora si videro arrivare, ed era infatti uno squadrone di Ulani austriaci.

Noi, tutte due le Compagnie bersaglieri, eravamo nascosti dietro l’argine; li abbiamo lasciati venire al tiro del fucile facendo fuoco, che rimasero quasi tutti morti.

I cavalli non feriti, di corsa, scappavano di qua e di là, ed un cavallo veniva diretto sull’argine contro noi. Io corsi per prender- lo, facendomi gola un paio [di] pistole che erano sulla sella: cor- ro, corro, e difatti il cavallo lo presi, e metto la mano sopra le pistole, che mi sento a dire da un ufficiale, con insieme l’amico sergente Rizzi, dimandandomi di quale Compagnia facevo parte. Io gli risposi: «Sono del 29°, seconda Compagnia». Lui mi disse:

«Qui non fa parte la seconda Compagnia del 29° Battaglione», ma bensì loro, perché mi trovavo sulla sua linea. Che feci? Tutto mortificato torno indietro, pensando alle belle pistole lasciate a loro, dopo tanto correre.

Nel ritorno si videro 3 gendarmi; io con altri tre ci avvicinia- mo per farli prigionieri. Un gendarme allora, vedendo avvicinarsi

i bersaglieri, fece fuoco addosso ad un soldato, riducendolo ca- davere. Allora noi prendemmo il fucile, e col calcio gli abbiamo spaccato il cranio a quei vili, pensando anche che erano italiani essi pure.

Messosi in viaggio per Rovigo, tutti bagnati, che camminando facevamo la striscia d’acqua sulla terra, passando per Castel Guglielmo, Picara, Conca di Rame, indi Rovigo.

Entrati che fummo in Rovigo, montai di sentinella in faccia al Forte Sargiano [Sarzano?], con la consegna di non lasciar pas- sare nessuna persona, per il motivo che c’era una gran quantità di mine che scoppiavano.

Partiti di Rovigo, passando di Rattaglia [Battaglia Terme], Padova, Dolo, S. Michele , S. Eufemia, Treviso, Lovada [Leva- da], Bressaglia, Giorgianni (?) Bersagliponte (?) (88).

Passando il Tagliamento, essendo io di punta con 3 dei miei compagni, appena giunti alla riva, vediamo tre monturati (89) che scappano di corsa. Noi di corsa siamo andati, li abbiamo presi, ed erano 3 Guardie di Finanza con un sacco di tabacco. Li ab- biamo fatti prigionieri, ed il sacco di tabacco lo abbiamo scom- partito tra di noi militari. C’era giusta una scarsezza di tabacco, infine abbiamo fatto una buona provvista, che per molto tempo non dovetti fare penuria (90).

Dopo arrivai a Udine, accampandoci fuori in quelle belle pra- terie, rimanendo diversi giorni aspettando di dare l’assalto alla fortezza di Palmanova.

Disarmati che fummo, abbiamo preso la via di Milano, Co* mo, Colico, indi a Delebio, arrivando il 10 ottobre, ed ho preso il congedo assoluto nell’anno 1869.

Fine della mia vita militare dal 4 Marzo 1858 all’Ottobre 1869.

Una guerra di polenta

Nella sosta che feci, ci siamo trovati noi tutti patrioti (91) di Delebio, raccontandoci a vicenda le cose capitate in questa guerra. Tutti furono d’accordo col dire che in quella campagna era di ammazzare il soldato soltanto che di marce, senza man- giare, infine una guerra di polenta.

Venuto l’ordine di retrocedere per Rovigo, ho preso una forte febbre, che mi accompagnò fino a Modena, facendo 5 giorni di ospitale, sortendo ancora con la mia febbre, recandomi a Parma, accampandomi col mio battaglione a S. Donnino [Borgo S. Donnino, oggi Fidenza] rimanendo un 2 giorni in riposo: quindi partenza per Piacenza per disarmarci e per venire ancora in seno alla famiglia.

Disarmati che fummo, abbiamo preso la via di Milano, Co* mo, Colico, indi a Delebio, arrivando il 10 ottobre, ed ho preso il congedo assoluto nell’anno 1869. Fine della mia vita militare dal 4 Marzo 1858 all’Ottobre 1869.

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