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I BORBONI DI NAPOLI AL COSPETTO DI DUE SECOLI PER GIUSEPPE BUTTA Volume I

Posted by on Lug 28, 2023

I BORBONI DI NAPOLI AL COSPETTO DI DUE SECOLI PER GIUSEPPE BUTTA Volume I

“Giuseppe Buttà (Naso, 4 gennaio 1826 – Naso, 1886) è stato un presbitero, scrittore e memorialista italiano.

Negli anni ’40 fu ordinato sacerdote e nel 1854 ottenne l’incarico di cappellano militare dell’esercito borbonico, venendo destinato al Bagno Penale di Santo Stefano. Nel 1859 fu assegnato al 9º Battaglione Cacciatori comandato dal maggiore Ferdinando Beneventano del Bosco, stanziato a Monreale in Sicilia.

Nell’aprile 1860 la sua casa vicino Monreale venne saccheggiata dalla popolazione, al grido di “Viva l’Italia”, durante la Rivolta della Gancia [1]; dopo lo sbarco a Marsala di Garibaldi, partecipò all’intera campagna militare, seguendo il suo battaglione nell’inesorabile ritirata dalla Sicilia fino a Gaeta, e assistendo come testimone oculare a molti avvenimenti storici, fra cui la Battaglia di Milazzo, gli scontri sotto le mura di Capua e la Battaglia del Volturno. Fu tra i capitolati di Gaeta e, alla resa della piazzaforte e in seguito alla proclamazione dell’unità d’Italia, dopo un breve periodo di detenzione fu costretto all’esilio in quanto sospetto cospiratore filoborbonico.

Dopo un periodo trascorso a Roma, ottenne il permesso di rientrare in patria, e a Napoli avviò una carriera di scrittore producendo dapprima delle memorie della spedizione di Mille (Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta) che tuttora rimane la sua opera più famosa, e in seguito un saggio storico (I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli) e un romanzo (Edoardo e Rosolina, o le conseguenze del 1860).

Buttà, assieme a Giacinto de’ Sivo, è forse il più famoso tra gli scrittori legittimisti filoborbonici. Pier Giusto Jaeger, autore di un celebre saggio sull’assedio di Gaeta, definì la sua opera “di ineguagliabile parzialità”; essa però riscosse un certo interesse da parte di Leonardo Sciascia (curatore di una ristampa del Viaggio nel 1985) e l’entusiasmo di Carlo Alianello, romanziere dichiaratamente meridionalista.”

Non ci pare che le opere degli scrittori liberali dell’epoca siano dei modelli di imparzialità!

Riportiamo uno stralcio del discorso pronunciato da Nicola Zitara durante la commemorazione dei caduti della cittadella di Messina:

“Questo percorso infelice che ha compiuto poi l’Italia unita lo avete sotto gli occhi: fa parte della vostra vita quotidiana, fa parte della vostra identità fisica.

Siamo i terroni d’Italia! E in questo fatto non significa… questa parola non significa, nella accezione comune, che siamo i meridionali, ma che siamo gli sporchi, gli incapaci, gli inetti, i mezzi italiani, gli italiani per grazia di Dio, per concessione di Cavour e allora ci deve essere un momento di patriottismo. Patriottismo me-ri-dio-na-le, si-ci-lia-no.

La Sicilia è la parte più antica della civiltà italiana, subito dopo viene questa parte meridionale della penisola che una volta si chiamava napoletano. Qui è nata la civiltà d’Europa. Qui è nato il nostro orgoglio di essere noi stessi. Noi siamo nella nostra terra, non nella terra di Cavour, di Vittorio Emanuele, della bandiera tricolore. Noi siamo nella nostra terra con i vessilli antichi, della nostra storia.

Questo dobbiamo ricordare, questo dobbiamo rivendicare, sennò queste celebrazioni servono semplicemente a sentire cattivi odori e a rivedere calcinacci che si sgretolano, non onorati dal ricordo, non onorati dal resto degli italiani.

Noi dobbiamo andare ad onorare i Vittorio Emanuele, i Garibaldi, il generale Cialdini.

E loro? Loro quale risposta ci danno, se non il disprezzo.

Io vi invito pertanto a riconsiderare, a riflettere il senso più profondo, il significato di questo…”

Zenone di Elea – Luglio 2019

INTRODUZIONE

Bella è l’Italia! è dessa la parte più amena di questo nostro pianeta; è la terra dei vulcani e delle maraviglie, la prediletta del sole: tiepido ha il clima, azzurro il cielo, cerule e le marine, i campi floridi e feraci, i fiumi maestosi, pittoreschi i monti; le sue città son monumentali e stupende, i suoi figli artisti e sapienti: ma fu ed è infelice. Un tempo fu grande e temuta, però l’ingordigia e la prepotenza romana la fecero odiare; e se il povero pescatore di Galilea non avesse piantata la Croce, la sopra i famosi sette Colli, l’Italia più non sarebbe.

Le nazioni, tiranneggiate dalla trabocchevole potenza de’ Cesari romani, quando la videro scossa e poi abbattuta, fecero impeto contro l’Italia per avvilirla ed annientarla; quindi fu invasa e depredata da Goti, Germani, Ostrogoti Visigoti, Vandali, Eruli, Longobardi, Normanni ed altri. né il popolo né i principi poteano arginare quel torrente di barbari, che famelici ed assetati di vendetta si riversavano sopra questa terra maravigliosa. Ma il Vegliardo del Vaticano, vigile custode della fede e della giustizia, senza eserciti, senza umani soccorsi, impavido affrontò i nemici di questa nostra patria? invece della spada brandi la Croce, e con arcana possanza, costrinse que’ barbari ad inchinarsi al segno di redenzione ed a Lui.

È questa la gloria più stupenda che può vantare l’Italia, al paragone della quale svaniscono le glorie di que’ trionfatori che, orgogliosi salirono al Campidoglio. Gl’italiani, alla vista di tanto prodigio, speranzosi e riverenti si strinsero a quel segno adorabile, ch’era stato scandalo agli ebrei e stoltezza a’ gentili; ed esclamarono: О Crux, ave spec unica!

I successori del peccatore di Galilea, i sommi Pontefici, divennero da allora i naturali protettori e difensori di questa classica terra. Ma gli uomini, famelici di dominazione sono e saranno sempre il flagello dell’Italia. Sursero repubbliche e repubblichette, tiranni e tirannelli, che si dilaniarono tra loro, facendosi una guerra ad oltranza e fratricida, combattendo spesso i proprii benefattori, i Papi.

Gli stranieri, avidi di conquista, guatavano dalle Alpi; a tempo opportuno, e con futili pretesti, scesero da quelle vette, e come lupi famelici addentarono l’agognata preda: straziaronsi a vicenda, ed oppressero noi. Crearono vicereami e suddite dinastie che succedevansi rapidissimamente; ora alemanni, or francesi, ora spagnuoli, pessimi tutti, perché tutti aveano uno scopo, quello di spogliarci e renderci schiavi abbietti. Per colmo di sventura, peggio de’ barbari, de’ tiranni e degli stranieri, surse un’altra malefica potenza: la rivoluzione e i governi settarii!

Non intendo narrare tutte le vicende gloriose e triste, che si sono succedute in Italia; mi limito a dir soltanto, e con rapido cenno, qual fu la sorte di queste belle contrade italiane in questi ultimi due secoli, e quali uomini furono scelti dalla Provvidenza per darle quell’agiatezza, quell’importanza e quell’incivilimento, che sperarono sempre e non ebbero giammai.

Questo racconto abbraccia un periodo di storia patria, il più interessante e il più ricco di avvenimenti: sarà diviso in due epoche, una di ricostituzione praticata in questo Regno da due re di Casa Borbone, l’altra di lotta tra il vero progresso e la rivoluzione. La prima epoca comincia dal 1734 e finisce al 1793; la seconda da quest’anno sino al 1860: il resto della totale catastrofe della dinastia e del Regno è descritta nel racconto già pubblicato in questo giornale, col titolo: Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta.

Lettori, noi ci conosciamo: altra volta mi onoraste del vostro compatimento; adesso io vi condurrò a traverso due secoli, additandovi le sventure e le glorie della nostra patria; facendovi conoscere le cause che le produssero, e gli uomini che ne furono gl’istrumenti, or passivi ed ora attivi. Io vi racconterò glorie patrie da farvi alzare orgogliosa la fronte, e fare esclamare a molti di voi: anche noi apparteniamo a queste belle contrade italiane, ma vi narrerò eziandio alti fatti da farvi coprire il viso con ambe le mani per la vergogna.

Io non oso scrivere pe’ dotti, ma pel popolo soltanto, crudelmente trascinato nell’errore, per fargli rinnegare i suoi veri interessi e le sue più care aspirazioni. Non farò sfoggio di bello e purgato stile, né di erudizione, mancandomi l’uno e l’altra; solo m’ingegnerò di esporre con chiarezza quelle verità necessarie a conoscersi da quello stesso popolo, il quale sa di essere stato tratto in inganno, ed ignora le arti sataniche usate da’ suoi nemici per asservirlo, prostrarlo e renderlo misero.

Questo lavoro non è ispirato da alcuno, mi onoro dichiararmi io solo responsabile di tutto quello che dico ed affermo, avendo la ferma convinzione di dir la verità senza riguardi e senza odio. Non ho padroni, non adulo perché nulla agogno о spero; non temo perché rispetterò gli eterni principii della giustizia; e quindi seguendo imperturbabile la via che mi sono tracciata, smaschererò le cabale, con le quali si è orpellata la verità, è spesso calunniata la virtù sventurata.

fonte

https://www.eleaml.org/rtfne/2019_stampa2s/1877_01_BUTTA_Borboni_Napoli_cospetto_secoli_2019.pdf

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