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Ferdinando II e la festa di Piedigrotta

Posted by on Nov 20, 2021

Ferdinando II e la festa di Piedigrotta

Il titolo del nostro studio è fortemente riduttivo, altrettanto però non può dirsi del suo sviluppo. Non si può comprendere, infatti, il ruolo di Ferdinando II nella festa di Piedigrotta se non si inquadra la problematica nell’ambito di quell’edificio storico che fu la Nazione Napoletana, a far data dalle sue origini.

Ferdinando II fu il prodotto dei sovrani e delle dinastie che regnarono su Napoli. Egli incarnò la tradizione e difese scrupolosamente il retaggio ricevuto dall’eredità storica. Se non si evidenziano questi fatti non si comprende la peculiarità del regno napoletano. Di qui l’esigenza di partire da antiche ragioni storiche per comprendere ogni tempo presente.

 1. Introduzione

La storia del Mezzogiorno d’Italia vanta il primato di una formazione politica, sociale e morale che si può far risalire all’era precristiana. Nell’anno 90 a.C. tutti i popoli dell’Italia meridionale si associarono in una confederazione che chiamarono Italia, con capitale Corfinio, antica città del Sannio, per combattere Roma, la quale rifiutava loro la cittadinanza e quindi la partecipazione alle cariche di governo. La guerra durò dal 90 all’88: gli italici furono sconfitti ma Roma concesse egualmente a tutti loro la cittadinanza.1

Nei secoli successivi si andò formando il quadro istituzionale come è giunto a noi fino alla metà del XIX secolo. Il ducato longobardo di Benevento, che salvò la Puglia e parte della Calabria dall’egemonia bizantina, fu all’origine del nuovo assetto, anche se il perfezionamento del processo formativo dello Stato meridionale giunse con Ruggero I il Normanno che nel 1130 divenne Sovrano.

Con Ruggero iniziò a vivere una monarchia vigorosa e civile. Egli costruì quel monumento legislativo che furono le Constitutiones Regni Siculi dalle quali fu ravvivato il principio romano dell’autorità del Principe come espressione dell’unità dello Stato. Unità ravvivata dalle idee cristiane che pregnarono tutta la successiva legislazione. Ne fu testimone la grande influenza che il trattato De Regimine Principis ebbe sui primi giureconsulti napoletani i quali considerarono l’autorità e le regalie conferite al Principe non per altro che per il bene del popolo.2

Pertanto la formazione civile e religiosa dell’Italia meridionale fu determinata dall’azione regale che recepì negli ordinamenti dello Stato la parola mitigatice del Vangelo attraverso norme di diritto canonico. Conseguentemente la storia civile del Sud divenne storia religiosa del popolo napoletano. Storia in cui avrebbe sempre trovato particolare spazio una grande devozione mariana. Le vicende che ruotano attorno al Santuario della Madonna di Piedigrotta, sin dalla sua origine, costituiscono la testimonianza dello strettissimo rapporto che è esistito, sino allo scorso secolo, tra la storia civile e la storia religiosa della nazione napoletana.

In questa sede vogliamo parlare della devozione, delle sue vicende, dell’apoteosi che conobbe sotto il regno di Ferdinando II di Borbone per dimostrare che: a) nelle vicende storiche del popolo napoletano vi fu per secoli una continuità sostanziale frutto di una identità nazionale consolidata, pur sotto dinastie differenti; b) il processo risorgimentale colpì e cancellò la fusione della società civile con la società religiosa.

2. Le origini della chiesa e della devozione

Sin dall’età romana a tre miglia fuori Napoli, sotto la verdeggiante collina di Posillipo, esisteva la località già nota con il nome di piè di grotta per un basso passaggio, lungo circa 700 metri, che univa la spiaggia di Mergellina alla zona di Pozzuoli.3

Qui sorgeva una cappella dedicata a S. Maria dell’Itria ed era luogo di diffusa devozione dei locali marinai verso la Madonna che schiaccia il serpente. La Chiesa, tuttavia, dovette subire delle trasformazioni, come si apprende dalle prime notizie documentate sull’esistenza di una chiesa organizzata a Piedigrotta che risalgono agli inizi del XIII secolo. Si legge infatti che Anselmo, arcivescovo di Napoli, nel 1207, trasferendo le reliquie dei santi Giuliana e Massimo da Cuma a Napoli le depositò per una notte nella Chiesa di S. Maria di Piedigrotta.4 Provando con ciò l’esistenza della Chiesa anteriormente a quella data, con un clero residente. Tuttavia il santuario vero e proprio, come a noi è oggi giunto, fu costruito in seguito all’apparizione in sogno della Vergine Maria a tre distinte persone del luogo la notte dell’8 settembre 1353, giorno tradizionalmente consacrato alla nascita della Madonna. La prima persona che ricevette la visione fu un monaco di nome Benedetto che abitava alla porta di Chiaia. La seconda persona fu un eremita di nome Pietro, il quale viveva in orazione perenne in una cappelletta sopra l’antro di Piedigrotta. La terza persona fu la monaca Maria di Durazzo, del monastero all’epoca situato nel pressi di Castel dell’Ovo. Alle tre pie persone la Vergine Maria rivelò il luogo in cui era seppellita una sua immagine in precedenza situata nella cappella andata sotterrata a causa delle continue pioggie.5 La Vergine chiese che in quel luogo venisse costruita una chiesa in suo onore. Sparsasi la notizia dei simultanei sogni, il popolo napoletano offrì tante elemosine che si pensò di poter costruire prontamente il santuario. Scavando le fondamenta fu effettivamente ritrovata una statua lignea della gran madre di Dio nell’atto di sedere. Ancora oggi essa è ritenuta una delle più antiche immagini della Madonna con il bambino venerate nella nostra Capitale, potendola ammirare sull’altare del Santuario.6 Ai pochi devoti dei luogo si unirono tutti gli abitanti della Capitale e nel giro di poco tempo il santuario divenne celebre in tutto il Regno, al punto che già nel 1358 il Petrarca, che si trovava a Napoli, egistra una grande affluenza giornaliera di popolo e marinai.

3. La festa nei secoli

Per secoli Piedigrotta è stata considerata la festa classica del popolo napoletano, la più caratteristica tra i suoi usi, la più felice tra le sue espressioni. Radicata nel cuore dei napoletani essa ha ricevuto varie definizioni, tutte altamente significative. “Festa d’amore”, “letizia di tutto un popolo”, “sorriso di Dio”. Espressioni figurate dei molteplici aspetti che essa assumeva: da quello campestre a quello sacro, da quello militare a quello civile.

Piedigrotta nasce come festa di popolo nel Seicento, anche se il massimo splendore lo raggiungerà in epoca successive con la monarchia nazionale di Casa Borbone. Nel Seicento nasce la festa e con essa la pia pratica dei nove sabati di S. Maria di Piedigrotta. In questo periodo una gran folla accorreva da lontano per onorare la Vergine. Molti giungevano a piedi scalzi e, scrive il Capaccio, ritornavano dal tempio verso le proprie case ancora a piedi continuando a cantare le lodi a Mafia. Nei primi tempi la festa si celebrò nella grotta, alla luce delle fiaccole. In quel luogo si cantava, si mangiava e si ballava per tutta la notte. La gente che si recava a Piedigrotta quando si fermava danzava la tarantella trasferendo la gioia del viaggio agli occasionali spettatori e molti si lasciavano trascinare in questo viaggio di gioia e di devozione. Il sacro si mescolava al profano in una completa trasfigurazione costituita dalla Festa. Devote donne giungevano dall’isola di Procida su feluche e trabiccoli, altre ne venivano dall’isola di Ischia e da quella di Capri. Giungevano le donne di Sorrento nei loro caratteristici costumi. Ad esse si accodavano le popolazioni montanare dell’appennino irpino e dauno.

Prima che l’autunno iniziasse ad offrire i suoi frutti, le popolazioni napoletane si recavano a Piedigrotta, alla festa del popolo e del Re, alla sagra delle canzoni, per assistere alla spettacolarità delle luminarie, dei fuochi, per cantare un inno di gioia.

Gaetano Nobile, descrivendo la città di Napoli nel momento in cui la Napoletanità iniziava a scomparire, sostenne che la festa della Vergine di Piedigrotta era la prima delle feste popolari di Napoli.7 Secondo il Nobile la popolarità della festa scaturiva dalla particolare devozione alla Vergine miracolosa di donne desiderose di accasarsi ed avere figli; di madri che attendevano il ritorno a casa dei loro figli partiti per la pesca in mare; degli stessi marinai che ringraziavano la Madonna per gli scampati pericoli; di tutti coloro che avevano un voto da sciogliere. La festa di Piedigrotta diventava, perciò, il motivo ricorrente per ricordare le ansie provate nell’attesa che la grazia venisse esaudita e quindi per esprimere un ringraziamento liberatorio. Ma Piedigrotta divenne anche altro. Nel corso dei secoli essa svolse la funzione di ricordare e di ricapitolare la vita sociale del popolo napoletano. Nel giorno della Festa il popolo manifestava con orgoglio la sua appartenenza ad una identità precisa: la Nazione Napoletana; in quel giorno esaltava la sua resistenza alle fatiche del vivere quotidiano; in quel giorno cancellava le tribolazioni sofferte nel cammino di un intero anno. Il popolo, in quel giorno, rinnovava il legame con la Tradizione riesumando il ricordo della sua origine, riesumando le costumanze degli antenati; riesumando l’orgoglio e la fierezza di appartenere a quella razza. L’enorme afflusso di popolo, aumentato nel tempo, attraverso i secoli, ne è stata una lampante riprova.

Uno spettatore tedesco della prima metà dello scorso secolo, Karl August Mayer, ha lasciato un libro di memorie del suo soggiorno a Napoli, parzialmente tradotto in lingua italiana da Lidia Croce. A proposito di Piedigrotta egli percepì l’intima essenza della festa attraverso la partecipazione del popolo. L’autore restò stupito del movimento di gente che confluiva, sin dai giorni immediatamente precedenti, verso la città. La Capitale si movimentava all’improvviso di gente venuta da fuori. Gente chiassosa avanzava cantando con indosso variopinti costumi. “Ma per quanto si sfoghino liberamente, egli scriveva, non fanno cattivo uso della loro libertà, e non è necessario nessun intervento della polizia”.8 Un’altra cronaca dello stesso periodo conferma il pensiero del tedesco Mayer. E’ di Francesco Mastriani che afferma: “Da tutt’i più remoti quartieri della Capitale e da tutti i punti del Regno si conducono i fedeli a visitare il santuario di Piedigrotta; non vi ha provincia remota che sia che non mandi il suo contingente, sicché, molti giorni innanzi della festività, vedi arrivare in questa Capitale immenso stuolo di ospiti novelli di ogni ceto, e massime degli uomini di campagna, i quali abbandonano per poco i loro campestri lavori e con le loro famigliuole si recano in Napoli a godere di quella festa civile, militare e religiosa unica al mondo. E diciamo unica al mondo, perché in verità non sappiamo di altra che riunisca tutti gli elementi sociali in una sì bella manifestazione di ossequio alla Religione …. I padri han narrato a’ loro pargoletti figliuoli la bellezza, lo splendore, la solennità del dì otto settembre, e i figliuoli sospiravano il momento di trovarsi spettatori della più memorabile delle feste Napolitane. Per tal guisa nelle famiglie è caro il ricordo, son vive le immagini che per tradizioni si tramandano di questa giornata”.9

Fu in questo clima di allegria e gioia che nacque nel 1835 la Piedigrotta canora e da essa presero il volo le più belle melodie della canzone napoletana, come quella di don Raffaele Sacco, rapidamente diffusasi in tutto il regno, il cui ritornello recitava: “io te voglio bene assai e tu nun pienze a mme! “.

4. La devozione regale.

Piedigrotta fu festa di popolo. Lo abbiamo già sottolineato. Per comprenderne l’essenza occorre aggiungere che Piedigrotta fu, prima di tutto e sempre, per lo meno sinché visse l’identità Napoletana, festa di Re con segni, costanti nel tempo, di grande devozione che legarono il Santuario agli eventi significativi del tempo. Per gli Angioini prima, i Durazzeschi successivamente e per gli Aragonesi poi, Piedigrotta rappresentò il simbolo religioso della dinastia. La visita regale più antica risale al regno di Giovanna I e Andrea d’Ungheria. La regina Giovanna, nel 1343, fissò particolari sussidi per i poveri che durante la festa di Piedigrotta fossero accorsi lungo la strada per ammirare il suo regale consorte che si recava a cavallo ad omaggiare la Madonna. La regina Margherita, moglie di Carlo III di Durazzo, venuta a sapere che suo marito, contrariamente alle prime notizie, non era morto, si recò scalza, di notte, con una torcia in mano, alla chiesa di Piedigrotta l’8 febbraio 1386, seguita dall’intero popolo di Napoli, per ringraziare la Vergine Santissima. Re Alfonso d’Aragona sin dal 1452 iniziò, a sue spese, il restauro della Chiesa e dei locali destinati ad accogliere i religiosi di Piedigrotta. Il successore, Re Ferrante I, non fu da meno. Intervenne ogni anno alla festa di settembre come aveva fatto quando era duca di Calabria e, nel 1493, cedette la Chiesa restaurata ai Canonici Lateranensi, chiamati a Piedigrotta dal suo regale genitore. Don Giovanni d’Austria, il giovane fratello di Filippo II, che il Papa S. Pio V aveva nominato comandante della flotta allestita dalle potenze cattoliche per combattere i turchi, ricevette il bastone di comando mentre si trovava a Napoli e si recò in pellegrinaggio a Piedigrotta per chiedere alla Vergine Maria la protezione nella difficile guerra contro i turchi. Egli sconfisse la flotta islamica a Lepanto nel 1571 e certamente alla sua vittoria contribuì, oltre al rosario di S. Pio V, come ricorda un canto contro-rivoluzionario, anche la protezione della Vergine di Piedigrotta.

Gli Angioini, i Durazzeschi, gli Aragonesi organizzarono spettacolari cavalcate verso Santa Maria di Piedigrotta. I nobili del tempo ed il popolo tutto, per spirito di emulazione ma anche per convincimento, seguirono sempre i cortei regali e testimoniano l’esistenza., già da quell’epoca, di una festa di Piedigrotta che aveva assunte le proporzioni di una vasta saga popolare.

In questo contesto nasce lentamente un’altra peculiarità della festa. Le visite regali, puntualmente ripetute ogni anno, anche nei cambi di dinastia, resero tradizionale il fasto dei cortei, che assumevano una grande solennità per l’apparato militare destinato a scortare i reali protagonisti del pellegrinaggio. Così nacque la parata, della quale approfondiremo gli aspetti generali.

Per tutto il Seicento i Vicerè spagnoli intervennero puntualmente ogni anno alla festa di Piedigrotta. Vi presero parte ufficialmente, con tutta la corte, segno che dimostra il recepimento nell’azione pubblica della tradizione precedente. Celebre fu la visita della regina di Spagna Maria d’Austria, ospite a Napoli nel 1630. Ed anche nel breve periodo del viceregno austriaco la tradizione non fu interrotta. Come nella scelta delle fonti giurisprudenziali, così nella pratica religiosa, nonostante i cambi dinastici, il popolo del regno di Napoli non conobbe fratture nelle convinzioni a lui più care.

La grande festa di Piedigrotta, tuttavia, doveva giungere al massimo splendore con il primo re Borbone, Carlo, venuto dalle Spagne, per fondare una dinastia divenuta a tutti gli effetti napoletana. La vittoria di Velletri contro i tedeschi guidati dal principe Lobkowitz, consolidò il suo nuovo regno. L’8 settembre, giorno in cui il nemico si era ritirato, fu proclamato dal Re giorno di festa nazionale e, al tempo stesso, festa dell’esercito per cui la parata divenne l’attrazione della solennità.10 G. Porcaro, attingendo alla relazione di una Consulta di guerra e di Casa Reale illustra la Piedigrotta del 1777, anno particolarmente felice per Napoli avendo segnata la nascita dell’erede di Ferdinando IV, Francesco I. A mezzanotte in punto dell’8 settembre il fuochista del Re aprì la gara pirotecnica con l’accensione di una spettacolare ruota a forma di mulino a vento e cinque capiruota, cui seguirono quattro girandole a bandiera, due mappamondi nel quali il fuoco girava per dodici versi, una stella dell’altezza di 17 palmi con un tombolo interno il cui fuoco girava dentro e fuori, sette fontanoni di folgori e per ultimo una bomba che scoppiò ben due volte in aria con un fracasso ed una luce che illuminò a giorno il golfo. Alle meraviglie prodotte dal fuochista dei Re seguirono i pirabolisti appaltati che lanciarono all’assalto di quella festosa notte le loro granate con una bravura unanimamente riconosciuta. Le granate si schiudevano come ombrelli d’oro e da essi uscivano lampioncini rossi, gialli, celesti argentei che discendevano piano, lentamente, come fili di bambagia.11Ferdinando IV fu devoto alla Madonna di Piedigrotta come suo padre, Carlo. Egli si recò annualmente alla Festa con la stessa berlina che aveva accompagnato suo padre e fece qualcosa di più. Aprì la bellissima villa Reale, riservata alla Corte, stabilendo che essa, ogni anno, fosse aperta al popolo in occasione della festa di Piedigrotta affinché i Napoletani potessero visitarla, trovandovi buona ospitalità i pellegrini che giungevano con i loro carri da tutte le parti del regno12. Tra il 1818 ed il 1824 Ferdinando, divenuto in seguito al Congresso di Vienna, I, fece eseguire dal Gigante degli affreschi alla volta della Chiesa. Altri lavori fece eseguire suo figlio Francesco I e suo nipote Ferdinando II di cui fra poco parleremo. Francesco II, ultimo sovrano napoletano. fece in tempo a recarsi ufficialmente a Piedigrotta per la festa dell’8 settembre 1859, nella sua nuova veste regale, nonostante il fresco lutto per la morte dell’Augusto Genitore. Dopo di che non più re a Piedigrotta. L’Italia che nasceva usciva dal solco della tradizione cattolica verso la quale tutti i sovrani napoletani avevano manifestata profonda devozione e per Piedigrotta giunse il tempo del tramonto.

5. La parata militare

Una coreografia “naturale” che rese celebre la festa di Piedigrotta fu la parata militare la cui forma perfetta fu raggiunta con Ferdinando II. Eliminata la parata Piedigrotta decadde. Essa era nata lentamente e non si può stabilire con esattezza una data di origine. Ha pertanto ragione Franco Mancini quando scrive: “non fu, comunque, una comparsa improvvisa ma il frutto di una lenta evoluzione, le cui tappe vengono abbastanza puntualmente scandite nelle cronache del tempo”.13

Tappe che possiamo provare ad indicare a sommariamente.

Il primo significativo evento che determinò la nascita di qualcosa di molto vicino alla parata fu l’assedio di Napoli del 1528. L’episodio, che si inseriva nella guerra tra Carlo V e Francesco I, coincise con l’epidemia di peste che decimò la città e che al tempo stesso indusse il generale francese Odetto di Foix, conte di Lautrec, a trincerarsi sulla collina di Capodimonte bersagliando con le artiglierie la città che temeva il ripetersi delle atrocità accadute con il sacco di Roma. Il conte di Lautrec, colpito dall’epidemia, morì il 15 agosto ed i napoletani, incoraggiati dall’episodio, resistettero all’assedio. I francesi, perso il comandante, dovettero chiedere una tregua. Era l’8 settembre. Gli antichi cronisti, notando la coincidenza della data, attribuirono all’intercessione di Maria la liberazione. I difensori di Napoli si recarono in armi verso la Chiesa a ringraziare solennemente la Vergine di Piedigrotta per lo scampato pericolo.

Il Capaccio ricorda una tradizione seicentesca che venne successivamente a far parte della parata. Ogni nave da guerra che entrava o usciva dal porto, nel passare davanti a Mergellina, usava salutare Santa Maria con alcuni colpi di cannone. Nel 1674 alcuni squadroni di cavalleria e fanteria fanno l’apparizione ufficiale nella coreografia della festa. Essi compaiono per accompagnare la carrozza del vicerè don Antonio Alvarez, marchese di Astorga. Si comincia a parlare di una “parata vicereale”. Ne fa cenno il Confuorto descrivendo la festa del 1688 che vede nuovamente la presenza di squadroni di cavalleria e fanteria alla festa.14

Tuttavia la perfezione fu raggiunta con Carlo di Borbone. Che cosa fu dunque la parata nella storia di Piedigrotta? Il Porcaro ne ha parlato come di un capitolo eminentemente folcloristico e pittorico. Riteniamo che essa fu qualcosa di più dell’esteriorità coreografica richiamata dal Porcaro. A nostro modo di vedere e pensare, la parata rappresentò la solennità dello Stato cattolico, nell’atto di inchinarsi alla sua grande Regina, Maria Vergine. Per inciso ricordiamo che nel Cinquecento tutti gli stati cattolici nella bandiera militare da guerra avevano raffigurata la Vergine Maria. Era Lei a proteggere la vita dei popoli in armi. Era a Lei che ci si affidava. A Napoli, nel giorno in cui tutto il popolo accorreva a Piedigrotta, a piedi sca1zi con i vestiti più belli, con carri ricchi di finiture e cavalli bardati elegantemente, lo Stato voleva dimostrare di condividere la gioia della festa. Lo stato vi si recava con i suoi soldati, dalle divise sgargianti e colorate, con le fanfare che contribuivano a costruire il motivo della festa, per affermare la solennità della cerimonia. L’armata si allineava austera, solenne, marzialmente disciplinata, impregnata di un fasto che nel corso degli anni divenne rituale. Il popolo era colpito e conquistato da tanta magnificenza che faceva affiorare un sentimento di orgoglio e di piena identificazione con la Nazione. “Cocchi sontuosi, carrozze padronali, mastodontici char- à-bancs pienissimi di gente festante, balconi addobbati e gremiti di dame incipriate, imbrillantate e bellissime, la marzialità alta e austera negli atteggiamenti e nei volti dei soldati e degli ufficiali partecipanti alla parata era uno spettacolo tale cui il popolo napoletano non sapeva e non voleva sottrarsi”15. Dopo la vittoria di Velletri (1744) Carlo di Borbone proclamò il giorno dell’otto settembre festa nazionale e festa dell’esercito e questa ragione spiega perché la parata divenne il motivo centrale della solennità nel pellegrinaggio reale.

Essa iniziava dalla chiesa di S. Maria della Vittoria, nell’omonima piazza, e terminava alla chiesa di Piedigrotta. Alla sua testa vi era la Generalità dell’esercito reale e tutti gli ufficiali di rango a cavallo. All’ora stabilita compariva il Re su di una carrozza scortata da 8 cavalli. Questa era seguita da altre carrozze, dette di rispetto, in cui prendeva posto la corte. L’atmosfera era solenne ed allegra. Carlo di Borbone giungeva davanti alla chiesa di Piedigrotta accolto dalle autorità civili e religiose. Sostava in preghiera davanti all’immagine della Madonna e quindi ritornava al palazzo reale con le modalità dell’arrivo16.

Ferdinando IV, succeduto a suo padre, si recò puntualmente alla festa di Piedigrotta nel giorno canonico, con la berlina di Carlo. Col secondo re borbonico la parata si modifica. Dalla mattina sino a mezzogiorno diversi reggimenti di fanteria e cavalleria, unitamente ai rispettivi treni di artiglieria con i cannoni da campagna e da montagna, tutti in sgargianti, marziali e galanti uniformi, sfilano davanti al palazzo reale. Quindi si dirigono verso la riviera di Chiaia. I reggimenti vengono schierati in forma di battaglia con una linea composta di più righe di soldati, con agli estremi i corpi di cavalleria e negli intermedi tutto il treno di artiglieria. I Vascelli in rada., lungo la riviera, alzano le bandiere. Parte il corteo reale. Giungono il Re e la Regina seguiti dai principi reali e dal governo17. Francesco I, succeduto a suo padre Ferdinando, rafforza la magnificenza della parata. Le truppe sfilano sin dal mattino davanti al palazzo reale. Il Re è presente alla cerimonia. Con lui vi sono il principe ereditario, duca di Calabria, la Regina ed i più illustri personaggi della corte. Le truppe si vanno a schierare lungo la riviera di Chiaia occupando, divise in due file, i due lati della strada da palazzo Satriano alla Chiesa della Vergine di Piedigrotta. Il largo davanti alla porta della chiesa veniva contemporaneamente riempito da un battaglione di granatieri della guardia reale. Il Cappellano maggiore porge ai Sovrani l’acqua benedetta. Con L’ingresso del Re in chiesa ha inizio la funzione che si conclude alla benedizione con il Santissimo. Il Re fa ritorno a palazzo reale mentre le truppe sfilano in direzione dei loro quartieri.

Con Ferdinando II, che successe a suo padre Francesco I, le parate assunsero la magnificenza massima ed i cronisti esteri che ebbero la fortuna di assistervi ne hanno scritto in termini celebrativi. Il tedesco K. A. Mayer, che assistette ad una parata, ci ha lasciato il seguente ricordo: “Al mattino della festa risuonano tutte le campane della città, e tutti si riversano verso la chiesa a Posillipo, per offrire alla regina delle Madonne la dovuta venerazione. Nel pomeriggio le truppe che sono a Napoli passano sfilando davanti al palazzo reale: il re insieme ad altri alti personaggi sta sull’altana. Il loro numero ammonta a dodicimila. Essi, per il contegno militaresco, le belle uniformi e il bell’aspetto, sono effettivamente uno splendido colpo d’occhio. Questo vale particolarmente per le guardie e gli svizzeri. Cori musicali si susseguono sulla piazza reale e accompagnano la loro marcia con le più svariate melodie. Vi è un guazzabuglio di musiche e di truppe. Tu vedi le guardie in uniforme color rosso scuro con berrettoni di pelle d’orso, piccoli tiratori in verde, la cui patria è la selvaggia Calabria; grandi e biondi svizzeri, magri e bruni siciliani, tarchiati marinai con risvolti gialli sul petto, corazzieri con un’armatura d’oro lucente, ulani con calzoni rossi, ussari la cui giubba è guarnita di lacci bianchi, e come altro si chiama la variopinta gente d’arme. In questa occasione compaiono anche ottomila uomini della bella guardia nazionale, il cui capo è il principe Leopoldo, onde complessivamente il numero delle truppe ammonta a ventimila. Terminata la parata, le truppe si dispongono dal palazzo fino a Santa Maria di Piedigrotta, per la lunghezza di circa una mezz’ora di strada, ai due lati della strada, e così a destra e a sinistra si forma tra l’innume folla di popolo incalzante, una triplice spalliera, che il re e la corte attraversano, per andare alla chiesa, in carrozza. Al tempo stesso l’armata navale con mille piccoli stendardi si avvicina agli ormeggi a Posillipo. Tuonano i cannoni dei cinque castelli, risponde l’artiglieria navale, e la processione si mette in moto, lungo il mare, tra case le cui finestre, balconi e tetti, brulicano di uomini. Appare prima uno squadrone delle guardie nobili, giovani napoletani di case nobili e ricche che cavalcano i più scelti cavalli; poi segue un compartimento di alabardieri a piedi, una truppa, a cui è affidata la guardia dei castelli, poi come richiede l’etichetta spagnuola, che è passata a Napoli dalla Spagna, la carrozza reale da gala e da cerimonia che è tutta ricoperta di piastre d’oro, una strana scatola con dietro in piedi i domestici e nessuno dentro; poi otto carrozze a sei cavalli con ciambellani in abiti trapunti d’oro, poi, attorniati da venti alfieri, in una sontuosa carrozza, tirata da otto cavalli di razza, le due maestà in grandissima gala. La pallida, bella regina porta una piccola corona d’oro, la sua chioma è trapunta da diamanti. Alla carrozza reale seguono due compagnie della guardia del corpo e della guardia nobile, poi vengono ancora dodici carrozze a sei cavalli coi fratelli e lo zio del re. e col seguito della casa reale. Uno squadrone di guardie d’onore chiude il corteo. Gli alti personaggi scendono davanti alla chiesa, viene rivolta la tradizionale, breve preghiera di ringraziamento, e si ritorna indietro. Questo accade solo di notte, sebbene il corteo abbia avuto inizio alle cinque; tanto lentamente esso si muove” 18.

Francesco II appena salito al trono fece in tempo a recarsi alla Madonna di Piedigrotta nell’ambito della tradizionale parata, festa nella festa. La corte era in lutto per la recente morte di Ferdinando II. L’occasione di Piedigrotta diede l’opportunità al giovane Re di mostrarsi in pubblico, ufficialmente, per la prima volta. All’ora consueta del giorno 8, in una Capitale gremita di forestieri giunti dalle provincie più lontane per la Festa, circa 45.000 soldati sfilarono sotto i balconi della reggia. I Sovrani ed i principi di sangue resero omaggio ai soldati, affacciati al balcone della reggia. Poi, giù per via Gigante, Santa Lucia, la Riviera, sino alla storica grotta, i soldati si distesero su due file, trattenendo a stento i curiosi. Da forte S. Elmo partì un colpo di cannone. Era il segnale che dalla reggia stava uscendo il corteo reale aperto da otto carrozze con i gentiluomini di camera nelle divise varie di seta ed oro19. Con la fine del regno non vi furono più parate. Dalle provincie del cessato regno non accorsero più i pellegrini, come un tempo, perché a Napoli non vi era più il Re e Napoli stessa non era più la capitale.

Piedigrotta restò una festa religiosa ingoiata da un folclore privo di senso. Ma un nostalgico ricordo della parata sopravvisse nelle marziali trombette di latta e nei tradizionali elmi chiodati di carta velina con i quali i bambini scimmiottarono, alla festa di Piedigrotta, i soldati del re napoletano.

6 Ferdinando II e Piedigrotta

La festa onomastica di Ferdinando II è per noi l’occasione annuale di mettere a fuoco alcuni aspetti della sua poliedrica figura, ancora oggi poco e negativamente conosciuta. Il rapporto che Ferdinando II ebbe con Piedigrotta fu inquadrato nella solennità della parata, nell’ufficialità della cerimonia, che vedeva lo Stato inchinarsi pubblicamente al piedi della Vergine Maria nel giorno anniversario della sua nascita. Sarebbe pertanto più logico parlare della festa di Piedigrotta nell’età ferdinandea per comprendere a pieno il ruolo del grande re napoletano anche se la personalità dirompente dei sovrano ci obbliga a tratteggiare ancora una volta un suo profilo personalissimo per l’amenità di alcuni aneddoti che lo legarono a Piedigrotta.

Durante il regno di Ferdinando II (1830-1859) cadde il quinto centenario del ritrovamento miracoloso della statua lignea e della fondazione della chiesa di Piedigrotta (1853). La sua persona risulta legata inevitabilmente all’anniversario ed ai festeggiamenti che per l’occasione si tennero. Egli volle che la piazza antistante la chiesa, divenuta il punto di sbocco del nuovo corso Maria Teresa, fosse ripulita di tutte le fatiscenti strutture laterali ed illuminata da una corona di grandi candelabri a gas. Provvide, a sue spese, al restauro generale della Chiesa, pavimentando in marmo le strutture interna ed esterna. Del resto è notorio che Ferdinando II pur parsimonioso, non lesinò mai aiuti quando si trattò del decoro della santa religione.

Per le celebrazioni del V centenario sono restati famosi due aneddoti. Li vogliamo ricordare e con essi concludere la nostra esplorazione su Piedigrotta perché rappresentano benissimo la mentalità del nostro Ferdinando II.

Il Re volle che tutta la truppa residente in Napoli partecipasse alla solenne processione svoltasi alla fine di agosto dei 1853. Volle soltanto due bande musicali, quella della Guardia Reale e quella dei Carabinieri, osservando che se fossero state di più avrebbero distratto i fedeli. Quando il priore del santuario, don Luigi Maria Tibet, chiese al Re un plotone di Guardie dei Corpo per collocarle metà prima e metà dopo il lungo corteo, il Sovrano, un po’ contrariato, rispose: “Patre e priò, le guardiaccorpe servono sulo ppò rré”. Il priore fece osservare che esse servivano per scortare il corteo in onore della Madonna, Regina delle regine, ed il Re convinto dall’argomentazione alzò una mano in segno di resa, piegò il capo in segno di consenso e concesse le guardie del corpo20. La processione ebbe luogo il 29 agosto. Percorse la riviera di Chiaia, la strada omonima, Piazza Carolina, Piazza S. Francesco di Paola e discese per il Gigante, S. Lucia e Riviera, rientrando a Piedigrotta. Il Re, con l’intera famiglia reale, stette fermo sino alla fine, affacciato all’ultimo balcone della reggia, ad attendere il passaggio della processione, durata parecchie ore. L’altro aneddoto riguarda la tradizionale visita dell’otto settembre al santuario. Finita la S. Messa, ossequiando il priore Tibet, il Re disse: Priò, prosit dò centenario”. Il priore, caduto in una banale retorica, rispose: “Maestà, auguriamoci di vedere anche l’altro” sentendosi replicare: “Priò, chisto mo è troppo. Cuntentammoce ‘e chisto!”21.

7. Conclusioni

Inevitabilmente abbiamo finito per fare una piccola storia di Piedigrotta. E’ stato inevitabile perché intendevamo far comprendere lo spirito che era alla base della Festa: spirito che si inseriva nella vita della Nazione Napoletana.E’ vero che abbiamo fatta una piccola storia di Piedigrotta; eppure non abbiamo parlato della visita che il santo padre Pio IX vi fece dopo il soggiorno a Gaeta, ospite di Ferdinando II. Non abbiamo descritta nei dettagli la parata svoltasi per il V centenario, nel 1853, che vide prendervi parte, tra le formazioni militari, anche il collegio della Nunziatella. Abbiamo tralasciato tante cose. Ma pensiamo di aver detto l’essenziale per sostenere che Piedigrotta fu uno degli elementi, magari di tipo esteriore, per la Festa, che cementarono spiritualmente la Nazione Napoletana. E non a caso tutte le volte che il regno fu occupato Piedigrotta decadde. Avvenne nel 1799 con i giacobini padroni di Napoli. In ogni strada della capitale si innalzarono alberi della libertà ed i credenti dovettero assistere al triste spettacolo di ufficiali e politici repubblicani che ballavano davanti al Santuario con le peggiori donne della zona.

Avvenne dopo il 1806, con il ritorno al potere dei francesi. Essi emanarono la legge dei 1809 relativa alla soppressione generale di tutti gli ordini religiosi. I beni furono incamerati dal demanio e i Lateranensi di Piedigrotta subirono la stessa sorte con l’inevitabile declino della vita del santuario. Soltanto alla caduta di Napoleone, con il ritorno di Ferdinando IV, che divenne I, Piedigrotta ritornò a fiorire con una luce che, in parte, abbiamo descritta. Accadde infine dopo la conquista piemontese. Quando ancora i nostri soldati, asserragliati a Messina e a Civitella del Tronto, combattevano contro l’invasore, i Savoia con un regio decreto soppressero tutti i conventi incamerandone i beni. E convento di Piedigrotta divenne ospedale militare ed i monaci furono dispersi. A Piedigrotta rimase solo l’abate Luigi Maria Tibet, il beneficato di Ferdinando II, al quale il governo lasciò generosamente due stanzette che dovette dividere con un fratello laico. Soltanto la fede eroica di alcuni devoti mantenne in piedi il culto mariano. Ma la Festa, la festa a cui erano soliti accorrere tutti i sudditi delle Due Sicilie era finita per sempre. Cullandoci come in un sogno, però lontani da ogni sentimento di nostalgia retorica o romantica, rievochiamo per un ultimo attimo, nella nostra mente lo splendore ed il fervore della passata Festa, con l’invocazione alla Madonna che i nostri connazionali facevano prima di tornare alle loro contrade:

‘A speranza e ‘a mia fede

L’aggio mise ‘mmano a te.

Tu ‘o vide e tu ‘o saje,

Arremedia a tutte ‘e guaje.

Lettura tenuta a Gaeta il 1996 dall’autore Francesco Maurizio Di Giovine.

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a  Ringrazio per l’aiuto fornitomi nella ricerca della bibliografica gli amici Lorenzo Terzi e Silvio Vitale.

  1. G. Fiorita, Le due ltalie, Dall’Oglio, Milano, 1969, pagg. 6 e seguenti
  2. L. Lombardi, Usi civici nelle provincie napoletane – Tipografia Municipale, Cosenza 1882, ristampa anastatica Edizioni Brenner. Cosenza, 1996, pag. 39
  3. L. M. Loschiavo, Storia di Piedigrotta, s.e., Roma 1974, pp. 11-12
  4. L. M. Loschiavo pag. 1
  5. G. Porcaro, Piedigrotta, Fiorentino, Napoli, 1958, pag. 44
  6. E una scultura in legno, di un solo blocco alto 160 centimetri, dall’austera semplicità.
  7. G. Nobile. Descrizione della città di Napoli e delle sue vicinanze, divisa in XXX giornate. vol. l, Stabilimento tipografico del cav. G. Nobile, Napoli, 1863
  8. K. A. Mayer, Vita popolare a Napoli nell’età romantica, traduz. di Lidia Croce, Laterza, Bari 1948, pag. 285
  9. F. Mastriani , La festa di Piedigrotta, in F. De Boucard. Usi e costumi di Napoli e contorni, vol. 1, Reprints Editoriali, Napoli 1976, pagg. 268-269
  10. Loschiavo, op. cit, pagg. 126-127; V. Gleijeses, Il borgo di Chiaia,     E.S.I., Napoli 1970, pag, 218
  11. G. Porcaro, op. cit, pag. 138
  12. Loschiavo, op. cit, pag. 134
  13. F. Mancini, I luoghi e le feste, pag. 20. in F. Mancini – P. Gargano, Piedigrotta,  A Guida Editore, Napoli, 1991
  14. D. Confurto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1691, a cura di Nicola Nicolini, vol. I, Soc. Nap. di St. Patria  presso Lubrano, Napoli, 1930, pag. 107
  15. G. Porcaro Op. cit., pag. 108
  16. Nel museo di S. Martino, vi sono due quadri che raffigurano la parata svoltasi nel 1747 o 1748, durante il regno di Carlo. Essi  documentano meticolosamente il corteo reale­.
  17. Di una di queste parate dell’età di Ferdinando IV, il duca di Serracapriola ha lasciato un ricordo vivissimo in un rame da lui inciso dopo aver disegnato  la vivace scena.
  18. K. A. Mayer, op. cit. pagg. 295-297
  19. A. Caccavale, op. cit, pagg. 141-142
  20. L’aneddoto è riportato da Loschiavo, op. cit., pagg. 347-348
  21. L’aneddoto è riportato nella rivista Il Santuario di Piedigrotta, anno 1904, pag. 44

Francesco Maurizio Di Giovine

fonte

http://www.adsic.it/2004/01/26/ferdinando-ii-e-la-festa-di-piedigrotta/#more-167

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