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Gaetano Cingari, un maestro e una lezione di metodo storico indimenticabili

Posted by on Ott 14, 2024

Gaetano Cingari, un maestro e una lezione di metodo storico indimenticabili

Gaetano Cingari, nato a Reggio Calabria, nel rione ferrovieri, quando si è laureato in storia, dopo una precedente laurea in matematica, ha pubblicato in volume la tesi di laurea: Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799

L’opera, che è stata ristampata più volte in un quarto di secolo, gli ha fatto ottenere una larga notorietà europea perché egli ha mostrato di avere evitato i due errori spesso attribuiti alla precedente storiografia italiana risorgimentale: la tendenza agiografica e nazionalistica e l’approccio crociano basato che privilegiava le idee dichiarate e le cose che ognuno pensa e dice di sé.

Cingari insegnava nella Facoltà di Scienze Politiche di Messina dove mi sono laureato nell’indirizzo storico-politico. Come molti, ho potuto approfittare della sua nota disponibilità nei confronti degli studenti per farmi dare consigli su cosa studiare per fare ricerca sul sottosviluppo meridionale.

Mi ha consigliato di non sostenere solo l’esame di Metodologia storica, ma anche le altre insegnate in Facoltà: Metodologia della ricerca sociale ed Econometria. La prima di queste due metodologie, spiegava, essendo la sociologia fortemente impregnata di comportamentismo (almeno così era allora) rafforza l’idea, di cui Cingari era fortemente convinto, che, più che valutare i protagonisti per quello che dicono di essere, vanno valutati per quello che fanno e per come si comportano.

Nei suoi libri, ho trovato varie esemplificazioni di questo principio. Per esempio, che non ha senso valutare i Giacobini calabresi in base alla ideologia o cultura politica quando sono stati i possidenti calabresi a dichiararsi Giacobini nel 1798. Spiegava che questi possidenti non si erano mossi in base a ideologie o a culture politiche, ma in base all’interesse che avevano di salvaguardare le terre della Chiesa acquistate dopo il terremoto per costituire la Cassa Sacra.

Altro esempio: che bisogna diffidare dalla conversione ideologica all’illuminismo o al liberalismo di un giovane rampollo della nobiltà andato a studiare a Napoli, se questi poi non si batteva contro la sua famiglia che utilizzava potere e denaro per permettersi comportamenti illegittimi, a cominciare dall’usurpazione delle terre demaniali. Oppure quella di un giovane rampollo della borghesia che non si batteva contro la propria famiglia che prosperava sull’usura e sulla violenza a chi non riusciva a rispettare le scadenze degli interessi.

Insegnava, inoltre, che era necessario porre alla base di ogni indagine classificazioni che dipendono dai comportamenti e non dalle considerazioni ideologiche e anche di considerare che territori diversi possono avere avuto esperienze diverse.

A proposito del primo punto, mostrava che non sono credibili i Giacobini Napoletani, che si erano rivolti a Mario Pagano per ottenere una costituzione liberale per la Repubblica, quando, al momento di imporre le tasse con cui pagare le spese di guerra che Francesi pretendevano, stabilirono che dovevano pagare più tasse gli avversari interni della Repubblica e poco o niente i Repubblicani. Come ulteriore esempio, sosteneva che non si può parlare di borghesia calabrese se questa, in corso d’azione, si era divisa in due, ma che si dovevano elaborare due diverse definizioni per ciascuna fazione. E certamente la parte di borghesia e nobiltà che si era dichiarata Giacobina non aveva in mente di realizzare la riforma agraria (a differenza di quanto avevano fatto i Giacobini francesi), ma solo quello di salvaguardare le usurpazioni di secoli o i nuovi acquisti di terra dopo il terremoto.

A proposito del secondo punto, osservava che, non avendo i Francesi occupato la Calabria, non si poteva attribuire l’inizio della riscossa sanfedista a un sentimento patriottico antifrancese conseguente ai soprusi, ai saccheggi e alle violenze che accompagnano ogni occupazione straniera.  Questo andava bene per la Campania e per la Puglia, che avevano vissuto l’esperienza dell’occupazione, non per la Calabria. A meno che non si sostenesse che esisteva un sentimento patriottico nazionale in Calabria. Comunque, se un sentimento giacobino antifrancese si fosse sviluppato in Campania e in Puglia, questo avrebbe indicato un elemento di continuità più credibile di quello della richiesta della costituzione. Il Risorgimento è stato soprattutto lotta per l’indipendenza dallo straniero: nel 1799 nel Regno di Napoli; nel 1848-1849 con la Prima guerra d’indipendenza; nel 1859 con la Seconda; nel 1866 con la Terza. Questa era la vera continuità da affermare.

Sul tema delle Costituzioni, il suo ragionamento era quasi matematico: non tutte le costituzioni definite liberali lo erano realmente. Per esempio, non lo era affatto lo Statuto Albertino. Se lo fosse stato, non sarebbe riuscito a convivere con leggi del sospetto come la Legge Pica o con vent’anni di una dittatura esplicita e dichiarata quale il fascismo.

Negli scritti di Cingari ho trovato, per la Calabria, una narrazione che tiene conto di tutti questi principi metodologici: la sua tesi è che non ci sarebbe stato il 1799 di Fabrizio Ruffo senza il disastroso terremoto del 1783 (il Grande Flagello) e che il movimento sanfedista presentava elementi dinamici capaci di far evolvere la struttura economica e sociale e che quegli stessi elementi, nel 1848, si evolvono in senso democratico (incipit della Storia della Calabria dall’Unità a oggi) e che, infine, i veri democratici liberali calabresi, eredi del 1848, vengono profondamente delusi dallo pseudo liberalismo dei trasformisti che saltano sul carro dei vincitori calabresi (nei Problemi del Risorgimento meridionale denuncia lo snaturamento del liberalismo seguito al fatto che, negli anni Cinquanta, un rilevante gruppo di famiglie della borghesia terriera passa nel campo cosiddetto liberale per difendere le usurpazioni e non per conversioni ideologiche).

Osservava che, in Calabria, molti oppositori dei Borbone rimasero delusi dall’egemonia esercitata da baroni e pseudo liberali nel Regno d’Italia. Citava le poesie di Antonio Martino, un sacerdote liberale messo in carcere dai Borbone e rimasto deluso dall’Unità, e Vincenzo Padula, altro sacerdote e patriota deluso dai nuovi liberali. Infine, è stato tra i primi a scrivere più volte delle Saline di Lungro e delle Ferriere di Mongiana dove gli operai avevano una coscienza liberale che, tuttavia, non li ha salvati dallo smantellamento delle imprese e dalla perdita del lavoro.

Giuseppe Gangemi

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