Gaetano Cingari, l’utopista Giuseppe Corvaja e il realista Francesco Crispi
Lo schema di argomentazione utilizzato da Gaetano Cingari nei suoi due primi volumi è più o meno lo stesso, come richiede il metodo comparato diacronico; egli centra l’attenzione sulla situazione economica precedente ciascun sommovimento politico (il 1799 e il 1860) per cercarne le concordanze. Dopo di che analizza i comportamenti delle forze in campo.
Questa seconda fase ha sempre come oggetto la Calabria. La descrizione della situazione economica, nel primo volume (Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799), è centrata sulla Calabria perché il Grande Flagello del 1783 aveva creato una situazione speciale rispetto al resto del Regno di Napoli; nel secondo testo (Problemi del Risorgimento meridionale), l’attenzione è sull’intero Mezzogiorno perché la Calabria viveva una situazione analoga al resto del Regno.
Nel comparare le condizioni economiche precedenti il 1799 e il 1860, Cingari trova qualcosa che è assente alla fine del Settecento ed è di primaria importanza a metà dell’Ottocento e la descrive analizzando le opere, il modus operandi e il rapporto con Francesco Crispi di un utopista siciliano, Giuseppe Corvaja.
Significativamente, le prime 5 pagine dello scritto su Corvaja sono dedicate ai rapporti tra questi e Crispi; seguono 59 pagine sui viaggi di Corvaja per presentare a governanti e utopisti la propria riforma bancocratica; le ultime 10 pagine fanno il punto conclusivo affrontando il dilemma se Crispi condividesse o meno le teorie di Corvaja.
La riforma bancocratica è una proposta di “democratizzazione” del sistema finanziario. Una riforma per sottrarre il potere finanziario al controllo dei privati senza affidarlo allo Stato. L’idea di Corvaja è di affidarne il controllo a una forma di azionariato sociale. Questa riforma parte dal presupposto che l’essere liberali voglia dire volere la libertà per sé e per gli altri e che solo la libertà formale venga garantita da costituzioni, dalla forma dello Stato (Repubblica o Monarchia) o dalla grandezza dello stesso e che la libertà sostanziale dipenda da un reddito sufficiente a una vita dignitosa.
Secondo Corvaja, stanno diventando sempre più potenti attori privati capaci di operare trasferimenti di risorse di dimensioni paragonabili (tolte le risorse per il funzionamento dell’apparato amministrativo) a quelle movimentate dallo Stato a fini redistributivi. Questi attori sono le banche e i banchieri. Corvaja è convinto che questi potenti nuovi attori spostino risorse in modo da aumentare gli squilibri sociali invece di diminuirli e propone una soluzione capace di spostare a favore dei più deboli la forza movimentatrice di ricchezza del sistema bancario.
Per far svolgere allo Stato una funzione di riequilibrio (nella direzione di avvicinare l’uguaglianza di tutti), sarà formulata la soluzione socialista e statalista in cui Corvaja non crede. Egli raccomanda che la forma Stato non si tocchi. Vanno bene i regimi già esistenti. La soluzione che propone consiste nel sottrarre le banche ai pochi ricchi privati che le controllano, fondendole tutte in un’unica banca nazionale che dovrebbe essere controllata con un azionariato costituito da tutti i cittadini.
Questo è il massimo che si può dire della proposta di Corvaja perché ogni volta che la presenta a un governante (a Napoli, a Torino, a Milano, a Parigi, a Londra, etc.), egli la modifica per adattarla ai referenti cui la propone
La soluzione di Corvaja è ovviamente utopista e, anche nel caso susciti un qualche iniziale interesse, finisce sempre per essere rigettata. Il problema, tuttavia, persiste e sono tanti gli intellettuali europei che considerano concreto e urgente affrontare la questione di una riforma del sistema finanziario.
Cingari sostiene che Crispi e Corvaja si sono conosciuti a Malta, dove sono finiti in esilio, e che poi si sono ritrovati a Londra. Da qui, Crispi invia un articolo a Lorenzo Valerio, direttore della rivista Il Diritto. Nell’articolo Crispi mostra di condividere il progetto presentato da Corvaja a Gladstone, Cancelliere dello Scacchiere, il quale stava preparando una legge di riforma delle casse di risparmio. Corvaja presenta una proposta di riforma di questi istituti come “progetto bancocratico minimo” limitato alle più vicine ai cittadini. Nel mentre che scrive l’articolo, Crispi compila anche delle note private, che verranno pubblicate settanta anni dopo. In queste, ironizza sul progetto e mostra di essere del tutto indifferente all’esigenza di realizzare una qualche forma di democratizzazione del sistema finanziario.
Il perché si comporti in modo così biforcuto, Cingari lo spiega con il fatto che Crispi è, a Londra, in ristrettezze economiche e ha bisogno di un lavoro. Dopo la pubblicazione dell’articolo, Corvaja lo assume come segretario, a 100 lire al mese, e lo fa vivere nel proprio appartamento.
A questo punto, Cingari si ferma. Vorrei continuare sottolineando che, in quegli stessi anni, il giovanissimo Giuseppe Zanardelli progetta lo sviluppo della provincia di Brescia attraverso la creazione di banche locali che raccolgano il credito locale e lo distribuiscano a operatori economici locali (contadini, artigiani e piccoli imprenditori). Solo nel 1882, egli riesce a costruire una banca locale (Credito Agrario Bresciano) con agenzie presenti in tutti i Comuni. Lo precede il Veneto Luigi Luzzatti che realizza la prima banca locale nel 1862, cui seguono altre. Si muoveranno nella stessa direzione anche personaggi come Leone Wollemberg.
Nel 1901, Zanardelli forma un governo con Wollemborg ministro delle finanze. Quest’ultimo presenta subito una proposta di destinazione di parte dei tributi ai Comuni. L’obiettivo è quello di riequilibrare la spesa pubblica a favore del Mezzogiorno, senza ridurre la spesa a favore del NordOvest. La congiuntura economica è favorevole perché il tasso di incremento del PIL è alto e questo produce un aumento degli introiti statali del 50% dal 1901 al 1913 (vedi tabella). Si oppone il potente ministro piemontese Giovanni Giolitti e la proposta viene bocciata: il surplus viene spostato per migliorare il welfare degli operai (che sono quasi tutti nel NordOvest).
Cingari, descrivendo i rapporti tra Corvaja e Crispi, ha voluto mostrare il ritardo culturale di Crispi (e dell’intera classe politica meridionale e risorgimentale) nel prendere coscienza del peso dei trasferimenti finanziari per la Questione Meridionale.
Giuseppe Gangemi