Alta Terra di Lavoro

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Gli intrighi, le menzogne ed il brigantaggio piemontese in Italia (IV)

Posted by on Feb 2, 2023

Gli intrighi, le menzogne ed il brigantaggio piemontese in Italia (IV)

CAPITOLO QUARTO
Lo Stato Pontificio, il nemico

In questo mentre la guerra d’Oriente venne a scoppia­re con diverse combinazioni di politica e di battaglia: il Conte Cavour diventato ministro rallentò per un poco di tempo, però senza sospenderlo, il suo lavoro di rivoluzio­ne, e mandò qualche migliaio d’uomini a farsi uccidere in Crimea, nella speranza che gli sarebbe poi stato concesso di far sentire la sua voce in un Congresso di sovrani, a vantaggio dell’Italia oppressa. 

Ma l’odio mazziniano covava sempre, e seguitava a preparare rivolte ed attentati. Essendo nemico dichiarato dell’alleanza francese, temeva sempre di tradimenti, ed ecco perché cospirava sempre anche allora che il Piemonte non cospirava.

Frattanto lo Czar vinto a Malakoff dimandò la pace: il tarlato Impero maomettano seguitò a fare insulto alla civi­lizzazione moderna; il previsto Congresso s’unì a soddisfa­zione dell’ambizione piemontese, ed i rappresentanti del piccolo regno sardo vennero a sedere allato dei sei rap­presentanti delle più grandi Potenze d’Europa. Un grido di rivolta sta per uscire da questa pacifica riunione di diplomatici: questo sarà come il segnale d’un orribile misfatto. L’attentato d’Orsini altro non fu in realtà che «tetto e la conclusione delle due note del Conte Cavour: delitti politici sono le funeste conseguenze delle rivolte: essi le seguono, non le precedono mai. Ma lasciamo da parte questa detestabile logica del delitto e torniamo al Congresso.

Il Governo sardo, credendosi obbligato in tutte le circo­stanze di dichiararsi il campione della causa italiana, fece rimettere ai ministri di Francia e d’Inghilterra il giorno 27 marzo 1856 col mezzo del Conte Cavour e del Marchese di Villamarina suoi rappresentanti al Congresso di Parigi una Nota verbale “per chiamare l’attenzione particolare di queste due Potenze sullo stato deplorabile delle provincie sottomesse alla Santa Sede, e delle Legazioni in particola­re”. Questa prima nota verbale non aveva altro scopo in apparenza che quello di far impietosire, e di commiserare la sorte delle Legazioni. Quanta bontà d’animo in un pub­blico accusatore! “Lo stato d’assedio e la legge marziale, dicevano gli accusatori, vi sono in vigore senza interruzio­ne dal 1849 in poi”. Questo prova che dal 1849 in poi le sette rivoluzionarie e gli intrighi del Piemonte non aveva­no cessato di cospirare e di agitare il paese. “Il Governo pontifìcio non esiste che di nome, egli medesimo è con­vinto che non può conservar l’ordine pubblico” cosa che indica “uno stato permanente di disordine e di anarchia nel centro d’Italia”. In conseguenza di questa situazione deplorabile che vi regna oggigiorno, i ministri sardi dimanda­no alle Potenze che tolgano immediatamente al Governo pontificio l’amministrazione delle “provincie situate fra il Po, l’Adriatico, e l’Appennino, della provincia d’Ancona fino a quella di Ferrara; “e che le diano ad un vicario laico, vale a dire al Piemonte. Colle invasioni e colle annessioni si è dolosamente preso quello che insolente­mente si dimandava con una semplice Nota verbale nel 1856. Ma non riuscendo l’astuzia allo scopo dei cospirato­ri, bisognava ricorrere alla violenza: dopo gl’intrighi dove­vano venire i massacri. Il vicario laico, che allora si propone non era d’altronde secondo l’opinione dello stesso governo sardo, che una soluzione provvisoria. Il Conte Cavour non disse egli che le grandi soluzioni non si fanno mi colla penna?…

La Nota verbale dice in seguito: “che prima della rivoluzione francese le Legazioni non erano che sotto l’alta sovranità del Papa, e che godevano di privilegi e di fran­chigie tali che quasi si potevano dire indipendenti. Ciò non ostante la dominazione clericale v’era così mal soffer­ta che le armate francesi vi furono ricevute con entusia­smo nel 1796”. Quasi sono tante le menzogne quante le parole. E primieramente, prima della rivoluzione francese le Legazioni non erano punto indipendenti dall’autorità pontificia; il Papa le faceva amministrare da un legato, come già una volta furono amministrate le provincie di Francia da un governatore, o luogotenente del Re, come oggi è amministrato il regno delle Due Sicilie da un luo­gotenente o prefetto del re di Sardegna. Esse godevano in vero di qualche privilegio, ma questo non diminuiva per nulla l’autorità ed i diritti della Santa Sede, e non dava loro alcuna indipendenza politica, presa nello stretto senso della parola. Le invasioni hanno distrutte queste franchigie, ormai già rese incompatibili col sistema di cen­tralizzazione che regna in Europa.

Egli è anche poco esatto il dire che la dominazione cle­ricale v’era così antipatica che le armate francesi vi furono rice­vute con entusiasmo. Fu un pugno di giacobini che, tradi­tori della loro patria, rivoltandosi contro il governo pon­tificio, ne facilitarono l’invasione e la conquista. È stato cosi che il Piemonte se ne è anche impadronito un giorno. Nel linguaggio sardo questo può dirsi patriottismo, ma in bocca degli uomini onesti questo suona fellonia e tradimento.

Che se il trattato di Tolentino spogliava nel 1797 il Santo Padre d’una gran parte de’ suoi Stati, questa non buona ragione perché il re di Sardegna venga alla sua volta a far parte di spogliatore della Santa Sede. La ricordanza inoltre di Tolentino non è poi di quella buona fede e lealtà di cui possa e debba vantarsi un re. Pio VI vi fuindegnamente ingannato; il Conte di Cavour lo sa, e tutte le storie ce lo dicono. E quand’anche, benché non sia vero, “il Governo di Napoleone sia il solo che abbia sopravvissuto nella memoria non solo delle classi illumi­nate, ma del popolo” quand’anche questo fosse vero, e fosse anche vero che “nelle provincie tutte le tradizioni e le simpatie si uniscono a quest’epoca” sarebbe questo un motivo per ristabilirvi il governo francese con una nuova iniquità non minore della prima? Sulla terra vi sono abba­stanza paesi selvaggi da conquistare, senza che Francia e Sardegna vengano a farsi odiose spogliatrici della Santa Sede. D’altronde un’ingiusta conquista raramente porta fortuna: il primo Impero può servire di buona lezione ai conquistatori. Ed è anche falso il dire “che al Congresso di Vienna si esitò molto prima di rimettere le Legazioni sotto il Governo del Papa” e che il Cardinal Consalvi non otten­ne dopo la battaglia di Waterloo questa insperata conces­sione se non in causa dell’imbarazzo in cui si era per la scelta del Sovrano a cui dovevansi dare, e per le rivalità che ne sarebbero venute, e che i diplomatici che siedevano a quel Congresso per ristabilir ovunque l’antico ordine di cose, capivano benissimo che restituendo queste pro­vincie alla Santa Sede, avrebbero lasciato un focolare di disordini nel mezzo d’Italia”.

Ma primieramente le Legazioni non sono state resti­tuite alla Santa Sede dal Congresso di Vienna che nel 1815, non dopo la battaglia di Waterloo, ma dieci giorni1 perchè  Italia non è stata costituita nella sua prima base che in quest’epoca. E in quest’epoca ancora che dietro domanda del principe di Talleyrand2, Ferdinando IV venne riconosciuto dai rappresentanti delle potenze riuniti a Vienna3 come sovrano legittimo nel nome Due Sicilie, nel quale allora Murat giuocava una partita così dubbia. L’Austria, nell’interesse della pace d’Italia, e fino allo ristabilimento dell’ordine, aveva credu­to bene d’occupare militarmente le Legazioni, che furono in seguito, unitamente alle Marche, restituite al loro legit­timo Sovrano, con Camerino e sue adiacenze, il ducato di Benevento ed il principato di Ponte Corvo, con un atto del Congresso di Vienna, in data del 9 giugno 1815, arti­colo 103. L’evacuazione militare fu conclusa tre giorni dopo, con un trattato del 12 giugno ratificato da Pio VII il 22 dello stesso mese. Certo non era nel momento in cui l’Europa sorgeva da un lungo sconvolgimento di rivolu­zioni, di guerre e di conquiste, che l’Austria avrebbe volu­to offendere ella stessa diritti già da troppo lungo tempo violati.

Che se vi fu qualche disparere al Congresso di Vienna, non fu certo per fissare in favore di qual sovrano doveva spogliarsi il Papa: l’Europa allora intendeva ristabilire i diritti ch’erano stati violati. Si cercava ogni mezzo per consolidare la pace, e per togliere possibilmente allo spiri­to rivoluzionario la possibilità, se non il pretesto della rivolta. Disgraziatamente parve che allora l’Europa non comprendesse quello che era da farsi, perché non bastava di ristabilire, o far ristabilire i sovrani detronizzati dalla rivoluzione o dalle guerre. Sarebbe stato necessario o di marciare francamente ovunque collo spirito dei tempi moderni, cosa che sarebbe stata rischiosa senza una mano ferma e potente, o comprimere ovunque questo spirito di rivolta, e non lasciarlo più sopravvivere; sarebbe stato anche necessario occupare attivamente le intelligenze con grandi idee, distornandole così dalle seducenti teorie rivoluzionarie che agitavano potentemente ancora tutte le teste in Italia, in Francia, nella Spagna e nella Germania medesima; sarebbe stato necessario, e principalmente, di non umiliare la Francia in faccia agli altri popoli, onde essa non si credesse poi in dovere, tardi o tosto, di vendi­carsi con una rivolta contro i re, o con una guerra all’Europa. L’Europa doveva ben conoscere che da quasi due secoli la bilancia dell’equilibrio europeo pende sem­pre dalla parte ove si trova la spada francese. Ecco quello che i sovrani pareva non comprendessero nel 1815; ecco perché essi s’incamminavano nuovamente verso una seconda catastrofe: Dio voglia che non arrivino ai medesi­mi errori! Ma sia quel che si voglia, il Conte Cavour fece molto male a sparlare del Congresso di Vienna che gli rese una patria più grande e più possente di prima.

“Il Governo pontifìcio, quando fu ristabilito, dicono 1 diplomatici sardi nella loro Nota verbale, non tenne nessun conto delle idee progressive e dei grandi cambiamenti che il regime francese aveva introdotti in questa parte dei suoi Stati. Per questo era inevitabile un urto fra il Governo ed i popo­li… Tre volte l’Austria intervenne colle sue truppe per rista­bilire l’autorità del Papa costantemente disconosciuta dai suoi sudditi”. Ma il Governo sardo non si ricorda egli anco­ra all’epoca che fu ristabilito dei profondi cambiamenti che il governo francese aveva introdotti ne’ suoi Stati?… Quanto va il Conte Rossi il 10 aprile 1831 al signor Guizot non più di quanto ci dicono i fatti. Questi fatti ci mostrano che il 1821 una misteriosa rivolta militare essendo scoppiata in Piemonte, l’Austria, pregata, intervenne negli Stadi sardi la sedò. Quanto alle parole del Conte Rossi, sono amare e nasi profetiche. “Il sistema che è prevalso in questo paese, dice egli, è un sistema gesuitico, anti-italiano, anti-francese che voglia dirsi… In questa maniera gli Stati sardi saranno soggetti alla rivoluzione futura. Quando? Come? con qual successo? Iddio lo sa4“. Non calunniate dunque la Santa Sede poiché voi alla medesima epoca non avete voluto, o non avete potuto fare meglio di lei; anche voi avete avuto bisogno delle armi austriache per mantenere l’ordine sì spesso turbato ne’ vostri Stati.

Se si trova che l’intervento dell’Austria nella Penisola rivoluzionaria “è uno scandalo per l’Europa, un immenso ostacolo alla pacificazione d’Italia”, come si da che il Piemonte nel 1859 abbia chiamato uno straniero in suo soccorso nella guerra d’indipendenza contro l’Austria?… Come si da che le bande garibaldine siano generalmente composte della feccia di tutti i paesi d’Europa?… Una patria di 25 milioni d’uomini non ha coraggio e braccia sufficienti per poter da sé sola conquistare la sua indipen­denza?… No, diciamolo francamente: lo scandalo non è nell’intervento generoso che reprime le rivolte, è nell’in­tervento interessato che opprime i popoli. Questo è il vero scandalo, quello che presto o tardi sarà punito. Non è più l’intervento Austriaco o Francese quello che serve d’ostaco­lo alla pacificazione d’Italia. Il solo ostacolo è lo spirito di rivolta che le sette propagano da mezzo secolo e che non in ultimo è stato appoggiato dall’ambizione piemontese sono le menzogne e gli oltraggi che si sono scagliati con tro tutti i sovrani d’Italia, da uomini di Stato, da scrittori oratori, diplomatici, noi potremmo dire anche da prinri’ pi, e che la stupida moltitudine ha ripetuto facendosi ignorante eco dell’astio e dell’intrigo. E questo è così vero che in oggi il Piemontesismo si contenta di dire che l’uni­co ostacolo alla pacificazione d’Italia è Roma. E se domani Vittorio Emmanuele salirà il Campidoglio, si dirà che è Venezia, e dopo domani il Tirolo e Trieste, e poi, e poi, il re di Sardegna medesimo sarà d’ostacolo e si andrà a get­tare il suo trono nelle immondezze della capitale. E se Garibaldi sarà d’ostacolo, verrà pugnalato come traditore da un sicario di Mazzini: e Mazzini medesimo finirà coll’essere un ostacolo come lo fu già Robespierre alla libertà! Lo spirito della rivoluzione è come un’onda del mare che sale e che nessuno può dire ove si fermerà. Un famoso repubblicano, Vergniaud, disse nel 1793: La Rivoluzione fa come Saturno, divora i propri figli. Ed è gran fortuna ch’essa medesima purghi la società, dacché questo ufficio da carnefice non conviene ad un sovrano.

La Nota verbale parla inoltre “dello stato deplorabile del paese, e della necessità ed urgenza di riforme amministrati­ve”. A sentire il Conte Cavour, “l’organizzazione clericale oppone degli ostacoli insormontabili ad ogni specie d’inno­vazioni, i consigli delle Potenze, e la buona volontà del Papa vengono da lei annullati” e quello che sarebbe anche più chiaro dalla storia dei primi anni del pontificato di Pio IX, la riforma completa del governo pontificio che risponda ai bisogni dei tempi ed ai voti ragionevoli delle popolazioni. In un simile stato di cose il Conte Cavour trova soli due modi di soluzione: un vicariato nelle Legazioni, o la rivolta. Il vicariato sarebbe un avviamento pacifico verso Roma, la rivolta aveva i pericoli, ma si farebbe mostra di trattenerla, mentre invece s’organizzerebbe nella Penisola intera dalle sette dei carbonari e dei mazziniani.

Questa prima Nota, benissimo combinata, non avendo prodotto alcun effetto, se non di parole, i plenipotenziari del re di Sardegna ne compilarono una seconda che fu diretta al Conte Walewski ed a lord Clarendon il 16 aprile seguente. In questa seconda Nota verbale, che è una con­tinua minaccia all’Austria, ed un’ingiuria alla Santa Sede, i ministri sardi dimandano ai Governi di Francia e d’Inghilterra, “se dopo aver date tante prove di un inte­resse così vivo per la sorte dei cristiani d’Oriente di razze slave e greche, essi poi non vorranno occuparsi d’un popolo di razza latina assai più infelice, perché in ragione del grado di civilizzazione in cui è, sente profondamente le conseguenze d’un cattivo governo”. Poi prosegue: “Questa assemblea (il Congresso di Parigi) sulla quale sono rivolti tutti gli occhi d’Europa, va a sciogliersi, non solo senza aver menomamente mitigate le sorti d’Italia, ma senza aver nemmeno fatto brillare un raggio di spe­ranza oltr’Alpi, che avrebbe servito a far sopportare con rassegnazione il presente. Ciò che, proseguono essi, può avere delle tristi conseguenze per l’Europa, per l’Italia, e particolarmente per la Sardegna”. Questo ingresso in scena sarebbe patetico se non fosse menzognero, odioso e ridicolo. Presto si vedrà quanto la Penisola abbia guada­gnato dopo che è costretta a subire leggi e costituzioni dal Piemonte.

Mai, gridano in seguito i diplomatici piemontesi con un falso dolore, mai non furono così pieni i bagni e le pri­gioni di condannati per cause politiche; mai non è stato più rilevante il numero dei proscritti, mai la polizia non fu più attiva, né più rigorosamente applicato lo stato d’asse­dio. Questi mezzi di governare devono tenere natural­mente i popoli in un continuo stato di fermento”. I gior­nali italiani scrivevano nel 1860 che in tre giorni è stata posta in arresto una metà della popolazione di Napoli5e Napoli conta 500.000 abitanti. Ora gli acclamatori del piemontesismo ci faranno vedere se in oggi egli è più dolce con questi Italiani ch’egli ha traditi, conquisi, annessi, piemontizzati.

Dopo l’insulto la menzogna; ecco qui la Nota scagliata contro l’Austria e gli altri Governi italiani… “Però in que­sti ultimi tempi l’agitazione parve essersi calmata. Gli Italiani vedendo uno de’ loro principi nazionali collegarsi colle grandi Potenze occidentali per far trionfare il princi­pio del diritto, e migliorare la posizione de’ cristiani d’Oriente, sperarono che non si sarebbe conchiusa la pace senza portare un alleviamento a’ loro mali. Questa speranza li rese calmi e rassegnati. Ma quando conosceranno il risultato negativo del Gongresso di Parigi; quando sapranno che l’Austria, malgrado l’interposizione della Francia e dell’Inghilterra, si è rifiutata ad ogni discussio­ne, ed a prendere in esame i mezzi di porre un rimedio a questo stato di cose, non v’ha alcun dubbio che l’irritazio­ne assopita si svilupperà più che mai violenta. Convinti di non aver più nulla a sperare dalle Potenze, si getteranno dalla parte dei rivoluzionarii e dei sovvertitori, e l’Italia ritornerà un focolare di disordini e di cospirazioni, che si reprimeranno raddoppiando sempre i rigori, ma la più piccola agitazione d’Europa li farà scoppiare in un modo il più violento. Uno stato così dispiacente deve certo occu­pare altamente il Re di Sardegna. Questo svegliarsi delle passioni rivoluzionarie in tutti i paesi che circondano il suo regno, è un pericolo di molta gravita e che può com­promettere quella sua ferma e leale politica ch’ebbe fino ad ora sì buoni risultati nell’interno ed all’estero, e gli valse le simpatie di tutta l’Europa civilizzata”.

Oggi si sa cosa si debba pensare di questa politica ferma moderata, e dei felici risultati che si sono ottenuti nella Penisola. La diplomazia di uno Stato che si dice cattolico e civilizzato, non ha mai messo più falsità ed ipocrisia nelle sue astuzie. E mentre riempite l’Italia di rivoluzioni e di disordini vi lamentate dei pericoli in cui vi mettono i disordini medesimi! Voi formate le rivolte, e poi accusate l’Austria ed il Papa d’essere gli autori de’ vostri stessi delitti, e li minacciate, se, cedendo alle vostre mire ambi­ziose, non rimediano prontamente ad un così tristo stato di cose. Veramente l’Europa è stata troppo buona a non infliggervi a quest’ora una severa punizione. Voi avete tutte le ragioni di dire che i Maomettani sono vostri correligionarii: Maometto però non era né civilizzato né cristiano, e non s’è mai vantato d’aver fatto trionfare i principii del diritto e della giustizia; egli rovesciava quanto s’opponeva alla sua ambizione.

“L’Austria, proseguite voi, chiamata dai sovrani dei pic­coli Stati italiani, impotenti a contenere i loro sudditi mal­contenti, occupava militarmente la maggior parte della Penisola centrale… e questa occupazione permanente ren­deva quella Potenza padrona quasi assoluta della Penisola, distruggeva l’equilibrio europeo fissato coi trattati di Vienna ed era una continua minaccia pel Piemonte”. Ma che cosa sareste oggi voi senza l’Austria? Una provincia francese od un focolare di Carbonari repubblicani, e Vittorio Emmanuele un re in partibus di Sardegna, Cipro e Gerusalemme! Quanto all’equilibrio stabilito nella peniso­la dal trattato di Vienna, che ne avete fatto voi medesimi? Non avete voi imprudentemente messo tutto in questione, giustizia, diritti, e persino la pace e la salute d’Europa? La vostra medesima corona oggi è in pericolo, e se non cadrà nelle battaglie, sarà sempre lordata dal sangue che fu sparso dalla vostra ambizione, ed avrete bisogno di ben molte virtù per compensare tutte le iniquità di questo regno.

Per quanto poi riguarda al preteso timore espresso nella Nota verbale: “Se la Sardegna soccombe, abbando­nata dai suoi alleati ed oppressa dalla dominazione austriaca… l’Austria guadagnerà un’influenza preponde­rante in Occidente”. Il Piemonte si può rassicurare finché vi sarà una Francia, ed in questa Francia una spada; l’Italia non resterà mai lungo tempo né piemontese, né austriaca, né inglese. Qualche volta i popoli dormono, ma il loro svegliarsi è terribile, come quello del leone ferito durante il sonno da un inesperto cacciatore.

Poco importa alla Francia che l’Adriatico sia un lago austriaco: essa non ha la ridicola pretesa di dominare ovunque: la terra ed il mare sono grandi: ad ognuno la sua missione. Ma quello che importa alla Francia, e soprattutto alla Francia cristiana, è che l’Italia sia una con­federazione di Sovrani cattolici collegati col Pontefice-Re, e non una monarchia con governo rivoluzionario, e con un principe vestito in casacca rossa e col berretto mazzi­niano. Quello che importa alla Francia si è di non avere a’ suoi confini un nuovo regno inglese che le disputi il pas­saggio dell’Oriente e del Mezzogiorno. Gibilterra, Malta e Corfù non bastano per l’Inghilterra?… D’altronde l’Italia monarchica o repubblicana oggi non può assolutamente restare: questo sarebbe un disordine in Europa, e per )oco tempo il trionfo della barbarie. I diplomatici lo fsanno. Quello che interessa alla Francia, e pe’ guai che si preparano in Oriente e pei non minori che si vanno pian piano a formare in Occidente, si è che l’Italia non sia un focolare d’agitazioni rivoluzionarie, né un Vulcano di guerre civili, ma che abbia un governo regolare fondato sul diritto e sulla giustizia, non sull’ambizione e sull’intri­go. Quello poi che più importa alla Francia, e che un gior­no saprà sostenere colla sua spada, si è che il Vescovo di Roma ne sia anche Re tanto pel dominio che ne tiene da Dio come dal suo diritto, e pontefice libero ed indipen­dente per l’indipendenza medesima delle sue decisioni. Ecco quello che vuole la Francia, e che devono parimenti volere tutti i Sovrani d’Europa, se la loro politica non è cieca, o guasta dalla rivoluzione. E se il Piemonte ha biso­gno d’una capitale e d’un regno così vasto come la sua ambizione, la vada a cercare fra i selvaggi; disgraziata­mente vi sono ancora sulla terra molti popoli che giaccio­no nell’abbrutimento e nella schiavitù; là vada a cercare un vasto regno ed un’ampia, capitale.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/borbone/brigantaggio_piemontese.html#terzo

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