Alta Terra di Lavoro

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Film lombrosiani per “eccellenza”

Posted by on Ott 6, 2024

Film lombrosiani per “eccellenza”

Il cinema ha avuto una massima influenza su tutta la gioventù e sui popoli interessati a rilassarsi, a scoprire e a conoscere molte novità e molti argomenti fondamentali di loro intererre. La Tivù è il motore dell’evoluzione del cinema e, soprattutto, della radio, attirando attenzione tutte le masse che vorrebbero ascoltare e leggere, anche se dovranno rendersi conto se quello che ascoltano e leggono corrispondano alle loro esigenze e realtà.

Infatti, con il passare degli anni la tivù iniziò a divenire uno strumento di manipolazione a causa dell’affermazione e della diffusione dell’oligarchia elitaria e dell’imperialismo neocolonialista occidentale da parte dei regimi politici collusi e complici, intenti a far distrarre i loro popoli volti alla ricerca di una o più verità occultate. Però la manipolazione dei popoli nella tivù viene condotta non solo da parte degli oligarchi e degli imperialisti filo-americani, ma anche dai governi coloniali e delle sue élite collaborazioniste che trasmisero il loro segregazionismo etnico sulle menti dei popoli inferiori e di un solo popolo superiore. Inoltre le tivù sono molto utili ai tre mali del mondo intero con lo scopo di nascondere e tacciare falsamente i loro crimini come esempi di libertà e democrazia, guarda caso quest’ultima attinente ai valori imperialisti occidentali, fino alle estreme conseguenze tutt’ora presenti e ripetutamente commesse, senza avere un briciolo di coscienza di quello che hanno fatto. Far dimenticare e sottomettere i popoli attraverso i tre mali globali citati non vuol dire affatto democrazia né libertà! È l’esatto contrario. Come? Allora andiamo a conoscere il ruolo del cinema nel secondo male globale maggiormente prevalente nella penisola italica: il colonialismo.

Questo colonialismo è stato ed è attualmente razzista con una serie di opere e leggi segregazioniste intese al vantaggio della Grande Padania e alla discriminazione forzata della Napolitania, della Sicilia e della Sardegna per determinati motivi etnico-territoriali, psicologici e sociali. Il razzismo unitario continua ad essere tutelato e reso impunito dai governi coloniali interni dalla Monarchia sabauda alla Repubblica, dietro la complice protezione degli Stati Uniti disposti a fare qualsiasi per non vedere minacciato i suoi interessi. A parte questo gravissimo e mai raccontato fatto, il razzismo unitario viene supportato da una certa composizione territoriale e “nazionale” per rendere più sicura, statica e inviolabile la “nuova società italiana”: la superiorità dei padani (sia naturali sia obbligati ad esserlo, riferendomi agli arpitani, ai veneti, ai sudtirolesi, ai triestini e ai toscani) e l’inferiorità dei napolitani, siciliani e sardi. Questa divisione viene spacciata dal governo coloniale e dalla tivù come “unità italiana”, anche se in realtà la parola unità è totalmente diversa dalla parola divisione, perché l’unità è la convivenza di tutti gli individui senza distinzione mentre la divisione è la spaccatura della società civile e del mondo intero. Il colonialismo padano non vuole prendere in considerazione questa concreta differenza linguistica e si diverte a promuovere nuovamente e di nuovo opere e leggi che distruggono la civiltà dei popoli inferiori e di quello o, meglio, quelli che sono costretti ad essere superiori. La divisione chiaramente etnico-territoriale e non solo economica degli “italiani” non fu voluta da quest’ultimi ma imposta con la violenza militare e la distruzione totale della civiltà dei due popoli mediterranei con fucilazioni, usurpazioni di beni ed emigrazione. L’italianità razzista è talmente presente anche nel cinema, arrivando a influenzare le menti dei giovani napolitani e siciliani, sempre al dispetto degli stessi popoli di cui essi appartengono (senza vergogna). Se la cultura “italiana” apertamente diffusa negli asili, nelle scuole e nelle università è diventata “ascara”, il cinema “italiano” è diventato lombrosiano per una serie di film mandati in onda e inaugurati nei vari Festival di Cinema, senza essere criticati e vedendo, pure, premiati quegli attori, registri e sceneggiatori che ne presero parte. La maggioranza dei film “italiani” si ispirano allo stesso sistema segregazionista coloniale, dove a loro interno trattano aspetti positivi della Padania e quelli negativi della Napolitania, della Sicilia e della Sardegna, con la conseguenza di dar origine un’ingiusto processo di omologazione etnica sui napolitani, siciliani e sardi influenzati ed emigranti per poi comportare l’assoluta perdita di appartenenza ai loro popoli discriminati. Questo fatto non viene detto dai mass media, ma non solo. I film basati sulla descrizione diversa (e non intera) dei popoli italiani non consistono nella prevalenza degli aspetti eccessivamente negativi dei luoghi dei due popoli e della loro storia ma di manipolare la memoria di quegli abitanti napolitani e siciliani vittime della violenza coloniale-mafiosa per considerarli come “martiri della legalità” e per dimostrare che lo Stato può vincere nella lotta alla mafia (in verità è in corso la famosa Trattativa Stato-Mafia che ebbe origine con la spedizione dei mille mercenari di Garibaldi del maggio-settembre 1860). Giusto per non dire bugie e inganni ai lettori, ecco i principali film del cinema “italiano” che si ispirano a quei temi trattati:

1860 è un film del 1934 condotto dal registra etruro Alessandro Blasetti che racconta la storia della spedizione dei mille vissuta dal contadino, “fuggito dalla tirannia dei Borbone” per raggiungere Genova con lo scopo di “contribuire all’unificazione nazionale italiana”. Il film è l’esempio della propaganda razzista unitaria che occulta i veri fatti del Risorgimento per distruggere l’immagine benevole dei Borbone voluti dai napolitani e dai siciliani e che vanno ricordati con onore e memoria dai due popoli nella loro storica fratellanza.

Eran trecento… (La spigolatrice di Sapri) un film del 1952 del registra Gian Paolo Callegari che ricorda la spedizione di Carlo Pisacane del 1857 in base alla poesia dell’etruro Luigi Mercantini scritta nel 1858. Si racconta un giovane nobile Volpintesta che riunisce i suoi amici briganti per colpire le truppe duosiciliane in attesa di una nuova rivoluzione “desiderata” sia da egli sia da tutta la popolazione e dal sindaco Franco della Spina. Con l’arrivo di Pisacane la “rivoluzione” si concluse nello scontro tra il popolo e i gendarmi e i ribelli ma ebbe la sua efficacia con l’arrivo di Garibaldi. Anche in questo film si nota la falsità dei personaggi e dei fatti inventati dal registra, per il fatto che la popolazione di Ponza e Sapri era fedele alla dinastia borbonica e al proprio Regno e contrastava la presenza di Pisacane e del suo gruppo dopo aver assassinato due sudditi innocenti: Cesare Balsamo e Rosa Ferretti. Tale assassinio comportò il tempestivo intervento delle autorità giudiziarie e della popolazione contro quella spedizione che fu effettivamente un atto di terrorismo militare e di stile delinquenziale.

Il brigante a Tacca di Lupo (1952) tratta la storia del capitano di bersaglieri Giordani, intervenuto a reprimere la banda dei “briganti”, dopo che avevano “occupato” e “saccheggiato” Melfi, che ci riuscì con l’uccisione del brigante Raffa Raffa (nome messo a caso) e il bacio d’amore tra Carmine e Zitamaria condotto dagli applausi e dalle grida di gioia dei bersaglieri. In verità il film distorce i fatti, affermando l’esatto contrario di quello che avvenne veramente negli anni della ribellione anti-unitaria del 1860-70: il popolo napolitano si ribellò alle violenze degli invasori piemontesi proprio grazie ai suoi patrioti fedeli alla Patria Napolitana e ai Borbone, diffamati come briganti, e Melfi si era liberata dai piemontesi nell’aprile del 1861 ma la libertà di autonomia fu breve, dovendo subire nuovamente le ingiustizie dei piemontesi; il nome Raffa Raffa, accusato di violenza sessuale di Zitamaria, si riferiva al patriota Carmine Crocco che merita di essere ricordato come eroe nazionale napolitano per una forte fedeltà alla causa nazionale anziché dedito alla delinquenza. Tale film distrusse il patriottismo degli insorgenti napolitani, i quali però vengono ancora ricordati con affetto dai nostri connazionali.  

Tempo d’amarsi (1955) realizzato dal registra calabro-napolitano Elio Ruffo che tratta la povertà e l’inefficienza amministrativa della Calabria. Tutto ciò ha permesso agli ascari e all’élite grando-padana di promuovere una serie di pregiudizi pesanti e ingiustificati che continuano a permanere impunemente.

Mafioso (1962) è uno dei film italiani che indubbiamente si ispirò alla teoria del razzismo scientifico del veneto Cesare Lombroso. In questo film Alberto Sordi interpreta il ruolo di Antonio Badalamenti, un siciliano mafioso emigrante a Milano, che decide di scendere in Sicilia per mettersi in contatto con un dirigente siciliano anch’egli mafioso che lo incarica di uccidere un rivale a New York per poi ritornare in Sicilia e in seguito ripartire in Lombardia. Innanzitutto è veramente strano che Sordi, in quanto etruro, non abbia compreso il vero significato del ruolo affidategli dal registra e non sapeva che tale film tollerò il razzismo unitario nel campo del cinema (esempio è la scena del pranzo caratterizzata dall’oscurantismo dei parenti del protagonista e l’elogio dell’emancipazione femminile padana).

Luisa Sanfelice (1966) tratta la vita della nobile che viene descritta, assieme ad altri giacobini napolitani, come vittima della tirannia borbonica. In realtà la Sanfelice aveva condotto una vita troppo infelice e, di sua volontà, tradì il suo fedele amico Gerardo Baccher per non tradire suo fidanzato e traditore ufficiale giacobino Ferdinando Ferri, il quale si consegnerà alla giustizia napolitana per poi avere la libertà di poter esercitare il ruolo di Ministro delle Finanze sotto Ferdinando II. Sulla rivolta dei Lazzari, il film si permise di etichettare tale resistenza popolare una rivolta violenta e cannibale, ignorando il fatto che i Lazzari dettero esempio di patriottismo e di legittima difesa della propria Nazione in pericolo dall’invasione francese. Purtroppo tale vergognoso esempio viene ricordato dal film Luisa Sanfelice (2004).

Il padrino (1972) e Il padrino – parte II (1974) due film di Francis Ford Coppola che ha attirato attenzione a tutti gli spettatori per gli atteggiamenti prepotenti e superbi dei boss Don Vito Corleone (Marlon Brando) e Don Michael Corleone (Al Pacino) determinando l’uso della denigrazione “italiana” di paragonare la Sicilia alla mafia.

I guappi (1974) descrive di una Napoli violenta e dominata dalla camorra nella seconda metà dell’Ottocento attraverso i tre protagonisti: Nicola Bellizzi (Franco Nero), don Gaetano Frungillo (Fabio Testi) e Lucia Esposito (Claudia Cardinale). La vita dei tre protagonisti si intrecciano sulla storia della camorra che iniziava ad affermarsi a Napoli in quegli anni non a causa dell’arretratezza degli abitanti partenopei e dell’intero popolo napolitano ma dal colonialismo padano imposto dagli invasori piemontesi con la violenza e con le loro leggi ingiuste. Tale film dette un contributo allo sviluppo contemporaneo di un fenomeno legato al razzismo unitario: lo Sputtanapoli.

Il delitto Notarbartolo (1979) si ispira sulla vita di Emanuele Notarbartolo, Presidente del Consiglio di amministrazione del Banco di Sicilia che voleva salvare lo stesso istituto finanziario dalle speculazioni condotte dai membri del Consiglio e dal deputato Raffaele Palizzolo, finendo assassinato dai sicari di Palizzolo nel treno il giorno del 1° febbraio 1893 e senza ricevere giustizia grazie all’assoluzione di Palizzolo dietro la spinta del “Comitato pro-Sicilia” che non fu un chiaro movimento d’indipendenza siciliano ma un gruppo politico mafioso che manipolò l’identità siciliana con lo scopo di liberare Palizzolo che, probabilmente, avverrà nel 1904. Con tutto il rispetto della vittima, purtroppo la calunnia razzista arrivò a distruggere l’esistenza secolare dell’identità siciliana anche negli altri film, tra cui “In guerra per amore” (2016).

Il camorrista (1986) è un altro film sempre attinente al fenomeno di Sputtanapoli, in quanto tratta la vita del camorrista Raffaele Cutolo che è stato il principale boss della camorra, oltre ad essere stato protetto dai servizi segreti coloniali e dai terroristi italo-padani. Anche in questo film, come il citato caso de “Il padrino”, etichetta Napoli come camorra.

Mery per sempre (1989) e Ragazzi fuori (1990) del registra padano Marco Risi imita gli stessi obiettivi dei due citati film di Ford Coppola: etichettatura della Sicilia come mafia e, soprattutto, il forte impatto della cultura mafiosa sulla vita dei giovani siciliani “per volontà loro”. Se i due film intendono rappresentare l’espressione della lotta alla mafia non è assolutamente vero, perché entrambi favoriscono il razzismo unitario scaricando anche alla povera isola numerosi pregiudizi coloniali da parte degli ascari e dell’élite grando-padana.

La corsa dell’innocente (1992) di Carlo Carlei tratta la vita dello sfortunato Vito che scappa dalla violenza di un ndranghetista, raggiungendo a piedi Siena, dove riesce a trovare protezione ma viene beccato dal ndranghetista, il quale alla fine viene ammazzato dalla polizia che salva il ragazzo. L’appartenenza del ragazzo alla famiglia di ‘ndrangheta presentata nel film inflisse un duro colpo alla Calabria, divenendo, assieme a Napoli, vittima della calunnia razzista.

Il commissario Montalbano (1999), La scomparsa di Patò (2010), La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata (2018), La stagione della caccia – C’era una volta Vigata (2019) e La concessione del telefono – C’era una volta Vigata (2020) sono i film ispirati dai romanzi dello scrittore siciliano Andrea Camilleri che viene ricordato dalla letteratura italiana, la quale però prova a nascondere i veri racconti di quei film. I film di Camilleri pensano di essere più importanti e esilaranti per gli spettatori siciliani e italici, però i suoi romanzi vengono manipolati attraverso la realizzazione di quei film puntati a descrivere la Sicilia una terra strana, statica, piena di donnaiuoli e governata da signorotti corrotti e criminali. Tale calunnia è riuscita a diffondersi su tutte le menti degli abitanti siciliani e italici, rimanendo parte integrante della propaganda razzista unitaria.

I fetentoni (1999) descrive la città di Reggio Calabria dolente e in mano ai signori mafiosi, arrivando persino a scegliere e nominare vari sindaci a loro piacimento. Infatti Ninni Lepanto è stato eletto sindaco da parte del boss Saro Lodato per trarre altri soldi. Lepanto, ben presto, si rese conto di essere manipolato da quel mafioso e scappa dalla città. Ancora una volta, la Calabria viene infangata come città malata e corrotta, anche se tutti i calabresi la vogliono renderla felice e libera dai soprusi coloniali.

Segreti di Stato (2003) si basa sulla ricostruzione delle indagini sulla Strage di Portella della Ginestra compiuta dal 1° maggio 1947 “da parte di Salvatore Giuliano” (anche se in realtà fu compiuta dai paramilitari ex-fascisti della X-MAS e mafiosi di Cosa Nostra per combattere il comunismo) e la testimonianza di Gaspare Pisciotta che si autoaccusò di aver aiutato i paramilitari ad organizzare la strage, finendo ucciso dai mafiosi avvelenato con il caffè nel carcere dell’Ucciardone il 9 febbraio 1954. Prima di tutto, Pisciotta non era presente in quella Strage perché era a casa per farsi curare la sua tubercolosi e Giuliano non era tanto aiutato dai mafiosi perché dimostrò tutta la sua fiducia verso il suo popolo, senza ingannare il suo ideale d’indipendenza isolana pagando però il prezzo molto alto, ma viene ricordato come eroe nazionale della Patria siciliana. Il film infanga la memoria di Giuliano, anche se tale calunnia era avvenuta nei precedenti film: Salvatore Giuliano (1962) e Il siciliano (1987).

Fine pena mai (2007) film di Davide Barletti e Lorenzo Conte che racconta la storia di Antonio Perrone, boss della Sacra Corona Unita pugliese che impose il suo potere con gioco d’azzardo e traffico di droga. A causa di questo racconta Puglia divenne vittima della deplorevole calunnia razzista.

Era mio fratello (2007) film di Claudio Bonivento e ideato dal padano Achille Manzotti tratta la vicenda della vita dei due fratelli Luca e Sante, divisi dopo l’eccidio della loro famiglia da parte dei mafiosi, decidono di vendicarsi diventando anch’essi ndranghetisti per onore. Nonostante l’ennesima calunnia inflitta agli abitanti calabro-napolitani, non stupisce il fatto che il padano Manzotti abbia avuto la nociva libertà di fare tale film soltanto perché vuole trattare il tema ‘ndrangheta per forza in Calabria, sebbene che essa è molto forte e presente anche nella sua Padania, a cominciare dalla Lombardia. 

Eravamo solo mille (2007) un film maggiormente legato alla storiografia coloniale unitaria che “elogia” e ricorda la spedizione dei Mille con il coinvolgimento dei tre personaggi: Corrado Paternò, Francesco Malaspina e Isabella Di Montalto. Il film raffigura Paternò, Garibaldi e il suo “esercito rivoluzionario” (mercenario) come eroi nazionali mentre Malaspina, l’esercito duosiciliano (legittimo) e i Borbone come oppressori dei siciliani e napolitani, ignorando che la spedizione di Garibaldi dette origine il colonialismo sabaudo e la Mafia e non fu talmente appoggiata dai popoli della Sicilia e della Napolitania per la loro fedeltà sia della propria Patria sia della stessa dinastia illegittimamente deposta. Tale diffamazione storica sarà interpretata nei seguenti film: Il generale dei Briganti (2012) e L’abbaglio (2025).

Gomorra (2008-2014-) rafforzò il fenomeno dello Sputtanapoli fino ad arrivare a influenzare la vita quotidiana dei giovani partenopei e napolitani con i suoi personaggi: Gennaro Savastano, Ciro Di Marzio, Pietro Savastano e Salvatore Conte. L’imitazione dei seguenti personaggi causarono nuove conseguenze negative ai ragazzi di Napoli: scene di prepotenza nei luoghi pubblici e alcune sparatorie. Come se Gomorra non bastasse, ben presto lo Sputtanapoli viene fomentato anche dai suoi nuovi arrivati: La paranza dei bambini (2019), Mare Fuori (2020-2021-2023-2024-) e Clan – scegli il tuo destino (2024).

Cado dalle nubi (2009) è il primo film dell’attore napolitano Checco Zalone che importò la sua comicità dallo spettacolo al cinema. Il film può sembrare divertente dovuto dall’atteggiamento del protagonista alla ricerca del suo sogno che si realizzerà, guarda caso, a Milano. Su quest’ultimo punto si può notare una cosa molto particolare e complessa: la natura denigratoria dell’attore verso la sua Puglia e l’intera terra napolitana e volta alla rappresentazione della figura del napolitano come ignorante, servo e alla ricerca del lusso. Tale nocivo esempio intrapreso da quell’attore sarà imitato dal duo Pio e Amedeo, i quali nel loro programma televisivo “Felicissima Sera” trasmesso nell’aprile del 2021 si permisero di scusarsi con i padani per “l’atteggiamento duramente critico del Sud” verso le regioni padane perché avevano trasmesso il covid in quelle napolitane, le cui scuse sono di fatto una messa di scena compiuta ai danni del popolo napolitano.

Corpo celeste (2011) film di Alice Rohrwacher che racconta il ritorno della bambina Marta (Yile Vianello) dalla Svizzera a Reggio Calabria, sua città natale che inizierà a vivere nella sua “realtà”: degrado sociale, corruzione della Chiesa per gli appoggi elettorali dei vari candidati politici e mancanza di futuro per i bambini. Il film, di fatto, denigra la città di Reggio Calabria che viene amata da tutti i calabro-napolitani e turisti per il suo mare, per la sua arte, per le sue tradizioni religiose e per la sua bellezza naturale (purtroppo devastata e abbandonata dalle complici amministrazioni comunali ascare). Ad favorire questa denigrazione razzista non è solo la registra toscana ma anche l’attrice Yile Vianello, la quale dovrebbe andare a visitare la città denigrata con amore e passione.

Mozzarella Stories (2011) racconta la vita di Ciccio Dop, un imprenditore camorrista che gestisce la sua azienda di bufale e mozzarelle con l’aiuto dei membri della sua famiglia e per il timore di un possibile fallimento utilizza i metodi spietati della stessa organizzazione criminale partenopea, con ricatti e minacce. Il film del registra Edoardo De Angelis fa apparire il mondo produttivo napolitano caratterizzato dall’unico dominio della criminalità organizzata “voluta” e “rispettata” dalla gente. La verità è che il nostro popolo non vuole farsi sottomettere né minacciare dai criminali, ma si sacrifica a voler trovare un lavoro utile per loro ma dovettero affrontare la dura incompetenza delle istituzioni e delle amministrazioni coloniali interne, a causa delle quali i giovani sono costretti ad essere vittime dell’emigrazione e senza la possibilità di lavorare nella nostra Patria napolitana. Tale film disprezza la volontà onesta di lavorare da parte degli abitanti napolitani.

Qualunquemente (2011) e Cetto c’è, senzadubbiamente (2019) sono i film dell’attore padano Antonio Albanese che vorrebbero far mostrare al pubblico come la comicità proviene anche dalla volgarità dei calabro-napolitani. Infatti il protagonista dei due film è Cetto La Qualunque, un ndranghetista arrivato in Calabria con lo scopo di candidarsi nelle nuove elezioni amministrative contro il politico onesto De Sanctis, riuscendo a vincerle grazie all’aiuto di un esperto padano di brogli elettorali Gerry ma si dimenticherà della politica fuggendo in Germania, dietro una marea di fedine penali, fino a quando ricevette la sorpresa di essere discendente di un principe vicino ai Borbone, divenendo in seguito “Cetto Buffo delle Due Calabrie”. I due film offrono descrizioni sulla Calabria e sul Meridione alquanto irrealistici e denigratorie: i calabro-napolitani sono gente onesta che vuole lavorare e amare la città prendendo parte alle varie iniziative di volontariato e i nostri Borbone governarono la nostra Patria in modo efficiente con le idee di innovazione e manifestando il proprio affetto verso i popoli siculo-napolitani. Cetto, a differenza dei Borbone, non ha avuto affetto ma soltanto arroganza ed egoismo verso i calabresi e tende ad essere parte della calunnia razzista verso i popoli discriminati da parte di Albanese e di Zalone.

Per amore del mio popolo (2014) si basa sulla vita di Don Peppe Diana, un presbitero anticamorra che si sacrificò a salvare molti ragazzi e giovani dall’influenza coloniale della camorra, finendo ucciso nel giorno della festa di San Giuseppe del 1994. Anche se il finale di tale film è almeno positivo, il tema ha offerto di più gli aspetti negativi della città, in cui l’omertà e la violenza della camorra di Casal di Principe vengono presi come riferimento dalla canzone “Sudd” del gruppo musicale Almamegretta del 1992 che, in verità, non simboleggia affatto la musica della decadenza sociale e civile dei napolitani ma il risveglio identitario dello stesso popolo.

Anime nere (2014) si basa sulla storia di una famiglia di ndranghetisti che viene guidata da Rocco e Luigi, due calabro-napolitani emigranti a Milano, ritornati nel paese per consolidare il loro potere ma dovranno sfidare un altro clan rivale che fa fuori Luigi e Leo, portando alla disperazione totale il padre di quest’ultimo Luciano. Si può notare che la visione silenziosa e oscurantista della famiglia minano duramente la società civile della Calabria, favorendo a sua volta la calunnia razzista nei confronti della città napolitana.

– Il Paradiso delle Signore (2015-2024-) inizia con il viaggio della giovane siciliana Teresa Iorio a Milano per poi catapultarsi in uno “splendido” negozio definito “il Paradiso delle Signore” gestito da Vittorio Conti e Pietro Mori, il quale si innamorerà della ragazza anche se finirà ammazzato da un criminale. In seguito il negozio sarà gestito da altri personaggi, valorizzando la loro azienda e affrontando numerosi problemi. Questo film pensa di essere l’erede del programma televisivo spagnolo Velvet (2014-2015-2017-2019) ma tende ad essere il processo di omologazione etnico-culturale rivolta ai siciliani e napolitani, con il rischio della perdita delle loro origini. Tenta di essere interessante e divertente ma non lo dimostra affatto proprio per la sua istigazione all’emigrazione.   

Indivisibili (2016) film condotto dallo stesso Edoardo De Angelis racconta la storia delle due gemelle siamesi, Daisy e Viola (interpretate dalle sorelle attrici napolitane Angela e Marianna Fontana) che sono costrette dai genitori di cantare la stessa canzone o le altre per favoreggiamento delle famiglie ricche e criminali, hanno il desiderio di viaggiare e seguire i loro sogni dovendo però affrontare e ostacolare la rigidità dei genitori. All’interno del film sono prevalsi lo sfruttamento e la negazione della libertà delle donne napolitane di vivere e di realizzare i propri sogni, ritornando sul discorso di prima che i napolitani vogliono lavorare nella propria terra e senza essere schiavi di nessuno. Poi sulla schiavitù delle due ragazze si prova a etichettare il Meridione come terra del maschilismo, anche se in realtà il maschilismo viene combattuto dai principi sanleuciani di uguaglianza e solidarietà del 1789 e, quindi, non abbiamo bisogno di essere educati dalla civiltà padana di uguaglianza.

Ora legale (2017) il film dei duo comici Ficarra e Picone che vogliono rendere più comica l’ignoranza dei siciliani sulla legalità perché stanchi di pagare tante tasse e rispettare nuove regole, desiderando di vivere nel disordine. Non è la prima volta che i due attori, che “tanto amano l’isola”, offendono l’onestà dei siciliani mossa dai sacrifici del lavoro e dalla lotta contro la mafia e, se vogliono amarla, iniziano a fare film seri e legati alle esigenze dei siciliani (quelle vere e condivise e non secondo il razzismo unitario).

Amica geniale (2018-2024-) racconta la storia delle due ragazze, Elena “Lenù” e Raffaela “Lila”, che condussero le proprie vite con destini diversi. Una cosa negativa presente nel film è l’inserimento del maschilismo nel quartiere povero di Napoli, dimenticando che in passato grazie all’uguaglianza sanleuciana che le donne napolitane e siciliane ebbero vari ruoli fondamentali nel Regno delle Due Sicilie (dalle istituzioni sociali ai processi di industrializzazione).

Fratelli Caputo (2020-2021) parla della storia dei due fratelli, Nino e Alberto Caputo, che si fronteggiano per candidarsi alla carica di sindaco della loro Roccatella, arrivando a collaborare insieme per il bene della città e della propria famiglia. Però questi attori ascari ignorano che ci sono state scene in cui la Sicilia viene insultata e offesa in mali modi da altri con le loro recitazioni: “ci sono i latitanti sotto al letto?”, “che brutta gente, sono dei trogloditi allucinanti”, “non capisco la loro lingua” e “Mamma, si vede che qua fa schifo anche a te”. Vediamo se questi insulti sono stati fatti per il bene comune!

Ti mangio il cuore (2022) un altro film della calunnia razzista al popolo napolitano, dove proprio a Foggia si racconta la storia delle due famiglie sacriste rivali: Malatesta e Camporeale. La giovane donna Marilena Camporeale viene attratta dal giovane Andrea Malatesta che iniziò a manifestare i primi sentimenti nei suoi confronti. Purtroppo l’interruzione della tregua e la ripresa della guerra mettono in pericolo Marilena e Andrea, il quale viene ucciso e l’amore non viene realizzato. La faida sacrista a Foggia trattata dal film non ci educa come eliminare la mafia ma di diffondere la violenza mafiosa proprio grazie alla ingiusta calunnia cinematografica dei luoghi napolitani.

La Sposa (2022) il film racconta la storia di Maria, una giovane calabrese costretta al matrimonio forzato con un contadino veneto mediante il denaro e dovette emigrare nel Veneto per convivere con il marito, fin quando essa inizia ad adattarsi alla mentalità del popolo veneto. Tra problemi interni e iniziative volte al miglioramento lavoratori contadini Maria divenne il centro dell’attenzione delle donne nel mondo del lavoro, arrivando a favorire “l’integrazione tra calabresi e piemontesi”. Anche questo film, come alcuni, ignora la vera realtà del popolo napolitano su determinati punti: il matrimonio forzato e arretratezza degli abitanti calabro-napolitani venivano combattuti dai Borbone con lo Statuto di San Leucio (che proibisce l’ingerenza delle famiglie dei coniugi per un matrimonio libero e l’uso della dote) e i provvedimenti sociali (con Monti frumentari, Monti pecuniari e istituti di beneficenza) e quell’integrazione così tanto elogiata nel film non avvenne finché l’élite grando-padana e gli ascari rendono ancor di più impunito il razzismo unitario, coniando anche la nuova parola “Calabrotte” promosso dai piemontesi padani che non sta a simboleggiare l’unione degli italiani ma una frase offensiva a tutti gli effetti, come lo è anche la parola “terrone”.

Figli da gente (2023) viene realizzato dal registra Pasquale Giordano a Cirò Marina che tratta la vita dei ragazzi, giovani e adulti legati alla ‘ndrangheta e alla lotta di potere tra clan rivali, determinando violenza e terrore. Il registra disse che tale film vuole “far uscire i ragazzi dal mondo della criminalità organizzata”, invece lo stesso registra si è influenzato o, a quanto pare, imbevuto della propaganda razzista unitaria, favorendo l’istigazione a delinquere ai ragazzi calabro-napolitani, la stessa cosa avvenuta nel caso di Gomorra. Anche questo film merita di essere considerato un altro esempio di calunnia razzista nei confronti della Calabria e della Patria napolitana.

Fino alla fine (2024), come il caso del citato film, denigra la Sicilia perché dipinge la gioventù isolana in quanto troppo dedita alla criminalità e ai furti. Infatti nel film la giovane americana Sophie, prima di ritornare in California, prende parte ad una compagnia di giovani legati alle attività illecite e la coinvolgono in una serie di rapine, portandola in una serie di problemi molto gravi che provano a mettere a rischio la sua vita. Quindi il film vuole mostrare agli spettatori che vivere in Sicilia è pericoloso?! Che il registra Gabriele Muccino e gli attori partecipi facessero un esame di coscienza e abbiano la pazienza di visitare e conoscere al meglio l’isola prima di offenderla.

Eravamo bambini (2024) racconta la storia dei protagonisti depressi nella loro vita e con numerosi problemi in un paese, come sempre, della Calabria, ossia a San Severino. Il ragazzo Antonio detto “Cacasotto” viene arrestato per aver coltellato un carabiniere e dietro di lui sono presenti momenti di violenza e solitudine che hanno caratterizzato la vita sia di Antonio sia dei suoi cinque amici. Il film tenta di affrontare quei temi citati ma anch’esso rappresenta un altro esempio di denigrazione razzista inflitta al popolo napolitano, anziché affrontare tale tema nelle regioni padane (in particolare a Milano, dove il livello di sicurezza è scarso tant’è che viene classificata come capitale del crimine).

Iddu (2024) film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, tratta la storia vera della latitanza di Matteo Messina Denaro, il mafioso più latitante dal 1993 al 2023, anno della sua morte. La latitanza del mafioso non avvenne per contatti con esponenti politici e dell’imprenditoria, ma anche grazie ai servizi segreti ufficiali e deviati che supportano e garantiscono protezione ai mafiosi residenti e mafiosi da quando è stata imposta la Malaunità. Purtroppo tale film è un’altra ed ennesima calunnia razzista verso la Sicilia per “il suo stretto rapporto con la mafia”.

Tutti questi film, condotti e realizzati senza nemmeno prendere in considerazione la vera realtà dei due popoli (che combattono anche la criminalità organizzata protetta e tutelata dal colonialismo padano) e seguendo quella raccontata falsamente dalla storiografia coloniale unitaria, sono direttamente legati al razzismo unitario grazie all’impiego nocivo della calunnia, sia sociale sia storica, dei luoghi e delle popolazioni locali dei due popoli, il cui mezzo di propaganda continua ad essere condiviso spontaneamente o per sbaglio dai registri e dagli attori che ignorano le conseguenze negative per la loro partecipazione di tale crimine. Per fortuna ci stanno alcuni registri e attori che promossero film degni di rispetto per la realtà dei due popoli e dell’Italia stessa: Signora Ava (1975), L’eredità della priora (1980), Li chiamarono… briganti! (1999), Il mio corpo vi seppellirà (2021) e Briganti (2024). Nicola Gratteri ci insegna che noi dobbiamo imparare a porci dei limiti quando scriviamo, pubblichiamo, diciamo e comunichiamo con la gente, perché senza i limiti si rischia di dover ricorrere ai rischi gravi. Ecco perché il cinema “italiano”, assieme alla cultura, all’antimafia e alla politica, senza adattarsi alla verità storica e alla vera realtà dell’Italia è diventato razzista in sé stesso privilegiando il razzismo unitario e lasciando che gli attori e i registri continuino ad essere eredi di quei o altri ridicoli film lombrosiani, ma quando i popoli, se per caso, dovessero divenire indipendenti, dovranno ammettere le proprie colpe e domandarsi il perché l’hanno fatto, per non ripetere più errori da loro commessi e con una pura penitenza si può arrivare all’amore profondo e sicuro di quei popoli che tutt’oggi vogliono essere rispettati e amati per la loro storia e cultura millenaria.

Antonino Russo

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