Fabrizio Dionigi Ruffo
Fabrizio Dionigi Ruffo (San Lucido, 16 settembre 1744; † Napoli, 13 dicembre 1827) è stato un cardinale e politico italiano.
Cenni biografici
Nacque nel castello di San Lucido in Calabria Citeriore, diocesi di Cosenza, figlio secondogenito di Litterio Ruffo, duca di Bagnara e Baranello e della seconda moglie, la nobile romana Giustiniana Colonna, principessa di Spinoso e marchesa di Guardia Perticara. Era pronipote del cardinale Tommaso Ruffo e secondo cugino del cardinale Antonio Maria Ruffo. Trasferitosi da giovane a Roma, presso il prozio Tommaso, intraprese la carriera ecclesiastica dal 1748. Compì gli studi al Collegio Clementino per poi passare all’Università La Sapienza dove, il 19 settembre 1767, ottenne il dottorato in utroque iure, completò poi il proprio praticantato in legge presso lo studio degli avvocati Antonio Bucci e Antonio Maria Gasparri, coi quali collaborò per un breve periodo di tempo. Grazie agli appoggi del prozio Tommaso Ruffo Decano del Sacro Collegio) e di papa Pio VI (di cui era stato allievo) divenne dapprima prelato domestico di Sua Santità nel maggio del 1764 e poi entrò nella prelatura romana come referendario dei tribunali della Signatura Apostolica di Grazia e Giustizia nel 1767. Dall’agosto 1775 divenne abate commendatario dell’abbazia di San Filippo d’Argiro, nella diocesi di Gerace e dal gennaio 1781 passò al titolo di chierico della Camera Apostolica. Nel 1785 fu nominato tesoriere generale della stessa Camera Apostolica, carica che ricoprì per più di dieci anni assieme all’incarico di prefetto di Castel Sant’Angelo e commissario delle fortificazioni marittime dello Stato Pontificio. Guadagnandosi la piena fiducia di Pio VI, egli dimostrò notevoli capacità amministrative e si assunse le responsabilità principali della politica di riforma finanziaria, fiscale ed economica voluta dal pontefice. Tra le importanti misure introdotte dal magistrato spicca il provvedimento delle “dogane ai confini di Stato” del 1786. La sua energica politica di riforme incontrò vivace opposizione presso gli elementi curiali più legati alla aristocrazia romana, i quali alla fine ottennero la sua rimozione da tesoriere generale con la nomina a cardinale. Infatti nel 1791 il pontefice lo nominò in pectore cardinale nel concistoro del 26 settembre. La nomina fu resa pubblica nel successivo concistoro del 1794 e il 27 febbraio ricevette la berretta rossa assumendo il titolo di cardinale diacono di Sant’Angelo in Pescheria terminando le sue mansioni presso la Camera Apostolica. Fu membro delle sacre congregazioni per il Buon Governo e delle Acque, in tale veste si occupò dell’amministrazione dei terreni dell’Agro Romano nella quale diede prova di grande spirito di apertura verso le moderne teorie sociali ed economiche. Tra le varie costruzioni da lui patrocinate vi è la bella chiesa del Crocifisso a Fiumicino. Fu anche membro della congregazioni di Loreto e protettore dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola. Nello stesso anno però, amareggiato dall’ostilità crescente nei propri confronti, decise di lasciare Roma e tornare nel Regno di Napoli, ponendosi al servizio di reFerdinando IV di Borbone, che gli dimostrò subito profonda stima, tanto da nominarlo “Soprintendente dei Reali Dominii di Caserta” e della colonia manifatturiera di San Leucio. Ottenne nel contempo anche la commenda dell’abbazia di Santa Sofia di Benevento. Nel dicembre del 1798 re Ferdinando era vinto e incalzato dai Francesi, che egli avrebbe voluto scacciare da Roma. Nel gennaio 1799 il Regno di Napoli cadde e la corte borbonica si rifugiò a Palermo. Due mesi dopo il Ruffo partiva da Palermo per la Calabria, da dove iniziava l’impresa per la riconquista del regno con le forze solo di popolo. Sbarcò in Calabria con sette uomini, senza denaro e senza armi. Nel suo feudo di Scilla e Bagnara organizzò centri di raccolta dei volontari. Schiere di contadini risposero all’appello, fino a raggiungere il numero di 25.000 uomini abili alle armi. Ruffo chiamò il suo esercito “Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo”. La profonda conoscenza che egli aveva dei sentimenti e dei bisogni del popolo, che i rivoluzionari non seppero comprendere e da cui non furono a lor volta compresi, permisero al prelato di riconquistare con quella armata il Regno di Napoli. Giunto a Napoli, desiderava di avere presto la resa dei castelli per mettere termine alla lotta civile che infuriava. Fra tanto sangue versato il Ruffo non cercò vendetta, ma con mente politica pensò alla restaurazione della monarchia, come opera di ricostruzione. Egli iniziò delle trattative volte a sottoscrivere una capitolazione prima che arrivassero espliciti ordini contrari, concesse ai giacobini di optare per la fuga, imbarcandosi o seguendo le guarnigioni francesi, che avevano già abbandonato la città. Il 24 giugno l’ammiraglio Nelson giunse in rada. Il giorno dopo, quando i primi giacobini stavano già aspettando il momento di imbarcarsi, l’ammiraglio inglese fece sapere al cardinale che non avrebbe accettato la resa stipulata. Con l’inganno il cardinale Ruffo fu raggirato e di fatto il comando delle operazioni fu preso da ufficiali inglesi, che decisero la sorte dei prigionieri napoletani, con processi sommari e varie esecuzioni. Dopo la conquista di Napoli, il Ruffo aveva deciso di inviare delle compagnie, con a capo il generale Gian Battista Rodio, nella Repubblica romana. Fu il primo atto dell’invasione dello stato repubblicano. Il cardinale non riuscì a imporre una politica di moderazione al re e approfittò del conclave indetto a Venezia per lasciare Napoli nell’ottobre del 1799. Dopo il primo restauro del governo pontificio, il neoeletto pontefice Pio VII il 9 luglio1800 lo nominò membro della Congregazione per il ristabilimento del precedente sistema di governo e il 11 agosto optò per la diaconia di Santa Maria in Cosmedin. Nel 1801, dopo aver dimissionato da vicario generale del re di Napoli, fu per breve tempo il ministro di Napoli a Roma. Tornò a Napoli nel settembre 1805. Seguito della nuova invasione francese nel gennaio 1806 e l’occupazione del regno di Napoli, si rifugiò ad Amelia. Fu incluso nella lista degli esiliati e le sue proprietà confiscate dal nuovo regime. Raggiunse quindi il re Ferdinando IV e la sua corte a Palermo. Da questi fu inviato a Parigi come ambasciatore. Partecipò con altri undici cardinali al secondo matrimonio tra l’imperatore francese e l’arciduchessa Maria Luisa d’Austria il 2 aprile1810. Per questo è ricordato come uno dei “cardinali rossi”[1], ovvero coloro che non vennero puniti dall’imperatore e ai quali venne concesso di continuare a vestire l’abito rosso cardinalizio. Stimato da Bonaparte, fece parte di una commissione di cardinali, con Aurelio Roverella e Giuseppe Maria Doria Pamphilj designata dall’imperatore per comporre un breve che riportasse i decreti del Concilio di Parigi tenutosi il 20 settembre1811, da far sottoscrivere da Pio VII in prigionia a Savona. Per la sua disponibilità fu insignito dall’imperatore della gran croce della Legion d’Onore. Rientrò a Roma nel maggio 1814. Fu ricevuto con tiepidezza negli ambienti curiali e decise di tornare a Napoli. Non perse la stima presso il papa che lo rivolle a Roma e lo nominò soprintendente dell’Annona e Grascia nel 1815. Nel 1817 divenne Gran Priore del Sovrano Ordine di Malta per lo Stato Pontificio. Fu camerlengo del Sacro Collegio dei Cardinali nell’anno 1819-1820. Nel 1821 fu nominato prefetto della Congregazione delle Acque, Pontine Paludi e Chiane. Ancora in quell’anno essendo divenuto cardinale protodiacono, optò per la diaconia di santa Maria in Via Lata. Nel marzo del 1821 fece ritorno a Napoli che era funestata da rivolte contro le truppe austriache occupanti. Durante le turbolenze dei moti carbonari, venne nominato dal re di Napoli quale membro del consiglio del governo provvisorio e rimase poi quale consigliere del sovrano anche dopo la restaurazione del pieno potere borbonico. Nell’agosto del 1823 prese parte al conclave che elesse Leone XII e sul finire di quello stesso anno tornò nuovamente a Napoli. Morì a Napoli il 13 dicembre1827 e venne sepolto nella cappella della sua famiglia, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, nella basilica di San Domenico Maggiore a Napoli.
fonte